lunedì 31 agosto 2015

Parole d'aria

Mormorii nel silenzio sterminato
(Bocca non so più aprire, né ragionare)
Trattengono in me la vita:
Respiro di un cipresso quella notte,
La voce umana dell'onda marina
Notturna sulla ghiaia, il ricordare
La tua voce che dice «Buona fortuna».

Giorgio Seferis, Epifania, 1937 tradotto da Guido Ceronetti (in Scavi e segnali, Alberto Tallone Editore, 1992

Se vuoi esprimere la luce,
fatti camera oscura.
José Bergamin 
(citazione trovata nel volume sopra riportato).

C'è uno strano silenzio là fuori, qua dentro, ovunque. Un silenzio pieno di rumori indecifrabili, come quello della pioggia in un giorno di sole. (Era qualcuno che orinava su delle foglie secche; l'ho capito dopo, dalla scia.)
Le parole stanno diventando mute, non producono gli effetti sperati dai parlanti. Sono stanche, le parole. Sono troppe. Quelle pronunciate non si contano, quelle scritte non conoscono confini. Più prendono campo nel mondo dei parlanti, più le parole si polverizzano, s'insabbiano e i parlanti ci sbattono sopra i loro umori, le impastano di saliva e sputacchiano fuori dell'ugola per liberare il corpo dalle scorie fatte di lettere, di spazi, di punti d'interpunzione. 
Oramai i parlanti non conoscono freni: parlano e scrivono senza pudore, mandano in giro le parole praticamente nude. Palle di parole, fiche di parole, cazzi di parole, tette di parole, culi di parole, bocche di parole: un'ammucchiata di parole sconvenienti o convenevoli a seconda dello svolgimento orgiastico. 
A volte, a fine corsa, quando le parole dormono esauste, sfiancate dalla prestazione, vedi i parlanti silenti esplodere piccoli soffi dalle labbra come quando si tenta di gonfiare un palloncino. Aria e basta, senza lettere, sillabe e vocaboli che formano le frasi dei consueti discorsi vuoti, ripetitivi, inutili.
Come sono sterili le parole! Se l'arcangelo Gabriele scendesse adesso da Maria gli toccherebbe parlare a gesti, mimare la faccenda, probabilmente si metterebbe a soffiare lo Spirito dall'alto verso il basso. 
Soffi: si ritorna sempre lì. Se le parole non fossero d'aria, sarebbero inesprimibili. Anche quelle scritte; addirittura anche quelle soltanto pensate. Sarà per questo che molte parole soffrono di alitosi. Una mentina per tutte.


domenica 30 agosto 2015

Al macero vacci tu

In un trafiletto pubblicato sulle pagine culturali de la Repubblica odierna («La seconda vita dei libri al macero»),  Loredana Lipperini scrive:
«C'è un dato che dovrebbe far riflettere tutti coloro che si occupano di editoria, dagli autori ai lettori passando per gli editori medesimi, ed è la brevità della permanenza dei libri sugli scaffali. Vecchio discorso, così come vecchio è quello, conseguente, del macero, cui dopo pochi mesi di vita la maggior parte dei titoli pubblicati viene destinata: si parla di svariati milioni di volumi ogni anno.»
Ora, se c'è una cosa che i blogger “puri’, rimasti sulla piattaforma (e che non hanno usato il blog come un trampolino per tuffarsi nella pubblicazione cartacea), possono andare fieri è che non sono stati complici, neanche con un grammo dei loro pensieri pubblici, del libricidio in corso ogni anno. 
Tra le varie forme di essere dimenticati e, a poco a poco, ignorati questa del blog non è una delle peggiori. Mi dispiace per la polvere che non può adagiarsi sulle nostre spalle. Sulle palle, invece, è un altro discorso.

sabato 29 agosto 2015

La paternità del pensiero

«Fu rinfacciato al signor K. che in lui il desiderio era troppo spesso padre del pensiero. Il signor K. rispose: – Non ci fu mai un pensiero il cui padre non fosse un desiderio. Solo un punto può essere messo in discussione: quale desiderio? Non occorre sospettare che un bimbo potrebbe non avere un padre, per sospettare che l'accertamento della paternità è difficile.»

