venerdì 31 ottobre 2014

Far così non è gentile

a Fred Buscaglione

Spesso, nella casa dell'impiccato, Lucas mostra la corda e cade al tappeto come corpo vivo che ha perso il tram proprio all'ultimo secondo e, appunto, cade, spossato dallo sforzo, aveva un appuntamento preciso con una ragazza, aveva sui venti lui e sui diciotto lei, lei che era la figlia di un poeta epico contemporaneo che scriveva lunghi versi da rompicoglioni che non sapevano d'un cazzo, però lui alla di lui figlia non gliel'aveva detto, anzi, lei aveva un bel sorriso e un seno mordido, così almeno le sue mani lo immaginavano, stando seduto accanto a lei sul divano ad ascoltare il padre declamare le interminabili strofe di endecasillabi sciolti, come la diarrea.
E così, quando Lucas arrivò, col tram successivo, nel luogo concordato, lei chiaramente non c'era nella piazza dove si erano dati appuntamento, eppure aveva fatto appena un quarto d'ora di ritardo, i telefonini non c'erano e lui con lo sguardo girava a compasso la piazza e, in fondo, in una strada di accesso gli sembrò di intravederla, fece una corsa, era lei, aveva il muso lungo, era bella, non gli disse manco ciao. E sì che si scusò, che dette la colpa a quello stronzo dell'autista, e a un suo amico che lo aveva importunato per chiedergli un consiglio su che pesci prendere con la ragazza, ma lei niente, zitta, camminava a testa bassa, nessun segno di comprensione. A lui, improvvisa, giunse un'eccitazione fulminante, c'era quel fiore di vita pieno a portata di mano e sentiva che non poteva coglierlo, la rabbia montava, la disperazione. Così scoprì dal mazzo che si era fatto durante il giorno la carta stupida dell'indifferenza e disse, serio: «Va be', te lo dico un'ultima volta: mi spiace, non ho fatto apposta, accetta le mie scuse, altrimenti pazienza, ciao, buona passeggiata». Lei alzò la fronte da terra e fissò, altrettanto seria, gli occhi dentro i suoi. Ci fu un attimo di esitazione, le labbra di marzapane lievemente si schiusero, e ciò bastò a lasciar filtrare i raggi del sole negli spazi lievemente pronunciati tra un dente e l'altro. Dio come era bella, buona, tanta. L'avrebbe seguita ovunque nonostante l'alterigia e l'ostentato disprezzo. Ma fu impossibile. Quello sguardo di grazia pieno si diresse verso tutti i punti dell'universo tranne quello dov'era posto lui. Non gli disse nemmeno ciao. Lui non le disse nemmeno vaffanculo.

giovedì 30 ottobre 2014

I doni del cielo e della terra

[*]
- Pronto Dio?
- Che vuoi?
- Sei davvero tu che doni i gusti sessuali agli esseri umani?
- Sì, compreso il fisting.

via

La soprastante scheda riporta, oltre ai prezzi in dollari degli ultimi modelli di iPhone, anche i costi che Apple sostiene per costruirli.
Fatti i debiti conti, 

«Apple spende tra i 200 e i 247 dollari per l'iPhone 6 e tra i 216 e 263 dollari per l'iPhone 6 Plus. Da ricordare che i listini statunitensi (tasse escluse, comunque inferiori al 10%) sono compresi tra 649 e 849 dollari nel caso del modello piccolo, e fra 749 e 949 dollari nel caso del Plus.Il costo del lavoro pesa sempre tra i 4 e i 4,50 dollari a prodotto. Considerando i listini statunitensi i margini di guadagno sono del 69% per le versioni da 16 GB e del 70% per quelle da 128 GB. In pratica in linea con la serie 5, ma su un altro pianeta rispetto al primo iPhone presentato nel 2007, quando la quota era del 55%.»

Ora, pur togliendo al 69% di margine di guadagno i costi sostenuti per ricerca, sviluppo, marketing e distribuzione, il profitto raggiunto è davvero notevole. Inoltre, come si evince bene da questi numeri, per il costo del lavoro Apple ha raggiunto livelli che neanche nazisti nei propri campi di lavoro riuscivano a ottenere (ricordo sempre che mio padre, internato dall'agosto 1943 all'aprile 1945 in un campo di lavoro vicino a Berlino veniva pagato - se non ricordo male - una decina di marchi a settimana). Cosa vuol dire aver raggiunto altissimi livelli di produttività.

E vengo al punto: se Tim Cook ringrazia Dio per il dono che gli ha fatto, quale cazzo di dio o di budda deve ringraziare se per uno smartphone che vende tra i 649 e i 949 dollari ha speso soltanto tra i 4 e i 4,50 dollari di forza lavoro per produrlo? 

mercoledì 29 ottobre 2014

Ragionevoli dosi di illusioni democratiche

Da un editoriale di Luciano Gallino su Repubblica di oggi (editoriale in cui il noto sociologo mette - più o meno banalmente - a confronto la manifestazione della CGIL a piazza San Giovanni e la Leopolda di Renzi), estraggo:
«[...] non c’era confronto tra i partecipanti di piazza San Giovanni e quelli della Leopolda. Per i primi era evidente che quello che sta succedendo da parecchi anni è una “guerra dell’austerità”, per usare la dizione di un noto economista americano. Una guerra di classe in cui la destra si prefigge di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70, che furono un tentativo riuscito di sottoporre il capitalismo a una ragionevole dose di controllo democratico. Le misure imposte da Bruxelles, di cui il governo Renzi, a parte qualche battuta, è fedele esecutore, sono precisamente espressione di tale guerra o conflitto di classe, nella quale le classi dominanti hanno negli ultimi decenni conseguito una grande vittoria. Equivalente a una dolorosa sconfitta per i manifestanti romani.»
Devo essere sincero: fino ad alcuni mesi fa, avrei preso per buona e mi avrebbe persuaso l'analisi abborracciata di Luciano Gallino, che contiene sì una parte di verità, ma minima e, soprattutto, incompleta. In primo luogo, non è solo la destra a prefiggersi «di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70»: sono tutti, destra e sinistra - e financo le cosiddette ali estreme dei due poli (Lega e M5S compresi). In secondo luogo, le conquiste sociali furono “concesse” alla classe lavoratrice, non perché il capitalismo venne sottoposto «a una ragionevole dose di controllo democratico», ma per altre ragioni: da una parte la globalizzazione era frenata dal blocco sovietico e cinese; dall'altra per l'esistenza stessa di una alternativa comunista (sia pure aberrante da un punto di vista delle libertà individuali) occorreva tenere buone le masse perché non avessero troppo a reclamare - e ciò era possibile in quanto, come scrive Olympe de Gouges,

«i sistemi economico-sociali capitalistici hanno potuto metter in campo, per un certo periodo, politiche social-democratiche che ponevano al centro del loro pragmatismo il lodevole proposito di migliorare il sistema delle garanzie sociali e attenuare le più stridenti disuguaglianze. E tuttavia tali politiche d’impronta riformatrice, se da un lato riuscivano a mascherare un modello di democrazia d’impronta classista, dall’altro contenevano in germe le contraddizioni di uno Stato parassitario e inefficiente. La crisi fiscale dello Stato e la minaccia di squilibrio che essa contiene ha mandato all’aria tali politiche d’impronta redistributiva, ribadendo la sola logica alla quale il sistema della competitività capitalistica deve necessariamente obbedire, ossia quello della massima redditività ed efficienza estorsiva.»

Ecco, questa sì che è un'analisi convincente e completa. E potrebbe arrivare a sostenerla anche il professor Gallino se abbandonasse l'illusoria pretesa di riformare il sistema economico e produttivo capitalista, se considerasse che la guerra di classe non prevede una guerra tra schieramenti politici, ma tra classi: la classe dominante (i detentori del capitale e sacerdoti al seguito) contro la classe dei dominati ovvero di tutti coloro che per vivere devono o vendere la propria forza lavoro oppure vivere di elemosina.
Il capitalismo non è una bestia addomesticabile, coercibile, riformabile. Esso è mosso da precisi meccanismi e specifiche - insolubili - contraddizioni. Resta tuttavia unica la sua motivazione; di più, il suo fine ultimo: la sua valorizzazione. 

