lunedì 30 marzo 2015

La biscia morde il ciarlatano

Alla minoranza piddìna, con tenerezza.

«L’errore in cui si cade spesso nelle analisi storico-politiche consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra ciò che è organico e ciò che è occasionale: si riesce così o ad esporre come immediatamente operanti cause che invece sono operanti mediatamente, o ad affermare che le cause immediate sono le sole cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di “economismo” o di dottrinarismo pedantesco, dall’altro l’eccesso di “ideologismo”, nell’un caso si sopravvalutano le cause meccaniche; nell’altro si esalta l’elemento volontaristico e individuale. (La distinzione tra “movimenti” e fatti organici e movimenti e fatti di “congiuntura” o occasionali deve essere applicata a tutti i tipi di situazione, non solo a quelle in cui si verifica uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma a quelle in cui si verifica uno svolgimento progressivo o di prosperità e a quelle in cui si verifica una stagnazione delle forze produttive). Il nesso dialettico tra i due ordini di movimento e quindi di ricerca difficilmente viene stabilito esattamente e se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nell’arte politica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire: i proprii desideri e le proprie passioni deteriori e immediate sono la causa dell’errore, in quanto essi sostituiscono l’analisi obbiettiva e imparziale e ciò avviene non come “mezzo” consapevole per stimolare all’azione ma come autoinganno. La biscia, anche in questo caso, morde il ciarlatano ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia.»

Antonio Gramsci, Quaderno 13 (XXX), “Noterelle sul Machiavelli” § (17), Edizione Einaudi.

Ciò che si semina, si raccoglie; e voi è da anni che avete prima bonificato il terreno, poi seminato le piantine giuste governative, dai tempi magnifici in cui accettavate il voto di Cossiga per godervi il primo governo guidato da un ex comunista, a oggi in cui vi siete consegnati mani e piedi e forfora nelle spire del demagogo - e ora non vi resta che sperare nella biscia.

Per limitarci agli ultimi due anni appena trascorsi: ottenuto per un pelo di cazzo il premio di maggioranza che è l'architrave incostituzionale che sorregge il governo, avete fatto di tutto per immerdarvi - e immerdare, ahimè!, coloro che vi avevano sì inopinatamente votato. Bersani si dimostrò un imbranato inaudito che, complice il baubau grillesco, portò dritto all'infausta rielezione, ancor più inaudita, di Napolitano. E venne Letta e il governo di larghe intese, sennò - dicevate - c'erano baratri. Ma erano semplici baratti di potere. Di lì a poco, dato il naufragio inverecondo, Bersani disse ciao e furono indette nuove primarie, giusto per farvi martellare definitivamente le palle davanti all'Italia tutta. Il resto della storia eccolo qua, e voi a protestare con la voce in falsetto, tipica dei castrati: «Dal premier chiusura completa, in Parlamento non voteremo». Voi non dovreste esserci in Parlamento, giacché in Parlamento non ci dovrebbe essere nessuno.

domenica 29 marzo 2015

Salivazioni a sinistra

Credo che se si domanda “Che cosa vuol dire essere di sinistra oggi?”, generalmente si riceve una risposta del tipo “Essere di sinistra vuol dire mettere al centro della propria azione politica il lavoro e, di conseguenza la difesa dei diritti dei lavoratori”.
Per la sinistra, il lavoro è il cardine intorno a cui tutto ruota, soprattutto in uno stato il cui ordinamento repubblicano si fonda, appunto, sul lavoro.
Ma che cosa sia il lavoro in una società capitalistica ce lo ricorda in maniera impeccabile Olympe de Gouges.

Questa premessa per dire che manifestazioni come quella occorsa sabato scorso a Roma, aldilà della simpatia o dell'irritazione che possono provocare, aldilà delle motivazioni più o meno condivisibili che le muovono, pur essendo unanimemente considerate de sinistra, sono manifestazioni consustanziali al sistema, non lo mettono realmente in discussione. 
Beninteso, non dico che Landini non sappia fare, e bene, il suo mestiere e che non sia legittimo e persino necessario il suo tentativo di (ri)proporre una coalizione politica e sociale. Il problema, semmai, è che qualsiasi tentativo di rappresentanza delle classi subalterne, che non prende in considerazione l'unica critica scientifica in grado di cogliere le reali cause della perdurante crisi economica e sociale, è destinato al fallimento. Questo anche nel caso in cui tale movimento potesse arrivare alla guida del Paese e riuscisse a mettere in atto la migliore delle politiche redistributive.

È necessario capire che il capitalismo è «un rapporto sociale che ingloba tutti i membri dell'attuale società mondiale» nessuno escluso; e che, quindi, il capitalismo non si supera restando all'interno della dialettica padrone-schiavo: certo, esistono i padroni ed esistono gli schiavi, ma non è che invertendo i ruoli si superano le contraddizioni e le crisi di sistema. 
In buona sostanza: una sinistra che crede nel “mercato” e, di conseguenza, nella produzione di “merci” come qualcosa di “naturale”, è una sinistra inservibile, che non ha mercato, perché non capisce che - quali che siano i padroni, dai borghesi pasciuti d'antan, ai vecchi porci dionisiaci lombardi, dai frocioni filantropi californiani, ai funzionari di partito cinese -, 
«la produzione capitalista di merci contiene, fin dall'origine, una contraddizione interna, una vera bomba a scoppio ritardato situata nei suoi stessi fondamenti. Non si può far fruttare il capitale, e dunque accumularlo, che sfruttando la forza lavoro. Ma il lavoratore, per generare un profitto a vantaggio del suo datore di lavoro, deve essere fornito degli attrezzi necessari, e oggi delle tecnologie di punta. Ogni volta il primo datore di lavoro che ricorre a nuove tecnologie vince, perché i suoi operai producono di più di quelli che non dispongono di questi attrezzi. Ma il sistema intero perde, perché le tecnologie rimpiazzano il lavoro umano, che è tuttavia la sola fonte del plusvalore e dunque del profitto. Lo sviluppo della tecnologia riduce i profitti nella loro totalità». Anselm Jappe, “Credito a morte”, in Contro il denaro, Mimesis, Milano-Udine 2013.

Tutto quanto scritto finora, comunque, è una premessa a quanto segue.
Se per Landini Renzi è peggio di Berlusconi, per me Francesco Piccolo è il peggio.

Potrei star qui a scrivere uno sputo per ogni sua parola, ma non ho voglia di sprecare saliva. Mi limito a questo stralcio, casomai provocasse anche in voi salivazione:
Ancora in epoca berlusconiana lei disse: «Il governo, per la sinistra, è come diventare adulti». Pensa che con Renzi la sinistra stia crescendo? 
 Diventare adulti vuol dire tante cose. Questo governo – rispetto alla sinistra dei giusti che non si mettono mai in gioco – mette le mani nei fatti. In questo senso sì: è il governo del diventare adulti. 
Sia più chiaro. 
L'altro giorno alla radio discutevano la riforma del codice stradale. Un esperto ha commentato: «È un passo avanti, ma è insufficiente». Ecco cos'è un governo riformista: un governo che fa dei passi avanti, probabilmente insufficienti. È così che sono progrediti tutti i paesi democratici europei. L'Italia invece no. Perché qui c'è gente che dice: “Questa legge elettorale non è perfetta”. Dunque meglio non fare nulla. Mentre un paese riformista è un paese che fa un sacco di cose insufficienti, anziché un paese che non fa niente perché tutto è insufficiente.
Sputiamo insieme? 