Bertolt Brecht, Storie da calendario, “Storielle del signor Keuner”, Einaudi, Torino 1972

Quando penso senza desiderare, di solito, il pensiero si affloscia, un occhio si chiude e l'altro si distrae con le clavicole scoperte della conduttrice del telegiornale. Io trovo, infatti, che l'incavo – più o meno accentuato – che separa tali ossa dalla base del collo sia una delle parti del corpo in cui il tatto più volentieri insiste per ritornare dentro il principio del piacere come fonte del desiderio e quindi del pensiero.
«Leva quella mano che mi dài uggia e poi fa caldo», questa, di prassi, la frase non della conduttrice, ma di colei nella quale uno ripone il desiderio di tuffare dita nel lago di Carezza tra collo e clavicola.
Ma donde sorge in me la “mania” di toccare quel punto? Facile: erano i punti in cui le mie dita bambine maggiormente sostavano nei corpi di entrambi i genitori. I polpastrelli hanno più memoria dell'acqua.

E se toccassi i miei due laghetti, in una sorta di masturbazione aerea poco sconveniente anche in pubblico? Chiudete gli occhi e portate le mani a croce, rispettivamente: la destra sul lato sinistro e viceversa, e fate scivolare i polpastrelli dell'indice e del medio nel punto suddetto. Converrete che sarà più facile addormentarsi che ritrovare la paternità del pensiero.

venerdì 28 agosto 2015

Dire niente

Ci sono molte probabilità che io stasera non abbia niente da dire, comunque ve lo comunico così che abbiate tutti gli elementi per giudicare un individuo che durante tutto il giorno non ha prodotto alcun pensiero da mettere sotto forma scritta, che non ha nulla da imbalsamare insomma, arte desueta che anela all'eternità. Certo, ho fatto cose banali, quotidiane, alcune gradite, altre meno, che se mi risolvessi a metterle in fila ci potrei persino imbastire uno straccio di tessuto narrativo adatto a diventare uno straccio (magari fosse per la polvere). Ma per fare che, e con che vena poi, visto che oggi il pensiero ha preso ferie, aveva bisogno di allontanarsi un poco da me perché - mi si accusa - lo faccio troppo faticare, lo tengo sempre in allerta... Bene a sapersi. Dato che tutto vorrei sembrare fuorché un negriero del pensiero, allora congedo tutto il giorno. Anche per i sogni.

«E i sogni si allontanano come i cavalli scossi, caduti i sognatori».