«Il prodotto del processo di produzione capitalistico non è semplice prodotto (valore d’uso) né semplice merce, cioè prodotto dotato di valore di scambio; il suo prodotto specifico è il plusvalore, ossia merci che possiedono un valore di scambio maggiore di quello anticipato per la loro produzione. Ecco perché il processo lavorativo appare solo come un mezzo laddove la produzione di plusvalore, ossia la valorizzazione del capitale, è il fine.
Essendo la produzione capitalistica eminentemente processo di valorizzazione del capitale attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro, la cosiddetta “crescita” attraverso l’aumento dei consumi ha dunque un unico scopo, non già l’aumentato benessere dei lavoratori e dei consumatori, della società nel suo insieme, bensì quello di favorire il processo di valorizzazione del capitale.» (Ancora Olympe de Gouges, oggidì)

Comunque se Gallino riuscisse poi (non si sa come) a rubare le uova d'oro al capitale e a redistribuirle per un società più equa e giusta, non mancheremo di riconoscere i suoi meriti e dargli la medaglia al valor civil.


P.S. O.T.
Se un giorno Luciano Gallino e Ernesto Galli della Loggia andassero a pranzo insieme, cosa ordinerebbero? Una...

martedì 28 ottobre 2014

L'intelligenza stupida

Il mondo è abitato da troppi intelligenti, soprattutto in Italia, paese intelligentissimo. Il problema è che troppa intelligenza fa male, perché l'intelligenza fa credere di essere intelligenti anche agli stupidi. L'intelligenza stupida è quella posseduta dalle persone argute che hanno sempre pronta la battuta di spirito (spirito denaturalizzato); dalle persone che riescono ad emergere in ogni nicchia ambientale; dalle persone che se gli dài una camicia e una cravatta, oppure una tonaca, sanno adattarvisi perfettamente, come se avessero indossato quei panni sin da bambini. L'intelligente stupido è il classico nato imparato, colui che gli basta un colpo d'occhio per capire come approfittare da certe situazioni per trarne il massimo beneficio. L'intelligente stupido ha una rapidità di pensiero che sbalordisce, per questo egli gioca sempre di anticipo, non si lascia mai sorprendere perché è lui stesso a sorprendere gli altri. L'intelligente stupido è padrone assoluto del primo piano, dell'inquadratura più opportuna, della smorfia che, seppur studiata a tavolino in maniera sistematica, dà a chi lo circonda (al pubblico) l'impressione di essere spontanea, a dimostrare che di costruito e di atteggiato in lui non c'è niente, c'è solo la prontezza di riflessi che dimostra che a lui non gliela si racconta dietro le spalle, che non lo si prende per il bavero, perché l'intelligente stupido ha tutto ponderato e ben previsto, soprattutto le mosse degli avversari - avversari lenti, anacronistici, fuori luogo, coglioni.
Se mi è concesso un paragone un po' ardito con l'intelligenza artificiale, in particolare riferendomi al campo hardware, l'intelligenza stupida è come la memoria ram, il supporto che 
serve al processore per mantenere i dati che sta elaborando: è quindi usata come una sorta di lavagna, dove vengono scritte le istruzioni che servono durante una elaborazione, istruzioni che vengono immediatamente cancellate quando l’elaborazione è terminata.
Ecco, l'intelligenza stupida è un'intelligenza usata, un'intelligenza che serve, che presta il servizio secondo delle istruzioni o indicazioni che un altro tipo di intelligenza (quella non stupida) ha programmato ma delle quali offre volentieri all'intelligente stupido il patrocinio o diritti di rappresentanza.
L'intelligenza stupida è quella che in tutto il suo operare non immagina neanche un momento di essere una pedina in mano a delle intelligenze ben più superiori di lei. Ma per l'intelligente stupido tutto ciò non ha importanza perché, prima regola, mai guardare al domani con ciò agendo nell'immediato; bensì guardare e parlare del domani per conservare il potere oggi, un potere che se veramente pensasse a o parlasse di quello che fa oggi non avrebbe alcun domani.

È roba fina



Sopraffina.


lunedì 27 ottobre 2014

Mi distrugge lo stress non dimentico il sess

Oggi pomeriggio sono andato in banca a farmi lo stress test e il direttore mi ha detto che i risultati sono poco rassicuranti. Mi ha fatto per questo accomodare nel suo ufficio e ha chiamato un consulente, una signorina capelli castano chiari, sui trent'anni, in tailleur blu a righine, le calze color panna. Il direttore ci ha presentati ed è poi uscito, aveva un appuntamento fuori sede (così si è giustificato). 
La consulente è andata subito al sodo: 
«Signor Massaro, ho quello che fa per lei: un bel prestito personale da rifondere in 60 mesi con un tasso vantaggioso. Che ne pensa?».  
Le ho risposto che se il Taeg è sotto il 3% allora potrei considerare l'opportunità. Lei mi ha guardato sbalordita, aggiungendo, con un sorriso incredulo:
«Le piace scherzare, eh?».
Non tanto, mi piacerebbe più qualcos'altro in questo momento, lo capisco da come guardo le sue ginocchia, non ho mai visto delle ginocchia così sexy; potrebbero bastarmi, se mi fossero concesse in prestito, per sciogliere un po' lo stress che si è accumulato, come foglie di autunno, agli angoli della mia insussistenza.
«Questo non è possibile. Le mie ginocchia non possono essere cartolarizzate».
Allora me le incarni... le volevo rispondere, ma sono uscito: avevo pur sempre un euro in tasca, sufficiente per un caffè.

domenica 26 ottobre 2014

La Borsa e (o è) la Mafia?

Da alcune settimane, su Sky, rimandano in onda Gomorra, la serie di sceneggiati per la tv nata da un'idea di Roberto Saviano. Mi sembra fatta bene. E se ha come scopo quello di "impressionare" lo spettatore (nel senso di lasciare un'impressione di quello che la malavita organizzata è), beh, con me ci riesce. Prova ne sia che mi porto le suggestioni dell'episodio trasmesso per un po' di tempo dopo la fine. Ogni volta penso alla frase della poesia di Primo Levi: «Considerate se questo è un uomo [...] che muore per un sì o per un no».

Peggio ancora della fiction è certamente la realtà: per esempio quello che accade in Messico da alcuni anni a questa parte, Messico diventato la centrale mondiale del narcotraffico. Messico divenuto nei fatti «la faccia tragica dell'America» - e vedere, leggere ciò che vi accade, provare a portarsi là con l'immaginazione e patire, compatire, disperarsi (poveri studenti, povera Maria, donna meravigliosa).

Ma tutto questo perché accade?

Oggi Beppe Grillo, durante un comizio, ha detto certe cose.
Ha torto? Non ha del tutto torto. È un dato di fatto che lo scopo dei capitalisti e dei mafiosi è il medesimo: fare profitto. La differenza è che i primi operano nel rispetto delle regole giuridiche che uno o più stati si sono dati; mentre la criminalità organizzata agisce contravvenendo alle leggi di proposito, principalmente perché il prodotto che porta sul mercato è fuorilegge.
Grillo, con una frase a effetto del cazzo, sostiene che la mafia dovrebbe essere quotata in borsa, dimenticando di dire che la mafia in borsa investe già da decenni.
Come dichiarò il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa:
«La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fato grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.»*
La cosiddetta accumulazione primitiva ha (e avrà) ancora luogo fintanto che vi saranno merci la cui commercializzazione sarà proibita. Merci che hanno un'alta richiesta, come la droga o la prostituzione: valori d'uso assai ricercati che le mafie offrono a cattivo mercato. Per le mafie tali valori d'uso non sono altro che meri valori di scambio da portare sul mercato per la realizzazione del profitto, un po' come lo sono la Cinquecento o la Giuletta per Marchionne, o le Tod's o le Hogan per Della Valle (a proposito di De Valle: con la sua personale accumulazione originaria da calzolaio che cazzo ci ha fatto? La Fiorentina ai saldi, Italo, il Corriere della Sera, i braccialetti e poi?).
Per trasformare definitivamente le mafie in S.p.A. occorre quindi legalizzare tutte le merci che esse producono, distribuiscono e vendono. Non c'è altra soluzione per costringere le mafie alla legalità dell'ordine costituito.

sabato 25 ottobre 2014

Di sabato a Roma

a Effepelle

Come di sabato
romi 
nel fresco credo arrivato 
per strade ricolme di gente
e reclame?
Io niente, non romo
né periferico ma assolvo
al compito di un isolato
verderante e silente
la faccia assolante finché
il sole è restato poi niente
la casa i tasti qwerty
la voglia di averti un minuto
vicina
per ritrovata amidenza
incrociata di palpebre e falangi
che si scollano pellicine.

