giovedì 3 settembre 2015

Che cosa diventeranno i fatti

Giovanni Orelli, Un eterno imperfetto, Garzanti, Milano 2006
I fatti, signore e signori, sono stati disciolti come le croste di calcare ingiallite dei cessi d'antan. Qui si cercano colpe, non cause. Quelle, più profonde, lasciamole venire a galla da sole, come la morte, alla deriva. Quindi diamo la colpa, non ci vergogniamo, suvvia. Facciamo nomi. Restiamo fuor di metafora. Io inizio, ne elenco alcuni, giusto i primi, quelli più in vetta nella capocchia dell'ago infilato chissà dove, chissà dove. Per farla breve, a costo di annoiarvi, dell'esiliarsi dei profughi siriani la responsabilità è:
  • di Obama
  • di Cameron
  • di Hollande
  • di Merkel
  • di tutti gli emiri della Penisola Arrabbiata.
Solo nomi, rappresentanti di particolari interessi di classe. Nomi che non hanno fatto niente, anzi: hanno fatto di tutto perché si verificassero le condizioni di una simile sciagura. E ancor più responsabili perché, nel lasso di tempo che va dalla crisi da loro provocata¹, al primo stazionamento dei campi profughi ammassati in territorio turco, fino alla constatazione palese che quelli del Daesh sono puro orrore, non hanno ancora intrapreso un'azione militare di contrasto efficace contro il proclamato Stato islamico e, parallelamente, un'azione umanitaria a sostegno degli sfollati.

Nomi, fatti sottaciuti. Rimossi.
Ci sono due tipi di scafisti criminali: quelli che conducono ‘carrette’ cariche di profughi da una riva all'altra del Mediterraneo, e quelli (dentro la metafora), che conducono la carretta politica del mondo. Quale conduzione produce più vittime collaterali non c'è bisogno di dirlo, di fare nomi.
Faremo metafore.
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¹ Col finanziamento diretto e indiretto e con l'addestramento delle formazioni islamiche fondamentaliste avversarie del regime baathista.

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