giovedì 27 agosto 2015

Umanità a perdere

Sulla Siria so quello che più o meno sanno tutti (di quei non so quanti che ogni tanto buttano un occhio fuori della propria ombra). Che al potere c'era (e c'è) un regime autoritario con al governo un partito unico, di natura dinastica. Simpatie, nessuna; e con favore salutai i primi accenni di rivolta del popolo siriano che reclamava pluralismo e libertà, fenomeno oramai rubricato dalla storia e che passa sotto la voce Primavera araba. Come molti, auspicavo insomma una rapida deposizione del despota in favore di un regime democratico e plurale.
Iniziò la guerra civile, Assad contrappose subito l'artiglieria pesante contro i primi accenni di rivolta. Caddero le bombe sulle città e, quindi, sul popolo. Furono probabilmente persino utilizzate le armi chimiche. La gente iniziò a sfollare e si rifugiò nei primi campi profughi ammassati lungo i confini con la Turchia e il Libano. La comunità internazionale (Francia, Gran Bretagna e USA in testa) ammoniva Assad e minacciava un intervento militare e intanto finanziava e armava le truppe ribelli. Una grande portaerei americana era già pronta, dal Golfo Persico, a sferrare l'attacco. Solo i russi (e forse i cinesi se non ricordo male) ponevano il veto. Si arrivò, dopo alcune settimane, a un accordo: affinché le truppe occidentali non sferrassero l'attacco aereo sulla Siria, il regime siriano doveva sbarazzarsi delle armi chimiche. Armi che, infatti, furono sequestrate sotto l'egida dell'Onu. Durante tutta questa tiritera non passava giorno che le città siriane non subissero bombardamenti o attentati. Intanto cominciava a prendere evidenza di che pasta era fatta la ribellione: le truppe cosiddette “laiche” e occidentali erano state di gran lunga sopravanzate dalle più organizzate e meglio armate (e finanziate – dalla Rabbia Saudita e dalla Turchia in testa) truppe di quello che sarà chiamato, di lì a poco, il Califfato. La comunità occidentale sbigottita ebbe un repentino ripensamento: Assad è uno stronzo, ma questi ribelli islamici lo sono ancor di più. Indietro tutta? Mai ammettere le proprie cazzate: è l'assunto principale dei leader delle democrazie occidentali.
E così, di giorno in giorno, di mese in mese, di stagione in anno, la situazione in Siria è infognata in uno stallo all'apparenza inestricabile, con Assad che resiste trincerato in una parte di territorio che ancora a fatica controlla; mentre le fazioni ribelli islamiche (Al Nusra El Qazza, El Daesh Is not Dixan) sono riuscite a conquistare una buona metà della Siria imponendo la Sciaria e la Pazzia fondamentalista.
In questo traccheggio in cui si sprecano mitragliamenti, bombe, esecuzioni sottraenti più che sommarie, la gran parte della popolazione fugge; una gran parte della gran parte si è ammassata al confine con la Turchia e da anni vive ricolma di tribolazioni; e, infine, una piccola parte della gran parte tenta la via di fuga verso Europa.
Questa la situazione a grandi pennellate d'inchiostro telematico che ogni tanto mi va di utilizzar così, scrivendomi un editoriale maison.
Soprattutto per fare una domanda che faccio a me per darmi una risposta, perché se mi faccio una domanda so sempre cosa rispondermi, sennò cosa mi domando a fare?
La domanda è: se questa milionata di persone, anziché siriane, fossero state europee o americane, le si sarebbe lasciate vivere in queste condizioni così a lungo senza prendersi la concreta briga di risolvere la loro questione “esistenziale”? Oh, certo: la coscienza è in pace quando si mette in moto la farraginosa macchina degli aiuti umanitari: un ospedale da campo frutto di donazione di occidentali di buon cuore non si nega a nessuno. Ma ripeto: se anziché siriani già prima in condizioni di pace lontani dalla quota mondo occidentale, fossero depauperati e deprivati di tutto lo stesso numero di cittadini europei o americani, quelli delle ferie forzate ad agosto, quelli della spesa al supermercato, quelli dello smartphone e quelli dello stadio alla domenica, quelli delle tasse da pagare e quelli che in buona sostanza fanno girare l'economia, la reazione dei potentati sarebbe la medesima? Indifferenza ragazzi, lasciamoli crepare in pace, tanto non se ne accorge nessuno?

La domanda, seppur logorroica, non è oziosa a par mio, magari lo fosse, giacché io amo l'ozio. Il mio timore, insomma, è che ritorni in auge: anzi, che sia in auge l'idea temibilissima e mostruosa che una certa parte di umanità possa essere comunque sacrificata perché inessenziale, superflua, ridondante. Un'umanità della quale ci si può anche fottere perché non lavora, non spara, non consuma e soprattutto non produce. Un'umanità a perdere nella discarica del capitale.

I got my wish

[via]
Il mio stamani era col burro e marmellata di albicocche.

mercoledì 26 agosto 2015

Soffia il vento delle proposte


Come uscire dalla crisi europea con i Certificati di Credito Fiscale


Attenzione. Dopo la lettura, si consiglia di assumere immediatamente quattro compresse di carbone vegetale attivo.

Arriva Office 2016. Pazienza

«Considerando che manca ancora l'ufficialità dell'annuncio, sui costi di Office 2016 le (poche) informazioni circolate in Rete vanno prese ovviamente con le pinze. È comunque molto credibile l'ipotesi secondo cui la nuova suite dovrebbe rendersi disponibile a condizioni molto simili a quelle di Office 2013. Parliamo quindi di circa 140 euro per la versione Home & Student e di circa 240 euro per quella Home & Business.» Gianni Rusconi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nkcP2q
[*]
 Se proprio ci piacesse pagare, basta una donazione, anche minima, sempre senza impegno.

martedì 25 agosto 2015

Teste di gatto morto

Uno studente domandò a Sozan, un maestro cinese di Zen: « Qual è la cosa più preziosa del mondo?».
Il maestro disse: «La testa d'un gatto morto». 
«E perché la testa d'un gatto morto è la cosa più preziosa del mondo?» insistette lo studente.
Sozan rispose: «Perché nessuno può dirne il prezzo».