Io innesto e mi pesto all'impiedi
ricamando i contorni del cielo
con pensieri svolanti
svilenti e irridenti al dato
volevo dire al fato
sarà meglio dica lato
così mi ci appoggio e concordo
nel muto riaffastellarsi
del ricordo.

Carpisco come un cristo
che si desta da croci
che erano voci soltanto
amaranto nel senso di un colore
amaro tanto come l'amore
che non ho mai capito 
e appunto al petto mio smunto
il bello dell'essere stato un unto
un fortunato 
tra braccia essenti
e presenti (e il mio essente
è diventato presente
a me stesso).

Quindi inducimi in azione
ritentata come si ritenta
la salita senza fiatone o
una carezza alla stazione
in attesa del freccialenta:
la paura è spenta 
la mano aperta 
come una piazza che roma.

venerdì 24 ottobre 2014

Il momento in cui la sera

« Un tavolo spostato sul balcone vicino attirò l'attenzione di Karl; qualcuno era seduto a quel tavolo e studiava. Era un giovane con una barbetta a punta, che arricciava di continuo mentre leggeva, muovendo rapidamente le labbra. Sedeva a un tavolino coperto di libri con il viso rivolto verso Karl, aveva tolto la lampadina dalla parete e l'aveva sistemata tra due grossi volumi, sicché si trovava in piena luce.
    «Buona sera», disse Karl, poiché gli sembrava che il giovane avesse guardato dalla sua parte.
    Ma probabilmente si era sbagliato, il giovane non si era ancora accorto di lui, perché mise la mano a visiera sulla fronte per ripararsi dalla luce e constatare chi l'aveva salutato, quindi, non riuscendo ancora a vedere, alzò la lampadina per illuminare anche il balcone vicino.
    «Buona sera», rispose poi, fissando per un momento il balcone con uno sguardo severo, e aggiunse: «Che altro vuole?».
    «La disturbo?» chiese Karl.
    «Certo, certo», disse l'uomo, rimettendo al suo posto la lampadina. Queste parole naturalmente indicavano che egli voleva troncare la conversazione, comunque Karl non abbandonò l'angolo del balcone più vicino all'uomo. Rimase a guardarlo in silenzio mentre leggeva il libro, sfogliava le pagine, di tanto in tanto consultava qualcosa in un altro libro afferrandolo con estrema rapidità, e spesso prendeva appunti in un quaderno, chinandovi sopra il viso quasi fino a toccarlo.
    Che fosse uno studente? Sembrava proprio che studiasse. Non molto diversamente - tanto tempo fa - a casa sua Karl aveva fatto i compiti seduto al tavolo dei genitori, mentre il padre leggeva il giornale e registrava i conti o sbrigava la corrispondenza per qualche società, e la madre si dedicava a un lavoro di cucito tirando in alto il filo sopra la stoffa dopo ogni punto. Per non disturbare il padre, Karl teneva sul tavolo solo il quaderno e l'occorrente per scrivere, mentre i libri necessari erano sistemati su due sedie alla sua destra e alla sua sinistra. Quanta pace c'era allora! In quella stanza non erano quasi mai entrati estranei. Già da bambino Karl aveva sempre trovato piacevole il momento in cui la sera sua madre chiudeva a chiave la porta di casa. Certo allora non avrebbe immaginato che Karl un giorno arrivasse al punto di forzare con i coltelli le porte altrui!
    E a che cosa erano serviti tutti i suoi studi! Aveva già dimenticato tutto; se avesse dovuto riprenderli avrebbe avuto molte difficoltà. Ricordò che una volta, a casa, era stato ammalato per un mese; con quanta fatica poi aveva ripreso lo studio interrotto! E ora da tempo non aveva più letto un libro, tranne il manuale di corrispondenza commerciale in inglese!
    «Senta, giovanotto», si sentì dire all'improvviso Karl, «non potrebbe mettersi da qualche altra parte? Mi disturba terribilmente che lei stia lì a fissarmi. In fondo, alle due di mattina si può anche pretendere di lavorare tranquilli sul balcone. Che cosa vuole da me?».
    «Lei studia?» chiese Karl.
    «Sì, sì», disse il giovane approfittando di quel momento di pausa per riordinare i suoi libri.
    «Allora non voglio disturbarla», disse Karl. «Torno subito in camera. Buona notte».  

Franz Kafka, America, Garzanti, Milano 1989 (traduzione di Giovanna Agabio). »

A 8½ stasera ho sentito la deputata del PD Simona Bonafè dire che alla Leopolda ci sono cento e passa gruppi di lavoro, i quali si siedono intorno a un tavolo, tavolo dal quale emergono delle idee. Abracadabra.
Personalmente - e pregiudizialmente - penso che emergeranno delle cazzate, sia pure di governo, ma non mi permetto certo di disturbarli, studino pure, chissà su quali libri. Tutta gente acculturata che ha studiato tanto, che non ha dimenticato niente, perché ha imparato un'unica lezione dalla vita: essere presenti nel posto giusto al momento giusto, disposti sin da subito a essere fedeli a chi gli darà modo di esercitare la propria vocazione di servi.

giovedì 23 ottobre 2014

Assalti inutili





Circa un anno e mezzo fa, il signor Luigi Preiti, pistola in pugno, assalì Palazzo Chigi ché voleva uccidere i politici, ma - per sua disdetta e lor fortuna - sbagliò palazzo (erano tutti al Quirinale) e, purtroppo, ferì gravemente il brigadiere Giuseppe Giangrande e, meno gravemente, il carabiniere scelto Francesco Negri. Preiti fu poi bloccato e disarmato da altri carabinieri presenti di guardia, ma non fu ucciso.




Ieri, a Ottawa, il signor Michael Zehaf Bibeau, credo con un fucile, ha assalito il Parlamento canadese, anch'egli con l'obiettivo di uccidere qualche politico, senza riuscirci. Ha ucciso, purtroppo, un riservista, il caporale Nathan Cirillo ed è rimasto a sua volta ucciso, colpito a morte da una guardia addetta alla sicurezza, il signor Kevin Vickers.

Disse Piero Fassino, qualche giorno fa.

