domenica 29 novembre 2015

Si occupa di social medi

«Qualche sera fa, di domenica, ero a mangiare una pizza con amici: tra questi una ragazza che si occupa di social media. Ha passato tutta la serata su Twitter, perché era un momento importante per la trasmissione tv di cui deve curare l’account.» [via]

Qualche settimana fa, di lunedì, nel tardo pomeriggio, ero in fila alla cassa della coop con altre persone: fra queste una donna, una conoscente, che fa la podologa in varie case di riposo e cura. Aveva passato tutta la giornata a tagliare unghie e calli a mani e piedi di molti degenti, anziani specialmente, mentre guardavano una trasmissione in tv.

sabato 28 novembre 2015

Le cellule della politica


«In un essere umano adulto ogni giorno muoiono dai 50 ai 100 miliardi di cellule. In un anno la massa delle cellule ricambiate è pari alla massa del corpo stesso. Ma in un organismo, non tutte le cellule hanno la stessa durata di vita: in un corpo umano le cellule della pelle vivono in media 20 giorni, quelle dell’intestino 7 giorni, i globuli rossi 120 giorni, quelli bianchi 2 giorni e le cellule neuronali e muscolari per tutta la vita.» [via]

La fretta delle mani


Da una certa età in poi, le abitudini sono un vincolo maggiore degli obblighi perché uniche oasi nel deserto delle ore dovute alla necessità. Dato che lo scorrere del tempo si suddivide tra le rotture di palle e le pacificazioni d'animo (piccoli piaceri inclusi), qualsivoglia distrazione dalle seconde dà al soggetto l'impressione di star perdendo tempo. E siccome il tempo è l'unico capitale dei costretti, Carlo pensò di non poter disperderlo ulteriormente aggirando la questione prima con un invito a bere un caffè, poi con un invito a mangiare qualcosa in quel ristorantino che cucina prodotti a chilometro zero, e poi ancora con una sera a teatro a vedere Lavia («La circonferenza testicolare ha un'estensione limitata», rifletté), o con una giornata intera al centro termale. No. Carlo pensò che quello sguardo cortese e - presumeva - allusivo, che Claudia subito gli concesse fin dalle presentazioni, fosse sufficiente e quindi, senza ulteriori circonvoluzioni, diretto, al primo silenzio che s'interpose al loro conversar cordiale, le disse: «Che ne diresti se ci mettessimo le mani addosso per farsi un po' di bene?». E lei, di colpo, senza la minima esitazione: «Le mani? Uhm... non saprei. Magari i piedi». Carlo che già si congratulava col proprio ardire, socchiuse gli occhi per trattenere il desiderio e disse: «I piedi, già, i piedi... riservano sempre delle sorprese». E lei: «Bravo, soprattutto sono migliori delle mani per dare un calcio sui coglioni».

venerdì 27 novembre 2015

Noti zie? No, tizie

Non ce la faccio più a seguire le notizie. Ma non voglio certo che le notizie seguano me. Purtroppo il mondo è così pieno di notizie che si rincorrono, vere, false, false e vere, comunque notizie. Notizie di qui e notizie di là, infarcite soprattutto di pubblicità. Non si affrontano più le notizie con la gravità e l'impegno che occorrerebbero. Accade una notizia, ci si concentra su quella e si fa in modo che intorno non accada altro da notiziare (!) sennò si perde la concentrazione e, a poco a poco, l'interesse per l'accaduto. Invece niente, arriva un'altra notizia che strappa la bandierina alla precedente e così via. In questo modo, si producono un sacco di notizie che finiscono facilmente nella spazzatura e quindi nella discarica, quella famosa della dimenticanza, che tutto ingloba, aerei, persone, pellicani impiastricciati di pece. Singolarmente se ne trattiene giusto qualcuna, per il resto ci pensa la memoria collettiva, nazionale e/o religiosa, alla selezione, alla formazione e alla celebrazione delle ricordanze.
La notizia che oggi vorrei trattenere è quella del figlio di un presidente di una nazione che fa parte della Nato, il quale è un imprenditore commerciante di idrocarburi provenienti dalla zona controllata dal cosiddetto Stato islamico del levante.

mercoledì 25 novembre 2015

Incomprensioni

Era stanco, tanto stanco, ma era una stanchezza sopportabile. Aveva soltanto bisogno di un po' di comprensione e la cercò.
Telefonò alla mamma, ma era impegnata a fare le parole crittografate.
Telefonò alla zia, ma stava recitando il rosario delle cinque.
Telefonò alla sorella, ma stava facendo la spesa di corsa perché poi doveva andare a prendere Simone, suo nipote, agli allenamenti.
Telefonò a suo cugino, ma stava andando in palestra.
Telefonò a un'amica e non rispose.
Telefonò alla sua ex moglie e lo mandò a fare in culo.
Telefonò a suo figlio, ma stava studiando, domani aveva un esame importante, «come di quale corso, babbo, possibile che non ti ricordi mai niente di me?».
Telefonò a una cinese, le disse l'indirizzo, tre volte glielo disse ché lui non capiva le vie in cinese, sono terribili gli eroi del risorgimento da pronunciare in cinese, e ci andò. Lo fece accomodare in una stanza semifredda – il fancoil era stato appena acceso – e con un leggero puzzo di menta e di sudore.
«Plima pagale» e lui pagò, si spogliò e si distese su un letto coperto di carta assorbente e un cuscino da cani. Chiuse gli occhi, sorrise e si comprese da solo.

martedì 24 novembre 2015

La parola a un generale

«Sul piano tattico la guerra dichiarata è perfettamente simmetrica ed equilibrata. Alle bombe degli attentati corrispondono le bombe dei caccia e dei droni, ai civili ammazzati a Parigi corrispondono i civili ammazzati a Raqqa e così via. Questa guerra è bestialmente antiquata e meccanicistica nella sequenza di azione e reazione uguale e contraria. In termini concettuali abbiamo appena scoperto le chiavi della guerra asimmetrica in tutte le sue forme ed elaborazioni e sul campo si ritorna al delirio del dente per dente. Sappiamo bene l’importanza militare di conservare l’iniziativa e l’abbiamo abbandonata per sottostare all’iniziativa altrui concependo e organizzando soltanto risposte.
[...]
Infine, si tratta l’Isis come se fosse uno stato e uno stato sponsor del terrorismo. Non è vero: non è uno stato e quindi non è sponsor, ma agente del terrorismo. Sono invece sponsor del terrorismo tutti quegli stati e non-stati che sponsorizzano l’Isis. Che alimentano il mercato nero del petrolio, delle armi, dei reperti archeologici, e pagano i riscatti, sottostanno alle estorsioni e forniscono le compagnie di facciata per le speculazioni finanziarie e le imprese commerciali. Ognuna di queste attività di sostegno ha uno o più nomi noti anche se diversi insospettati. Oltre ai legami sauditi e degli emirati o a quelli turchi esistono addirittura organizzazioni curde che si avvalgono d’intermediari occidentali per fare affari con i terroristi. I legami degli interessi, specialmente se sporchi, sono più forti del ribrezzo dei massacri.» [via]

For 17 seconds

Wikileaks
Il secolo scorso le nazioni, - ovvero chi le comandava a vario ordine e titolo, per conto di interessi tutti riconducibili al truce desiderio d'espansione di ogni rispettivo capitale nazionale - per scatenare le due carneficine mondiali, aspettarono la prima volta che fosse ammazzato un arciduca erede al trono, la seconda l'invasione della Polonia. 

