giovedì 30 aprile 2015

Oggi Civati

Una volta, chi si trovava in radicale disaccordo con la segreteria, fuoriusciva dal Partito e magari fondava il Manifesto.
Oggi fuoriescono cinque minuti dalla Camera, poi rientrano. Fa tanto freddo fuori, tira vento.

mercoledì 29 aprile 2015

Infantilismi


«Dalla riflessione sulla radicale diversità delle condizioni in cui si poneva il problema della rivoluzione in Occidente, Lenin seppe ricavare anche la lucida consapevolezza [...] della diversità del passaggio dal capitalismo al socialismo in Russia e in Europa [...]. Sui possibili caratteri della costruzione socialista, della società socialista in un paese come l'Italia, e sul modo di “preparare” la rivoluzione nelle condizioni di un paese capitalistico sviluppato, ed anche sul modo di “cominciarla” [...] avrebbero lavorato a lungo Gramsci e Togliatti [*]. Né il lavoro si può considerare terminato, se è vero che i nuovi sviluppi dell'economia, della società civile e dello Stato in un paese come il nostro richiedono ulteriori verifiche ed adeguamenti. Ma quel che è certo è che si è trattato di una ricerca e di una elaborazione, che dalla constatazione della profonda diversità di condizioni storiche e politiche tra l'esperienza rivoluzionaria della Russia ed il processo della rivoluzione in Europa, non hanno tratto motivo per ripiegare sulle posizioni della socialdemocrazia, per idoleggiare la democrazia borghese e identificarsi con essa, ma sono partite per svolgersi in modo originale fino all'individuazione di nuove vie di sviluppo conseguente della democrazia e di trasformazione in senso socialista della società e dello Stato».

Giorgio Napolitano, op. cit., Roma, 1969
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[*] Anche Renzi? 

martedì 28 aprile 2015

Cogliersi

- È difficile cogliersi quando siamo in fiore e avere poi pretesa di raccogliere frutti.
- Cosa significa?
- Il significato è letterale.
- Devo rileggere?
- Male non fa. Suggerimento: pensa alla richiesta di fiducia alla Camera.
- Eppure egli fa tutto questo per noi, per il bene dell'Italia.
- Anche quell'altro faceva tutto per il bene dell'Italia; e tuttavia, oltre a questo, quell'altro aveva un obiettivo più concreto, che veniva prima dell'Italia stessa: la sua roba.
- Questo non ha roba, parrebbe.
- Pur non avendola, la spaccia: non è un caso che sia un pusher prestato alla politica. Le riforme proposte sono stupefacenti: allucinogene, oppiacee, anabolizzanti. Corre voce che saranno copiosamente utilizzate al prossimo Giro d'Italia perché non sono state ancora ufficialmente riconosciute come doping.
[...]


lunedì 27 aprile 2015

My anger's translator

Mettersi nei panni altrui non è sempre cosa opportuna, anche perché si corre il rischio, a volte, che tali panni puzzino di sudore, quindi meglio tenere i propri, cambiarsi di frequente, fare lavatrici, asciugare, pagare una signora dal culo e dalle tette stabili che poi te li stira e li ripiega e via, ricominciare a sporcarli.
Quindi non so quanto opportuno sia mettersi nei panni di un americano medio, di un americano stile il me italiano, brontolone a sufficienza, molto critico nei confronti del potere costituito, avvilito da qualsivoglia tipo di retorica sussunta, specialmente quella rappresentata dalla mano sul petto quando intonano l'inno nazionale. La mano sul petto. Della signora che stira. Alzabandiera.

Ma lasciamoci prendere all'ipotesi testè considerata. Io americano per una volta, facciamo finta, di classe media, facciamo molta finta, di quei tipi che hanno casa grande col giardino e la macchina pick-up, la moglie col cappello, l'amante in ufficio, i figli uno drogato, una pornostar e quello piccolo al collage a studiare algoritmi utili a ingrassare i capitali dei pensionati in Florida. Eccomi qui, ho appena cenato, uno stinco di porco con patate fritte intinte nel ketchup biologico, una birra, un rutto e mezzo sonno proveniente dai bassi fondi di una giornata presumibilmente faticosa. Ecco il divano, ecco la tv.



Ecco che arriva 'sto tipo ridente, un budello governativo semialcolizzato dalle guance rubizze che mi racconta che la nostra patria è l'Impero e che per rimanere tale occorre fare porcate nelle varie parti del mondo; e poi, in aggiunta, mi fa anche una lezioncina rapida di storia delle nazioni – ma lui sta parlando a me? Le losche trame messe in atto dallo Stato di cui ho cittadinanza sono rivolte alla mia abituale digestione? Per essere quello che sono, per vivere dove vivo, occorre proprio che il Potere che mi rappresenta sia composto da pezzi di merda affama popoli, seminatori di scandalo e di scisma, rottinculo di tal fatta che concorrono ridenti a mantenere la condizione umana in una sorta di stasi antievolutiva riempita di volontà di potenza, discordia, rovina e violenza perpetua?

Fammi cambiare canale. Fammi vedere il discorso del presidente, il mio presidente, così saggio ed elegante, un presidente democratico di gran classe, fammi sentire se il comico che ha chiamato per esprimere, alle sue spalle, quello che il presidente vorrebbe dire e non può è della stessa levatura del buzzone che dice veramente quello che il presidente sa e che non può dire. 


Avevo premesso dell'inopportunità di mettersi nei panni altrui. Facevo meglio a darmi retta. Mi arrabbiavo meno. Puzzavo meno, soprattutto.

domenica 26 aprile 2015

Voce del verbo: asfaltare

Da quando il costo al chilometro ha raggiunto livelli proibitivi per le casse delle amministrazioni pubbliche, tanto che le strade che possono pregiarsi di un nuovo manto sono quasi esclusivamente quelle a pagamento, del verbo asfaltare resta un uso meramente metaforico, specificamente quando si indica che un soggetto  sovravanza, surclassa, domina, seppellisce definitivamente qualcosa o qualcuno.
Esempio fresco fresco: Gianni Morandi «si è confrontato singolarmente con ciascuno dei suoi detrattori; li ha cortesemente asfaltati uno a uno». (Giglioli).

Ora, io non ho niente contro l'asfalto, anzi: lo considero una delle più importanti invenzioni umane. Per dire, avessi qualche petroldollaro, asfalterei persino il piazzale di ghiaia antistante casa. Inoltre, non sono un integralista per quanto concerne l'aderenza alla definizione stabilita a ogni singola voce del lemmario. Esprimo soltanto un mio particolare fastidio verso tutte quelle forme verbali che non sono altro che forme linguistiche virali, durano giusto il tempo che il linguaggio sviluppi gli anticorpi e le espella. Convengo che non sono determinazioni che si stabiliscono a tavolino; nondimeno è sufficiente un po' d'occhio e un po' d'orecchio per capire quando una parola, se scritta o pronunciata, fa pena oppure no.

sabato 25 aprile 2015

La piccola Ansa

[Ansia]

Lo so: è una notizia di agenzia e non un'inchiesta; tuttavia, a che serve diffondere notizie di questo tipo avulse da ogni contesto? Disegnano il quadro o un particolare? Se un particolare, perché non dirlo, specificarlo? Non è ancora evidente che notizie così, buttate nel tritacarne mediatico, producono un polpettone di informazioni indistinguibili e indigeribili, che non promuovono alcuna analisi, ma soltanto vacue indignazioni?
Nel caso in oggetto: a cosa serve avere tutti i dati specifici delle disgrazie e/o malefatte ospedaliere senza confrontarli con i dati delle guarigioni e degli interventi andati a buon fine?
Più precisamente: in sette anni, qual è il numero di interventi fatti sulla parte giusta? Nel Rapporto del ministero della salute è un dato non pervenuto?