Beh, questo solo per suggerire, a chi avesse in animo di ripetere le gesta dei cosiddetti attentatori delle Istituzioni, che avrebbe più senso e ci sarebbe più soddisfazione andare a sparare dentro un cimitero per resuscitare i morti.

mercoledì 22 ottobre 2014

Incontinenze

[*]
Stasera, durante una riunione di lavoro, all'aumentare volumetrico delle sfere testicolari, in parallelo, anzi: in perpendicolare, improvvisa, è sorta un'erezione senza movente concreto, forse il bisogno di orinare trattenuto, chissà, comunque sia vi ho dato ascolto, non foss'altro per farmi uscire dal contesto in cui ero costretto e così trasportarmi nelle lande dove l'immaginazione la fa da padrona. Purtroppo non ho fatto neanche in tempo a scegliere mentalmente tra la platea l'altra interprete che mi avrebbe accompagnato, che improvvidamente ho dato ascolto al suono di notifica di una mail in arrivo, nella fattispecie la letterina di Matteo Renzi con la quale egli mi invita alla Leopolda.
Ahi, tutta la messinscena che l'erezione aveva determinato per estraniarmi dal presente perdeva ogni consistenza. Che fare dunque? Andare in bagno? Che disdetta: di scorcio vedevo la fila all'unico bagno disponibile. Così, non avendo scelta, per trattenere insieme pipì ed eccitazione, ho provato a leggerla davvero l'enwes renziana 
Sabato sarà un giorno dedicato a 100 tavoli di confronto su 100 argomenti: 50 al mattino, 50 al pomeriggio.
Parliamoci chiaro: alla Leopolda abbiamo iniziato quasi per scherzo, cinque anni fa. Adesso le cose sono cambiate: non basta proporre idee, bisogna realizzarle! Tocca a noi, non ad altri. Avremo lo stesso stile di sempre, leggero, col sorriso sulle labbra. Ma questa Leopolda è la prima in cui al governo siamo noi, non altri. [...]
Il futuro è solo l’inizio, abbiamo detto. Anche perché dobbiamo smettere di considerare il domani come una minaccia. Il futuro è un posto ricco di incognite, certo. Ma anche pieno di possibilità, suggestioni, opportunità.
Sarà bello andarci insieme.
Io ci andrò con le mutande bagnate. Al futuro non alla Leopolda. 
E il sorriso, mi si consenta, ce l'avrò anch'io, ma non sulle labbra, bensì sulla cappella.

martedì 21 ottobre 2014

Bruttopietro

Da quando la fauna berlusconiana rimpozza nelle acque semitorbide dell'opposizione, non può in concreto portare una seria critica all'azione del governo Renzi, perché questa è, come dice lo stesso Berlusconi
«È un “revival” delle nostre ricette, condito da un po' di populismo e presentato con grande abilità.»
Allora, tal fauna anfibia sta lì a bagnomaria a sparare cazzate o a ingrossare la carica di risentimento del proprio alveo di ghiozzi. 
È il caso dell'editoriale odierno di Maurizio Bel?Pietro, dal titolo eloquente e programmatico: Tutti quei furbi che rovinano l'Italia (lo potete leggere gratis qui).
Scrive Belpietro ad inizio fondo:
«Non sono stato leghista neppure quando era di moda esserlo, ma dopo aver letto l’intervista che pubblichiamo all’interno penso che lo diventerò. »
Capite? Un prognata diventerà leghista perché un pensionato sardo ha confessato candidamente di aver trovato mille e tre espedienti pur di non lavorare in miniera e riscuotere lo stipendio lo stesso, fino a ricevere, appunto, la pensione.
Ora, lasciando perdere la ribattuta di chiedere a Belpietro cosa diventerà quando scoprirà che un allevatore di bovini da latte padano risulterà aver preso finanziamenti europei a ufo per la sua attività imprenditoriale, chiediamogli invece quanto segue: ammettendo che con un exploit nazionale della Lega tutti i furbi diventino diligenti cittadini irreprensibili che lavorano sodo, sudano e ruttano fuori dai pasti, nelle miniere del Sulcis a lavorare part-time ci va lui?

Part-time perché l'altrà metà giornata gli servirà per dirigere il quotidiano e scrivere editoriali da attentato vero e non fasullo.

lunedì 20 ottobre 2014

Vana chiarità d'idea


Andrea Zanzotto, Vocativo
Quando vedo la foto di Andrea Zanzotto ridente, sul Meridiano, vedo mio padre, mio nonno, mio zio e mio nipote; vedo una faccia alla quale arbitrariamente mi apparento, che eredito e cullo per accompagnare di tanto in tanto i giorni frenati di parole.
Tutte le cose intorno mi precorrono nell'esistere, nel mutevole assestarsi delle stagioni. E il linguaggio —  balbo parlare montaliano — non riesce a star dietro a questa avanzata. Figuriamoci il corpo e il desiderio come arrancano per arrivare nel luogo in cui «tutto è ricco e perduto / morto e insorgente». Non resta che trovar riparo e luce nella propria «vana chiarità d'idea». 
Sempre che abbia un'idea, perdipiù chiara.


domenica 19 ottobre 2014

La Repubblica delle Idee che non servono a un cazzo

In coda d'articolo “La Lega verde-nera di Salvini” su Repubblica di oggi, Gad Lerner scrive:
«Mettere i poveri gli uni contro gli altri, creare false comunità di sangue irriducibili le une alle altre, è un'operazione cinica ma non certo inedita. L'Italia ci è già cascata più di una volta, a Milano tocca cimentarsi in un confronto sulla sua idea di civiltà».
Così come sa che è “normale” vi siano politici scaltri che, per ottenere consenso, cercano di raggruppare il maggior numero di poveri a scapito di una parte più piccola di poveri, Gad Lerner dovrebbe sapere che la guerra tra poveri, i poveri la vivono tutti i giorni. Quello che non sa, o meglio: fa finta di non sapere, è che allertare la pubblica opinione benpensante per dar lustro al proprio acume politicamente corretto, non serve per arginare l'eventuale piena nel caso di crisi economica perdurante che colpisce, ma guarda un po', i poveri e non certo gli intellettuali benestanti, firme prestigiose sotto contratto dell'editoria borghese.
Gad Lerner si scandalizza che Salvini metta «i poveri gli uni contro gli altri» senza dire pio sul perché i poveri si moltiplicano a dismisura. Eppure è pacifico che l'aumento della povertà è un effetto collaterale inevitabile del sistema economico e produttivo dominante.  Ma Gad Lerner - e con lui tutte le belle fighe firme autorevoli - fa finta di niente, manco un cenno all'unica sensata soluzione affinché la guerra tra poveri cessi definitivamente (forse), ovvero trovi uno sbocco, una soluzione: far coalizzare i poveri per fare guerra ai ricchi, ai proprietari dei mezzi di produzione e dei centri di distribuzione, ai banchieri, ai petrolieri, ai grandi editori... anche a De Benedetti... Ma no, non si può, finché continuerà a pagare meglio sputare addosso a quel barbetta verdenero di Milàn.

sabato 18 ottobre 2014

Il pieno e il vuoto

Mi sento pieno, disse il vuoto. Ed esplose. E tutto nacque in quell'istante preciso. Bum catabum bum. E qualcosa avvenne. Anzi: addivenne a essere quella cosa punteggiata di vuoto e pieno detta universo. All'inizio fu la polvere, capite bene, come quando uno mette piede in una stanza in cui non entrava da anni e passa un dito sopra la mobilia. Non si vede più la pubblicità di Pronto spray, peccato. Come se fosse stata tutta sua la colpa del buco dell'ozono. Comunque non ti muovere che fai polvere. Ho capito che non riesci a stare ferma, che devi girare in tondo, sei costretta, i detriti si devono coagulare e farti, comporti, trasformarti da tartufo a patata, e da patata ad arancia. Meccanica celeste e tutte le impressioni che ho avuto in questa vita. Poco e niente resterà di te. Ma dimmi Terra: da uno a cento, quanto credi nel principio antropico? - 273,15. Eppure tutto fa pensare che, noi essendoci, si sia i protagonisti principali della messa in scena. Il problema è l'impresario, il problema è il regista. Credere che esista - e bestemmiarlo (o pregarlo o fargli spallucce). Oppure credere che non esista e recitare a soggetto. Adesso capisco perché, alcune notti or sono, in sogno, ho mandato affanculo Luca Ronconi. Ma dico io. Ma dici tu, dici, continua. Cosa vuoi che altro dica se non questo: spero che tra qualche centinaio di milioni di anni siano in grado di farci vedere, post mortem, un reportage documentato di quel futuro in cui forse l'umanità sarà scomparsa. Ma se non ci sarà più umanità cosa t'importerà sapere di quegli anni? Tanto quanto sono curioso di sapere cosa c'è stato prima che noi fossimo - e questa curiosità è sostanzialmente soddisfatta, data la verosimiglianza di quanto la scienza racconta. Al contrario, il mito, in quanto inverosimile, non ti soddisfa? No, perché ogni mito - o quasi ogni mito, non li conosco tutti - prevede un creatore, un realizzatore che stabilisce regole e finalità. E le regole e le finalità costellano già abbastanza lo spazio e il tempo del vivere. Ti sei svuotato per questa sera? Sì, ho simulato ancora volta l'atto della creazione: sono ritornato vuoto.

venerdì 17 ottobre 2014

Una grande occasione

«Caro imprenditore, assumi a tempo indeterminato? Ti tolgo l'articolo 18, i contributi e la componente lavoro dall'Irap. Mammamia, cosa vuoi di più. Ti tolgo ogni alibi e ti do una grande occasione». Matteo Renzi.