Ora, a me sembra incredibile che, a causa del carnaio siriano - provocato sappiamo da e per conto di chi - e del fascitume oligarca ucraino, si vada incontro a un conflitto mondiale di portata incalcolabile. 

Ok, ogni volta c'è un imbecille testadicazzo con il cerino in mano. Però se poi brucia il mondo la colpa sarà di tutti i fiammiferai.

Nel caso specifico: vedremo se ci saranno dei bravi pompieri che riusciranno a spegnere prima di tutto i presenti roghi e, allo stesso tempo, a stampare un estintore in faccia a quella merda di Erdogan.

________
Neanche una settimana fa c'è stato il G20 in Turchia e non ha avuto il coraggio di dire niente in faccia all'ex "amico" Putin. Ma già... ideona: l'Onu incarichi subito Berlusconi, amico di entrambi, di fare da paciere.

L'orgoglio dei figli di puttana


Sono una massa di figli di puttana che giocano con gli aeroplanini per difendere qualche chilometro di spazio aereo nazionale. Che stronzo lo turco (Erdogan).
Se servisse a qualcosa la sovranità nazionale, nella riunione d'urgenza della Nato richiesta dai principali fiancheggiatori (insieme all'Arabia Saudita ecc.) dello Stato islamico, l'Italia dovrebbe chiedere l'espulsione della stessa Turchia dalla Nato. 

Ma l'Italia non conta un cazzo. Mi auguro soltanto che l'America mantenga calma e gesso e soffochi l'orgoglio demoturco d'Erdogan.

lunedì 23 novembre 2015

Pensieri sporchi

Data l'emergenza terrorismo, la Francia ha chiesto ai partner europei di sforare il patto di stabilità per motivi di sicurezza. Concesso.
Quanto costa una portaerei in missione al giorno?
Data l'emergenza povertà, la Grecia chiese ai partner europei di sforare il patto di stabilità per rispetto e salvaguardia della dignità umana. Rifiutato.
Quanto costa un disoccupato con famiglia a carico al giorno?

O Aleppo, quanto mi manca il tuo sapone! Riusciranno a commercializzarlo ancora? Sempre prodotto su base vegetale, senza sego umano, naturalmente.

domenica 22 novembre 2015

La più efficiente delle costruzioni politiche

Quanto segue sono delle considerazioni scaturite dalla lettura dell'intervista di Limes a Georges Friedman, prestigioso analista dell'Amministrazione americana, che ho scoperto grazie alla segnalazione de Lo Zittito.

LIMES Anche Hegel poneva, almeno temporaneamente, lo Stato nazionale al centro delle sue teorie. Gli Stati sono ancora i principali protagonisti delle relazioni internazionali?

FRIEDMAN Decisamente sì. Per Hegel lo Stato nazionale rappresentava una costruzione storica destinata a essere superata nel tempo, come accaduto in passato alla polis greca. Ciò nonostante, in attesa di un soggetto politico che lo sostituisca, lo Stato ci appare ancora come la più efficiente delle costruzioni politiche. Mentre le forme non statali, siano esse informali o di estensione internazionale, non sono «hegelianamente» in grado di fare la storia. Lo dimostra in questi giorni il conclamato fallimento dell’Unione Europea.

Perché la forma Stato-nazione perdura? Perché essa «ci appare ancora come la più efficiente delle costruzioni politiche»?
Non vi è alcun dubbio che lo Stato, nelle varie declinazioni politiche adattatesi all'evoluzione storica delle diverse società che contiene, sinora si sia dimostrato l'organizzione politica migliore per dare compiutezza alla forma valore. Ciò significa che per ogni Stato, in cui vige il moderno sistema economico e produttivo capitalista, l'obiettivo primario e ineludibile è la realizzione di profitti ottenuti dalla vendita e dallo smercio della produzione complessiva nazionale; produzione, beninteso, che è diversamente strutturata per ogni società: dalla libera impresa, al controllo statale diretto nella produzione.
L'importante, insomma, per ogni Stato è riuscire a ottenere un realizzo per la capacità produttiva nei vari settori economici: primario, secondario e terziario [¹].
Da notare che mentre le organizzazioni statali pre-capitaliste fondavano il proprio impero sulla schiavitù o sullo sfruttamento diretto dei territori e dei popoli conquistati, i moderni Stato-nazione borghese – a parte numerose eccezioni che sono spesso regola – non vivono più sulla schiavitù o sulla vessazione diretta e conclamata delle popolazioni. Sulla carta perlomeno nessuno sfrutta più nessuno.Vende. Con una certa necessità
le nazioni marittime, come in passato la Gran Bretagna e oggi gli Stati Uniti, possono accedere al commercio con maggiore facilità, perché non hanno bisogno di costruire strade o ferrovie per vendere le loro merci. Mentre Russia, Germania o Cina sono costrette a spendere in infrastrutture e ad attraversare territori altrui per ottenere lo stesso risultato.
Come vedete, lo stesso hegeliano d'America capisce questa importanza. Ma – e con questo viro verso la conclusione – perché data questa consapevolezza, George Friedman risponde così su Marx?

LIMES [...] Che ne pensa del marxismo?

FRIEDMAN La geopolitica deve moltissimo a Marx. Il Capitale è un testo fondamentale e al filosofo di Treviri va riconosciuto d’aver distinto con esattezza le diverse fasi del ciclo economico capitalistico (boom-bust-boom). Così il materialismo storico possiede notevole pregnanza e io stesso, in un certo senso, sono un materialista che pone lo Stato al centro della sua analisi. Tuttavia Marx ha invalidato il proprio ragionamento concentrandosi sul concetto di classe. Così già nel 1914-18, e più ancora nel 1939-45, le sue teorie potevano considerarsi superate. Ossia quando ai proletari del mondo, cui era stato spiegato di appartenere a un’unica grande classe internazionale, fu chiesto di uccidere altri proletari perché cittadini di uno Stato straniero e nemico. In quello stesso istante la realtà geopolitica frantumò l’ideologia comunista.


Orbene, chi è che, dopo aver spiegato spiegato ai proletari del mondo di appartenere a un'unica grande classe, gli avrebbe chiesto di «uccidere altri proletari perché cittadini di uno Stato straniero e nemico»? Marx?
Ora, nei limiti delle mie letture, Marx parla, è vero, «di trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione» nell'auspicio della «scomparsa dell'antagonismo delle classi». Parla anche di dittatura del proletariato, da intendere come fase “statuale” di passaggio, di transizione verso una società senza classi e senza Stato.
L'unico Stato-nazione comunista dell'epoca era la Russia che, in quegli anni tra le due guerre, a tappe forzate, ha compiuto il passaggio da un sistema economico produttivo feudale basato essenzialmente sull'agricoltura al moderno capitalismo. Tutti gli altri partiti di ispirazione marxista presenti nelle varie nazioni europee finirono, obtorto collo, per soccombere alla retorica nazionalista della chiamata alle armi per il supremo interesse dello Stato-nazione.
E anche dopo la Seconda guerra mondiale, Russia e Cina si sono imposti come Stati comunisti finché hanno saputo imporre le loro economie stataliste nel commercio limitato per l'Urss alle nazioni che gravitavano sotto la sua sfera, e per la Cina alla capacità di adattamento e trasformazione in senso capitalistico della propria produzione (sempre sotto il tallone statale).
È chiaro che all'interno della dinamica della forma valore a beneficiarne non è il superamento della divisione in classi, bensì il consolidamento dello Stato-nazione che diventa il vessillo primario al quale si aggrappa prima di tutti il capitale, privato e pubblico, per difendere coi denti e le unghie la proprietà (privata e/o statale) dei mezzi di produzione.
E la nostra epoca conferma che gli Stati-nazione sono l'involucro, l'impacchettamento col fiocco della merce da vendere, quale che sia, legale o illegale, letale o virtuale, eccetera.
Pensa un po' quante cazzo di armi vende la Francia all'Arabia Saudita, principale finanziatore dell'Isis. Un bel cacciabombardiere Rafale, in fondo, non è proibito come uno Chateau Lafite.