Il ritorno del salvatore

[*]


sabato 28 marzo 2015

Sono o non sono un guru?

Se internet è diffuso poco in Italia rispetto ad altri paesi è perché, nel quasi ventennio trascorso, il capitale nostrano ha continuato (e in parte continua) a dar più credito alla televisione che ad internet.  Ma da qualche tempo, diciamo dalla diffusione capillare dello smartphone, internet inizia a essere il veicolo prediletto per convogliare messaggi a carattere promozionale, perché in fondo, gratta gratta, i media servono a questo: convincere le persone a comprare certe merci (finché avranno soldi o potranno accedere al credito) o a votare certi politici (finché crederanno che votare serva a qualcosa).

Questi pensieri sono sorti dopo aver letto quanto ha dichiarato Andrew Keen, un guru della Rete (!) che si trova attualmente in Italia per alcuni incontri pubblici.
In particolare

«Con il progetto Internet.org [Zuckenberg] dice di voler portare internet ai Paesi emergenti, ma in realtà il suo scopo non è quello di dar voce a chi non ne ha una: dietro i proclami idealistici c’è una strategia commerciale mascherata da filantropia». Lasciata alle sue regole, la Rete non è un meccanismo di distribuzione di profitti, ma tende invece a concentrarli nelle mani di pochi fortunati: «È una delle maggiori accumulazioni di ricchezza della storia. Aziende come Google e Facebook vendono la nostra privacy al miglior offerente, con la pubblicità che ci segue ovunque, tagliata esattamente sui nostri gusti. E ogni volta che facciamo una ricerca o postiamo qualcosa, stiamo lavorando per loro, gratuitamente, offrendo informazioni sempre più precise per aiutarli a farci diventare un target perfetto». 


Sarò stringente perché ho fame: non c'era bisogno del guru per capire la “strategia commerciale mascherata da filantropia”. Quel che piuttosto andrebbe capito (perché forse non è mai stato spiegato abbastanza) è che l'accumulazione di ricchezza ottenuta, per esempio da Google e da Facebook, deriva principalmente da un enorme afflusso di capitale in cerca di autovalorizzazione, ben prima che dagli attuali introiti effettivi derivanti dal mercato pubblicitario. È chiaro quindi che è sempre stato improprio parlare di rivoluzione digitale, perché appena ha raggiunto una certa soglia di pubblico “globale”, internet è diventato un'ulteriore stampella a sostegno del capitalismo; e da veicolo di conoscenza a veicolo di demenza, il passaggio è stato breve.

venerdì 27 marzo 2015

Italia sotto shock



IMBECILLEN

Il direttore de Il Giornale ha fatto una strage dell'intelligenza. Peggio della De Filippi, della Marcuzzi e della D'Urso (e mettiamoci anche la Bignardi va') messe insieme.
Il profilo dello psicologo: «Depresso con tratti di idiozia acuta».

P.S.
Per favore, qualcuno tocchi Caino. No, senza kalashnikov. Basta una mano per uno schiaffo forte ben assestato.

giovedì 26 marzo 2015

Modalità di scambio

« Quando cadde il tramonto e sopravvenne la notte, il vecchio artista era ancora sulla scala bianca, dove brillavano i suoi pantaloni bianchi e le sue scarpine bianche, come fosse appeso al cielo, Mančinka mi porse la mano tiepida e mi si aggrappò, e mi disse che quel vecchio signore lì era l'ultimo suo amante, l'ultimo anello nella catena di uomini con i quali aveva avuto delle storie nella sua vita, che era il suo amante, il quale l'ama ormai soltanto e unicamente con lo spirito, e così le scolpisce in rappresentanza un monumento dal quale in vita trarrà gioia nel giardino, e dopo la morte quell'angelo starà sulla tomba di lei, come un peso sulla sua bara. E mentre il vecchio artista stava sulla scala e lottava per raggiungere l'espressione del volto alla luce della luna, che era sbucata e splendeva per indicare la via dello scalpello all'artista, Mančinka mi mostrò la sua villetta dalla cantina fino al solaio e mi raccontò con voce bassa come le era apparso un angelo e lei l'aveva ascoltato e aveva conquistato uno sterratore e con gli ultimi soldi aveva comprato un terreno ai margini del bosco, e quello sterratore aveva scavato le fondamenta e dormiva con lei in tenda, poi l'aveva mollato e aveva conquistato un muratore e quel muratore dormiva con lei e l'amava nella tenda e aveva eretto tutti muri, e poi Mančinka aveva conquistato un falegname e quello le aveva fatto tutti gli infissi e di notte dormiva con lei già in una stanza su un unico letto, anche quello lo aveva mollato e aveva conquistato un idraulico, che dormiva con lei in quello stesso letto del falegname ma le aveva fatto tutti i lavori di idraulica, per poi mollare anche quello dopo la fine dei lavori di idraulica, e conquistare un copritetti, che l'amava nel letto e intatto le aveva fissato sul tetto tegole di eraclite, per poi mollare anche lui e conquistare un imbianchino che le aveva pitturato tutti i muri e tutti i soffitti e in cambio dormiva con lei nel letto e poi mollare anche quello e conquistare un ebanista che le aveva fatto i mobili, e così con l'amore nel letto e con uno scopo prefissato Mančinka si era costruita questa villetta, e per di più aveva conquistato un artista che l'amava di un amore platonico e per di più costruiva e scolpiva in rappresentanza di Dio Mančinka come angelo. »


Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa, (1981), Einaudi, Torino 1991 (traduzione di Sergio Corduas)

Sex and the Coop

Tra gli scaffali del reparto profumeria, dopo aver comprato le lamette monolama per il rasoio e un dentrificio, mi sono messo in cerca di una crema per le mani - ricordavo fosse ad altezza piedi - e non trovandola, prima di rivolgermi all'addetta coop che riforniva di merce il reparto, ho alzato gli occhi dal punto dov'era arrivato il mio cercare e, di spalle, ho visto una giovane, non molto alta, parata davanti al reparto anticoncezionali, preservativi Fallo Coop compresi, la quale, sulle punte dei piedi, ha preso veloce un tubetto rosa, credo il lubrificante della Durex. Fatto ciò si è voltata e, vedendomi, ha indugiato solo un secondo lo sguardo sul mio, giusto il tempo di scorgerle uno zigomo di ciliegia che faceva ancora più lucente la sua guancia di Canova. Il mio pensiero è corso subito al partner fortunato, foss'anche di silicone. 
Vedendomi così assorto, l'addetta, gentile, mi ha domandato cosa cercavo. Quando le ho detto della crema per mani ad altezza piedi mi ha spiegato che i geni del marketing della Coop avevano rimediato a tale errore e che, quindi, al presente, tal crema si trova ad altezza mani.