«Aristotele dice che il potere, tanto nel campo politico che in quello economico, impone a quelli che lo detengono le funzioni del comando; nel campo economico l’esercizio di questo comando impone di saper sfruttare la forza-lavoro, e, aggiunge, che non conviene attribuire grande importanza a questo lavoro di sorveglianza perché il padrone, non appena è abbastanza ricco, lascia “l’onore” di questa fatica a un sorvegliante.
Il lavoro di direzione e di sovrintendenza, in quanto non è una funzione particolare proveniente dalla natura di ogni lavoro sociale combinatoma scaturisce dall’antagonismo fra il proprietario dei mezzi di produzione e il proprietario della forza-lavoro pura e semplice — sia che quest’ultima, come nel sistema schiavistico, venga acquistata con il lavoratore stesso, o che il lavoratore stesso venda la sua forza-lavoro e il processo di produzione appaia perciò al tempo stesso come il processo di consumo del suo lavoro da parte del capitale —,  questa funzione che deriva dall’asservimento del produttore immediato è stata invocata troppo spesso a giustificazione di questo rapporto, e lo sfruttamento, ovvero l’appropriazione di lavoro altrui non pagato, è stato allo stesso tempo troppo spesso presentato come il salario dovuto al proprietario del capitale. Nessuno ha espresso meglio questo concetto di quel che ha fatto un certo avvocato O’Conor, difensore della schiavitù negli Stati Uniti, durante un meeting organizzato a New York, il 19 dicembre 1859, sotto la parola d’ordine: Giustizia per il Sud. — «Ebbene, signori», disse fra grandi applausi, «la natura stessa ha destinato il negro a questa condizione di schiavitù; egli ha la forza e la robustezza per lavorare; ma la natura, che gli ha dato questa forza, gli ha negato sia l’intelligenza per governare che la volontà di lavorare [applausi]. Entrambe queste qualità gli sono negate! E proprio la natura che gli ha negato la volontà di lavorare, gli ha dato un padrone per obbligarlo a lavorare e farne, nel clima per cui è stato creato, un servitore utile sia per se stesso che per il signore che lo comanda. Io affermo che non è un’ingiustizia lasciare il negro nella condizione in cui lo ha posto la natura, dargli un padrone che lo diriga; e non lo si deruba di nessuno dei suoi diritti quando lo si costringe a lavorare e a fornire al suo padrone un giusto indennizzo per il lavoro e per l’intelligenza che egli, il padrone, impiega per governarlo e per renderlo utile a se stesso ed alla società» (New York Tribune, 20 dicembre 1859, p. 5).
Ora anche l’operaio salariato come lo schiavo deve avere un padrone che lo faccia lavorare e lo diriga. Premesso questo rapporto tra padrone e servo, è nell’ordine delle cose che l’operaio salariato venga costretto a produrre il salario per il proprio lavoro ed in più il salario di sorveglianza, un compenso per il lavoro di direzione e di sorveglianza “ed a fornire al suo padrone un giusto indennizzo per il lavoro e l’intelligenza che egli impiega per governarlo e per renderlo utile a se stesso ed alla società”»
Karl Marx, Il Capitale, Libro III, Sezione V, cap. 23.

Temo di no, ma sotto sotto spero che un giorno, magari nel 2059, qualcuno utilizzi le parole in esergo dell'attuale presidente del consiglio italiano e le consideri alla stessa stregua di quanto oggi consideriamo quelle dell'avvocato O'Conor, difensore della schiavitù negli Stati Uniti d'America.

giovedì 16 ottobre 2014

À la merde comme à la merde



È un po' di tempo che faccio malvolentieri la spesa; esco dal supermercato avvilito, non tanto per i soldi scambiati in cambio di generi alimentari o altro, quanto per il meccanismo in sé, per la ritualità che comporta, per l'impegno mentale e fisico richiesto, per l'essere in parte schiavo di quelle cose là messe a bella posta sugli scaffali, a comandarti, dirigerti, occuparti la mente fosse pure soltanto per essere prese, per la finzione di scelta che comportano.
Andasse a fare in culo tutta la merce del mondo - e in gran parte è così, ci va, ci transita, con piccolo o grande sforzo - e poi sparisce con un tiro di sciacquone.


mercoledì 15 ottobre 2014

Disinibizione

Sere particolari di scrittura inibita in cui il dire si nasconde dietro parole che tentano di decifrare il perché, nonostante in concreto non abbia niente da dire, voglia scrivere qualcosa lo stesso. La scrittura come agente monomandatario dell'essere, non tanto per venderlo, quanto per esporlo, negli scaffali più in basso (o in alto) possibile, giusto perché qualcuno, passando, ci butti un occhio ché stanco di fissarlo all'altezza del mercato standardizzato occidentale.
C'è chi sgomita per essere in primo piano e avere più possibilità d'essere messo nel carrello, acquistato e consumato. Io non sgomito, sgomino me stesso, nel senso antiquato di mettere fuori, in disordine, pensieri altrimenti costretti dentro il quotidiano esercizio del vivere - allora gli apro la finestra, li faccio uscire fuori, mera ossigenazione. Così, tanto per esistere un po' di più, non tanto, ma quanto basta per dirsi (illudersi) di esserci stati nell'oggi più di quanto la vita abbia disposto nella sua pacifica e vana lotta contro il secondo principio della termodinamica.
In breve, io mi tengo in forma, informando me stesso, lastricando cioè il mio cammino di parole parole parole sulle quali poter camminare sopra, altezzoso, facendo finta di essere - allo stesso tempo - stilista e modello:

Così che quando passa questo eccesso
ci pare non avere perso nulla,
ci pare non avere perso il tempo
che la nudezza sbriciola e maciulla. (1'54" e seguenti)




Tiratemi carciofi. Anzi: cardi “dal gambo reciso”.

martedì 14 ottobre 2014

La mobilità degli dèi moderni

Santi Numi del Vittoriano: capitali esteri in fuga dall'Italia. In fuga da cosa? Più che altro dal debito sovrano. E il Tesoro che fa? Per ora argina.  

Gli dèi da tempo non muovono più le perturbazioni, bensì scrosci di milioni, valanghe di miliardi, bombe d'acqua virtuali che si spostano con una facilità inaudita a seconda del capriccio del momento. 

Blackrock, Pioneer - due degli dèi in questione - esistono senza esistere, contengono senza contenere, s'involano per far precipitare, migrano per divorare di continuo la ricchezza delle nazioni, nazioni comandate, pressoché globalmente, dai loro sacerdoti (comitati d'affari).

A noi mortali non resta che captare questi segnali di movimentazione trascendentale, casomai dal cielo, oltre che alla pioggia, cadesse qualche spicciolo, convinti erroneamente che a tutta quella massa enorme di denaro corrisponda un alcunché di tangibile, tipo il guano.

lunedì 13 ottobre 2014

Egli immagina il futuro

«Io immagino il futuro oggi del nostro Paese e mi rendo conto che da qui a vent'anni noi avremo un Paese che, se fa le scelte giuste, continuerà ad essere un Paese leader in Europa e nel mondo» Matteo Renzi


Spesso imputo a me stesso il difetto di non pensare in prospettiva, di limitarmi all'oggi, di viverlo tutto, di non lasciare niente di riserva, venissero giorni in cui il domani avesse bisogno dello ieri.
È un difetto, giacché mai mi sono detto: “Se faccio questo e quello io tra vent'anni sarò un uomo migliore”, ché spaventato dal concetto di migliore e ancor più da quello dei vent'anni.
Io tra vent'anni cosa sarò, onestamente, mai me lo sono detto, mai, neanche quando ne avevo venti meno di ora pensavo al me di adesso.
In altri termini, non sono mai stato in cantiere, nessun progettista, nemmeno io, può rivendicare di avermi costruito, sono uscito e zac, a parte la naturale spinta in avanti (in avanti?), quello che ero ero, quello che sono sono, quello che sarò sarò e non sarò. Fine. D'altronde c'è stato un inizio. È naturale, son cose che capitano ai viventi.
Questo pippone per dire che – credo – non ho mai avuto la faccia a merda di dire a qualcuno o a qualcosa chissà come sarai tra vent'anni, nemmeno alle figlie, che le vivo costantemente nel presente, mai finora ho messo loro addosso panni che non le rivestono.