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¹Non è il caso adesso di occuparsi sul come ogni Stato-nazione impiega il flusso di risorse e a beneficio di quali particolari interessi.

venerdì 20 novembre 2015

Tre pensieri parigini

Con lo stato di emergenza in corso, Monsieur le Président potrà uscire in scooter sul far della sera per andare dove gli batte il cuor?

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Mi conforta parzialmente aver appreso che i terroristi jihadisti abbiano fatto uso di stupefacenti per darsi coraggio e spegnere la paura - segno, forse, che la fede, anche quando raggiunge certi livelli, da sola non basta e che, anzi, potrebbe addirittura essere curata con qualche farmaco che abbia un principio attivo contrario alle anfetamine: dubbio, timore, esitazione, timidezza, incertezza, inquietudine, inibizione, diarrea.

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“Non ho nessuna intenzione di andare in Francia nel prossimo futuro- spiega Hua Yinqing, consumatore cinese – perché la situazione di crisi non si allevia. La sicurezza personale è una priorità, e per le persone anziane non è opportuno correre rischi”.

È un fatto che l'età media delle vittime dell'eccidio parigino è piuttosto bassa. Qualche giornale si è spinto persino a dire: «I terroristi odiano i giovani», sottintendendo che odiano i propri coetanei. Quindi, il timore del consumatore cinese è fuoriluogo: in Europa, la sicurezza personale delle persone anziane non è minata dalle minacce terroristiche, bensì dalle prospettive pensionistiche.

giovedì 19 novembre 2015

Attenzione alla levatrice

« La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti fondamentali dell’accumulazione originaria. Alle loro calcagna viene la guerra commerciale delle nazioni europee, con l’orbe terracqueo come teatro. La guerra commerciale si apre con la secessione dei Paesi Bassi dalla Spagna, assume proporzioni gigantesche nella guerra antigiacobina dell’Inghilterra e continua ancora nelle guerre dell’oppio contro la Cina, ecc.
I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.
Un uomo che si è fatto una specialità del cristianesimo, W. Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: «Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata»[¹]. La storia dell’amministrazione coloniale olandese e l’Olanda è stata la nazione capitalistica modello del secolo XVII — «mostra un quadro insuperabile di tradimenti, corruzioni, assassini e infamie»[²]. Più caratteristico di tutto è il suo sistema del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava. I ladri di uomini venivano addestrati a questo scopo. Il ladro, l’interprete e il venditore erano gli agenti principali di questo traffico, e principi indigeni erano i venditori principali. La gioventù rubata veniva nascosta nelle prigioni segrete di Celebes finché era matura ad essere spedita sulle navi negriere. Una relazione ufficiale dice: «Questa sola città di Makassar per esempio è piena di prigioni segrete, una più orrenda dell’altra, stipate di sciagurati, vittime della cupidigia e della tirannide, legati in catene, strappati con la violenza alle loro famiglie». Per impadronirsi di Malacca gli olandesi corruppero il governatore portoghese, che nel 1641 li lasciò entrare nella Città; ed essi corsero subito da lui e l’assassinarono per «astenersi» dal pagamento della somma di 21.875 sterline, prezzo del tradimento. Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento. Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti, nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce! »

Karl Marx, Il Capitale, Libro I, cap. 24, paragrafo 6.
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¹ WILLIAM HOWITT, Colonization and Christianity. A Popular History of the Treatment of the Natives by the Europeans in all their Colonies, Londra, 1838, p. 9. Sul trattamento degli schiavi si ha una buona compilazione in CHARLES COMTE, Traité de la Législation, 3. edizione, Bruxelles, 1837. Si deve studiare questa roba nei particolari per vedere a che cosa il borghese riduce se stesso e l’operaio, quando senza alcun impaccio può modellare il mondo a sua immagine e somiglianza.

² THOMAS STAMFORD RAFFLES, late Lieut. Governor of Java, History of Java and its dependencies, Londra, 1817.

mercoledì 18 novembre 2015

Dovrebbero essere giudicati

«Ecco: non so se il governo italiano e quelli europei sceglieranno a questo giro la combinazione giusta. So per certo però che quella dell'altra volta era sbagliata; anzi, non è stata nemmeno una combinazione: si è partiti per il fronte e basta, senza un piano per il dopo e senza uno straccio di strategia di pace con il mondo islamico, trascinando la deriva verso Guantanamo e Abu Ghraib, con tutte le conseguenze che sappiamo.
È stata solo una follia suicida, i cui autori e fautori oggi dovrebbero andarsi a nascondere - o almeno tacere.»

Troppo tenero Giglioli, troppo clemente.
Secondo me non dovrebbero nascondersi o tacere, né tantomeno pentirsi come Blair che, recentemente, ha sparso qualche lacrima pubblica di pentimento ammettendo responsabilità politica e militare dello sconquasso iracheno che ha provocato la nascita, la crescita e lo sviluppo dell'Isis.

Gli autori e i fautori della «follia suicida» (Bush jr. e Blair in testa) andrebbero semplicemente giudicati da un Tribunale penale internazionale, per stabilire se hanno commesso dei crimini contro l'umanità. Per la ex-Jugoslavia ne fecero uno, specifico, che arrivò persino a giudicare e condannare l'ex presidente serbo Milosevic per aver deliberato delle politiche criminali contro determinate popolazioni (e ricordiamo altresì che costui morì pure in carcere all'Aia).

Soltanto così i leader occidentali potrebbero ritrovare un minimo di credibilità riguardo alle imminenti operazioni militari in Siria e in Iraq.

So bene per il Tribunale della storia i “vincitori” non possono figurare mai tra gli imputati. Ma che tipo di vittorie sono state quelle contro Saddam Hussein e contro Gheddafi (soltanto per limitarsi a due guerre di esportazione democratica senza filtro)?
Delle vittorie da condannare. In un tribunale penale internazionale.

Falangi disarmate

Lei aveva tra le mani un libro e lui il vuoto. Lei si mise a leggere e lui a pensare. E pensava: adesso lei legge e io penso che sarebbe bello passarle dodici falangi non armate tra collo spalla e mandibola, piano, delicatamente. Chissà se leggerebbe allo stesso modo o se la smetterebbe di leggere una volta tanto e pensasse alle falangi, anche chiuse a pugno per bussarmi sul petto, così le apro il cuore.

Lei posò il libro e si mise a guardare lo stesso vuoto che lui contemplava da un po'. Era pieno di verde e di tracce d'azzurro quel vuoto; c'era anche qualche sbuffo di fumo che, come un respiro, si levava di tanto in tanto all'orizzonte. Lui le chiese se nelle frasi del libro che stava leggendo ce ne fosse stata qualcuna d'amore. Lei sorrise e rispose che sì, in un certo senso erano d'amore, anche se non erano esattamente d'amore.