- Ma scusi, perché i preservativi e i lubrificanti sono ad altezza della fronte?
- Per le testedicazzo.
- Ah, ecco. Grazie.


martedì 24 marzo 2015

Cina piccina

Tagliando a colpi d'ascia la complessità cinese, viene da dire che, chiaramente, i soldi non è che, una volta guadagnati, ti metti lì a contemplarli come medaglie d'oro vinte alle olimpiadi (a proposito, notevole quanto oro acquisti la Cina), per dirti oh ma guarda come sono stato bravo.
«Il denaro è il mediatore universale» disse Carlo.
E una volta pagati bene i funzionari di partito.
Una volta pagati i generali e comprati gli armamenti.
Una volta pagate le infrastrutture che servono a rimodellare e/o devastare il territorio.
Una volta pagato tutto questo e in cassa restano ancora tanti quattrini che potrei costruirmici una stazione spaziale, ma per fa che, tanto ce n'è già una, allora sai ci faccio? compro chi si mette in vendita, ovunque esso sia, perché nel giochino capitalistico non è che uno va a casa del Tronchetti e lo prende per il bavero costringendolo a scucire azioni, no, è il venditore stesso che si dispone a quartabuono, perché gli piace prenderli, i quattrini.

Oggi coi cinesi, ieri con gli arabi, ieri l'altro con i russi, e prima ancora con gli americani, coi francesi, con gli scandinavi, coi tedeschi, eccetera, tutti in massa a comprar l'Italia perché nazione vocata a stare in vendita come certe signore sulla Salaria.

E, secondo me, anziché stare a far scialbe inchieste sulla nazionalità dei compratori, sarebbe giornalisticamente più interessante scoprire dove reinvestono i soldi, le puttane.

lunedì 23 marzo 2015

Si ha paura dei Greci

« Quasi ogni epoca e ogni grado di cultura ha tentato una volta con profondo malumore di liberarsi dei Greci, perché al loro confronto tutto quanto era stato da essa prodotto, in apparenza assolutamente originale e sinceramente ammirato, sembrava perdere improvvisamente colore e vita, e ridursi a copia mal riuscita, anzi a caricatura. E così ogni volta prorompe di nuovo l'intima rabbia contro quel popoluccio arrogante, che ardì qualificare per tutti i tempi come “barbarico” tutto ciò che non fosse di casa sua: chi sono costoro, ci si domanda, che, per quanto possano esibire soltanto un effimero splendore storico, solo istituzioni ridicolmente limitate, solo una dubbia solidità di costumi, e siano addirittura contrassegnati da brutti vizi, pretendono poi fra i popoli la dignità e il privilegio che spetta al genio fra la massa? Purtroppo non si fu così fortunati da trovare il bicchiere di cicuta con cui un tal popolo potesse essere semplicemente tolto di mezzo, poiché tutto il veleno che l'invidia, la calunnia e la rabbia distillarono non fu in grado di distruggere quella magnificenza che basta a se stessa. E così ci si vergogna e si ha paura dei Greci; a meno che uno non stimi la verità sopra tutte le cose e non osi anche dirsela, questa verità, che i Greci cioè tengono in mano come aurighi la nostra e qualsiasi cultura, ma che quasi sempre cocchi e cavalli sono di qualità troppo scadente e inadeguati alla gloria dei loro aurighi, i quali considerano allora uno scherzo il cacciare tali cavalli in un abisso, che essi stessi superano col salto d'Achille. »

Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, versione di Sossio Giametta, Adelphi, Milano 1972 (edizione PBA 1990, pag. 98-99).

Per dar soddisfazione ai desideri della Germania e d'Europa di tornare a “crescere”, il governo Tsipras ha davanti a sé una sola soluzione: il ripristino ufficiale della schiavitù, superando ogni forma contrattuale di lavoro e, insieme, la reintroduzione rituale dei sacrifici umani: anche gli dèi moderni volentieri si dissetano col sangue.

domenica 22 marzo 2015

Zozza società

Dalle pagine del Sole 24 Ore di oggi, Luca Ricolfi, per illustrare lo stato dell'arte socio economica nostrana, ripropone un'ammuffita schematizzazione coniata, pare, da Alberto Asor Rosa nel 1977, su quante siano le società che in Italia convivono, si contrappongono e si scontrano.
Se una volta si parlava di due società (la società dei lavoratori «difesi e garantiti dal sindacato e dal Partito Comunista» e «il mondo variegato degli esclusi» - privo di rappresentanza organizzata), oggi invece, scrive Ricolfi,
«penso sia venuto il momento di prendere atto che, nell'Italia come è diventata in questi anni, di società non ne convivono due ma tre. C'è la Prima società, o società delle garanzie, fatta di dipendenti pubblici inamovibili e di occupati nelle grandi fabbriche, tutelati dai sindacati e dagli ammortizzatori sociali. C'è la Seconda società, o società del rischio, fatta di partite Iva, artigiani, piccoli imprenditori e loro dipendenti più o meno precari, accomunati dalla esposizione alle turbolenze e ai capricci del mercato. E c'è la Terza società, o società degli esclusi, fatta di lavoratori in nero (spesso immigrati), disoccupati che cercano attivamente un'occupazione, lavoratori scoraggiati che il lavoro non lo cercano solo perché hanno perso la speranza di trovarlo.»
Prendiamo atto che, nella società italiana così ripartita, ci sono gruppi sociali che non ne fanno parte e che quindi, a giusto titolo, si potrebbero considerare a-sociali a tutti gli effetti. E che tipo di società sarebbe? Facile: la società dei padroni, tipo quelli che sono iscritti a Confindustria. Una società hors catégorie, talmente superna da non venir neanche considerata.

Che analisti acuti che abbiamo oggi in Italia: le classi sociali non esistono più, esistono società impermeabili e riottose che litigano, come gatti randagi, la poca trippa rimasta. Naturalmente, i più prepotenti e colpevoli sono quelli che appartengono alla Prima società, i papponi che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera e ricevono lo stipendio (tipo io e la tu' moglie, Ricolfi, nevvero? Ah, ma lei forse, essendo altresì un'affermata scrittrice pubblicista, emette fattura e allora si salva?): è chiaro come il sole (durante l'eclissi) che è questa la società che più va colpita e tartassata per risollevare le sorti del paese. Poi c'è la Seconda società fatta di laboriosi imprenditori e dipendenti disposti a sacrificare interi sabati ai loro principali pur di garantire produzione o servizi. Infine c'è la Terza società, la società degli ultimi, dei senza nome, gli scureggiati, i manigoldi, gli avanzi di galera.

Proprio stasera, passeggiando per strada, due conoscenti, marito e moglie, lui rappresentante di accessori per la falegnameria e lei impiegata comunale, si sfanculavano incolpandosi a vicenda su chi fosse il responsabile della crisi economica generale; poi è arrivato il figlio trentenne, disoccupato, e preso da un forte desiderio di restare orfano, gli ha lanciato contro una molotov.

Curiosità: ma uno come Ricolfi, in quale tipo società si può mettere?

«Fatece largo che passamo noi...»