Futuro è una parola con troppe u per essere presa in considerazione. Per esempio culo ne ha una sola, è sufficiente (per questo ho smesso ubuntu e sono passato ad altre distro). E poi futuro stranamente contiene in sé il passato remoto del verbo essere, terza persona singolare, e questo già la dice lunga. Egli fu turo. Nel senso che egli fu tappo, turacciolo, in certi casi coperchio, che – appunto - comprime il presente nell'insensata ricerca di un domani che sarà quando sarà ma che nell'istante non è, caro faccia a futuro, non è.

domenica 12 ottobre 2014

Un mondo disfatto.

Il mondo va disfacendosi.
Eppure è pieno di fare.
Sì, ma è un fare che nasce disfatto, che si liquefa a ogni contatto.
Eppure certe cose son dure.
Occorre afferrare il senso della dissoluzione.
Fammi un esempio.
Subito. Entrare in un ipermercato, riempire lentamente il carrello fino al colmo e poi, quando è il momento di andare alla cassa, abbandonare il carrello in fila e uscire a mani vuote, dalla corsia senza acquisti.
Una spesa interrotta, come un coito?
Sì, pianificare il disfare, il disfarsi.
Ma come fai a tornare a casa senza carta igienica, senza burro?
C'è un nesso tra le due cose?
Può darsi.
Benissimo. Poniamo sia la morbidezza.
Poniamola.
Ti rispondo: le mani vuote sono le più adatte per accarezzare, per toccare, per disfare.
Ne consegue che le mani piene siano il contrario.
Esatto.
E una mano piena e l'altra vuota?
Ti racconto l'aneddoto della pasticciera zozza: un giorno, la pasticciera si infortunò a un braccio e le misero un gesso che le arrivava sino a metà mano. Ella però dovette continuare a lavorare perché non aveva alcuno che la sostituisse. Una mattina, dopo che aveva infornato le paste, la pasticciera uscì dal laboratorio per fumarsi una sigaretta, il camice tutto sporco di cioccolato e altri ingredienti di svariati colori e, inoltre, appunto, il braccio ingessato sospeso con una benda, unta benda, che le passava intorno al collo. Un signore, che passeggiava nei dintorni con il cane, le si avvicinò e le disse: «Sai, mi è venuto un dubbio». E lei, seppur diffidente, per finta cortesia domandò: «Quale dubbio?». E lui: «Come fai a lavarti la mano con una mano sola?»
E lei che rispose?
Lei, continuando a rosicchiarsi l'unghia nera dell'indice destro, con un'abile mossa di prestigio, spostò la sigaretta dalle falangi del medio e dell'anulare, a quelle dell'anulare e del mignolo; alzò quindi, ben teso, il dito medio e disse: «Fatti i cazzi tuoi».
E quel signore come reagì?
Da quella mattina è andato a mangiare il dito dell'apostolo da un'altra parte.

sabato 11 ottobre 2014

In un giorno devi dire tutto

Post edificante

«Per diventare un autore edificante devi fare come se non dovessi vivere, dunque, più a lungo del giorno presente. Mentre gli altri fanno progetti per anni, tu puoi fare un progetto solo per oggi. Ma ti assicuro, anche se un giorno è un giorno, come si dice, tu puoi farlo. Tu vivrai una lunga vita, io te lo auguro, ma se vuoi diventare uno scrittore edificante devi fare come se dovessi vivere solamente un giorno. Quello che tu scrivi non può nascere se non come da uno che in tutto vive un giorno, per dir così, o che comunque in un giorno deve dire tutto».
Manlio Sgalambro, La consolazione, Adelphi, Milano 1995

Devo essere sincero: non so a cosa serve o cosa serve questa vita esattamente, questa vita sobbalzata dentro il perimetro dei desideri determinati dal contesto storico sociale nel quale si sono evoluti e conformati, poco anelito di libertà ha avuto questa vita sì da uscirne, dal perimetro, vi resta dentro, ci sta calda, vi si crede soddisfatta perché non consumata dallo sforzo, dalla fatica, questa vita fortemente attratta dall'inerzia, per fuggire il gioco balordo della dominanza, considerato che l'agone e la lotta richiedono una volontà ferrea di prevaricazione o di adulazione e questa vita dell'una e dell'altra si sente monca (almeno spero).

È così che la vedo questa vita, a un certo punto, non so quale, uno di sicuro in cui è troppo tardi per guardare indietro e a un punto troppo inutile per guardare avanti, fare segni di avvistamento, come se questa vita avesse di per sé una meta diversa da se stessa, un oltre vita che a questa vita non garba di pensare, che lo esclude per rifiutare di aggiungere insensatezza all'insensato. 

Questa vita, amica, che i tuoi occhi, un tempo, guardavano sorridere e che oggi la ventura ha riportato per specchiarvicisi un momento nuovamente, questa vita dice che in quello sguardo c'è tutto, lo sguardo di due vite che per un attimo si sono riconosciute e hanno visto tutto il tempo e tutto lo spazio percorso e da percorrere, quell'attimo in cui la solitudine di questa vita non esiste perché essa esiste solo di riflesso e il riflesso sono gli occhi degli altri che lo rimandano, quegli occhi particolari in cui ci si sente autorizzati a vivere, e tutto il corollario che consegue e che informa questa vita.


Accidenti ai quattrini


venerdì 10 ottobre 2014

Alla ricerca del fervore perduto

Oggi, durante una conversazione informale, una credente cattolica praticante, molto praticante, mi ha chiesto, d'acchito, perché «non riescono ad ammazzarli tutti, quei fanatici islamici dell'Isis, visto che hanno tutto il mondo contro che finalmente si è deciso a bombardarli?».
Molto superficialmente le ho risposto che, per far fuori i terroristi, occorre far intervenire delle truppe di terra; purtroppo (per i curdi) i cosiddetti alleati antiterrorismo ancora nicchiano, per varie ragioni, inutile ridire qui quello che le ho risposto ripetendo quanto, più o meno, scrivono i giornali. Ho aggiunto soltanto due cose: una è che se proprio non vogliono intervenire via terra, che gli sparino addosso le armi chimiche sequestrate ad Assad; due, che, se la situazione è a questo punto, la responsabilità è di chi li ha sostenuti e armati i combattenti islamici fondamentalisti, in quanto la stessa coalizione anti Isis di adesso, circa un anno fa, era la medesima che voleva abbattere il presidente siriano, il “dittatore” riottoso agli interessi occidentali (ve li ricordate Obama, Cameron e Hollande, vero?).
La conversazione informale si è interrotta per motivi “orari“ e quindi alla credente praticante cattolica non ho potuto ricordare gli anni guerrafondai della stessa Chiesa Cattolica.

Tra me e me, tuttavia, ho continuato a meditare su un possibile nesso tra le tematiche sinodali che occupano l'Assemblea Generale Straordinaria dei vescovi in Vaticano e il differente richiamo vocazionale che sussiste tra la scarsità delle chiamate a Dio da parte cattolica in rapporto al nutrito gruppo di giovani di origine europea fortemente attratto dal richiamo jihadista.