«Raccontami allora, di che cosa parla il libro», le chiese stranamente incuriosito. Lei sorrise ancora, questa volta abbassando lo sguardo, come per evitare di offenderlo. Era un libro famoso, parlava di due che aspettavano qualcuno senza sapere chi fosse, né quando sarebbe venuto anche se per loro poteva arrivare da un momento all'altro.

«E dove sarebbe l'amore», la interruppe con tono risentito.
«Nell'attesa», rispose lei.
«Anche noi aspettiamo. Stiamo aspettando da un sacco di tempo. Ma, da quanto ho capito, a differenza di loro, noi due non aspettiamo la stessa persona o la stessa cosa».
«È vero», ammise lei. E continuò: «Ma abbiamo il doppio delle possibilità di trovarla».

Lui riprese a guardare il vuoto e lei a leggere il libro. E le falangi restarono per entrambi disarmate.

martedì 17 novembre 2015

Black Friday

via Al Monitor

Seppur con qualche giorno di anticipo, data l'importanza della commessa.

Ah, l'Arabia Saudita è quella nazione che riassume lo spirito di libertà statunitense: anche nelle pene di morte comminate ai condannati; soltanto in Arabia si esegue nelle varianti previste dalla sharia: decapitazione con la scimitarra (che va per la maggiore), impiccagione e lapidazione (chi è senza peccato scagli stocazzo).

lunedì 16 novembre 2015

La coscienza di Ezio

Dopo aver letto l'editoriale di Ezio Mauro, che non linko, tanto lo si trova facilmente, la prima cosa che ho pensato, come cittadino occidentale,
libero di andare al bar, di correre ad un incontro, di avere in tasca un biglietto per un concerto, ma anche di riunire il Parlamento... 
no, aspetta: riunire il Parlamento non posso farlo, che cazzo penso. Piuttosto  - e ancor mi pento, soprattutto per la presente legislatura - ho contribuito, nell'esercizio di sovranità inutile del voto, a eleggere diversi rappresentanti al Parlamento e finita lì, dacché una volta insediati, i parlamentari si sono sempre riuniti da soli senza bisogno di farselo dire di chi li ha eletti.

Ma a parte ciò, oggi, come cittadino libero occidentale, ho pensato che, probabilmente, uno dei primi effetti della guerra contro l'Isis sarà quello di veder aumentare il prezzo del petrolio. Quindi, liberamente, ho controllato il livello del deposito della caldaia in vista dell'inverno e mi sono detto, previo un controllo rapido al conto corrente (non sia mai che emetta un assegno a vuoto), non sarà meglio che ordini un migliaio di litri di gasolio, giù per su uno stipendio, liberamente speso, anche per il futuro dei figli, ne ho due dai capelli lunghi che fanno diversi sciampi e diverse docce e io responsabilmente, e liberamente, così facendo
costruisco per loro un futuro migliore del nostro presente
e neanche mi dicono grazie, forse perché non si accorgono
«nemmeno più degli spazi di autonomia e di libertà che la democrazia ha aperto nella nostra vita associata, diventando costume condiviso e accettato».
E meno male che, democraticamente, di bagni in casa ne ho due, sennò non avrei neanche la libertà di farmi la barba. O di pensare.

domenica 15 novembre 2015

La necessità di capire

Uno degli articoli più celebri [di Rossana Rossanda] per il Manifesto fu un commento nel quale, pur condannandoli, definì i terroristi rossi degli anni 70 parti dell’«album di famiglia» del comunismo italiano. I terroristi che hanno agito a Parigi non appartengono ad alcuna famiglia culturale europea: come influisce sui modi di contrastarli?
«È una domanda. Vorrei capire: chi sono? Vengono dalla Siria o sono francesi?».
Se si capirà che venivano principalmente dalla Siria sarebbe stata un’operazione più marcatamente militare?
«Sì. Una risposta ai bombardamenti voluti da François Hollande in Siria».
Se i terroristi erano in prevalenza francesi?
«Problema ancora più grosso: allora venivano dalle periferie, si confondono con il disagio sociale».
Neppure per lei sarà però una disperazione assecondabile: le sembrano «i dannati della terra», oppressi in cerca di giusto riscatto?
«No, non sono i dannati della terra. A giudicare dai casi passati non sono neppure i più poveri. Ci sono tracce di disperazione vendicativa: perché un ragazzo si faccia ammazzare serve una decisione. Non posso pensare che siano tutti musulmani integralisti che si fanno uccidere perché sarebbero accolti da bellissime vergini. È un fenomeno che nel ‘900 non c’era, e c’è la necessità di capire come e perché avviene».
Maurizio Caprara intervista a Rossana Rossanda, Corriere della Sera.

Cerchiamo di capire, a tentoni.

La religione può andare bene come causa efficiente – il pungolo – ma non possiamo accoglierla come causa finale. Essa offre un impulso individuale molto potente e pericoloso perché muove l'agire in vista di un fine extramondano e perché, in colui che ne è succube, fa credere fortissimamente in una ricompensa ultraterrena che potrà essere ottenuta soltanto a condizione di compiere determinati atti che prevedono l'altrui massacro e il proprio sacrificio.

Tuttavia, la religione non può essere la causa finale dell'azione terroristica, perché è un altro il fine, estremamente mondano: la creazione di uno Stato islamico che, nelle intenzioni di chi lo governa e di chi vi aderisce, sarà il punto di riferimento religioso e politico (o politico-religioso) della Mesopotamia in primo luogo, e delle altre nazioni a maggioranza islamica in secondo luogo.

L’Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l’arma della “vera religione”.Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la “casa dell’islam”, che include le comunità musulmane all’estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell’Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, così come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l’Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto. [via]

Dunque, se la religione musulmana fosse la causa finale, perché il miliardo e passa di musulmani non si fanno esplodere davanti agli infedeli? Che cosa li trattiene? Perché la stragrande maggioranza di loro si costringe ad andare tutti i giorni al lavoro a sbattersi i coglioni (quando hanno un lavoro), a scuola, a emigrare, a fare digiuni, a seguire precetti, a sentire Salvini o Le Pen eccetera, se in fondo basta uccidere un certo quantitativo di infedeli per avere in fretta quello che forse otterranno dopo una vita di sacrifici?

Perché accade che soltanto una percentuale minima, eppure tanto terribilmente pericolosa, interpreti in siffatto modo alcuni passi del Libro e si immoli in prima istanza per una causa terrena (il successo del Califfato) e, in seconda istanza, per una ricompensa ultraterrena (il paradiso con quattordici vergini, dunque 8x14=112 vergini: anche per Dio inizia a essere un'impresa trovarle)? Inoltre: perché i terroristi omicidi-suicidi sono quasi tutti maschi compresi in una fascia di età dai 16 ai 30 anni?

E ancora:

Perché, come in questo e in altri casi, i terroristi che colpiscono in Europa sono quasi tutti cittadini europei provenienti da famiglie di origine araba presenti sul territorio da più generazioni? Perché il riflusso identitario che gli fa vomitare tutte le lezioni di civismo e convivenza ricevute nelle scuole statali del luogo (e le amicizie e gli amori) non ha colpito prima i padri e prima ancora i nonni? In altri termini: perché la ribellione al sistema di “valori” occidentale agisce hic et nunc? Forse che siano cambiate le condizioni storiche, sociali ed economiche? Forse avere un posto alla Peugeot - ammesso e non concesso che lo abbiano - e diventare forza lavoro del capitale gli mette una tristezza addosso che preferiscono diventare forza lavoro della morte?

Mere domande.