La cosa più preziosa del mondo”, da 101 storie Zen, Adelphi, Milano 1973
______________

Che il mondo sia globale e che i nemici siano una finzione è cosa nota. Casomai tutti lottano contro tutti per strappare, all'interno della logica produttiva capitalistica, gli ultimi brandelli di ciccia attaccata all'osso. Dal tubetto del mercato, strizza strizza, esce sempre meno valore, nonostante cerchino di pomparci dentro denaro a iosa. 

Preoccupatissimo persino il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, forse perché ha buttato anch'egli, nel calderone di Shanghai, quattro talleri dei suoi risparmi.
«Non si perda un attimo per rendere operativa la via cinese al Quantitative easing.»
E giù consigli sul da farsi. Mai sul disfarsi. Si deve evitare, si deve seguire, si deve creare.
«Bisogna che la più grande economia socialista in transizione, con il suo carico di anomalie, prenda atto della gravità dei problemi»
Transizione? La Borsa di Shanghai fu istituita e aperta a fine 1990. Tra poco compie un quarto di secolo di transazioni socialiste. Godi popolo.

lunedì 24 agosto 2015

Autobiologia

Quello che rimpiango dei tempi in cui scrivevo lettere d'amore non è l'amore: sono le lettere. Uscivano fuori, prima in brutta copia su fogli protocollo a righe, tipo quelli dei compiti in classe, anche se non lasciavo la colonna bianca per farle correggere ad alcuno. Di poi, su carta ricercata - quella che preferivo era la gialla fiorentina - ricopiavo in bella copia e scrittura carezzevole - tanto che una corrispondente, una volta, mi fece un complimento dicendomi che si vedeva dalla calligrafia che avevo voglia di toccarle le tette - i pensieri tutti rivolti a trasmettere la bontà delle intenzioni. Una volta arrivato in fondo, esitavo un attimo per la frase di commiato, che doveva essere all'altezza del sentimento espresso, di solito appoggiandomi a un verso estratto dalla poesia italiana del Novecento. Infine, piegavo in quattro o in tre, a seconda del formato della busta, e in tabaccheria o alla posta mi facevo dare un francobollo di quelli da futura collezione, che umettavo giusto in punta di lingua - il desiderio di un bacio - e dopo via, dentro la buca delle lettere, quello che avevo da dire l'avevo scritto, non restava che prefigurarsi presuntuosamente il sorriso e una mezza lacrima in colei che l'avrebbe letta. Funzionava.

Cosa funziona ora in questo blog in cui si scrivono rarissime lettere d'amore e copiose di moderata indignazione? Non spreco carta, busta, non incollo francobolli. Il tasto Pubblica assomiglia a un'inesorabile consegna. I tratti del destinatario sono quelli riassunti in uno specchio. Il sorriso e una mezza lacrima non c'è più bisogno di prefigurarli.

Vivere da presidente

«C'è però fortunatamente anche l'Europa dei pensionati di Calais che mettono a disposizione i generatori così che i profughi possano ascoltare un po' di musica e ricaricare i cellulari. L'Europa degli studenti di Sigen che hanno aperto il campus della loro università ai richiedenti asilo. L'Europa del fornaio di Kos che ha distribuito pane alla gente affamata e spossata. Questa è l'Europa in cui voglio vivere.»

Per viverci da Presidente [*], mica da pensionato di Calais, mica da studente universitario di Sigen, mica da fornaio di Kos. Sia mai.
Più sono in alto nella scala sociale, meno vedono in basso, là dove la scala poggia. Sospesi nell'iperuranio, ogni tanto hanno qualche sussulto quando percepiscono flebili sommovimenti del terreno. Si affacciano alla finestra e - come Maria Antonietta - propongono brioches ripiene di valori. Costano meno di quelle del bar.