L'unico modo di ritrovarsi

[*]

sabato 21 marzo 2015

Svegliatevi bambine

Pirelli in mano cinese e nessuna voce si leva a difendere l'italianità di Marco Tronchetti Provera, al quale i nuovi proprietari hanno chiesto di iniziare, da subito, a pisciare contro vento.

§§§
Lo scorso gennaio, alcuni puntuti analisti hanno sostenuto che “quelli di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare”. Incomprensibile non abbiano riproposto la stessa osservazione per i turisti coinvolti nella strage del Museo Bardo di Tunisi, o per gli sciiti in preghiera nelle due moschee yemenite devastate da attentati suicidi. 

§§§
Mi piacciono gli orologi, ma non ho mai capito tutta questa passione per i Rolex. Nel caso qualche benefattore voglia farmi un presente, sappia che preferisco un Panerai.

§§§
Riguardo alla giornata mondiale della poesia, ho pensato di proporre un ascolto e non una lettura. Così, sono andato su youtube e, anziché digitare il nome di un poeta, ho digitato Riccardo Cucciolla. La sua voce m'incanta.

venerdì 20 marzo 2015

Love Is (in the air)

HAMM  Che sta succedendo?
CLOV  Qualcosa sta seguendo il suo corso. (Pausa)
HAMM  Clov!
CLOV  (irritato) Che c'è?
HAMM  Non può darsi che noi... che noi... si abbia un qualche significato?
CLOV  Un significato Noi un significato! (Breve risata) Ah, questa è buona!
HAMM  Io mi domando. (Pausa). Una intelligenza tornata sulla terra non sarebbe tentata di immaginarsi delle cose, a forza di osservarci? (Assumendo la voce dell'intelligenza). Ah, ecco, ho capito com'è, sì, ho capito cosa fanno! (Clov trasalisce, depone il cannocchiale e comincia a grattarsi il basso ventre con le due mani. Voce normale) E senza arrivare a tanto, noi stessi.. (con emozione)... noi stessi... a tratti... (Veemente) E dire che tutto questo non sarà forse stato invano!
CLOV  (con angoscia, grattandosi) Ho una pulce!
HAMM  Una pulce? Ci sono ancora delle pulci?
CLOV  (grattandosi) A meno che non sia una piattola.
HAMM  (molto preoccupato) Ma a partire di lì l'umanità potrebbe ricostituirsi! Per l'amor del cielo, acchiappala!
CLOV  Vado a prendere la polvere. (Esce)
HAMM  Una pulce! Ma è spaventoso! Che giornata!
CLOV  (entra con una scatola di cartone) Sono tornato con l'insetticida.
HAMM  Dagliene una buona dose!

Samuel Beckett, Finale di partita, Einaudi, Torino 1961 (traduzione di Carlo Fruttero).

L'Is, pulce addestrata dai comandini d'Occidente, s'è infilata dentro le mutande degli addestratori, i quali, infastiditi, invocano l'uso di una buona dose d'insetticida (Operazione di Polizia Internazionale) che, di sicuro, sortità, come effetto primo, quello di desertificare il pelo pubico della democrazia.

giovedì 19 marzo 2015

Di Fabio Fazio

È da un po' di anni che non fa tempo per la trasmissione che conduce. I fighetti e le fighette dello starsystem non vanno più intervistati, ecco tutto, perché sono di una noia, di una boia, di una banalità, di una puttanità tremende. 
Fabio Fazio dovrebbe sfruttare l'aura mediatica di cui ancora gode per cambiare la formula del programma, ma non a cazzo gramellino del sabato sera, monologhetti introduttivi parrocchiali del presentatore compresi (tutto molto triste e molto inguardabile).
Mi limito a pochi suggerimenti: privare la trasmissione del pubblico in sala, claque oscena; dipoi, indispensabile, intervistare persone illustri e non illustri senza che esse abbiano da promuovere alcunché: libri, dischi, film, spettacoli teatrali, missioni nello spazio o in Africa; inoltre, riguardo ai politici, siano intervistati soltanto affiancati da un cittadino elettore scelto a caso  in rappresentanza della cosiddetta sovranità popolare (art. 1), il quale punta fisso, in silenzio, il politico mentre risponde; infine, una puntata sì e una no, Filippa Lagerback dovrebbe alternarsi alla conduzione e Fabio Fazio fare il valletto, forse per dar luogo a una sua recondita vocazione.

mercoledì 18 marzo 2015

Gesù, già

Sto piuttosto male.
Sto piuttosto giù.
Sto rompendomi le palle,
Gesù.

Gesù, già:
perché ti chiamo, o
meglio, perché nomino
il nome tuo invano?

Sei forse l'eroe che riflette
un immaginario di sconfitta
colui che ogni tanto riporto
giù dalla soffitta.

Gesù, Gesù perché
il tuo ritratto si affianca
ai miei pensieri vaghi
in una giornata stanca?

Ché sei qui dietro me davvero
come fosti ai due di Emmaus?
Non credo: l'unica cosa che qui
mi viene dietro è il mouse.

Quando in un giorno mi soffio
almeno trenta volte il naso,
più che a Giuda penso
alla tua vita da incarnato.

Gesù, o mio Signore
perché gli evangelisti
non parlano mai
di un tuo raffreddore

o della santa funzionalità
dell'apparato escretore?
Solo la carne e il sangue
potevano essere divini?

martedì 17 marzo 2015

Lupi affamati

C'è tanta indignazione nel Paese, lo testimoniano le reazioni all'ultimo (pres'unto) scandalo. Ho udito persino padri chiedersi come spiegare ai figli la corruzione che divora la carne dello Stato.

Nella Terza novella della Quinta giornata del Decameron si legge:
«Pietro, stando sopra la quercia quanto più doloroso esser potea, vide in sul primo sonno venir ben venti lupi, li quali tutti, come il ronzin videro, gli furon dintorno. Il ronzino sentendogli, tirata la testa, ruppe le cavezzine e cominciò a volersi fuggire; ma essendo intorniato e non potendo, gran pezza co’ denti e co’ calci si difese; alla fine da loro atterrato e strozzato fu e subitamente sventrato, e tutti pascendosi, senza altro lasciarvi che l’ossa, il divorarono e andar via. Di che Pietro, al qual pareva del ronzino avere una compagnia e un sostegno delle sue fatiche, forte sbigottì e imaginossi di non dover mai di quella selva potere uscire.»
Parafrasando: Pietro è il cittadino indignato; il ronzino è l'Italia; e i lupi sono i Lupi (che incalza-no).

lunedì 16 marzo 2015

E le mani degli italiani?

 
Al Waleed
C'è chi si scandalizza (a scoppio ritardato) su certi tipi di compravendite - e concentra l'attenzione soltanto sul lato della compera; non sono assolutamente nominati, infatti, i nomi delle mani italiane che ben volentieri hanno intascato i soldi degli arabi.

Gli scandalizzati sono gli stessi che, sempre ben volentieri, sostengono sia in atto uno scontro di civiltà e si ergono a paladini dei valori occidentali. 

Beati i cantori delle stronzate dei signori.