Dove finiscono i tesoretti

E sicché lo Stato italiano ha giocato in borsa e ha perso miliardi di euro...
«Il Sole 24 ore cerca di ricostruire con fatica come sono avvenuti quegli sciagurati acquisti, dagli anni Novanta in poi, in particolare per quanto riguarda i titoli che lo Stato ha acquistato da Morgan Stanley, e giunge alla conclusione che chi li ha comprati ha sbagliato clamorosamente previsioni e decisioni, a fronte di contratti che pure palesavano tutto il loro pericolo: "Le banche avevano esperti abituati a strutturare e valutare derivati molto complessi, mentre il Tesoro era alle prime armi", insomma chi comprava non ci capiva una mazza.»

C'è giustamente da scandalizzarsi, come fa Giglioli. C'è sicuramente la necessità d'individuare i colpevoli e perseguirli. Il problema, sembra, è che ad acquistare tali titoli per lo Stato non sia stato nessuno. Neanche i referenti ultimi, ossia i vari ministri del Tesoro che si sono succeduti negli scorsi anni, pare abbiano colpa. Oh, a me non importerebbe: volete la mia parte populista? I vari Ciampi, Draghi, Siniscalco, Amato, Tremonti (Padoa Schioppa è morto), siano condannati a vivere con 800€ al mese con 400€ di affitto mensili sul groppone per almeno un lustro, così stanno attenti a non buttare (o far buttare) nel cesso soldi pubblici. È sufficiente come rivalsa

Nondimeno, per assurdo a questo punto, ammettiamo che quel tipo di investimento pubblico “anonimo” avesse dato i suoi frutti, che insomma ci fossero stati dei guadagni e, detto questo, facciamo due domande: la prima: se tali investimenti avessero portato buoni frutti, ci sarebbero state delle attribuzioni di merito? Conseguentemente, ecco la seconda: se lo Stato, e quindi le casse pubbliche, avessero guadagnato miliardi mediante tali meccanismi borsistici, ci saremmo congratulati coi responsabili, anonimi o no, di tali operazioni? In breve: Il Sole 24 Ore avrebbe comunque fatto un'inchiesta e Giglioli, anziché indignarsi, avrebbe intonato l'osanna dello Stato bravo speculatore?

venerdì 24 aprile 2015

Fissità

Da me a quell'ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.

Vittorio Sereni, Stella variabile, Garzanti, Milano 1981

Una forte assenza di vento accompagna il silenzio della notte; nel momento esatto in cui le stelle iniziano a lampeggiare, riappare lo stesso cielo coi fuochi d'artificio di Berlino, quello ripetutamente raccontato quando i pranzi e le cene volgevano al termine, rievocato mentre io pigramente appallottolavo resti di mollica che facevo rimbalzare sopra il tavolo. Non avrei mai creduto si fissasse dentro me qualcosa che non ho vissuto, che so nominare appena, come un debito: il debito di essere qui.

Ti abbraccio forte



giovedì 23 aprile 2015

Dignità e capitale: due mondi paralleli

Questa è gente comprensibilmente preoccupata e giustamente incazzata; è quindi con somma delicatezza che cerco di esporre quanto segue:
"Devono darci il lavoro altrimenti restiamo senza dignità" [*
E se vi dessero i mezzi di produzione? Vale a dire: lo Stato  procede a un esproprio dello stabilimento e ne affida la direzione ai dipendenti al fine di mantenere lo standard produttivo e occupazionale. Ammettiamo poi che, per un certo periodo, magari anche sotto la spinta pubblicitaria di comprare “italiano”, la produzione riesca a trovare il suo “naturale” sfogo nel mercato. Ammettiamo in seguito che, dopo tale ondata di acquisti, giunga un calo “fisiologico” delle vendite per cui sarà prima rallentata la produzione, per poi, infine, cessare del tutto: con la merce prodotta che sta ferma in magazzino in cerca di improbabili acquirenti, chi è che pagherà gli stipendi e fornirà soldi e dignità ai lavoratori?

Siamo di fronte soltanto a una nuova dimostrazione del fatto che lo scopo del capitalismo non coincide (se non, a volte, lateralmente) con lo scopo dei lavoratori, che c'è un solco incolmabile tra chi cerca soltanto la valorizzazione del capitale e chi, invece, soltanto (soltanto?) la dignità (ovverosia: soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita)...

E allora? In attesa dell'improbabile, credo che per i lavoratori della ex Indesit sarà più facile trovare la dignità andando a mangiare e bere gratis dentro il fortino della Nato: foss'anche solo per riprendere un po' di soldi dei contribuenti italiani.

mercoledì 22 aprile 2015

All'ombra delle angiosperme in fiore

Appoggiato allo schienale di una panchina di legno e metallo di un parco cittadino, osservava ammirato l'esplosione cromatica del prato primaverile e, con una mano in tasca, considerava la propria semenza, inesplosa.
Passò una donna, borsa a tracolla con la fascia che incrociava in mezzo ai seni che sembravano due grandi ravioli. Gli venne fame, ma aveva in tasca soltanto una decina di arachidi israeliane da sgusciare. Lo fece, e mangiò anche la loro buccia velata in onore del resveratrolo. Ebbe sete, ma l'unica fontanella era quella a pagamento (pochi centesimi al litro) della società ancora pubblica delle acque. Chi tiene arachidi nelle tasche non può avere allo stesso tempo spicci, è una regola. La sete aumentò. La signora di prima ripassò davanti a lui; rifiutandosi di rendere omaggio al suo sorriso e al suo alito, ella si costrinse a indagare preoccupata dove fosse finito nella borsa il telefonino. Dopo qualche attimo sgomento, lo trovò, consultò le notifiche e non si accorse dei cinque centesimi che, calamitati alla cover, si staccarono e si posarono all'ombra di un tarassaco in fiore.
Lo sguardo abbassato e concentrato di lui, quindi, non era dovuto alla timidezza o al timore di passare per un perticone inopportuno. La sua era sete vera, ma la moneta persisteva a restare nella sua ombra e il tarassaco all'ombra dei leggings della donna, leggings certamente sudati che richiamarono, al contempo, un'altra sete. Egli si confuse a tal punto che non seppe più di che sete morire. Gli venne in mente Pannella

martedì 21 aprile 2015

Tutta quella confusione

« Il commendatore insistette:
Colui che non scrive tutto quello che gli fermenta in testa è un eunuco della Cappella Sistina. Non è un uomo.
Penso anch'io che uno scrittore debba donarsi interamente, affermò Requena. Le contraddizioni non contano; l'importante è riversare sulla carta tutta quella confusione che è l'essere umano. »

J.L. Borges – A. Bioy Casares, Sei problemi per Don Isidro Parodi, Buenos Aires 1942, Palazzi Editore, Milano 1971 (traduzione di Vanna Brocca).