E una risposta: le cause, come insegna il metodo scientifico, non stanno in superficie (o se ci stanno non le vede nessuno, il che è equivalente a non essere in superficie). La religione, per quanto insistano del contrario i teologi e i credenti, è un fenomeno superficiale, che può andare bene giusto per chi crede. Io sospetto vi sia qualcos'altro. Che cosa, è implicito nelle domande. 

sabato 14 novembre 2015

«Barbarie globalizzata»

Un tentativo di comprendere il fenomeno dello “Stato Islamico”

Di Tomasz Konicz, 22 ottobre 2014, via Streifzüge, (traduzione dal tedesco: sinistrainrete.info)
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« Di nuovo. Di nuovo, il presidente degli Stati Uniti mobilita la coalizione di tutti quelli disposti ad entrare in campo contro “il male” (Spiegel Online). Questa volta è il gruppo terrorista “Stato Islamico” (Isis) che deve essere sconfitto in una campagna di tre anni, in cui nella prima fase la Forza Aerea degli Usa estenderà gli attacchi aerei alla Siria. Allo stesso tempo, la Casa Bianca ha chiesto al Congresso la somma di 500 milioni di dollari allo scopo di “addestrare e armare i ribelli siriani moderati”, come ha informato la Reuters.
Questo approccio fa ricordare una fase precedente della guerra civile siriana, cioè quando i servizi segreti occidentali, in intima comunione con i dispotismi fondamentalisti del golfo, come l’Arabia Saudita, hanno appoggiato l’opposizione siriana, appoggio dal quale è nato lo Stato Islamico, oltre a una varietà di altre milizie islamiste. E naturalmente dentro il movimento di opposizione siriana dominano inevitabilmente fazioni fondamentaliste che sono in concorrenza con lo Stato Islamico e lottano contro di esso.
Uno dei principali gruppi ribelli siriani, per esempio, è l’alleanza fondamentalista Fronte Islamico, il cui leader Hassan Abboud è morto recentemente in un attentato presumibilmente realizzato dall’Isis. Il Fronte Islamico rappresenta il maggior contingente tra i ribelli siriani – e ha contatti stretti con il gruppo jihadista al-Nusra.
È questa stessa filiale siriana di Al-Qaeda, lo Jabhat al-Nusra, che sta cercando, dopo una pesante sconfitta contro l’Isis, di prendere le distanze dallo Stato Islamico attraverso la liberazione di ostaggi americani. Di conseguenza, questi ribelli “moderati” del futuro completeranno la loro formazione militare nel territorio della democrazia di riferimento che è l’Arabia Saudita.
Parlando chiaramente: l’Occidente è ancora una volta in procinto di armare gli islamisti per combattere gli islamisti – e, allo stesso tempo, di proseguire i suoi interessi geopolitici, che nel caso della Siria mirano a rovesciare il regime di Assad. Si pone la questione di sapere quale gruppo jihadista, che ancora fa parte dell’”opposizione moderata”, andrà di nuovo fuori controllo entro alcuni anni e dovrà essere eliminato per mezzo di un intervento militare. L’Occidente, nella sua lotta contro i mulini al vento del fondamentalismo islamico, è come il famoso apprendista stregone che non riesce più a liberarsi degli spiriti da lui evocati a fini strumentali in questa regione scossa dal fallimento dello Stato.
Non è solo la geOpolitica dell’Occidente che dà forza agli jihadisti. I paesi occidentali servono anche come un importante campo per il reclutamento dell’Isis. Circa 3.000 jihadisti dell’Europa Occidentale, Usa, Canada e Australia combattono nelle filiere dello Stato Islamico secondo la stampa americana. Dei circa 31.500 combattenti che hanno aderito a questa struttura terrorista, circa un terzo è stata reclutata all’estero – principalmente grazie ad una campagna di reclutamento sofisticata.
Un attentatore suicida dell’Isis imprigionato nelle regioni curde autonome della Siria ha raccontato ad alcuni rappresentanti dei media di un flusso costante di turisti jihadisti da tutto il mondo che desiderano unirsi ai gruppi di combattimento di questo esercito terrorista:
Ci sono nazionalità di tutto il mondo. Tra loro molti britannici. Vengono da paesi asiatici, dall’Europa e dall’America. Vengono qui da ogni parte”.
L’Isis, dunque, rappresenta una specie di sottoprodotto della globalizzazione capitalista in crisi. Non si tratta qui di un’insorgenza nativa, tradizionalista ed emersa da associazioni di clan e “tabù” regionali, ma di un esercito di occupazione, globalizzato al più alto grado, che si è costituito nelle regioni al collasso economico-sociale e politico della Mesopotamia. Quindi, lo Stato Islamico massacra non solo gli “infedeli”, ma anche i sunniti che osano opporsi al dominio straniero. Quasi 700 membri di un’associazione di clan sunniti nell’est della Siria sono stati letteralmente massacrati dall’Isis a metà agosto, dopo che i loro leader tribali avevano rifiutato fedeltà ai jihadisti.
Ma qual è la natura del “dominio straniero” che – perlomeno nella sua leadership – la truppa jihadista, in gran parte nuova arrivata, cerca di costruire in questa regione al collasso? Quella che si è materializzata nella forma dell’Isis è una caricatura furiosa, un negativo della forma più efficiente dell’organizzazione generata dal tardo capitalismo: le grandi imprese transnazionali. Lo Stato Islamico è un’altamente efficiente “macchina da soldi” (Bloomberg), che è riuscita a produrre un “flusso di entrate di cassa” permanente grazie agli introiti del petrolio e di altri rami del business del crimine organizzato. “Lo Stato Islamico è, probabilmente, il gruppo terrorista più ricco mai conosciuto”, ha detto un analista americano a Bloomberg.
Questa impresa terroristica, che pubblica regolarmente “Rapporti e Bilanci”, ha una struttura interna di comando altamente efficiente e una macchina militare molto efficace, dispone di un dipartimento professionale di pubbliche relazioni che si dedica con molto successo a reclutare nuovi membri – e pratica il Lean Management dei territori conquistati, la cui amministrazione è lasciata alle autorità locali, a condizione che giurino fedeltà e prestino vassallaggio al “Califfato”. Le ramificazioni internazionali di questa “macchina da soldi” jihadista non si limitano alla struttura della sua associazione: il finanziamento iniziale dell’Isis è stato realizzato con l’appoggio finanziario internazionale dei sostenitori ricchi degli Stati del Golfo.
La differenza principale tra la grande impresa globale e lo Stato Islamico è che l’accumulazione di capitale è il fine in sé di tutte le attività delle grandi imprese multinazionali. E tutte le devastazioni e distruzioni che il tardo capitalismo provoca agli individui e all’ambiente sono solo dei sottoprodotti della ricerca cieca e senza limiti della valorizzazione del capitale, in cui al dunque consiste il nucleo irrazionale del modo di produzione capitalista. Per lo Stato Islamico, tuttavia, l’accumulazione di capitale rappresenta solo un mezzo per un altro fine irrazionale, che consiste in un lavoro di distruzione e annichilimento il più efficienti possibile. Non è altro che questo che presentano i “Rapporti e Bilanci” dell’Isis, elenchi di operazioni terroriste di successo di questa “impresa”. Dunque, la tendenza implicita all’autodistruzione inerente al capitalismo, nel caso dell’Isis viene apertamente alla luce del giorno, rendendosi esplicita.