Nessun cantore, ahimè, ha mai cinguettato domande del tipo: perché non conviensi ai diseredati arabi (morti di fame e di fede) rivolgersi contro i loro padroni schiavisti, e invece di far guerra per un kydos¹ inutile, vanno diretti a mungere le palle degli emiri?

Perché Arabbie saudite, Emirati e sultanati vari sono strutture dissipative funzionanti. Espellono altrove le dannose scorie che potrebbero causare seri danni ai loro organismi (feudali).

E se questo meccanismo auto-immunitario ancora funziona, merito è dei dottori occidentali, statunitensi soprattutto, i quali hanno tanto a cuore la salute dei loro pazienti.


Nota
¹ «Nel suo Vocabulaire des institutions indo-européennes, Benveniste traduce kydos con “talismano di supremazia”. Il kydos è il fascino esercitato dalla violenza. Ovunque si mostri, seduce e spaventa gli uomini: non è mai semplice strumento bensì epifania. Dal momento in cui appare, l'unanimità tende a formarsi, contro o attorno ad essa, il che è la stessa cosa. Provoca uno squilibrio, fa pendere il destino dall'uno o dall'altro lato. Il minimo successo violento tende ad espandersi, a divenire irresistibile. Coloro che detengono il kydos vedono decuplicata la loro potenza; coloro che ne sono privi hanno le braccia legate e paralizzate. Possiede sempre il kydos colui che ha dato il colpo più forte, il vincitore del momento, colui che fa credere agli altri e può egli stesso immaginarsi che la sua violenza ha definitivamente trionfato». René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980, pag. 201.



domenica 15 marzo 2015

Leggendo qua e là

[*]
Una domanda: il ridotto pixellamento dei volti serve a riconoscerli meglio?
Comunque, complimenti alle audaci corna del ragazzo con la capigliatura rasta: portano bene.

§§§
[*]
«L’analisi di Riccardo Illy sul perché le aziende guardano con favore al Jobs Act è onesta e brutale: “Perché ci toglie dal pericolo di tenerci fino alla pensione – e con la Fornero parliamo di 65 anni – un dipendente che non lavora”.»
Più che onesta e brutale, l'analisi mi sembra disonesta e imbecille, perché per un capitalista acquistare forza lavoro che non lavora (e chi lo produce plusvalore?) è una contraddizione in termini: un'industria privata non è un ente pubblico. Di più: il paventato pericolo di dipendenti che non lavorano non credo riguardi la sua azienda; infatti, per rappresentare un esempio, Illy parla di un'azienda altrui: 
«Conosco imprese che hanno visto i giudici costringerle a riassumere dipendenti che durante la malattia facevano paracadutismo. Perché secondo il giudice quell’attività faceva bene alla salute».
Le conosce, ma non le specifica. Anch'io allora, per rendere la pariglia, conosco imprenditori pezzi di merda  che costringono i dipendenti a ritmi di lavoro forsennati, che li stressano sul lato delle ferie e dei permessi, che fanno le storie se qualche dipendente resta incinta, che non tutelano le vigenti regole sull'igiene e la sicurezza nell'ambiente di lavoro, che molestano il personale con ricatti di vario ordine e tipo.

§§§
[*]
«Yanis Varoufakis usa meno cravatte ma più profumo della media dei ministri finanziari dell'area euro.»
Non credo che il ministro greco profumasse più della media: erano quelli che aveva intorno a Cernobbio che puzzavano. 
E comunque applausi per come ha risposto al senatore a vita .
«Punge Monti: "Ci sarebbe un'occasione di migliorare l'Europa, sarebbe un peccato sprecarla per il comportamento dell'attuale governo di Atene".

La risposta del greco è prontissima: "Stiamo applicando una strategia mai tentata in Europa: dire la verità". Per un attimo la sala di Cernobbio ride, quasi per un senso di liberazione. "La Grecia è fallita, lo era già nel 2010 ma si è voluto fingere che non fosse così per trasferire le perdite delle banche francesi e tedesche sui contribuenti europei che hanno versato sempre nuovi prestiti ad Atene  -  attacca Varoufakis  -  . Capisco che il mio ingresso nell'Eurogruppo destabilizzi un sacco di gente".
Bravo.

sabato 14 marzo 2015

Caput mortuum

«Le previsioni storiche sulla sorte della società borghese si sono avverate. Nel sistema della libera economia di mercato, che ha portato gli uomini a invenzioni che permettono di risparmiare lavoro e infine alla formula matematica mondiale, i suoi prodotti specifici, le macchine, sono diventate mezzi di distruzione non solo in senso letterale: in luogo del lavoro hanno reso superflui gli operai. La borghesia stessa è decimata, la maggioranza dei borghesi ha perduto la sua autonomia; nella misura in cui non sono stati sospinti in basso, nel proletariato o piuttosto nella massa dei disoccupati, sono finiti alle dipendenze dei grandi gruppi economici o dello Stato. L'Eldorado delle esistenze borghesi, la sfera della circolazione, viene liquidata. La sua opera viene svolta in parte dai trust, che si autofinanziano senza l'aiuto delle banche, levano di mezzo il commercio intermediario e assoggettano al proprio controllo l'assemblea generale. A ciò provvede in parte lo Stato. Come caput mortuum del processo di trasformazione della borghesia, è sopravvissuta la fascia superiore della burocrazia industriale e statale.»

Max Horkheimer, La società di transizione, cap. 1: Lo Stato autoritario, Einaudi, Torino 1979 (traduzione di Giorgio Backaus).

Quando c'era Berlusconi (oddio, che incipit) era più facile capire che, principalmente, l'azione di governo aveva come obiettivo primario la salvaguardia del tornaconto del presidente del consiglio; e poi, a seguire, gli interessi di classe (un esempio per tutti: i capitani coraggiosi); e, a finire, qualche buccia di scarto per il popolo (la mitica social card).
Adesso che c'è Renzi cosa si capisce? Che c'è un caput mortuum e amen.

venerdì 13 marzo 2015

La deformazione professionale dei calzolai
















Secondo me non sono anfibi militari. 
Comunque, sarà pur vero che il ministro greco non capisce un cazzo di economia; ma è altrettanto vero che ne capiscono poco anche i professorini con la calcolatrice in mano nostrani, i quali predicano la crescita, stigmatizzano gli sprechi (come tante Grazie, Grazielle), auspicano liberalizzazioni, credono nel merito e adorano il mercato [*]. Quanti anni è che ripetono questo rosario di avegloria, ognuno offrendo una ricetta che, a conti fatti, sortisce la medesima brodaglia liberista, neokeynesiana, chicaghiana o viennese?
Nessuno, dico nessuno di questi studiosi che abbia capito il perché della «crisi generale storica del modo di produzione capitalistico»: sono troppo occupati a tenere gli occhi bassi e guardare a terra.

giovedì 12 marzo 2015

Stavano meglio quando stavano meglio

Say your prayers

È normale che la compagnia cantante berlusconiana goda come un cioncolo nel truogolo e grugnisca di gioia per il mancato abbattimento del verro. Allo stesso tempo, è divertente ascoltare o leggere i loro rimpianti, di quello che sarebbe accaduto se la procura milanese non avesse dato luogo al processo sul caso Ruby.
Il più comico di tutti, senza dubbio, è il fondo (toccafondo) di Franco Bechis, il quale calcola, dati alla mano, a quanto ammonta per l'Italia il costo di tal processo inutile: 500 miliardi di euro.
A sostegno di questo conto, Bechis porta la prova regina dell'Italia ai tempi del Bunga Bunga: i ristoranti erano pieni.

