martedì 6 gennaio 2015

Dalle scemenze alle stronzate

Del nuovo libro di Houellebecq ho letto due recensioni. Una di Philippe Lançon su Libération e l'altra di Emmanuel Carrère sul Corriere della sera. Recensioni entrambe stimolanti e lusinghiere che, a mio avviso, colgono molto delle intenzioni dell'autore nel suo Soumission.
Tuttavia, una, quella tradotta sul Corsera, non è piaciuta a Christian Rocca, il quale, in un tweet, ha così sentenziato:
[*]
Una scemenza? E perché? Cosa avrà toppato mai Carrère? (Accento grave sfuggito). 
Suppongo che a Rocca non sia piaciuto questo paragrafo:


«Né il narratore [il protagonista del libro] né Houellebecq hanno la minima stima per l’eminenza grigia della Nrf (Nouvelle revue française), ma stimano Dominique Aury, che per amore di Paulhan ha scritto Histoire d’O . Un libro kitsch quanto si vuole, ma sublime, trascinato dall’intuizione che il sommo della felicità umana risiede nella sottomissione: al padrone nell’erotismo, a Dio nell’islam. È quello che significa, letteralmente, la parola islam: sottomissione. La si potrebbe anche tradurre, a ragione: accordo, assenso, consenso; e Houellebecq vi acconsente: diversamente dal buddismo, che considera il mondo come un tessuto di sofferenza e di illusione, o anche dal cristianesimo, che lo vede come una valle di lacrime, l’islam lo accetta tale e quale. Reputa perfetta, e dunque non perfettibile, la creazione di Dio. Siamo lontani dalla «religione più stupida» denunciata dall’autore ai tempi di Piattaforma. Al contrario, una religione più semplice, e più vera di qualsiasi altra: a condizione di prenderla in blocco, così com’è, e di non cercarvi l’unica cosa che non vi si può trovare, quella da cui precisamente essa ci emancipa: la libertà. 
A questo punto della lettura mi sono chiesto cosa pensasse davvero Houellebecq, e quello che io stesso pensavo, di tutto ciò. Comincio da me, non perché sia più semplice - in realtà non so bene cosa penso su questo argomento scivoloso -, ma perché ho comunque trascorso gli ultimi sette anni a scrivere un grosso volume ( Il regno , che uscirà in Italia a marzo per Adelphi) sugli inizi del cristianesimo, e mi ha colpito che il mondo antico, fra il I e il IV secolo, si fosse sentito gravemente minacciato da una religione orientale intollerante, fanatica, i cui valori erano interamente opposti ai suoi. Le menti migliori temevano qualcosa come una «grande sostituzione». Ebbene, questa «grande sostituzione», questa mescolanza contro natura dello spirito della ragione greco-romano e della strana superstizione giudeo-cristiana, c’è stata davvero. Ciò che ne è risultato è quella cosa non così insignificante chiamata civiltà europea. Molti intelletti, di nuovo, credono che oggi questa civiltà sia minacciata, e io ritengo tale minaccia reale, ma non è impossibile che sia anche feconda, che l’islam più o meno a lungo termine non rappresenti il disastro ma l’avvenire dell’Europa, come il giudeo-cristianesimo fu l’avvenire dell’Antichità. Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe pensare che ciò implichi un adattamento dell’islam alla libertà di pensiero europea: è qui che mi allontano da Houellebecq, che deve considerare «l’islam dei Lumi» come una contraddizione in termini, una pia fantasticheria da utile idiota o da umanista (parola che, come egli dice, gli dà «leggermente voglia di vomitare»). La grandezza dell’islam, se ho letto bene, non è di essere compatibile con la libertà ma di sbarazzarcene. E appunto, che liberazione!»