Così lo Stato Islamico usa le forme più efficaci e i metodi di organizzazione più razionali, prodotti dal tardo capitalismo tormentato dalla crisi, alla ricerca di un obiettivo folle e allucinato: l’annichilimento letterale di tutti gli infedeli. Qui ormai diventa chiaro un paragone con il fino a d’ora maggior collasso della civilizzazione della storia mondiale, il lavoro di annichilimento del nazionalsocialismo tedesco. Anche i nazisti fecero uso delle forme e dei metodi di organizzazione all’epoca più moderni per creare una fabbrica fordista di morte ad Auschwitz, il cui “prodotto”, prodotto come in una linea di montaggio, era il fumo dei corpi umani inceneriti che saliva dai crematori. Così come i nazisti, nel delirio razzista, costruirono un’efficiente fabbrica negativa della distruzione umana, per “pulire” il mondo da ebrei, zingari, subumani slavi o bolscevichi, anche l’Isis si costituisce sotto la forma di organizzazione di una grande impresa negativa per perseguire il suo obiettivo delirante di un califfato mondiale religiosamente puro. La razionalità economicista del capitalismo occidentale, che è continuamente migliorata con il proposito di un’accumulazione più efficiente di capitale, vira così nella barbarie nuda e cruda per mano dell’Isis.
Nella grande impresa terrorista stabilita dallo Stato Islamico si riflette, così, l’irrazionalità in crisi della socializzazione capitalista. Intanto sembra stiano arrivando i primi franchising al mercato del terrore globalizzato, tentando di copiare la ricetta del successo dei massacri dell’Isis. La “crescente popolarità” dell’Isis nel sud-est asiatico potrebbe portare con sé minacce alla sicurezza a lungo termine, come ha avvertito Al Jazira a metà luglio. Infatti, il gruppo terrorista nelle Filippine, Abu Sayyaf, ha aderito recentemente allo Stato Islamico. Anche gli jihadisti dell’Africa occidentale di Boko Haram, che secondo il Neewsweek controllano un “territorio delle dimensioni dell’Irlanda”, tentano di imitare il procedimento dell’Isis con la dichiarazione del loro “Califfato” africano.
Per cosa concorrono i gruppi terroristi nel mercato globale del terrore? Oltre ai contributi finanziari dei sostenitori ricchi dei dispotismi della penisola arabica, è soprattutto per la merce che il tardo capitalismo getta fuori in quanto superfluo: esseri umani. Molti degli attacchi e delle azioni spettacolari dell’Isis – come per esempio la recente occupazione della diga nei pressi di Mosul – mirano a un effetto propagandistico, con il quale si pretende accelerare il reclutamento di nuovo materiale umano. Con successo, come mostra uno studio negli Usa. Così, in particolare i talebani afgani, che sono sotto un’enorme pressione militare, hanno subito un amaro esodo di combattenti stranieri che ora penetrano in direzione della Siria e dell’Iraq per congiungersi agli jihadisti locali:
Combattenti dell’Uzbekistan, della Cina e della Cecenia hanno poche possibilità di tornare nei loro paesi d’origine, ma sanno che sono i benvenuti in Siria e in Iraq, dove Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico lottano contro il presidente siriano Assad, uno contro l’altro, e nel caso dello Stato Islamico, contro i curdi, gli iracheni e perfino contro l’Iran”.
È l’ammissione del fallimento completo della brutale “guerra contro il terrore” occidentale, che ha finito per essere effettuata con metodi terroristi. Dopo circa 13 anni, è sorta una classe globale di decine di migliaia di guerrieri religiosi senza patria, la cui patria è la “Guerra Santa”. In contrasto con la rete globale di Al-Qaeda, questa nuova generazione di jihadisti sta cercando di conquistare e mantenere territori nelle aree al collasso del mercato mondiale, per realizzare il suo delirio di un Califfato globale.
Lo Stato Islamico, nuotando nel denaro, può ricorrere a una moltitudine di giovani economicamente “superflui” che nella periferia del sistema capitalista mondiale – e, sempre più, nei centri – conducono una vita marginale e miserabile. Una paga di poche centinaia di dollari al mese e la speranza di un paradiso nell’aldilà sono sufficienti in molti casi per motivare questa gente senza prospettive, che vegeta nell’inferno degli Stati e delle società fallite, per entrare nelle fila dell’Isis.
Ma cosa ha portato migliaia di musulmani dell’Occidente a unirsi alle reti terroriste jihadiste? Uno studio dell’Istituto per la Difesa della Costituzione, che ha analizzato i curriculum di circa 400 islamisti che hanno viaggiato dalla Germania per la “Guerra Santa”, è giunto alla conclusione per cui i musulmani che si sono uniti agli jihadisti erano in gran parte emarginati. Solo il 12% di questi guerriglieri religiosi aveva un impiego regolare, la stragrande maggioranza nel settore dei bassi salari. Solo il 6% ha terminato un corso professionale e il 2% ha una laurea. Circa un terzo di questi islamisti già in precedenza era entrata in conflitto con la legge, principalmente in relazione alla piccola criminalità tipica del ghetto. Per la maggior parte, quelli che hanno lasciato il paese erano membri del ceto più basso, che ha condotto una vita precaria ai margini della legalità nei ghetti informali di stranieri nella Repubblica Federale Tedesca – fino a cadere in mezzo ai salafiti. E’ significativo che solo nel 23% dei casi i paesi di questi guerriglieri religiosi erano praticanti dell’Islam fondamentalista. Un buon esempio di una carriera, dalla microcriminalità del bambino del ghetto al guerrigliero religioso, è il caso del rapper Denis Cuspert, che intanto è asceso al circolo ristretto della leadership dell’Isis.
Così non sono in alcun modo i musulmani aggrappati alla tradizione che si aggregano alla guerra terrorista, come ha detto anche Tarfa Baghajati, presidente dell’Iniziativa degli Austriaci-Musulmani, in un’intervista a Radio Free Europe. Ci sono una serie di fattori ai quali si deve il successo del reclutamento dell’Isis in Europa, afferma Baghajati:
Da notare, in primo luogo, che i giovani che si uniscono a questi gruppi non avevano precedentemente forti legami con l’Islam né con altri musulmani. Non hanno mai visitato moschee e alcuni di loro nemmeno sanno come pregare. E’ per questo che la loro esperienza religiosa ha una carica emozionale molto forte… Il secondo fattore è che questi giovani non si vedono come parte della società occidentale. Essi non sono stati capaci di impegnarsi postivamente in essa. Inoltre, c’è la discriminazione e indirettamente la discriminazione contro l’Islam e contro i musulmani, riassumibile nel concetto di islamofobia”.
I musulmani reclutati dall’Isis nei paesi dell’Occidente non si vedono come parte di queste società, perché non lo sono, perché sono esclusi dalla società del lavoro capitalista in crisi attraverso l’emarginazione economica e il razzismo crescente. L’ascesa del razzismo e dell’estrema destra causata dalla crisi in tutta Europa, che si manifesta nei successi elettorali dell’AFD tedesca, dell’UKIP britannico o del Fronte Nazionale francese, si propone di fatto l’esclusione economica dei gruppi che non sono considerati parte della “comunità nazionale” (“lavoro prima a chi è tedesco”). L’estrema destra, che promuove l’esclusione di determinati gruppi della popolazione, rappresenta, quindi, un’arma ideologica nella lotta della concorrenza in crescita a causa della crisi. Non sorprende, pertanto, che a livello europeo l’Isis sia riuscita a reclutare il maggior contingente di combattenti in Francia, il paese delle banlieues del Fronte Nazionale, afflitto dalla crisi.