La carta sia risparmiata, sia aggiunto soltanto qualche milioncino di byte alla rete. Il rischio di essere eunuchi è remoto, anche se, beninteso, le erezioni sono riservate ad altre pratiche.
Come non essere confusi, d'altronde? L'ordine mentale è messo a dura prova dalla complessità del reale e, nondimeno, dalle personali vicissitudini. Chi sceglie la scrittura come modalità espressiva lo fa, forse, perché nella confusione prodotta sulla carta (o sullo schermo) si trova sempre un filo sul quale raggomitolarsi e darsi forma. Quale forma? È stato detto che colui che scrive non è un eunuco.

lunedì 20 aprile 2015

Perché io so accontentarmi anche di un semplice saluto

Uno dei punti qualificanti che la «meno burocrazia» della riforma della scuola, proposta dal governo, prevede è la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici, cosa, questa, che fa meravigliosamente il paio con quella cazzo di cesso di riforma elettorale nominata Italicum, la quale, se non erro, prevede la chiamata diretta dei deputati da parte del segretario di partito.

Delle due, l'una: o quel golpista di Rinascita Democratica aveva ragione - e allora abbiamo perso quasi quarant'anni nel perseguirlo, nel bandirlo, nell'esiliarlo a scrivere delicate poesie degne degli Inni per milionari di Carlos Anglada, quando invece poteva essere direttamente lui l'artefice di una moderna costituzione al passo coi tempi, un padre costituente, insomma -, oppure, se il Maestro Venerabile aveva torto, mi dite, o pìddini rintronati da uno scilinguagnolo d'insensatezze, cosa aspettate a darvi foco per impedire lo scempio definitivo della repubblica italiana?

________
N.B.
Il titolo rimanda alle intenzioni del premier.

L'Europa chiama, Kiev risponde

Ho trovato un elenco.


 Alex Kolesnik, ex governatore della regione di Kharkiv, trovato impiccato; 
– Stanislav Miller, un ex deputato del Partito delle Regioni, “suicidio”; 
– Sergei Walter, ex sindaco di Melitopol, trovato impiccato; 
– Alexander Bordyug, vice capo del Ministero degli Interni di Melitopol, trovato morto in un lago di sangue in casa sua, la ragione ufficiale – “ipertensione” 
– Alexander Peklyushenko, l’ex governatore della regione Zaporizhzhya, morto per una ferita da arma da fuoco; 
– Mikhail Chechetov, l’ex capo del Fondo di proprietà dello Stato, presidente del Partito delle Regioni fazione nel Verkhovna Rada, caduto dalla finestra; 
– Sergei Melnychuk, un ex procuratore Odessa, caduto dalla finestra; 
– Nikolai Sergienko, un ex vice capo delle ferrovie ucraine, si sarebbe sparato, due volte (sic);
 Svetlana Naboka e Marina Zhavoronkova, due blogger, vengono prelevate il sette aprile scorso da esponenti dei servizi segreti ucraini e portati nel palazzo addetto agli interrogatori di  Piazza Kulikovo, a Odessa. Servizi che adesso dicono di saperne niente, comunque sono le uniche dell’elenco con ancor ala possibilità di tornare a casa, le ho elencate per ricordare altri che sono spariti nel nulla. 
– Olga Moroz, redattore capo di “Bulletin Neteshensky”, trovata morta nella sua abitazione; 
– Oleg Kalashnikov, un ex membro del Parlamento dal Partito delle Regioni, è stato ucciso presso    l’ingresso della sua casa;
 Sergey Sukhobok curatore di due portali web “ProUA” e “Obkom”. 
– Oles Busina, giornalista e scrittore, è stato ucciso nei pressi della sua abitazione.
 sempre a Kiev, poche ore dopo, viene ucciso un altro giornalista considerato vicino ai “filorussi”, Sergej Sukhobok.


Chissà come sono ansiosi a Bruxelles di chiedere spiegazioni al governo ucraino. Poroscenko sarà convocato d'urgenza. Quante scatole di fondenti al liquore saranno sufficienti? 

domenica 19 aprile 2015

Per un nuova politica retributiva

«Da qui al 2018 Fca garantirà in Italia 15 miliardi di investimenti, un’occupazione per tutti i dipendenti del gruppo e soprattutto più di 600 milioni in premi aziendali. Questi ultimi arriveranno ai dipendenti italiani grazie a «un nuovo sistema retributivo» che è «un significativo passo in avanti nel coinvolgimento delle persone per raggiungere i risultati previsti dal piano industriale», come ha spiegato ieri Sergio Marchionne ai sindacati.»

Ci si dimentica troppo spesso, in Italia e altrove, che i lavoratori, tutti i lavoratori, compresi i lavoratori dipendenti della FCA, lavorano perché sono costretti a vendere la loro forza lavoro per - in estrema sintesi - vivere. Se per vivere potessero fare a meno di vendere la loro forza lavoro e potessero, viceversa, dispiegare il lavoro secondo le loro reali inclinazioni, al coinvolgimento che richiede Marchionne replicherebbero con un coinvolgiteloinculo.

«L’amministratore delegato di Fca [...] ha sfoderato una «nuova politica retributiva». È un sistema formato da due elementi che si aggiungono al salario base. Uno è legato all’efficienza dei singoli stabilimenti: se centreranno le performance, le tute blu avranno in busta paga un incremento medio del 5%. Se invece faranno ancora meglio delle aspettative il salario lieviterà del 7,2%. L’altra parte variabile è collegata ai risultati economici di Fca in Europa e Medioriente: se tutto andrà come ha previsto Marchionne nel piano industriale 2015-2018, gli stipendi lieviteranno del 12% sull’intero quadriennio, mentre saliranno del 20% in caso di “over performance”. Nel caso in cui la missione fallisse, ci sarebbe comunque un’erogazione minima di 330 euro l’anno. Tradotto in denaro, se tutto filasse liscio nei quattro anni l’addetto specializzato riceverà un premio complessivo che oscillerà tra i 7.000 euro (6.500 per l’operaio generico) e i 10.700 euro. Così, dice Marchionne, «se gli obiettivi saranno quelli attesi, e sono sicuro che lo saranno, tutti i nostri lavoratori in Italia avranno vantaggi economici di assoluto rilievo che derivano direttamente dal loro lavoro». Anche perché, sottolinea l’ad, «il miglioramento dell’efficienza e il raggiungimento degli obiettivi finanziari dipendono da loro».»