________
[*]
Il presidente della Commissione europea riceve gli stessi emolumenti del presidente del Consiglio europeo, ossia uno stipendio base pari al 138% dello stipendio base ricevuto dai funzionari della Commissione di più alto grado (18.025,09€ al mese[18]); lo stipendio base del presidente corrisponde attualmente a 24.874,62€ al mese.
Il presidente è assistito da uno staff di circa venti persone. Egli dispone di un'auto blu e di un assegno per la residenza, dato che si è scelto di non dotare tale carica di una residenza ufficiale[19]

domenica 23 agosto 2015

Monetarismi

Nuvole cobalto si spostano leste verso Nord. Io no. Mi attaglio. Lo specchio dell'atmosfera lo esige. Esito. Usare una ‘s’ in meno conviene, mi potrà tornare utile scambiarla per un dollaro. Tanto per quel che valgono i dollari. 
Vi avevo mai raccontato la storiella di un tizio chiamato appunto Dollaro, il quale aveva una ditta di Espurgo Fogne e che un giorno fu arrestato dai carabinieri a un posto di blocco perché trasportava il bottino? Prima di essere rilasciato, al comando fu stabilito che non si trattava della valuta americana (e neanche di quella canadese). Un maresciallo ipotizzò fosse oro nero. Il capitano azzardò con il combustibile atomico. La moglie del capitano riportò tutti all'ordine: «Portate fuori di caserma quel cazzo di camion, citrulli».

Il cattivo uso del buono

«L’idea del buono ha questa pecca: è sempre buono in un modo particolare, buono per me, buono per noi, e diventa normativamente un buono per tutti ma in un senso traviato in cui gli altri vengono sottoposti al diktat morale e se non si adattano sono chiaramente cattivi. Chi si arroga la posizione di buono getta dall’altro lato tutti gli altri che non gli piacciono. E il dibattito è finito: se io sono il buono, chiunque la pensi diversamente è cattivo e quindi non va ascoltato né sostenuto. Va combattuto.»

Un gran post di Alex sulla cosiddetta “buona scuola”.

venerdì 21 agosto 2015

Una brutta storia più o meno

«BISOGNA respirare lentamente e aspettare che la vertigine, lo stordimento, quella specie di nausea che somiglia alla paura si depositino al centro del corpo.»

E scoreggiare.

«Dov'è la colpa, dove l'errore? Le vittime, prima di tutto. Le vittime non hanno colpa: soccombono. Passive nell'azione.»

Dov'è la colpa? Nel retto pieno.

«È una brutta storia [...] Bruttissima. Questo, più o meno.» 

Ci vuole un cesso.

«Sarà un dettaglio, questa ossessione dei corpi. Ne sono tutti vittime, in questa storia»

Sarà un dettaglio, ma a me pare che l'ossessione dei corpi faccia il paio con l'andare di corpo.

«Questo è una storia in cui folli si diventa. Chiusi a studiare, fuori a bere e a ballare. La cosa più importante di tutte, la più difficile, sarebbe capire come, nel vuoto di cosa, perché.»

Se non basta una, tiratelo due volte, lo sciacquone.

giovedì 20 agosto 2015

Chacun fait c'qui lui plaît

Lasciate che i morti seppelliscano i vivi.
Quante storie per un funerale: le pompe funebri emettono sempre fattura.
Ma avete visto quante persone occupate in un giorno? Ha fatto più girare l'economia Casamonica da morto, che Mario Monti da vivo.
Invece di esser contenti che sia morto un boss fanno le storie.
Di sicuro, paga più tasse da morto che in prigione.
Se passava a comunione il nipote, o se si sposava un figliolo, non scoppiava tutto questo putiferio.
A proposito della messa concelebrata: pregasi trascrizione dell'omelia.
Pensa quando morirà Berlusconi.
Penso quando morirò io.
Devo scegliere la colonna sonora.

Questa non è male. Per Casamonica.

I bachi del capitale

In un messaggio di auguri inviato a quelli del Meeting per l'amicizia tra i popoli, il Presidente della Repubblica ha scritto:
«Il terrorismo, alimentato anche da fanatiche distorsioni della fede in Dio, sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale.»
D'acchito, mi viene da chiedere: dando per scontato che il terrorismo sia «alimentato da fanatiche distorsioni della fede», che cosa prevede di ulteriore quell'«anche»? Detto altrimenti: oltre la distorta fede, qual altro fattore, vilmente mondano, “alimenta” il terrorismo? Dalla postazione del Quirinale non si può dire?

Provo a dirlo io, sovrano dal basso.