Lo spostamento verso l’estremismo islamico tra i musulmani europei rappresenta, così, uno sviluppo parallelo all’aumento, provocato dalla crisi, dell’estrema destra in Europa. Lo jihadismo militante e terrorista è, in ultima analisi, una modificazione religiosamente dissimulata dell’estrema destra, una specie di fascismo clericale postmoderno e globalizzato. Mentre in Occidente l’identità nazionale serve da terreno fertile per la crescita delle ideologie fasciste e di estrema destra, nel circolo culturale arabo la religione funziona come questo stesso terreno che produce fantasie di annichilimento. La categoria di razza, che incendiò la furia distruttiva fascista in Europa, è stata sostituita dalle categoria degli “infedeli” nello jihadismo clerical-fascista.
Tanto l’islamismo come l’estrema destra europea rappresentano inoltre un estremismo del “centro” che porta all’estremo una visione del mondo chiusa nelle idee e nelle opinioni ideologiche dominanti nella società. Nel caso dell’Islam è la religione che occupa una posizione egemonica nel “centro” delle società arabe; nel caso dell’estrema destra, ciò che è portato all’estremo è l’identità nazionale, da tempo tramutata nell’idea di luogo di investimento economico. Entrambe le ideologie possono anche essere descritte come postmoderne perché rappresentano una via di fuga ideale dalla crisi e dal fallimento della modernità capitalista.
L’”estremismo del centro” islamista in ultima istanza può anche essere visto come una variante del fascismo clericale. Il fascismo – sia il nazionalsocialismo tedesco, il fascismo cattolico di Franco in Spagna, o la dittatura fascista di Pinochet nel Cile – rappresenta una forma apertamente terrorista della crisi del dominio capitalista. Le tendenze dell’estrema destra e fasciste guadagnano sempre forza quando la società capitalista borghese-liberale entra in una crisi economica o politica che minaccia la continuazione di tutto il sistema, o anche sembra solo minacciarlo (la crisi economica mondiale in 1929, la vittoria del Fronte Popolare in Spagna nel 1936 o la vittoria elettorale di Allende in Cile nel 1970).
Sia nelle grandi città dell’Europa che nelle regioni al collasso della Mesopotamia – il processo di costituzione dell’estrema destra, tanto razzista quanto clericale, si sviluppa con traiettorie molto simili. In reazione agli shock della crisi, alla dissoluzione dell’ordine esistente, comincia molto spesso una produzione forzata di identità nelle società in causa. Se tutto si dissolve e va in disordine, gli individui predisposti all’autorità chiedono un appoggio – e lo riescono a trovare solo nell’identità, in quel che sembrano essere: tedesco, francese, sciita, sunnita. La paura del futuro e le rotture incomprese portano alla nostalgia di anteriori idilliaci stadi della società del tutto immaginari; sia lo Stato-nazione razzialmente puro o il Califfato medievale.
Il grande autoinganno in questa devozione alla politica dell’identità, chiaramente, è nel fatto che queste identità ormai sono costituite solo in interazione con la società capitalista in crisi e, dunque, sono solo espressione identitaria del processo di crisi del tardo capitalismo. Ciò che è comunemente inteso come “identità tedesca”, nella Germania contemporanea, ha ben poco a che vedere con la Germania di inizio Impero e ancor meno con quella dell’Assemblea di Paulskirche [1848/1849, N.T.]. Lo stesso si applica all’Islam, che molto spesso era molto più tollerante, specialmente all’inizio dell’Età Media, di quanto vorrebbero ammettere gli attuali combattenti religiosi e i costruttori postmoderni del Califfato. Basta ricordare qui, a titolo d’esempio, che gli ebrei della Spagna, specialmente nella fase iniziale del dominio dei Mori (dal 711 fino alla caduta del Califfato di Cordoba nel 1031) godevano di ampia libertà religiosa e sicurezza giuridica; furono espulsi dai Re cattolici solo dopo la riconquista definitiva nel 1492.
L’attuale orientamento indotto dalla crisi verso l’identità nazionale o religiosa, che è vista in maniera allucinata come un continuum storico e immutabile, è quasi sempre associato alla personalità autoritariamente strutturata delle persone in causa. L’islamista postmoderno si sottomette all'interpretazione rigida del Corano in modo tanto cieco quanto i partiti di destra applicano le sacre leggi del mercato e del culto del capitale (nella forma di una nazione ridotta a luogo di investimento economico). In entrambi i casi, la sottomissione porta all'odio verso tutti quelli che non appaiono applicare ciò allo stesso modo (infedeli, “parassiti sociali”, disoccupati etc).
Dalla consonanza che caratterizza tanto il fascismo europeo quanto quello islamico, di sottomissione e di odio, risulta che questa sottomissione è pagata con la rinuncia alla pulsione. I portatori di queste ideologie soffrono segretamente, sotto le linee guida e i comandamenti aberranti dettati dal feticcio, il Corano e il capitale, situazione in cui la personalità autoritariamente strutturata esclude una ribellione contro queste fonti di sofferenza. Ecco perché la rabbia così repressa è diretta contro nemici esterni immaginari. E’ inoltre inerente a entrambe le ideologie un’illusione di purezza tipica della fissazione anale, che nel caso dell’estrema destra si applica come difesa contro i parassiti della purezza del popolo, della nazione, o del luogo di investimento economico, mentre nell’islamismo è distorta dalla mania di preservazione del culto religioso.
Le disposizioni autoritarie che guidano l’estrema destra, tanto araba come europea, sono acquisite durante la prima infanzia nella famiglia patriarcale o della classe media, designata dallo psicanalista Wilhelm Reich nel suo studio Psicologia di massa del fascismo, pubblicato nel 1933, come la “cellula embrionaria dello Stato autoritario”. Lo Stato e la chiesa continuano la strutturazione autoritaria dell’individuo iniziata nella famiglia patriarcal-autoritaria. Centrale qui è la repressione sessuale, come dice Reich:
La strutturazione autoritaria dell’essere umano…è fatta centralmente per ancorare l’inibizione sessuale e la paura di fronte al materiale vivo delle pulsioni sessuali. Ossia…la sessualità è esclusa dalle traiettorie naturalmente date della soddisfazione dal processo di repressione sessuale, così creando percorsi di soddisfazione sostitutiva di vario tipo. Per esempio, l’aggressione naturale aumenta verso il sadismo brutale”.
Queste osservazioni, tenendo in conto il nazionalsocialismo tedesco, si applicano anche, ovviamente, alla realtà della vita di molti individui nei paesi arabi in crisi. Non è solo nel trattamento brutale delle donne “catturate” dai combattenti dello Stato Islamico che si esprime il “sadismo brutale” costituito dalla repressione sessuale, ma anche i brutali attacchi contro le donne durante la sollevazione in Egitto sono stati alimentati da questa frustrazione sessuale.
In parte, l’aumento negli ultimi decenni della pressione sull’uso del velo in molte società islamiche può essere attribuito all’interazione della dinamica di crisi economica con l’islamizzazione relazionata con la crisi. L’Islam proibisce severamente il sesso prima del matrimonio, ma intanto la crisi della società del lavoro capitalista produce nel mondo arabo un esercito di giovani economicamente superflui, che semplicemente non possono permettersi la fondazione di una famiglia. La repressione sessuale ideologicamente imposta dall’islamismo, dunque, di fronte all’aggravamento della crisi, risulta nell’odio esuberante verso le donne, la cui visione l’islamista può appena sopportare sotto il velo integrale, senza essere sopraffatto dalla sua pulsione sessuale degenerata in mero sadismo.