Dopo anni di sacrifici dei lavoratori (chiusure di stabilimenti, ristrutturazioni, licenziamenti, casse integrazioni: effetti collaterali del crollo delle vendite della merce prodotta dal Gruppo Fiat), a fronte di una “ripresa” di quote di mercato, il top(o) dirigente Marchionne sfodera «una nuova politica retributiva» che prevede quanto sopra riportato. 
Ora, io spero vivamente che i lavoratori italiani «avranno vantaggi economici di assoluto rilievo»; tuttavia, anziché intonare lodi sperticate nei confronti di questa dubbia prospettiva, sì come fanno i notisti economici italici, mi sembra più opportuno bisbigliare i seguenti interrogativi:

  1. Che cosa determina l'efficienza dei singoli stabilimenti? I famosi turni di x ore senza pausa alcuna, ore straordinarie quasi obbligatorie, sabato e domenica compresi, le ferie quando cazzo vuole il padrun, penalizzazioni per eventuali giorni di mutua usufruiti durante l'anno solare?
  2. Cazzo c'entrano i lavoratori se i risultati economici di Fca in Europa e Medioriente saranno al di sotto delle attese? Ovvero,
  3. In altri termini - e questo vale non solo per i lavoratori della Fca, bensì vale per tutta quella parte di umanità costretta a vendere la propria forza lavoro per campare - per quanto ancora il vivere tout court dev'essere in  balia del subdolo meccanismo della domanda e dell'offerta, ossia vincolato alla valorizzazione del capitale posseduto da una relativamente piccola nicchia di pezzi di merda?
Poste queste domande, lascio volentieri spazio una paginetta de Il Capitale, Libro I, Cap. 3, Paragrafo 2, a) “La metamorfosi delle merci”, con la pleonastica avvertenza di sostituire l'esempio del tessitore con quello del produttore di autoveicoli.


«M-D. Prima metamorfosi della merce, ossia vendita. Il salto del valore della merce dal corpo della merce nel corpo dell'oro è il "salto mortale" della merce, come l'ho definito in altro luogo. Certo, se non riesce, non è alla merce che va male, ma al possessore della merce. La divisione sociale del lavoro rende il suo lavoro tanto unilaterale quanto ha reso molteplici i suoi bisogni. E proprio per questo il suo prodotto gli serve solo come valore di scambio. Ma esso riceve solo nel denaro la forma generale di equivalente socialmente valida; e il denaro si trova nelle tasche altrui. Per tirarlo fuori di lì, la merce deve essere anzitutto valore d’uso, per il possessore di denaro, e quindi il lavoro speso in essa dev'essere speso in forma socialmente utile, cioè far buona prova come articolazione della divisione sociale del lavoro. Ma la divisione del lavoro è un organismo spontaneo di produzione, le cui fila si sono tessute e continuano a tessersi alle spalle dei produttori di merci. Può darsi che la merce sia prodotto di un nuovo modo di lavoro che pretenda di soddisfare un bisogno sopravvenuto di recente, o che debba provocare per la prima volta, di sua iniziativa, un bisogno. Un particolare atto lavorativo che ancor ieri era una funzione fra le molte funzioni di un medesimo produttore di merci, oggi forse si strappa via da questo nesso, si fa indipendente, e proprio per questo manda al mercato il proprio prodotto parziale come merce autonoma. Le circostanze possono essere mature o immature per tale processo di scissione. Il prodotto soddisfa oggi un bisogno sociale. Domani forse sarà cacciato dal suo posto, del tutto o parzialmente, da una specie simile di prodotto. Anche se il lavoro, come quello del nostro tessitore di lino, è membro patentato della divisione sociale del lavoro, con ciò non è ancora garantito affatto il valore d’uso proprio dei suoi venti metri di tela. Se il bisogno sociale di tela, che ha la sua misura come tutto il resto, è soddisfatto già da tessitori rivali, il prodotto del nostro amico diventa sovrabbondante, superfluo e con ciò inutile. A caval donato non si guarda in bocca, ma il tessitore non si reca al mercato per fare regali. Ma poniamo che il valore d’uso del suo prodotto faccia buona prova, e che quindi dalla merce si tragga denaro. Ora si domanda: quanto denaro? Certo, la risposta è anticipata nel prezzo della merce, esponente della sua grandezza di valore. Prescindiamo da eventuali errori soggettivi di calcolo del possessore di merce, che vengono subito corretti oggettivamente sul mercato; ed abbia il possessore di merce speso nel suo prodotto soltanto la media socialmente necessaria di tempo di lavoro. Quindi il prezzo della merce è soltanto nome di denaro della quantità di lavoro sociale oggettivata in essa. Ma le nostre antiche e patentate condizioni di produzione della tessitura sono entrate in fermento, senza permesso e all'insaputa del nostro tessitore. Quel che ieri era, senza possibilità di dubbio, tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione d'un metro di tela, oggi ha cessato di esser tale, come il possessore di denaro dimostra zelantemente con le quotazioni dei prezzi di vari rivali del nostro amico. Per sua disgrazia ci sono molti tessitori al mondo. Poniamo infine che ogni pezza di tela disponibile sul mercato contenga soltanto tempo di lavoro socialmente necessario. Tuttavia, la somma complessiva di queste pezze può contenere tempo di lavoro speso in modo superfluo. Se lo stomaco del mercato non è in grado di assorbire la quantità complessiva di tela al prezzo normale di 2 € al metro, ciò prova che è stata spesa in forma di tessitura una parte troppo grande del tempo complessivo sociale di lavoro. L'effetto è lo stesso che se ogni singolo tessitore avesse impiegato nel suo prodotto individuale più del tempo di lavoro socialmente necessario. Qui vale il detto: "Presi insieme, insieme impiccati". Tutta la tela sul mercato vale soltanto come un solo articolo di commercio, ogni pezza vale soltanto come parte aliquota di esso. E di fatto il valore di ogni metro di tela individuale è insomma soltanto la materializzazione della stessa quantità socialmente determinata di lavoro umano dello stesso genere.
Ecco: la merce ama il denaro, ma the course of true love never does run smooth (Le vie del vero amor non son mai piane). Altrettanto casuale e spontanea della articolazione qualitativa, è l'articolazione quantitativa dell'organismo sociale di produzione, il quale rappresenta le sue membra disjecta nel sistema della divisione del lavoro. I nostri possessori di merci scoprono quindi che quella stessa divisione del lavoro che li aveva resi produttori privati indipendenti, rende poi indipendente anche proprio da loro il processo sociale di produzione e i loro rapporti entro questo processo, e che l'indipendenza delle persone l'una dall'altra s'integra in un sistema di dipendenza onnilaterale e imposta dalle cose.
La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e così rende necessaria la trasformazione di esso in denaro: e allo stesso tempo rende casuale che tale transustanziazione riesca o meno.»


