sabato 18 aprile 2015

Un post causale

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La parte in causa, essere. Perché la virgola? A sospendere la causa, l'essere. Vivere in mezzo a: figli che crescono, genitori che invecchiano, mariti e mogli che (verbo a scelta), eccetera. Ecco l'essere, ecco la causa. Se si potesse togliere la ‘u’ a causa resterebbe casa. E la ‘u’ te la cacci in? Supponiamolo.
Mi ricordo quella volta che presi la parola in un consesso pubblico per dire chissà cosa relativamente a che e come il dirigente, quando usai il participio passato di supporre concordandolo a un sostantivo femminile, volle fare la battuta per far sorridere la platea. Finito il sorriso ebete del pubblico, ripresi la parola aprendo una parentesi («personalmente, preferisco l'enteroclisma di malva e camomilla tiepida») e chiudendola in faccia a quelle facce troppo impressionabili dagli umori della dirigenza.
Parlare a braccio è difficile per chi non ha una causa fissa, è un senza dimora della cause praticamente. Mi spiego: se lotti per una causa, te possino cecà, parli come un invasato o un miracolato, perché ricordate cosa disse Gesù Cristo? Nun stateve a preoccupà di quello che dovrete di'. Ce penzerà lo spirito santo a parlà pe' voi: 'mbriacatevi de fede e l'uditorio ve farà 'na pippa.

Il fatto è che anche quando mi sembra di aver ragione, non riesco a essere assertivo, apodittico, saldo nei miei convincimenti. Siffattamente (grazie Cetto) ogni causa è persa. Meno male c'è la ‘u’, ché fuori stasera tira vento freddo.

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