La messa al bando delle donne dallo spazio pubblico prevista dall’islamismo, tuttavia, è guidata da un altro fattore, che risulta dal fallimento della modernizzazione capitalista di questa regione periferica del mercato mondiale. L’imposizione del capitalismo è stata accompagnata dalla “scissione” di tutti i domini della riproduzione sociale che non possono essere assorbiti dal processo di valorizzazione del capitale, come la cura della casa e il lavoro con la famiglia, che sono stati allora attribuiti alla sfera del “femminile”. Il lavoro con la famiglia e domestico è fino a oggi considerato senza valore, dal momento che non crea valore, non essendo direttamente parte del processo di valorizzazione del capitale. La sfera del lavoro creatore di valore, al contrario, è stata fino a buona parte del XIX° secolo determinata come esclusivamente maschile; l’uomo “duro” che agisce razionalmente deve affermarsi come guadagna-pane nel mercato, mentre alla donna è stata assegnata la sfera privata, sensuale, irrazionale, del prendersi cura e medicare. Questa scissione tra sfera pubblica maschile del lavoro creatore di valore (così come della politica, dell’arte e della scienza) e la sfera femminile del lavoro “senza valore” ha costituito la base della discriminazione delle donne nei paesi capitalisti, che solo nella prima metà del XX° secolo verrà superata, almeno formalmente (il suffragio femminile).
Anche nella famiglia patriarcale medievale – che in più del 90% era di fatto una famiglia di contadini – esisteva una divisione del lavoro tra marito e moglie, ma le loro attività erano in egual modo orientate alla soddisfazione diretta delle necessità e non all’accumulazione di capitale. Le categorie pure di valore e lavoro astratto semplicemente non esistevano, per cui le attività femminili non venivano svalutate. La demonizzazione della donna, del femminile sensuale, cominciò in Europa solo nell’inizio dell’era moderna, sulla scia del collasso dell’ordine sociale feudale medievale e del sorgere dei primi inizi dell’economia capitalista; solo questa portò con sé la scissione, mostruosa e incompresa dalle persone di quel tempo, della sfera del privato femminile relativamente al regime emergente della valorizzazione del capitale. La demonizzazione delle donne si espresse con la caccia alle streghe, che dominò con il pugno di ferro l’Europa e l’America del Nord dal XVI al XVIII e di cui furono vittime decine di migliaia di donne e ragazze. Centrale in quasi tutti i processi, che in maggioranza si svolgevano in tribunali secolari, era l’accusa per cui le presunte streghe avrebbero praticato relazioni sessuali con il diavolo, o con i demoni, al fine di ottenere i loro “poteri sovrannaturali”. Ed è proprio l’allucinata applicazione di queste forze demoniache femminili che venne utilizzata come accusa per il caos in cui si trovavano le società protomoderne in via di trasformazione sistemica.
Non c’è oggi accusa che metta in maggior pericolo di vita una donna in Afghanistan, in Libia o in Arabia Saudita quella di avere relazioni sessuali extraconiugali. La trasformazione sistemica verso il capitalismo e verso il mercato mondiale, che impiegò secoli sanguinari per completarla in Europa, ha fatto irruzione nella periferia con l’intensità di una catastrofe naturale, che ha avuto luogo in molto meno tempo (alcuni decenni), con la concomitante scissione dei domini della vita connotati con il femminile e senza accesso alla valorizzazione del capitale – e deve conseguentemente aver avuto una pressione ideologica per la legittimazione molto più elevata, pressione di fronte alla quale le strutture patriarcali tradizionali dovevano essere poste in concordanza con le “nuove” forme capitaliste della socializzazione.
La grande differenza storica tra l’Europa e l’Arabia è che la modernizzazione capitalista è fallita tra lo Hindu Kush e le Montagne dell’Atlantes. In questi paesi colpiti dalla crisi, spesso già colpiti dal crollo dello Stato, non si va ormai stabilendo alcuna società capitalista del lavoro, capace di promuovere la secolarizzazione di queste società. Il crollo della modernizzazione e la dinamica di crisi che con quello si diffonde porta così a un indurimento dell’ideologia di crisi islamista e all’autentico tabù del femminile: come se l’occultamento totale e la messa al bando della donna dalla vita pubblica permettessero agli uomini, malgrado la crisi globale del capitale, di continuare a operare come soggetti autocratici del mercato.
Nel presente barbaro dell’ideologia e della pratica islamiste, l’Occidente liberale capitalista ritrova, quindi, gli echi del suo passato sanguinario. Di più: il nucleo barbaro della socializzazione capitalista viene a galla nell’islamismo estremista così come nell’estrema destra. Riflessa negli orrori dello Stato Islamico, la comunità occidentale del valore si guarda allo specchio. Niente potrebbe essere più sbagliato che accreditare candidamente lo “scontro di civiltà” proclamato da entrambi i lati estremisti. La cultura occidentale non è il polo positivo opposto al delirio jihadista. Nell’attuale crisi sistemica, tanto l’estrema destra quanto l’islamismo sono distillati dai centri occidentali liberali del sistema capitalista mondiale.
Ovviamente, come esposto in precedenza, sul piano geopolitico l’appoggio politico, finanziario e militare allo jihadismo dagli anni ’80 del XX° secolo – quando i fondamentalisti islamisti sono entrati in Guerra Santa contro il comunismo ateo in Afghanistan, con l’appoggio dell’Occidente – fa parte della geopolitica dell’Occidente. Un certo Osama Bin Laden potette fare la sua prima esperienza militare sotto la tutela della CIA in Afghanistan. L’Arabia Saudita, il regime fondamentalista più brutale del mondo, è una stretta alleata dell’Occidente, armata al più alto livello con forniture di armi di migliaia di milioni di dollari.
Ma è soprattutto la crisi economica che emana dai centri e devasta la periferia che in primo luogo crea le schiere di giovani economicamente superflui che, in assenza di prospettive, sono pronti a unirsi al culto della morte degli jihadisti. La sopravvivenza ardua nell’inferno delle economie al collasso dell’Iraq, della Siria o dell’Afghanistan è talmente insopportabile che essi sono disposti a scambiarla per la prospettiva illusoria di un paradiso nell’altro mondo.

Infine, i riflessi ideologici e identitari di questo processo di crisi sono molto simili tanto in Occidente quanto in Oriente. C’è un ritorno autoritario dell’identità religiosa o nazionale, che spinge fino all’estremo ideologico le idee nazionali o religiose esistenti e porta a una mobilitazione militante contro i nemici esterni o i dissidenti interni. L’islamismo è così – così come l’estrema destra – un prodotto della crisi mondiale del capitale. »
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Di tale autore, Stampa Alternativa ha reso disponibile una raccolta di articoli dell'autore (si trova anche il presente, in traduzione leggermente modificata).
All'analisi straordinaria di Konicz, aggiungo soltanto una cosa, prendendo spunto dallo Zittito che ha riportato un'intervista al generale Carlo Jean
Data l'«emergenza» e il rinnovato «Stato d'eccezione» che si profila, in breve: data la guerra in corso contro la follia egregiamente organizzata (finanziata dagli stessi capidistato che ora piangono) dello Stato islamico surgivo, per seccare le fonti, l'Europa deve imparare e reagire, in blocco, come Israele, senza tante seghe mentali: spianarli.