Ecco, per concludere, penso sia legittimo affermare che la nuova politica retributiva di Marchionne nasconde il solito andante automotive: come mai, come mai sempre in culo agli operai?

sabato 18 aprile 2015

Un post causale

[via]
La parte in causa, essere. Perché la virgola? A sospendere la causa, l'essere. Vivere in mezzo a: figli che crescono, genitori che invecchiano, mariti e mogli che (verbo a scelta), eccetera. Ecco l'essere, ecco la causa. Se si potesse togliere la ‘u’ a causa resterebbe casa. E la ‘u’ te la cacci in? Supponiamolo.
Mi ricordo quella volta che presi la parola in un consesso pubblico per dire chissà cosa relativamente a che e come il dirigente, quando usai il participio passato di supporre concordandolo a un sostantivo femminile, volle fare la battuta per far sorridere la platea. Finito il sorriso ebete del pubblico, ripresi la parola aprendo una parentesi («personalmente, preferisco l'enteroclisma di malva e camomilla tiepida») e chiudendola in faccia a quelle facce troppo impressionabili dagli umori della dirigenza.
Parlare a braccio è difficile per chi non ha una causa fissa, è un senza dimora della cause praticamente. Mi spiego: se lotti per una causa, te possino cecà, parli come un invasato o un miracolato, perché ricordate cosa disse Gesù Cristo? Nun stateve a preoccupà di quello che dovrete di'. Ce penzerà lo spirito santo a parlà pe' voi: 'mbriacatevi de fede e l'uditorio ve farà 'na pippa.

Il fatto è che anche quando mi sembra di aver ragione, non riesco a essere assertivo, apodittico, saldo nei miei convincimenti. Siffattamente (grazie Cetto) ogni causa è persa. Meno male c'è la ‘u’, ché fuori stasera tira vento freddo.

venerdì 17 aprile 2015

Hanno parlato anche del caciocavallo

Considerato che, come è stato ammesso in conferenza stampa, durante il bilaterale hanno affrontato l'argomento, sarei curioso di sapere se Renzi ha chiesto a Obama dell'opportunità d'inviare istruttori militari USA in Ucraina ( i paracadutisti americani della 173ma brigata aviotrasportata) per addestrare le truppe dell'esercito ucraino.

Vana curiosità retorica, lo ammetto, che mi serve tuttavia per domandare, riguardo agli omicidi politici che decimano gli oppositori al governo di Kiev, perché lo sdegno mediatico internazionale è estremamente più contenuto in rapporto all'omicidio Nemcov? In altri termini: se putacaso Renzi avesse in calendario una visita ufficiale in Ucraina, andrà a depositare fiori sul luogo dov'è stato assassinato Oles Buzina

- No, opere di bene.

giovedì 16 aprile 2015

Domande in cronaca

Un figlio ha ammazzato sua madre per questioni di onorabilità familiare: ella aveva tradito il marito, il di lui padre 'ndranghetista in carcere, con un altro 'ndraghetista a piede libero. Non era meglio se girava un film?

§§§
Durante l'attraversata in gommone dalla Libia alla Sicilia, alcuni migranti musulmani hanno buttato in mare alcuni migranti cristiani. Se fosse stato viceversa, sarebbe stato più cattolico?

§§§
La multinazionale americana Whirpool, che un paio di anni fa acquistò l'industria italiana di elettrodomestici Indesit, ha presentato un piano industriale che prevede 1350 esuberi negli stabilimenti italiani. Parimenti, i vertici dell'azienda hanno annunciato investimenti per 500 milioni di euro in quattro anni dichiarando che «l'Italia sarà al centro delle strategie di lungo periodo dell'azienda». Sono nipotini di Keynes?

§§§
Mi chiedo se vi sia una correlazione tra chi si dichiara, a scottadito facebookiano, “vittima sacrificale” e il patto per promuovere l'abbacchio IGP nei ristoranti del Lazio.

§§§
Avete speranza che Speranza si sia dimesso irrevocabilmente da capogruppo parlamentare del Pd alla Camera? Più carità.


mercoledì 15 aprile 2015

Costata Italia


Se prendo una democrazia e la svuoto, svuotandosi, rimane il guscio; se lo rompo, esce il vuoto, nessuna frittata, dunque, ho scaldato l'olio in padella per niente. E dire che avevo fame, avevo bisogno di sostanza, e invece resto a bocca aperta e, a bocca vuota, mastico aria, muovo le mandibole per illudermi di avere qualcosa sotto i denti, «Sono buone le riforme, vero?», mi dà di gomito un passante che mastica anch'egli il nulla, ma con maggiore lena, dicendo che la nuova riforma elettorale proposta è ciccia intorno all'osso, ci vogliono soltanto i denti aguzzi per ricavare gli ultimi brandelli della costata Italia.
Il problema, come sempre, è su chi deve pagare il conto alla fine: consuetudine vuole che lo paghi colui che ha dato prova di mangiare, e se in realtà non ha mangiato niente non importa: è sufficiente mettersi a tavola per dare legittimità al vuoto. 

Fuor di metafora: non vi piace l'Italicum? Se passa tale riforma (che ha alte probabilità di essere approvata in via definitiva), qual migliore occasione di non andare più a votare?

martedì 14 aprile 2015

Vedere Mia madre

Vedrò Mia madre di Moretti ma più avanti non subito perché il film di Moretti l'ho visto e lo sto vedendo (vivendo) da un pezzo da ben prima che dopodomani esca nelle sale cinematografiche d'Italia, non perché abbia goduto di un'anteprima ovvero ne ho goduto ma senza vederlo il film di Moretti, però vivendolo, per cui quando lo vedrò il film di Moretti sarò insieme spettatore e interprete non protagonista, non avrò bisogno di scritturare attrici e attori, figuranti, potrò fare a meno di scenografie, di sceneggiature scritte commissionate, figuriamoci, a uno scrittore che mi sta sul cazzo, non avrò bisogno soprattutto di andare in giro a pubblicizzare questo film che sicuramente avrà menzioni di onore in terra di Francia, il filone intimista che in sottofondo illustra pure una realtà politica e sociale, e l'epoca pure, fa sempre breccia nei cuori transalpini, quindi non andrò da Fazio così avrò la fortuna di non stringere la mano dietro le quinte a quelle eccheduepallefritte della Littizzeppola, purtroppo, rispetto a Moretti, non lo girerò a Roma, nelle terrazze di Roma, nelle strade di Roma, in quei palazzi con la portineria e io che salgo l'ascensore vellutato e su c'è una donna che mi aspetta con una cena giusta, l'abbraccio giusto, quel sottofondo televisivo in cui casco dal sonno e non avrò bisogno di ripensare a quella frase che mi hai detto ieri, mamma, quando ti ho chiesto di tenerli aperti gli occhi quando ti parlo, e tu ricordi quello che mi hai detto ieri? Lo ricordi? Io sì:
«E se li chiudessi per sempre?»
Fammi girare questo cazzo di film, mamma, fammi dire diecimila volte ciak azione. Non mi fare arrabbiare, volevo dire preoccupare, volevo dire affogare in questa impotenza a cui non so far fronte se non ripiegandomi in due alla ricerca di silenzio e di una calma assoluti.
Allora siamo d'accordo, tienti pronta per dopodomani, esce il film di Moretti e Moretti merita.