P.S.
Riguardo al discorso sulla “questione morale”, rimando a quanto scritto da Ghino La Ganga.

mercoledì 11 marzo 2015

La purga dei nipoti

Dai padri costituenti, ai nipotini purganti. E il tristo silenzio assenso, perché chi tace acconsente, non è vero che sta zitto e per questo parlo, anzi: scrivo. Scrivo, per esempio, che se non avevi un padre vicepresidente di una banca col cazzo che da Laterina andavi a fare il ministro per le riforme costituzionali. Così come scrivo che per andare da Laterina a Castiglion Fibocchi (o viceversa) ci sono cinque chilometri a falsopiano di rinascita democratica.


Mica tanti per una zona ad alto tasso di golpismo. 

Cosa vuol dire battere il ferro quando è caldo e quando si ha in mano il martello: puoi fargli assumere la forma che vuoi, basta colpire bene, assestare martellate nei punti giusti e voilà, hai ottenuto una ri-forma per avere «un Paese più semplice, più giusto» come se semplicità e giustizia andassero necessariamente d'accordo.

Da dam da dam o bu bum bu bum?

«Continuano ad arrivare a Riga, in Lettonia, uomini e mezzi dell’esercito statunitense, impegnato con Lituania ed Estonia in esercitazioni militari Nato.»

martedì 10 marzo 2015

Patrimoni perpetui

Più che farmi capire chi comanda in Italia, vorrei che i miliardi di euro spesi dagli inserzionisti in pubblicità mi facessero capire qualche altra cosa: per cominciare, se gli inserzionisti ottengono aumenti considerevoli delle vendite dei loro prodotti pubblicizzati; per proseguire, a quanto ammontano le detrazioni fiscali dei soldi spesi in pubblicità dagli inserzionisti (dovrebbero essere abolite); per concludere, se esiste un calcolo per stabilire quanto incide la pubblicità sul costo del prodotto e, quindi, sul suo prezzo finale, sì da capire quanta pubblicità paga, in concreto, il consumatore.

Capito questo, è pacifico rilevare che, con circa la metà dei 2,8 miliardi di euro in pubblicità accaparrati, si ha l'ennesima conferma che non tanto Mediaset è un «patrimonio per il Paese», quanto il Paese è un patrimonio per Mediaset. 

lunedì 9 marzo 2015

Favorisca la propensione, grazie

«Il Quantitative easing è uno strumento “di emergenza” usato dalle banche centrali quando la leva dei tassi di interesse si è esaurita, nel senso che il costo del denaro è già stato portato a zero. Consiste nella creazione di nuova moneta attraverso l'acquisto di titoli di Stato, lo strumento più liquido del mercato. L'obiettivo è duplice: da un lato il massiccio acquisto di bond sovrani schiaccia ulteriormente i tassi e fa salire i prezzi, con effetti a cascata sui rendimenti delle altre obbligazioni, bancarie e aziendali. Il costo del credito insomma si abbassa ulteriormente, con vantaggi per famiglie e imprese. Le banche, dalle quali la Bce comprerà i titoli, si ritrovano inoltre con nuova liquidità disponibile: questo dovrebbe favorire la loro propensione a dirottare i fondi all'economia reale». Il Sole 24 Ore 

Vedremo presto se uno strumento economico surreale aiuterà l'economia reale. Temo di no.
Fosse stato per me, surrealismo per surrealismo, anziché per il tramite banchieri mediatori, avrei dato direttamente i soldi alle famiglie e alle imprese, soldi a scadenza, da consumare entro un tot di giorni pena il decadimento del loro valore. E forse, oltre a questo, avrei aggiunto il divieto assoluto di comprare l'iWatch (et similia not made in Europe).
Purtroppo per gli europei, le cose non sono fatte secondo le mie sagge indicazioni: non sanno cosa si perdono.

[*]

domenica 8 marzo 2015

sabato 7 marzo 2015

Il black out del capitalismo illuminato

Notevole l'intervista-testimonianza che Brunello Cucinelli ha rilasciato a Wei Koh, direttore del magazine The Rake, rivista di riferimento della moda maschile mondiale. Invito a leggerla tutta, io qui mi limito a estrarre alcuni passaggi, sufficienti per concentrare il discorso sul perché il capitalismo, anche quando si presenta nella veste migliore, non riesce a nascondere le toppe al culo sue contraddizioni.

Premetto tuttavia ammirazione per personaggi di rilievo come Brunello Cucinelli, i quali, esclusivamente per mezzo del talento e di indubbie capacità imprenditoriali, sono riusciti nell'impresa di salire la scala sociale, passando da una mera condizione proletaria a quella di capitalista affermato che non dimentica le proprie origini.
Purtroppo per lui, e per molti di quelli come lui, non dimenticarsi donde si viene, non significa affatto dismettere una posizione classista, anzi: essi diventano, loro malgrado, modelli di perpetuazione e difesa del sistema economico del quale, in parte, scorgono le contraddizioni e per il quale tentano, goffamente, di risolverle con proposte specchietti per le allodole.
Infatti, pur ammettendo che tutta la produzione manifatturiera italiana si riconverta in «segmenti specifici di produzione di beni che [i] nuovi ricchi desiderano acquistare in Italia [...]: meccanica, arredamento, abbigliamento, alimenti e bevande – tutto dev’essere di altissima qualità e deve corrispondere ai desideri di acquisto di queste persone», ciò non toglie o preclude che nel mondo si continui a produrre merda merce più o meno inutile perché, abbassoiddio vivaddio, nel mondo continuano a esserci persone che ricche non sono ma che pure hanno fame, sete, freddo, caldo, voglie e altro tipo di necessità.
Questo lo capisce anche il mecenate Cucinelli che, difatti, più avanti, afferma che gli sembra «il mondo stia veramente per dividersi in due, tra prodotti speciali che sono molto riconoscibili e costosi» destinati beninteso alla gente ricca e benestante, «e prodotti a un prezzo conveniente e di produzione industriale, e quest’ultima categoria di produzione sta diventando sempre meno attuabile in Italia» destinati ai morti di fame  alla gente non ricca e stante e basta, oppure malestante.
Bene, la mediocrità sia prodotta altrove. Ma le contraddizioni siano espresse qui di seguito:
«Mentre molti uomini della sua generazione guardano con circospezione all’immediata disponibilità di informazioni su Internet, Cucinelli ritiene che ciò abbia sortito un effetto positivo sull’evoluzione del capitalismo nel mondo moderno. “Il capitalismo oggi deve avere il coraggio di essere contemporaneo”, spiega Cucinelli. “Nessuno può più dire bugie. Per esempio, se io lavoro per te, so esattamente quanto guadagni, so dove abiti, e oggi se vuoi essere credibile devi essere vero perché non si può più nascondere nulla. Ai tempi di mio padre, lui non sapeva nulla del proprio datore di lavoro – non sapeva quali profitti facesse il suo datore di lavoro, né che genere di vita conducesse. Oggi tutti possono reperire informazioni su tutti, e quindi quello di oggi è un nuovo mondo, ma un mondo in cui possiamo trarre vantaggio da tale trasparenza. In un certo senso ci obbliga a ritornare a rispettarci a vicenda e a lavorare in una maniera che sia etica. I giovani di oggi sono gli innovatori del capitalismo. Ma dev’essere un capitalismo illuminato. Ecco perché credo che questo sarà il secolo d’oro. Mi capita di chiedere ai giovani oggi: ‘Compreresti un prodotto se sapessi che per produrlo è stato recato danno all’umanità?’ E loro mi rispondono: ‘Non credo proprio’. Trent’anni fa non avevi modo di saperlo. Oggi lo sai”.»
Ora, io non so quanto guadagni esattamente o dove abiti un Agnelli a caso, anche oggi, all'epoca di internet - ma ciò non è importante: quel che invece è importante è non dare credito alle profezie di un parvenu alla Cucinelli, per quanto umanista e filantropo sia diventato, giacché il capitalismo è sempre stato illuminato per il proprio tornaconto di classe, per la maniera spregiudicata con la quale sa adattarsi alle diverse forme di potere statale datesi nelle varie epoche, soprattutto nella nostra in cui ha raggiunto la sua massima espansione. L'oro del capitale è già in corso d'opera, in copiosa quantità, ancor più moltiplicata dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell'economia.
E che Cucinelli sia, purtroppo, in malafede ne è prova la domanda che gli capita di rivolgere ai giovani di oggi, una domanda che contraddice se stessa nel preciso momento della sua formulazione. Infatti, domandare ai giovani se comprerebbero prodotti che abbiano recato danno all'umanità senza chiedere, a se medesimo, con quale sistema la facoltosa clientela, verso cui si rivolge per i propri pregiati capi in cachemire, abbia guadagnato i soldi per comprare la sua merce, con o senza danni all'umanità, significa soltanto una cosa sola: pecunia non olet, ok, ma la morale illuminata di Cucinelli puzza di piscio (stia attento coi pantaloni chiari).