Per intendersi: se anziché occuparsi delle tematiche inerenti la famiglia cristiana collegate alle istanze che la modernità impone (il divorzio, le coppie di fatto, l'omosessualità), i Vescovi si occupassero di strategia per la riconquista del Lazio, forse riuscirebbero a riaccendere la sacra fiaccola del fervore che da decenni oramai alimenta viepiù la religione musulmana?
 

giovedì 9 ottobre 2014

Il suo vero nome è Patrizio


«Quando me lo hanno detto sono uscito per camminare un pò [sic!]. Ero molto sorpreso, non me lo aspettavo. Ho provato un senso di sdoppiamento, come se si stesse parlando di un'altra persona con il mio stesso nome». [*]

Orientare il cannibalismo

Perché si scrive con l'accento acuto. È con l'accento grave.

«Io non credo che oggi i poveri siano invisibili, anche se a volte si sente dire che non vivono davvero in povertà (ehi, ci sono certi che hanno l’Xbox!). È al contrario: oggi sono i ricchi a essere invisibili [...] Le persone veramente ricche sono così distanti dalla vita del cittadino comune che non vediamo mai quello che hanno. Possiamo accorgerci dei ragazzi del college che guidano macchine di lusso, ma non vediamo i direttori dei fondi di private equity che si spostano in elicottero tra l’ufficio e le loro megaville negli Hamptons, la zona superesclusiva nella punta di Long Island. I vertici della nostra economia sono invisibili perché sono troppo in alto, oltre le nuvolePaul Krugman

Una politica lungimirante, veramente dalla parte del «popolo sovrano» (scritto tra virgolette perché è un portato costituzionale), dovrebbe cercar di contenere e/o indirizzare la violenza dentro i parametri di una fictio iuris che salvaguardi le classi sociali più deboli a discapito dei pezzi di merda che abitano oltre le nuvole.

mercoledì 8 ottobre 2014

Teste catalitiche, fiato di benzene

Quando leggo queste notizie («Volkswagen sostituirà con robot i lavoratori che vanno in pensione» it/en) mi sovvengo di quanto scrisse Olympe de Gouges poco più di un anno fa, sui robot.

E, catastroficamente, spero che venga presto il giorno in cui la forza lavoro umana sarà completamente sostituta dalla forza lavoro dei robot, perché almeno saranno i robot, quel giorno, a fare la rivoluzione.

Per divertimento: se Volkaswagen prima e poi le altre case automobilistiche a seguire, costruissero, chiavi in mano, tutte le auto prodotte di questo mondo, quale sarà la mano che le potrà acquistare e quindi guidare? Quella merdosa di Horst Neumann? O quella sugnosa di Marchionne?

martedì 7 ottobre 2014

Ezio il corniciaio

Ezio Mauro, quando lo vedo, lo ascolto attentamente, perché sono catturato dal suo bell'eloquio, dal suo bel timbro vocale, mediante il quale costruisce frasi sintatticamente perfette ed eleganti. 
Ezio Mauro si comprende benissimo, insomma, basta non avere paraocchi berlusconiani che rifiutano in toto la dialettica dell'avversario. 
Ma cosa intende Ezio Mauro con sinistra quando parla della sinistra e si definisce, lui stesso, uomo di sinistra?
Lo ha detto, lo ha ribadito, anche stasera, ospite di Floris a 8½. Però, a parte le solite scontate formule sui diritti e sui doveri, a parte il richiamo alle tutele dei più deboli (nello specifico: i giovani che ancora, ultratrentacinquenni, non hanno trovato un lavoro fisso; i meno giovani che, appena cinquantenni, si trovano fuori dal “mercato” del lavoro), a parte il richiamo al rispetto delle regole democratiche e civili, beh, a parte tutto questo - che parrà tanto ad alcuni - io non ho sentito altro, non ho capito insomma cosa significhi per Ezio Mauro essere di sinistra, se non l'essere uno spirito democratico e progressista che ha una coscienza democratica e civile e che non piscia mai, per carità, fuori dal w.c. (e nel caso di qualche goccia di orina sul bordo, egli provvede subito a pulire, stoicamente, con un po' di carta igienica).

Nella realtà dei fatti, ancora una volta, ci troviamo di fronte a un costruttore di cornici del quadro invisibile della Sinistra italiana (europea, mondiale). Comprendiamo che, a volte, la cornice vale mezzo quadro, ma quando s'incornicia il vuoto, la cornice non vale un cazzo.
Sbaglierò senz'altro, perché il mio osservatorio è limitato e sicuramente qualcosa mi perdo degli spettacoli politici offerti dal circo mediatico. Tuttavia, da tempo, da troppo tempo ormai, tanto che non saprei dire neanche più da quando, non sento mai nessuno che si dica di sinistra e che parli, anche di striscio, di produzione, come essa si dà, quali regole e vincoli segue, chi la determina e per cosa, quali effetti sortisce, cosa in concreto produce, quale valore, con quale lavoro e di chi.
Niente. Ezio Mauro, uomo che si dice di sinistra, parla di sinistra a vuoto, in folle, perché non c'è nessuna marcia, nessuna direzione nel suo parlare. Si ascolta e si sta fermi. Tutt'al più si guarda se ci è rimasto nelle tasche 1,30 € per comprare una copia di un giornale inutile.

lunedì 6 ottobre 2014

Marameo, marameo

- Gentili consumatori di benzina e gasolio per autotrasporto o per riscaldamento, lo sapevate che il prezzo del petrolio al barile è sceso considerevolmente? (Qui e qui notizie in merito). Parallelamente avete visto quanto è sceso il prezzo di un litro di carburante al dettaglio?

- No, non l'abbiamo visto. A chi si potrebbero chiedere informazioni? Alle compagnie petrolifere che operano nel mercato italiano?

- Già fatto, le ho chiamate oggi, le principali.

- E che ti hanno risposto?
 
- Facci una pompa.




Immaginando Gramsci

Giovanni Giudici, Il male dei creditori, Mondadori, Milano 1977

domenica 5 ottobre 2014

Ricordarsi della carta igienica

Per il cinquecentesimo numero della Domenica de la Repubblica, sponsorizzato dalla Fiat 500, non poteva mancare il su esposto servizio sulle case di Marella. 
Sono quelle occasioni in cui vorrei essere un mago che si teletrasporta al semplice schiocco delle dita.

- Per fare che?



Una per ogni casa. Anche perché il vero lusso di un'abitazione si vede dal e nel cesso.