Sono loro che imitano me



Giovanni Giudici, Autobiologia, Mondadori, I edizione, Milano, aprile 1969

domenica 12 aprile 2015

La terra dei ribaltati

«Vaccino sì, vaccino no, in Australia le autorità hanno deciso di risolvere il problema a monte: se non fai immunizzare tuo figlio, non hai diritto agli assegni familiari. Il che significherebbe per alcune famiglie rinunciare a 15 mila dollari australiani – cioè più di 10 mila euro – per figlio all’anno. L’ha annunciato il primo ministro Tony Abbott: “I cittadini possono, se lo vogliono, opporsi alla vaccinazione dei loro bambini, ma se non fate vaccinare i vostri bambini, a meno che non sia per motivi strettamente religiosi o medici, non avrete diritto ai sussidi statali. Si tratta insomma di una politica ‘niente puntura, niente soldi’”.»
L'Australia è troppo lontana, e poi, da quelle parti, è notorio, camminano a testa in giù; e troppo sangue al cervello mica fa tanto bene.

Se con questi chiar di luna in Italia dessero diecimila euro l'anno per figlio, si avrebbe una seria impennata della natalità. Dal reddito di cittadinanza a quello di conigliolanza.

Chissà, forse trattasi di una svista della redazione di Euronews, nel senso che tale cifra è, probabilmente, sovrastimata. Oppure, in Australia ogni prestazione sanitaria e ogni ordine scolastico sono a pagamento, cosa che, di fatto, ridurrebbe la portata del sussidio. 
Nonostante questo, proviamo a dar credito a quanto detto e facciamo pure finta di non meravigliarci della cospicua entità degli assegni familiari.

E tuttavia, come non restare increduli a leggere che il governo australiano, nel lodevole tentativo di contrastare la campagna anti vaccinazione, preveda comunque di erogare assegni familiari anche a quelle famiglie che rifiutano di immunizzare i propri figli per motivi strettamente religiosi? 
Per capire: primo, quali sono le religioni - ufficialmente riconosciute dallo Stato australiano - la cui precettistica prevede il rifiuto delle vaccinazioni? Secondo: come può uno Stato che si presume laico concedere l'esenzione dal vaccino per motivi religiosi? Terzo: che differenza intercorre tra i motivi religiosi e i motivi strettamente religiosi? Dipende dalla cintura?

Funzioni vitali

In questi giorni - per ragioni che ora non sto a dire, è più garbato lasciare un alone di polvere, la polvere degli angoli di vita riposta - ho avuto contatti ravvicinati con la miseria della vita, niente di eccessivo, non tipo quella i bombardati di Aleppo (colpissero mai una fabbrica di sapone, sì che le bolle profumate di lauro producessero l'effetto dell'erba spinella), ma di quella che accade nelle nostre contrade, nei luoghi di ricovero e nascondimento, là dove si tiene "dentro" ciò ch'è "fuori" di norma, di corpo e di testa.
Quando capitano questi imbattimenti, mi prende una specie di uggia allo stomaco che non è fame e non è desiderio, né voglia di andare di corpo. È rabbia? È impotenza? È lo specchio, specchio delle mie brame, chi cazzo la fa la vita più di merda del reame? 
Non io, non io che, stamani, uscito di palestra bel bello, docciato e sbarbato, fresco e pimpante, che se mi avessero visto Brunetto Latini o la brunetta dei Ricchi e Poveri mi avrebbero senz'altro detto oh che dolce fico, io che, dicevo, stamani sono stato spettatore di quanto segue.

C'è una signora anziana ma non troppo, forse meno di ottant'anni, cammina curva, quasi ad angolo retto, sostenendosi con una sorta di passeggino avente un portapacchi dove tiene la borsa e un settimanale. Cammina chiamando in continuazione “Signora, signora, signora, signora”, insistendo molto sulla prima sillaba, tanto da sembrare che dica un verbo riflessivo. Il personale sanitario non le presta alcuna udienza, a parte qualche mezzo sorriso o mezza parola di acquietamento. 
La signora fuma e per questo si reca in una veranda riscaldata dal sole e si siede proprio vicino a un grande portacenere dal quale sale il fumo nauseante di cicche spente male. La signora non ha denti e neanche la dentiera e forse per questo, appena dà una tirata, muove la bocca come se il fumo lo masticasse (finalmente qualcosa che si rode bene). Da notare inoltre, appena sopra il marrone del filtro, una lieve traccia di rossetto che macchia la cartina. La signora è sola e si gode la sigaretta in pace. Arriva un signore anziano, forse coetaneo, maglia e pantaloni neri, potrebbe sembrare un prete, lo è (questo lo vengo a sapere dopo). Il signore ordina risoluto alla signora di rientrare in sala, ma lei si rifiuta dicendogli che deve finire la sigaretta. Allora il signore si china arrabbiato sulla signora e cerca di tirarla su dalla poltrona con forza, ma la signora resiste e lo respinge. Il signore alza le mani come se volesse picchiarla, e la signora si copre con le braccia il volto. Il signore, che forse voleva darle uno schiaffo, rinuncia a colpirla ma con prepotenza riesce a sollevarle le braccia, si piega e le sputa, le sputa due volte in faccia, quindi la lascia e rientra in sala. La signora a stento si alza e, senza l'aiuto del suo passeggino, cerca di inseguirlo, ma la porta che separa la veranda dalla sala si apre soltanto dall'interno di quest'ultima. La signora allora si avvicina a un vaso di edera non troppo pesante, lo solleva e vorrebbe scagliarlo contro la porta. 
«Ferma signora», le dico, e mi guarda e mi dice che la porta non si apre è chiusa e lei vorrebbe aprire quella porta. «Non si preoccupi, adesso chiamiamo qualcuno». Così è. E vengo a sapere dal personale del prete e della signora e di questa prassi che si ripete da anni.

È vita anche questa, senza punto interrogativo, vita e basta, tutto quell'insieme di funzioni che si oppongono alla morte [*]. Solo alla fine perdono, le funzioni.

[*]«La vie est l'ensemble des fonctions qui résistent à la mort», Xavier Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la mort, 1800.

venerdì 10 aprile 2015

Il cavolo di Valnet



Jean Valnet, Cura delle malattie con ortaggi, frutta e cereali, Aldo Martello-Giunti Editore, Firenze 1975 

Stasera ho visto otto minuti e mezzo di 8½. Di Lilli Gruber erano ospiti Beppe Severgnignigni e Stefano Rodotà. Beh, ho visto Rodotà estremamente dimagrito, il volto incavato, la voce più fioca del solito. Difficile sia solo vecchiaia, ma il mio occhio non è clinico. La vecchiaia è brutta (ma non solo la vecchiaia) diciamo: la malattia in generale quando tende a deformare i tratti somatici della persona che investe. Investe? Assale. Assale? Colpisce. Colpisce? Stocazzo.