venerdì 6 marzo 2015

Lamento funebre

Ero qui che stavo pensando al successo dell'ultimo libro di Umberto Eco quando mi è giunta una telefonata, una voce strana, in falsetto, come se fosse uscita da una trasmissione televisiva degli anni Sessanta, in bianco e nero, con il bianco del fumo di una sigaretta a illuminare nella mia mente il grigio scuro dell'abito in tweed indossato dal corpo proprietario della voce.

«Buonasera, mi scusi il disturbo, vorrei farle un annuncio con la preghiera di riportarlo ai suoi amici, nel caso fossero interessati a partecipare alle esequie: la letteratura è morta, di morte naturale, col sorriso contento di qualcuno che sa di aver fatto il possibile per vivere e far vivere bene. È morta per sfinimento, per esaurimento delle risorse, ex abundantia cordis e stupore: lo stupore che si continui ancora a scrivere nonostante si sia letteralmente scritto tutto. Tutto sull'uomo, è chiaro. Le ripetizioni, anche quelle di pregio, alla fine l'hanno stufata, le hanno tolto il gusto di vivere, di essere cioè pubblicata, di andare in giro nelle librerie, nelle edicole, nei supermercati. Si consolava ancora coi musei, con le biblioteche, con le bancarelle dell'usato, come si consolano in fondo tutte le opere d'arte nell'epoca della loro riproducibilità tecnica, oasi contro l'esaurimento (nervoso). La letteratura si è altresì lasciata morire perché socialmente irrilevante, individualmente forse ancora no - e sol per questo si dispiace dipartirsene. Ma è necessario. Gli individui interessati si facciano archeologi o topi. E si decidano, non saprei per qual verso, a socializzare, a costruire una rete, a condividere l'eredità della defunta. Che riposi in pace.»

Il peggio, il meglio

«Il peggio è probabilmente una durata relativa, che dà l'illusione di afferrare, di essere sul punto di afferrare almeno. Quello che resta fra le mani è la donna e, i casi sono due, o ci sfugge lei o sfugge la caduta nel vuoto che è l'amore: in quest'ultimo caso ci rassicuriamo, ma come degli illusi. E il meglio che ci possa capitare, è dover cercare il momento perduto (in cui segretamente, anche appagati forse, ma pronti a morirne, abbiamo lanciato il nostro unico grido).
Grido di bambino, di terrore, eppure di felicità acuta.»
Georges Bataille, L'impossibile, (Paris, 1962) ed. it. Bollati Boringhieri, Torino 1992.


Ci rassicura di più perdere l'amore che perdere l'essere amato, perché se sparisce il primo, il secondo resta soltanto come essere e non preclude la possibilità (o la silenziosa ricerca) di un ritrovamento dell'amore stesso; mentre, se ci sfugge il secondo (l'essere amato), restiamo in perdurante conflitto con amore, un amore che sarà sempre prefigurato dall'essere perduto e dalla «felicità acuta» che nel contatto si produsse quando lanciammo «il nostro unico grido» di appagamento.

Forse. 

giovedì 5 marzo 2015

Ammazzate il calabrone

«La riforma della scuola non è solo - come dice Renzi - la riforma più importante per i nostri figli e per la crescita del Paese, ma è anche un segnale di modernizzazione per gli attori dell'economia che aspettano da sempre la svolta meritocratica (utile al settore, ma anche come paradigma sociale per tutto il Paese) e una efficiente alternanza tra scuola e lavoro che possa finalmente “rifinire” al meglio una riforma dell'apprendistato arrivata tardi, ma finalmente arrivata. Dare voce alle richieste di modernizzazione che provengono dalla manifattura e dalla parte produttiva del Paese è il modo più efficace per far volare il calabrone-Italia [...] Un rilancio che passa anche da una riduzione strutturale del costo del lavoro...» Alberto Orioli - Il Sole 24 Ore.

Riporto questo stralcio d'articolo di un notista del quotidiano della Confindustria perché è un ottimo esempio di manifesto classismo.

«Gli attori dell'economia»: chi sono costoro? Certamente gli imprenditori, i capitani (coraggiosi) d'industria, i capitalisti tout court: e chi altri sennò? I salariati (tecnici, operai, impiegati, eccetera) ormai non sono neanche comparse che si trovano nei titoli finali del film della produzione: sono scomparsi dietro le quinte, anonimi servitori degli interessi del capitale, ossia produttori esclusivi e sottaciuti del plusvalore (plusvalore che, altrimenti, non avrebbe luogo). 
L'obiettivo della riforma della scuola, dunque, è fissato: cazzate meritocratiche a parte, l'importante è che a una fetta della maggioranza degli studenti (l'altra fetta di maggioranza è destinata naturalmente a gonfiare la torta della cosiddetta manodopera di riserva) sia dato modo diventare il fiato che dà voce alla «parte produttiva del Paese», soprattutto accettando, sin da apprendisti, e senza riserve, «una riduzione strutturale del costo del lavoro», che non significata altro che una diminuzione sostanziale e consistente del valore dell'unica merce che saranno in grado di portare sul mercato: se stessi (la loro forza lavoro). Voilà il «paradigma sociale» per i nostri figli e per la crescita del Paese. Non è una novità: è più di un ventennio che esso è paradigmatico. La sola vera riforma - che non si potrebbe chiamar tale perché non sarebbe una riforma - sarebbe nel sovvertirlo, cambiarlo totalmente, rivoluzionarlo. Ma sono cose queste che non potranno essere insegnate: basterà vederle.