sabato 4 ottobre 2014

Tutti a cena da Giglioli il sabato sera

Poco fa, su Facebook, Giglioli ha scritto:
«Cara sinistra, sai che ti voglio bene ovunque tu sia.
Intanto però se vuoi avere un senso domani, smettila di parlare di lavoro.
Il lavoro era un mezzo, non un fine. Un mezzo per avere diritti di base come la casa, la salute, l'istruzione, lo svago.
Essere di sinistra non è puntare al mezzo, ma puntare ai fini. Curiosamente, proprio adesso che l'ipercapitalismo ruggisce delle sue vittorie, le tecnologie, gli algoritmi e l'automazione permettono sempre di più di guardare ai fini con una attenzione molto ridotta ai mezzi.
Ex malo bonum, insomma.
Perché le grandi ricchezze non si formano più dal lavoro.
A proposito, con rispetto, il meccanismo raccontato da Marx è un filo superato dalle cose. Al tempo di Marx non c'erano gli algoritmi. Né l'intelligenza artificiale che trasformava pure il terziario. Altro che catene di montaggio.
Siccome Carletto era un ragazzo intelligente, probabilmente vivesse oggi si incuriosirebbe da pazzo degli algoritmi. Dell'automazione, dei nuovi modi in cui il capitale crea capitale. Peccato non ci sia: sarebbe utile.
Comunque basta con questo lavoro, ci ha rotto i coglioni. Il lavoro non è e non è mai stato un valore in sé. Era un valore per i diritti che portava. Oggi non li porta più. Porta, nel più dei casi, schiavitù. Domani si lavorerà tutti poco. O pochissimo, Comunque meno. La questione vera quindi sarà se e come redistribuiremo i capitali creati in maggior parte dal non lavoro.
Ecco perché, cara sinistra, ovunque tu sia smettila di parlare di lavoro. Grazie. Ciao.»
Da cui si evince che:
1) Giglioli è un necrofilo, essendo la sinistra una cosa morta (ovunque essa sia).
2) Giglioli è un negromante perché evoca il defunto, gli parla, gli dà consigli, forse a scopo divinatorio.
3) Giglioli parla di mezzi e di fini senza sapere che cazzo dice: il lavoro sarebbe stato il mezzo per ottenere il fine (i diritti di base: casa, salute, istruzione e svago); per questo, essere di sinistra non è puntare (difendere) il mezzo-lavoro, ma puntare (ottenere) il fine della sussistenza.
4) Secondo Giglioli, l'ipercapitalismo non ha più bisogno di "lavoro" perché per creare ricchezza gli bastano la tecnologia, gli algoritmi e l'automazione. Cioè: per aggiungere valore al capitale, è sufficiente il capitale. Che magia! Per fortuna di Giglioli, la sua è una necromanzia riservata alle cose morte e non alle idee vive, altrimenti Marx resusciterebbe apposta per dargli un calcio nel didietro.
5) Dato che, quindi, «le grandi ricchezze non si formano più dal lavoro» (sta pensando al suo datore di lavoro e ai 500 milioni di euro ricevuti da Berlusconi per il caso Mondadori?), sembrerebbe logico chiedersi come ottenere dai capitalisti la sussistenza senza lavorare, considerato che essi prima la elargivano in cambio, appunto, del lavoro. Purtroppo, Giglioli non se lo chiede perché, oddio!
6) scrive che «il meccanismo raccontato da Marx è un filo superato dalle cose». Oddio, ci riprova, questa volta con una seduta spiritica. Chiama Carletto, Carletto, come fosse Corrado; e intanto una vocina gli risponde: «E io che sono Carletto l'ho fatta nel letto, l'ho fatta nel letto di mamma e papà». Ah se Marx avesse avuto un computer per fare gli algoritmi![*] Si sarebbe accorto che il capitale ha il potere di ricreare se stesso da se stesso, per partenogenesi. Ah, peccato che Marx non ci sia, si lamenta Giglioli, aggiungendo che la sua presenza ci sarebbe utile. Sì, utile per darti un calcio nei coglioni visto che tanto
7) il lavoro te li ha rotti, i coglioni. Oh, poverino, non solo a lui, ma a tanti, a tutti coloro che per sopravvivere devono lavorare. E meno male che egli predice, «domani si lavorerà tutti poco. O pochissimo. Comunque meno.» Già, e in parte è vero, ha ragione, è una realtà della società occidentale, nella quale ci sono sempre meno posti di lavoro. Purtroppo Giglioli non si chiede perché. Glielo spieghiamo lo stesso noi, senza l'utilizzo di algoritmi: perché i posti di lavoro sono stati occupati da lavoratori di altre parti del  mondo, quelle in cui i diritti di base costano meno, quasi niente, tanto meno che spesso non esistono.
8) Ma, in ultimo, la questione vera è per Giglioli una sola: «Come redistribuiremo i capitali creati in maggior parte dal non lavoro?». Vedi Giglioli, se invece di leggere Piketty tu leggessi Marx capiresti che tali soldi, fossero lasciati a se stessi, dopo poco tempo sarebbero carta buona solo per pulirsi il culo. I capitali creati dal non lavoro non esistono, non essere citrullo. Il capitale si nutre di plusvalore fornito dal lavoro umano. È plusvalore estratto (più o meno legalmente secondo i vari ordinamenti) dal lavoro quello che poi viene impiegato nella finanziarizzazione del mondo intero (debiti pubblici globali).
E, quindi, la vera questione è un'altra: quella di corrispondere il reale dovuto al lavoratore della propria giornata lavorativa, lavoratore il quale per ottenere i diritti base lavora sempre e comunque, in ogni parte del mondo, più del necessario proprio perché il valore a lui non corrisposto va a finire nelle tasche del capitalista. Tutti i diritti base occidentali del Novecento sono state mere concessioni perché esistevano condizioni storiche determinate che lo consentivano. Ma adesso che il capitale si è liberato, ovverosia globalizzato, la lotta di classe al contrario, quella del capitale contro il lavoro si è dispiegata globalmente e la sinistra bellin bellina di una volta è rimasta attaccata al cazzo. Te compreso, Giglioli.
 9) Ecco perché, caro Giglioli, ovunque tu sia, smettila di scrivere (e dire) cazzate, le quali per te, appunto, sono lavoro - e dato che il lavoro ti ha rotto i coglioni smetti di fare il giornalista e vai a in Nepal a vivere d'aria. Da quelle parti è fina, come sai. Aiuta l'ossigenazione. Non ti dico di cosa.


[*] Ah se Darwin avesse avuto la diffrazione a raggi X, avrebbe avuto la conferma della validità della sua teoria.

Decapitolare


Della banda di hassassini islamici che si vorrebbe statalizzare infra Siria, Iraq e Kazzistan.
Sono feroci testedicazzo che ambiscono a istituzionalizzare un dominio mescolato di fanatismo e tetralismo religioso. Gli piacerebbe comandare ufficialmente, alla Karzai, senz'avere l'avallo 'mmericano. Gente che ha trovato in Allà una modalità per dare sfogo, nell'aldiqua, al loro principio di piacere. Le seghe non gli bastavano, per capirsi. E diventare sottoproletari gli faceva piangere il cuore. Meglio sognare le vergini in paradiso, crederci, o la va o la spacca, a Mika e Morgan hanno preferito altri giudici che volentieri li hanno selezionati; appena li hanno visti gli hanno detto: «Voi sì che avete il fattore X.»
Lasciamo stare tutto l'aiuto logistico (e balistico) fornito dai servizi 'mmericani e anglofrancesi per far cadere Assad, concentriamoci sul fatto che tutti, ad oggi, gli danno contro, tutti, persino – pare – i despoti sauditi, qatarriani, emirratiani e kuwattiani. E dopo il pronti via si bombarda, magari colpendoli di striscio, una volta contenuti insomma, quanto vuoi che durino gli ississiani?
Mi spiego: se mi regalassero dieci kalasnikov e mille proiettili a corredo, una volta che ho finito le munizioni, dove vado a comperarle? Alla fiera del Levante a Bari? Per non parlare poi di altre cose di prima necessità, le mutande per esempio, un guerrigliero dell'isisse ogni quanti giorni se le cambia? E la farina? Il castrato? E l'olio di apriti sesamo?
Mi sovvengono quelle che, secondo alcuni storici, sono le ragioni della fondazione di Florentia:
«La città sarebbe stata fondata per precise ragioni politiche e strategiche: nel 62 a.C., Fiesole era stata un covo di catilinari e Cesare volle un avamposto a solo 6 km per controllare le vie di comunicazione».

E quindi, su queste basi, faccio una proposta arcicapitalista che sottopongo ai think stronz dell'intellighenzia 'mmericana, anglofrancostana, arraba e turcomanna: coi petroldollari d'avanzo, anziché sparare supposte coi droni, fondate una città tipo Abburina Dhabi, nel bel mezzo del deserto kurdistano, piena di case e di negozi e di vetrine piene di luce, con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce, con le reclame sempre più grandi e i magazzini le scale mobili e tante macchine perdipiù. Poi, magari, quelli dell'Isisse si fanno assumere come buttafòri da Sephora o dalla Fnac, belli sbarbati e risciacquati, con le mutande pulite.

A margine.
Un paio di giorni fa, ho visto su Euronews il cardinale di Lione, Monsignor Filippo Barbarino, il quale ha dichiarato: .
«Ricordo che a proposito del massacro di Srebrenica e della guerra nei Balcani, Papa Giovanni Paolo disse: "A volte il pacifismo ottiene l’effetto contrario, alimentando violenza e oppressione". L’uso della forza in Iraq ha un solo obiettivo: riportare la pace nel Paese».
Vi ricordo, o cristiani, che il vostro presunto fondatore si è fatto crocifiggere zitto e muto e a Pietro che sguainò la spada e tagliò un orecchio a un soldato disse: «Va' a pigliare ago e filo, citrullo».