E ogni tanto mi metto a sognare sul cavolo di Valnet.

giovedì 9 aprile 2015

Gli inetti

“Fantasima, fantasima che di notte vai, a coda ritta ci venisti, a coda ritta te n’andrai: va nell’orto, a piè del pesco grosso troverai unto bisunto e cento cacherelli della gallina mia: pon bocca al fiasco e vatti via». Giovanni Boccaccio, Decameron, Settima Giornata, Novella Prima.

Uno spettro si aggira per l'Europa, ma non preoccupatevi: non è il comunismo, né tantomeno uno spettro, bensì sono tanti piccoli fantasmini che quel filantropo di George Soros ha avuto la brillante idea di riunire in una sorta di ‘pensatoio’ fondando, a New York, l'Institue for New Economic Thinking. INET. Nomen omen. 
Fantasmini formaggini che si spalmano sui panini. Alcuni dei quali, i più prestigiosi, col fondatore-finanziatore in testa, sono giustappunto sbarcati a Parigi per inaugurare la loro sesta conferenza annuale «dedicata proprio al tema delle crescenti disparità che fratturano le società occidentali». (Fubini).

Le cancellerie di mezza Europa hanno allertato le forze di sicurezza per sopire sul nascere eventuali moti di piazza che potrebbero probabilmente scaturire non appena le masse di disoccupati, cassintegrati, esodati, pensionati, emarginati, proletari e classe media impoverita verranno a conoscenza dei risultati delle ricerche, degli studi e, altresì, dei progetti rivoluzionari dei ‘nuovi’ economisti INET. 

Come infatti restare indifferenti ascoltando le vibranti parole pronunciate da un famoso fantasmino americano (già insignito del premio Nobel)? 
«I Paesi che oggi hanno imitato le istituzioni USA stanno avendo un aumento delle disuguaglianze come gli USA. E in questo si dice che l’aumento delle differenze è come l’erba che cresce, non lo puoi notare a occhio nudo. Ma negli ultimi anni nel mio Paese è stato cataclismico. Non è questione di capitalismo [*], il problema sono le istituzioni politiche che gestiscono il capitalismo e come esse favoriscono le rendite di chi ha i patrimoni. Negli ultimi 25 anni il reddito mediano in America è sceso in termini reali benché la produttività sia raddoppiata.»
Si vocifera che due bancari, tre impiegati postali, un apprendista muratore, un commesso librario, un informatore sanitario e un portiere d'albergo si siano già dati alla macchia. In tutti i loro zaini è presente il Capitale nel XXI secolo, molto più pratico e operativo dei voluminosi Mega Foxy.

[*] Corsivo mio.

mercoledì 8 aprile 2015

Trova il vergognoso

Nel mentre Matteo Orfini, presidente del PD, trova vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica,  posso permettermi - ricordando di passata che la classe politica nostrana è tra le più corrotte e incapaci d'Europa e del Resto del mondo - di segnalare che ben più vergognoso è il fatto che il Partito Democratico tenga in piedi una legislatura nata sulla base di una legge elettorale dichiarata incostituzionale, legge che ha permesso al partito di ottenere un “vergognoso” premio di maggioranza alla Camera dei deputati, in forza del quale ha sostenuto prima il governo Letta, artefice della nomina di De Gennaro a Finmeccanica, e adesso sostiene il governo Renzi, governo che ha confermato la fiducia a De Gennaro, avendo persino l'avvertenza di affiancargli, come amministratore delegato, un indagato per strage?

Sì, posso permettermi di segnalare che la vergogna è come l'alitosi: bisogna parlare per sentirla, provarla, ma soprattutto trovarla.

Sarà il vento, Joe

Guardando il video in cui il poliziotto Michael Thomas Slager spara alle spalle di Walter L. Scott, uno si dice ma come cazzo si fa perdio, se proprio vuoi sparargli per fermarlo spara basso, alle gambe, sei proprio stronzo e scemo, eccetera, e ancor più sei imbecille perché dopo averlo colpito alla schiena gli vai a mettere le manette al sospetto criminale reo, pare, di avere un faro rotto alla propria auto. È quindi una fortuna ci sia quel video a incastrare il poliziotto, così che le autorità abbiano facile gioco, prima nel licenziarlo e poi nel condannarlo, magari a morte (il South Carolina mi pare sia uno stato che la prevede), eziandio per dar luogo alla logicità della legge del taglione.

Qualcuno ha sbagliato, c'è l'evidenza, sia fatta giustizia e amen: la responsabilità penale è individuale, cause altre non siano indagate, se non a livello generale, per dar sfogo alle paturnie psico-sociologiche di editorialisti liberal che mettono in pace la coscienza borghese collettiva, una mano sul petto a cantare God Bless America sulla bara dell'ammazzato e tutti pari.

L'importante, soprattutto, è non capire perché il sottoproletariato americano sia stato ridotto a giocare tale orribile tragedia delle parti, uomini bianchi contro uomini neri, con questi ultimi destinati perlopiù a prenderle - d'altronde il nero morto ammazzato fa più audience, in particolare devia l'attenzione dall'arso terreno della lotta di classe ai verdi giardini dei diritti da applicare.

martedì 7 aprile 2015

Begli amici gli americani

Chissà se nel parlamento italiano della presente legislatura qualche deputato o senatore abbia fatto un intervento del genere. Temo di no.
Eppure sarebbe interessante che qualcuno dei nostri rappresentanti parlamentari osasse mettere in discussione la linea atlantica, a partire dalla scandalosa evidenza d'essere, l'Italia, uno dei servi sciocchi degli Stati Uniti d'America.
Italia e Usa, pace è fatta. L’incontro con il sottosegretario di Stato Victoria Nuland ha chiarito ogni malinteso sulla questione delle sanzioni russe: «Alla scadenza verranno rinnovate». Il Sole 24 Ore, martedì 7 aprile 2015
Figuriamoci quindi se l'attuale governo si permette di dissentire sulla politica di frammentazione (divide et impera) della Nazione certamente nemica della pace internazionale.
Sarebbe interessante, tuttavia, che al guerrafondaio in pectore, titolare della Farnesina, scappasse di chiedere al segretario di stato Kerry perché soltanto gli Usa possono permettersi, neanche troppo tacitamente, di essere amici e nemici di qualcuno allo stesso tempo, portando ad esempio tutto il puttanaio di cui sono artefici in vicino e medio Oriente. Loro sì, possono e gli altri no, non possono. Non vogliono assolutamente che i loro “amici” abbiano amicizie o frequentazioni dubbie coi loro nemici. Sennò si offendono e ti fanno i dispetti: ne conoscono così tanti. I più usati degli ultimi tempi si chiamano Moody's e Standard and Poor's.

Nessuno può imitarci il particolare

«So bene che è difficile, ma la comprensione e la rappresentazione del particolare è anche la vita propria dell'arte. E poi: finché ci si ferma all'universale ognuno ci può imitare; ma nessuno può imitarci il particolare. Perché? Perché gli altri non lo hanno vissuto. Non c'è neppure da temere che il particolare non trovi eco. Ogni carattere, per quanto tipico possa essere, ogni oggetto da rappresentare dalla pietra sino all'uomo possiede universalità; poiché tutto si ripete e non vi è cosa al mondo che sia esistita soltanto una volta.»