P.S.
Se posso e riesco, i calabroni, quando mi svolazzano intorno casa, cerco di colpirli con una vecchia Donnay di legno firmata Bjorn Borg, stordendoli, e poi calpestandoli fino a spremere il midollo del loro coriaceo esoscheletro. Non avevo mai pensato di essere antipatriottico sino a questo punto.

martedì 3 marzo 2015

Efficientami tutto

«[Per] riaprire agli investimenti diretti esteri (senza la pretesa di selezionarli) un Paese come il nostro [...] occorre agire principalmente su cinque leve: riduzione della pressione fiscale su imprese e lavoro, riduzione dei pesi burocratici che ostacolano i nuovi insediamenti, velocizzazione della giustizia civile, efficientamento del mercato del lavoro e allineamento del diritto del lavoro ai migliori standard dei Paesi industrializzati.»

Dopo una vita di bagordi, gozzoviglie, dispersioni e vari disfacimenti, è giusto che l'Italia, per mantenersi, faccia la puttana d'alto bordo, senza indugio e a tempo pieno, agendo, giustappunto, sulle cinque leve proposte dal giuslavorista Pietro Ichino. Clienti facoltosi certamente non mancheranno, attratti soprattutto da quella che, senz'ombra di dubbio, è una delle pratiche sessuali più scabrose e in voga: l'efficientamento del mercato del lavoro, pratica seconda soltanto alla penetrazione auricolare provocata dalla pronuncia, con voce chioccia (pari a quella dell'onorevole Ichino), della parola stessa efficientamento.  

lunedì 2 marzo 2015

Fisime da bottegai

L'immagine ha solo il scopo di rappresentare il prodotto.
Brevemente: dal crollo del Muro (morte dell'Urss compresa), all'entrata nel WTO della Cina - e togliendo di mezzo tutta la retorica del fondamentalismo terrorista religioso islamico - credere che nel mondo, tra le Potestà e i Principati, vi siano conflitti di natura ideologica è un falso credere, è un non vedere come, in fondo, tutto si riduca a quanto e come smaltire ogni produzione per un mero scopo di realizzo - e gli armamenti sono i migliori rappresentanti monomandatari, i migliori vetrinisti, i più efficaci pubblicitari. Diversamente non si spiega come le maggiori potenze mondiali dedichino cospicue fette del proprio Prodotto interno lordo alla spesa militare. 
Non a fiori od opere di bene: preferiscono cimiteri direttamente.

Noi produciamo, vendiamo, costruiamo, affittiamo, facciamo i sensali, i puttanieri, i biscazzieri, i banchieri, gente che ci lavora nei nostri campi, nelle nostre fabbriche, nei nostri uffici e negozi si trova sempre a prezzo buono, e poi mangia e beve e veste panni e pensa che casini se non lo facesse - come si smaltirebbe tutta la produzione, gli dèi non sono mica tanti.

Il problema è che abbiamo certi diritti acquisiti che non vogliamo perdere, anzi vogliamo estenderci oltre i nostri confini, ad altri mercati perché la nostra merce è più figa della loro, più tecnologica, più OGM free. Quindi non vi arrabbiate se domani verremo nelle vostre piazze a vendervi nostre mercanzie. Come sarebbe a dire che non volete, che protestate, che ci impedirete di esercitare il nostro diritto dovere d'imprenditore? Per fortuna abbiamo le portaerei dalla nostra, preventivamente e sagacemente inviate in loco dal governo che abbiamo contribuito a eleggere coi nostri finanziamenti. Vedete come ci dà retta? Ha imparato la lezione.

domenica 1 marzo 2015

L'attesa di un'occorrenza

Non avrei mai pensato ritrovare quello che non avevo perso. O perdere quello che non avevo. Soluzione: il vuoto, mio rappresentante anticommerciale, cerca di spacciare quel poco pensiero che si ostina a presentarsi quotidianamente per eccedere il trascorrere del tempo; tempo rilegato a vari adempimenti che, in pratica, sono quasi tutte rotture di coglioni, dalla sussistenza all'assistenza, dall'espletamento delle funzioni corporali alle relazioni di prossimità. Uff. In fondo, vivere è più o meno questa roba qua, fare cose (doveri, piaceri) e poi vagliarle al setaccio del ricordo per vedere quali pepite la mente sfoggia o butta nella spazzatura dell'inconscio.
Stasera però non ho alcuna intenzione di fare il gioielliere o il netturbino.

«134. “Non si può dire tutto” (Descombes, 1977) – Deluso? Lo desiderava? O almeno qualcosa, “il linguaggio”, lo voleva? Dispiegare tutta la sua potenza? Una volontà? Una “vita”? Un desiderio, una mancanza? Teleologie del compimento, melanconie dell'incompiuto. – Ma lei ammetteva che “qualcosa richiede di essere messo in frase”? – Ciò non implica che tutto debba o voglia esser detto. Ciò implica l'attesa di un'occorrenza, del “prodigio” che, appunto, tutto non sia stato detto. La veglia. Questa attesa è nell'universo di frase. È la “tensione” specifica che ogni regime di frase esercita sulle istanze». Jean François Lyotard, Il dissidio, Feltrinelli, Milano 1985


Farò il turista che gira nel centro cittadino e osserva, appunto, la vetrina dei preziosi e, con la coda dell'occhio, lo spazzino, che raccoglie cartacce, cicche, scontrini, peli e cacche di cani a passeggio col padrone. È uno spazzino di età indefinibile, aria né triste né lieta. Ha appena bevuto una doppia vecchia romagna, a metà mattino, quasi a digiuno, aveva preso sinora soltanto un caffè macchiato, all'alba. Da un po' di tempo beve, troppo, per stordirsi: mandare giù quel lavoro, dimenticare una donna. Tale donna, che non rivede da tempo, gli passa accanto, proprio quel mattino, abbracciata ad un altro, non accorgendosi della sua presenza (è difficile guardare negli occhi chi indossa tute da lavoro catarifrangenti arancione). I due suonano il campanello, il gioielliere gli apre, entrano nel negozio. Lo spazzino si blocca. Il reflusso esofageo della vecchia romagna, mescolato ai ricordi, gli provoca un subitaneo conato – vomita di brutto davanti all'ingresso del negozio di gioielli e sviene. Di lì a poco, arriva il centodiciotto e, proprio nell'attimo in cui lo spazzino viene caricato nell'ambulanza, la donna, con l'uomo ancora al suo fianco, esce dal negozio, calpesta il vomito, scivola e cade col culo sopra di esso – e ricorda.