Non dubito, anzi, sono certo che il terrorismo stia «cercando di introdurre» nelle zone di mondo indicate, «i germi di una terza guerra mondiale» (cazzo però che incubazione). Purtuttavia, non credo affatto che il terrorismo, da solo, ce la farà a introdurre guerre, bensì introduce - come sta facendo purtroppo da anni - ‘soltanto’ terribili fuochi d'artificio.
Il terrorismo, insomma, non provoca guerre, anche se può essere un'ottima scintilla per appicciare un fastello di legna secca già pronta da ardere. 
Una cosa è certa: il combustibile bellico vero e proprio è fornito dagli Stati e dalle élite che li governano. Detto altrimenti: il combustibile di una futura eventuale terza guerra mondiale tra umani, divisi ancora, da cavernicoli, sotto l'insegna di varie bandiere nazional religiose, sarà pompato dal pozzo senza fondo dell'insolubilità della crisi economica, crisi oramai permanente perché determinata dall'impossibilità, per il capitale, di trovare nuove modalità di valorizzazione. 
In breve: la guerra, se ci sarà, avverrà quando i “padroni del vapore” dal denaro non sapranno ottenere più denaro, quando cioè il meccanismo indispensabile al sistema (Denaro-Merce-Denaro) sarà completamente inceppato. Temo che riusciranno ancora una volta a far credere, più o meno religiosamente, che i motivi saranno altri. Mi limito a (di)sperare che non ci riusciranno.

Nel frattempo, annuso agli.

mercoledì 19 agosto 2015

Alfabeto morte


Improvvisamente morire
forse
a scatti, a ticchettii
di pause ed effetti
punti e lineette
dell'alfabeto morte.
Disciogliere affetti
scatenare gli abbracci
i difetti del cuore
che non ce la fa
ad allagare d'amore
il terreno d'intorno
più di quello che può
o che vuole
il chiuso del corpo
il trattenuto
dentro un sorriso
o uno starnuto.

Salute.

Improvvisamente
addentrarsi nel sonno
che non è riposo
ma il disfarsi dell'Io
da tutte le funzioni
che lo tengono appeso
al presente, compreso
al passato e sospeso
nel niente. 

Improvvisamente
morire per capire
che la pazienza è una virtù
opprimente
che il silenzio non ha senso
se non è l'urlo di Munch.

Ma ora basta morire
tenere la mente
legata all'incombenza:
basta essere pazienti
che aspettano si avveri
la sentenza.
Quello che esiste sarà
anche senza
l'esistenza.

Up Patriots To Arms


Rientrato da poche ora da una vacanza in un vicino estero mi sembra di essere sbarcato a Teheran. Gli ayatollah hanno sempre ammonimenti da impartire alla politica e la politica se ne caglia e, di conseguenza, si afformaggia: una ragione in più per puzzare (come i piedi di quei campeggiatori tedeschi che camminavano scalzi sulla lurida moquette del traghetto, ignari dei mocassini azzurri della Kaiser Angela).

domenica 16 agosto 2015

Sotto una coperta scura, a Ferragosto

Passato Ferragosto, vento fresco e mare mosso,
"mi vengono in mente strane associazioni di idee. Immagino che capiti a molti ed io di solito me le tengo per me, ma quelle di oggi desidero invece dirle."
Se arriverò a novantun anni, scriverò ancora cazzate inutili nel mio blog, ricordando la più stolida legislatura repubblicana, nella fattispecie i presidenti dei due rami in coma del Parlamento associandone l'inutilità con una celebrazione che non c'entra un cazzo nulla con l'attualità politica di un disfacitore della rappresentanza democratica, fatto salvo che le rappresentanze democratiche legittimamente elette per il tramite di elezioni periodiche, non servono esse stesse a un cazzaccio nulla di nulla per impedire il baratro al quale gli Stati sono (chi prima e chi poi) votati, servi scodinzolanti della forma valore, incapaci di comprendere che, sotto questo cielo, le riforme costituzionali servono solo a far venire in mente strane associazioni di idee ai novantunenni che scrivono editoriali del cazzo sul giornale che hanno fondato?

venerdì 14 agosto 2015

[...]