Goethe a Zelter, 30 ottobre 1808, tratto da “Il problema estetico del particolare nell'illuminismo e in Goethe”, G. Lukács, Prolegomeni a un'estetica marxista, Editori Riuniti, Roma 1957, traduzione di Fausto Codino e Mazzino Montinari.

Attaccarsi al particolare, insomma, è un po' come attaccarsi al cazzo: ognuno s'attacca al proprio, perlomeno credo, ché difficile in queste stagioni attaccarsi a quello degli altri [*] 
Di tale similitudine sono debitore a un breve dialogo rubato tra una cuoca e un ospite anziano di una residenza sanitaria, con la cuoca che chiedeva come andassero le giornate e l'ospite che rispondeva lamentandosi che gli faceva male qui, che gli prudeva là, soprattutto i coglioni, la base dell'attaccamento al particolare, appunto.

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[*] A meno che la tua particolarità non trovi eco in certe orecchie mercanti, da mezzano, tipo quelle che avevano per esempio un Tarantini o un Lele Mora (esempi triti, d'accordo, ma sono i primi che mi sono venuti, anche per evidenziare che il particolare in oggetto è unisex).

domenica 5 aprile 2015

Paziente labirinto di linee



« Col passare degli anni, un uomo popola l'universo di immagini di province, regni, montagne, baie, navi, isole, pesci, stanze, arnesi, stelle, cavalli, e persone. Poco prima di morire, scopre che questo paziente labirinto di linee disegna l'immagine del suo stesso viso. »

Jorge Luis Borges

Presuntuosamente, quando leggo frammenti di pensiero siffatti, mi illudo di trovare una finalità al [l'im] «paziente labirinto di linee» del blog, mediante il quale, appunto, cerco di disegnare (esprimere) «l'immagine del [mio] stesso viso».

Leggo e rimango incantato. E trascrivo tali parole per rispecchiare qui lo stesso incantamento.
Spero tuttavia che alla fine non esca fuori una faccia a ebete.

62

Oggi ho conosciuto un signore ridente, dalla bocca larga e l'orecchio da elefante, la mascella forte e il cranio a punta, il quale, con occhi che brillavano, mi ha detto che tra tre giorni compirà novantatré anni, dei quali sessantadue trascorsi in manicomio, ad Arezzo.
Cazzo. Sessantadue anni di manicomio, e perché?
Siccome tardava la risposta, una signora seduta a noi di fronte mi ha detto per via di un esaurimento nervoso, quando aveva quindici anni, una volta i genitori li curavano così i disturbi mentali, sia pure passeggeri.
Sessantadue anni. 
«E cosa ha fatto tutti quegli anni là dentro?»
«Ci facevano fare tanti lavoretti, una volta ho fatto persino l'imbianchino. Ma io ci stavo bene - e dicendo questo l'ho visto come ripercorrere tutto quel tempo con l'occhio della mente - perché c'era disciplina, ognuno di noi faceva qualcosa, le donne per esempio cucivano vestiti, mica stavano con le mani in mano come qui».
Quest'ultima cosa ho notato che l'ha detta con una punta di biasimo nei confronti della signora che prima ha risposto per lui.
Poi sono arrivate due assistenti sanitarie, che prendevano servizio in quel momento. 
Il signore le ha chiamate e, sorridendo, ha loro detto che al piano di sopra c'erano delle paste, che le aveva prese lui stamani per fare gli auguri di Pasqua. Loro gli hanno dato un bacio e poi, quando sono andate via, mi ha spiegato che ha fatto questo omaggio per riconoscenza, in fondo gli fanno il bidet tutti i giorni, lo tengono pulito e gli lavano i vestiti.

Sto pensando cosa potergli regalare, tra tre giorni.

venerdì 3 aprile 2015

Tutto è compiuto

C'è un guasto alla connessione internet di casa e ne uso una di fortuna, giusto per dire che oggi, percorrendo un tratto di tangenziale di un capoluogo di provincia toscano, ho visto una fitta serie di cartelloni elettorali di un candidato sindaco alla prossime elezioni comunali della città, in uno dei quali ho potuto leggere:
Dal politico al problem solver
Letto ciò, risoluto, sono entrato in un grande supermercato cittadino, ho comprato un moscio vileda e una bottiglia di aceto bianco, sono tornato proprio sotto quel cartellone e ho alzato il moscio inzuppato di aceto sulla bocca della candidata.

Sono un tipo compassionevole, a volte.
Altre meno. 

Infatti, più tardi, ritornando a casa, mi sono fermato a fare il pieno a un distributore di quelli tutto self service (tranne il gpl che per legge deve essere erogato da un operatore). 
Alla pompa dove mi sono messo non c'era nessuno, solo dal lato del gpl c'era una vecchia panda con due signori che parlavano, forse aspettando di essere serviti.

Proprio mentre stavo mettendo gasolio, uno dei signori è uscito dalla panda dicendo:

«Auguri, ciao, auguri. Ci daresti un litro di benzina?».

A parte che, appunto, stavo mettendo il diesel ma poi, un po' disturbato dalla stranezza della richiesta, ho risposto che no, non glielo davo un litro di benzina.

Il signore, un po' contrariato, è rientrato nella sua macchina.
Nel frattempo è arrivata l'addetta al distributore, ma non è andata verso la panda, si è limitata a compiere semplici operazioni di manutenzione e pulizia alle varie postazioni. 
A un certo punto, quando ha rivolto il volto verso di me, le ho detto, sorridendo, che quei due signori volevano un litro di benzina. Lei si è limitata a scuotere la testa e a sorridere.

Le ho chiesto:
«Sono clienti fissi?»
Mi ha risposto:
«No, sono accattoni fissi».

Ho scoperto di avere un debole per le benzinaie.

giovedì 2 aprile 2015

Unboxing Moresco


Ho comprato l'ultimo romanzo di Antonio Moresco, Gli increati, Mondadori 2015.
Ho letto i primi tre capitoli della prima parte, Proemio dei morti, incorrendo in frequenti palpazioni testicolari (si consiglia la lettura in mutande).
Date le milletredici pagine stampate su carta di scarso pregio (riciclata?), il volume si presenta di notevoli dimensioni, ma è stranamente “leggero”, un mattone forato, per intendersi. Tenendo il dorso (o costa) sul palmo di una mano, con il pollice dell'altra a sventagliare le pagine, fa l'effetto di materia montata a neve, tipo l'albume.
Inoltre: il Palatino usato da Mondadori è piattino, le virgole, le virgolette e gli apostrofi sono delle caccoline secche che cozzano con la rotondità delle lettere; a mio parere, un carattere con poco carattere che stona con la prosa (aggettivo da aggiungere dipoi) di Moresco. 

Infine: dopo un rapido piegamento per scannerizzare le pagine su esposte, la copertina s'è issata.