Penso che a questo punto non ci sia bisogno di spiegare il perché Rocca ha avuto a culo la recensione di Carrère. Nondimeno conviene farlo, a futura memoria. 
Per quanto sia banale ricordare che la storia non si ripete, e per quanto sia forzato il raffronto tra i primi secoli dell'Evo antico e la nostra era prossima ventura, è d'indubbia efficacia la suggestione proposta da Carrère, il quale richiama all'attenzione del pubblico come anche «il mondo antico [...] si fosse sentito gravemente minacciato da una religione orientale intollerante, fanatica, i cui valori erano interamente opposti ai suoi». Bene, Carrère confronta quella minaccia con la minaccia che l'islam muove alla civiltà europea e, facendo ciò, pur riconoscendo la realtà della minaccia, non si dichiara da essa spaventato, non prende la baionetta e si erge, balzandoso, a difensore dei valori occidentali, bensì - forte anche del lavoro di ricerca compiuto per la stesura del suo nuovo libro di prossima uscita presso Adelphi - è disposto a concedere all'islam una sorta di credito purché esso si “adatti” «alla libertà di pensiero europea». Subito dopo, Carrère precisa che la sua posizione è certamente diversa, opposta all'idea che Houellebecq ha sull'islam.
Ora, come si fa a dire sciocca e insulsa un'opinione che riconosce di essere tale e che non getta discredito sull'opinione diversa con la quale si raffronta? Ché, per caso, Carrère sostiene che Houellebecq scriva “scemenze”?

Non posso dir niente sul libro di Houellebecq perché ancora non letto, ma prevedibilmente è già stato assurto a livre de chevet di numerosi foglianti teo-neo con - e Rocca è tra questi. 
A costoro si riempie subito il retto quando qualcuno giustamente fa notare come vi siano delle incontestabili affinità tra i movimenti religiosi, soprattutto negli aspetti fondamentalisti. E, si sa, ad avere il retto pieno, è facile scrivere stronzate.

4 commenti:

siu ha detto...

Non è tanto questione di "accento grave sfuggito", caro Luca, quanto dell'integrale fascistizzazione di Emmanuel Carrère in Emanuele Carrere: segno, mi pare, ce ne fosse ancora bisogno, della dimensione culturale ed etica di Rocca&foglianti, e di quella soi-disant coerenza tutta loro che in questo caso li fa cagarsi per la demoniaca islamizzazione mentre praticano-impongono la santa italianizzazione.

UnUomo.InCammino ha detto...

fascistizzazione...
ihihhi
Fascista è diventata una parola flessibile che, come osserva De Benoist, significa tutto e il contrario di tutto a seconda delle utilità carrieristiche dello speculatore o speculatrice intellettuale di turno.
Un popolo cialtrone che adotta acriticamente qualsiasi termine straniero di moda può anche italianizzare ciò che non è italiano; nell'orribile mescolone pressapochista entra tutto.
Il fascismo non c'entra nulla.

Da un certo punto, sempre adottando "fascista" come fu "coso" e "cosare" negli anni settanta, si può dire che la fascistizzazione politicamente corretta da parte della sinistra sì global, panmixista più che demonizzante è correa nel progetto e nell'implementazione di disgregazione identitaria, di balcanizzazione masochista della koinè europea.
La santa islamizzazione è una realtà che si manifesta con frequenza e intensità crescenti ma questa ovvietà disturba la tranquillità acritica che sonnecchia su dogmi sinistri.

Saran robe fasssiste.
:)

Marino Voglio ha detto...

(se il Renzo padrone di casa mi tollera - per una volta - il battibecco con un confratello cappone)

@ UnUomo
mi sembra che lei abbia utilizzato molte, troppe parole, alcune (intimidatoriamente?) impervie, per confutare quello che - come minimo - è un richiamo storico. che a me sembra, in sé, incontrovertibile.

...codadipaglismo?

UnUomo.InCammino ha detto...

Ci sono estenuanti e sfinenti discussioni su cosa sia o non sia stato il fascismo.
Utilizzare fascistizzazione per indicare una goffa italianizzazione e' rozzo e inappropriato per chi dovrebbe avere strumenti culturali e linguistici di un certo livello.

Solo che dietro, come osservava Sartre, non c'e' l'ignoranza ma la malafede e, ancora una volta, un pensiero religioso.