«Meglio essere bianchi, ricchi e famosi che negri, poveri e figli di puttana», mi dice Ernst, il barista di colore dell’albergo da cui sfrutto la connessione. Viene dalla Martinica, è gentile e, cosciente dell’acquazzone nero insostenibile, non mi fa mai pagare il caffè, nonostante le mie insistenze. Si lamenta altresì del caldo, afoso, e anche se personalmente lo patisco meno, non mi resta che convenire, per solidarietà di specie. Una solidarietà che sento meno nei confronti del sudafricano. Se fossi Dioniso gli farei fare la fine di Penteo. Poi penso che no, ché le donne avrebbero qualcosa in meno da mettere sotto i denti (sono stronzo, vero?).

giovedì 13 agosto 2015

Stella polare diurna

Campomoro, una spiaggia rivolta a nord. Spalle all'ombra del muro di una terrazza di una fortunata casa vista mare, Lucas si gode lo sciabordio, poche pagine sabbiose, la dolcezza del farniente.
Davanti si pone una giovane coppia, due figli piccoli, borsa mare, telo e sottotelo. I piccoli subito in acqua con il padre vigile a seguirli, mentre la madre, una bella signora tre i trenta e i quaranta, pelle chiara e i capelli senza colorazioni artificiali (dunque qualche spunto di grigio tra la prevalenza del castano chiaro), si mette a fare yoga, assumendo svariate posizioni.
Per quanto, per discrezione, muova la testa come le lancette di una bussola, in cerca di altri campi magnetici, lo sguardo di Lucas trova sempre il suo nord, soprattutto quando gli esercizi espongono la signora a inevitabili apparecchiamenti di desiderio.
- Cosa faccio, leggo? - si chiede Lucas - Prendo maschera e pinne ed entro in acqua? Vado a fare una foto agli asini che, più avanti, raccolgono la curiosità di molti bagnanti?
Lucas decide per la seconda soluzione.
Intanto la signora, a lui rivolta di schiena, poggiando sui glutei i talloni, inarca la schiena fino a toccare con la nuca la sabbia. E resta immobile. Lucas prende, appunto, maschera e pinne e si avvia, discreto verso la battigia, passando poco distante dalla sua postazione. E sente chiamare:
- Roberto, Roberto, dove sei?
Ma Roberto, il marito (?), è in acqua distante e non la sente. Quindi, con voce quasi di preghiera:
- Signore, mi scusi, mi aiuta per favore?
- Dice a me?
- Sì, per favore, mi dia una mano: non riesco a... rialzarmi.

Lucas, le mani, gliene ha date due.

domenica 9 agosto 2015

I gufi non sono allocchi

Scrivere un post da un posto di vacanza, una pausa dovuta al mare mosso, al sole che cade a picco e un ombrellone solo non basta, alla voglia di riaprire una pagina bianca e macchiarla di parole che potrebbero avere un senso ma anche no, e tuttavia occorre correre il rischio, addentrarsi, più che nella ragione, nel sentimento, per dire pubblicamente che spero sia soltanto una decisione temporanea quella di Luigi, il ciao non è un addio, e i "tutti" lo sanno, e sapranno aspettare per godersi ancora le pagine di uno dei più grandi intellettuali che la lingua italiana abbia in dote e si esprima da una dozzina di anni sulle pagine, prima bianche, del suo blog, Malvino.

mercoledì 5 agosto 2015

La Rai, le stagioni, i mesi

Approfitto di una connessione provvisoria d'albergo per dichiarare ufficialmente che io, ne avessi avuto il potere, anziché Monica Maggioni, avrei fatto Silvano Agosti presidente della Rai.
Per una questione temporale.

martedì 4 agosto 2015

Discorsi vacanzieri

Domani vado in vacanza. Un paio di settimane.
Mi porto dietro una lista di cose, dalle mutande al sapone (dal vestirsi al pulirsi: meglio viceversa).
Portafogli.
Telefono.
Notebook.
Kindle.
Libri.
Spero di pubblicare qualche facezia, ma senza pianificazione od obbligo, giacché
« - Non possiamo più discorrere insieme, io e lei, - disse il signor K. ad un tale . - Perché? - chiese quegli con spavento. - Non riesco a dire niente di sensato in sua presenza, - si lamentò il signor K. - Ma a me non importa affatto, - lo consolò l'altro. - Lo credo, - disse il signor K. amareggiato, - importa a me però. »
Bertolt Brecht, Storielle del signor Keuner, in Storie da calendario, Einaudi, Torino 1959 e 1972.

In coda al menù

Sulla scia di una ricetta per l'Italia (sugo di bischero)

Vuoi nazionalizzare la produzione per fare che cosa?
Per produrre merci al fine di continuare il processo di valorizzazione.
Donde lo ricavi alla fin fine il plusvalore?
Dopo aver necessariamente sfruttato (comprandolo con un salario) il lavoro di qualcuno, occorre vendere la merce prodotta.
E dove sta la differenza rispetto a ora? In una diversa distribuzione dei profitti? 
Sì, in un certo senso sì.
E quando i profitti non ci sono? Si socializzano le perdite?
Lo Stato provvederà, stampando moneta, emettendo buoni del tesoro oppure espropriando un po' qui e un po' là.
Sono discorsi del cazzo.
Qualcuno ci crede ancora.
Per fare il capetto al posto dei capi attuali.
«Salario minimo da lavoro garantito per tutti».
Per far lavorare gli altri.
Noialtri s'ha da scrivere ricette.


lunedì 3 agosto 2015

Leggeri soffi di partito

In questi primi giorni d'agosto pensavo all'evanescenza. E la prima cosa che m'è venuta in mente è stata la politica in generale e il Partito Democratico in particolare.
Le feste dell'Unità, i militanti che fanno selfi con esponenti di partito e/o governo, gli esponenti di partito e/o governo che parlano di «Vietnam parlamentare o del rischio «di consegnare il nostro Paese ai vari Grillo e Salvini e alle destre populiste». 
Che altro sono queste voci se non bucce di cannellini che favoriscono flatulenza? Spifferano i deretani in mutande la sera d'estate. Vedo alcune mosche contente.

sabato 1 agosto 2015

Giovanna e i piedi

Giovanna cammina lenta sul litorale di una rinomata spiaggia vip e ogni tanto getta uno sguardo verso la fila di lettini e ombrelloni da mille e una notte aspettandosi di scorgere qualche personaggio famoso.
I bambini (un maschio e due gemelline rispettivamente di 9 e 7 anni) e il marito entrano in acqua indifferenti alla condizione sociale degli astanti e pertanto vogliosi di giocare, mentre Giovanna si ferma sul bagnasciuga alternando i sorrisi divertiti verso i suoi cari e le occhiate curiose, ma discrete dirette agli occupanti del celebre stabilimento balneare.
Un signore dall'aspetto cinese, o piuttosto un cinese dall'aspetto di signore, le si avvicina sorridente e inizia a fissare con insistenza il frangere delle onde sui polpacci e sui piedi di Giovanna.
Giovanna si sente chiaramente a disagio e, per fuggire l'imbarazzo, riprende a camminare, lenta, per celare le motivazioni del suo avanzamento. Appena fatti due passi, il signore cinese, senza riguardi, le si approssima a portata di bisbiglio e, sottovoce, le chiede:
«Mi scusi signora se le sembro inopportuno ma volevo dirle che lei ha dei piedi bellissimi».
Se non fosse stata davanti alla spiaggia dei signori, Giovanna avrebbe subitamente mandato a quel paese il signore cinese, il quale, nonostante fosse cinese, pareva un signore (dal costume, dall'orologio e dal garbo suadente con il quale le si era rivolto).
«Ma sta dicendo a me? Guardi, io sono sposata» ecco tutto quello che sa rispondere Giovanna.
Il signore cinese sorride: «Sì, signora, non si preoccupi. Non voglio infastidirla. Vorrei solo chiederle questo: è disposta per diecimila euro a farsi annusare i piedi? No, aspetti, non se ne vada, mi ascolti: non mi deve rispondere subito. Ecco, questo è il mio numero di telefono: ne parli con suo marito e poi mi dia una risposta».

Detto questo, il signore cinese ritorna al suo ombrellone. Giovanna sta per stracciare il biglietto da visita quando, con la coda dell'occhio, vede una famosa velina che si fa incontro al signore cinese, abbracciandolo e baciandolo con gioia.
Mentre i bambini e il marito escono dall'acqua e ritornano verso di lei, Giovanna ricopia il numero del signore cinese sulla rubrica del telefono.