domenica 25 dicembre 2016

Il messo (12)

«Mi ricordo – ma forse mi ricordo male – una sera di Natale, su per giù intorno ai venti, ventidue anni, mi ritrovai solo in casa, semisdraiato su un divano rivestito da una tela chiara sulla quale erano tinteggiati dei fiori, forse rose dai lunghi gambi verdi pieni di spine – e io mi punsi – e piansi, sì, mi ricordo che quella sera piansi, per cosa non mi ricordo bene, non credo che Gesù c'entrasse molto, forse un amore andato a male come una banana di tre giorni sopra un termosifone, tutta nera, che se la butti nella spazzatura sovrasta tutti gli odori, ho detto odori per tenerezza di quell'amore, meno di me stesso, che mi sto inventando una ragione per la quale mi ritrovai a piangere, perché io mi ricordo bene il pianto, meno il movente, l'amore che va a male di solito fa piangere, è un pretesto, più probabilmente era la solitudine, ma neanche, il clima natalizio, ovviamente, la finzione atmosferica, le tipiche trasmissioni televisive natalizie, le musichette, il suono delle campane delle chiese, l'amore per mia madre che non riusciva a staccarsi da mia madre, a decollare, io decollato, staccato come ombra da terra dalla famiglia pur non volando, io che non ho mai capito a fondo l'attaccamento alla tradizione, così soffocante, così pretenzioso, irrispettoso degli umori e degli amori, costringente, e forse la vera ragione per cui piangevo era che non riuscivo, come adesso, a parteciparvi con un minimo di convinzione, a predisporre l'animo al flusso della convenzione – e ho trovato tutto questo sempre poco conveniente, poco confacente, non mi si confà neanche adesso, ma faccio poche storie, forse perché a piangere son diventato duro, perché il divano non è a fiori, gli anni sono raddoppiati e non lascio più banane sul radiatore, le mangio subito».

Così Giampiero, tutto d'un fiato, si presentò agli altri, concludendo con un sorriso disteso, come quello che comunemente si nota nelle persone che non hanno più niente da nascondere. Consulente aziendale e capo area di una nota casa farmaceutica, dopo pochi anni di matrimonio, una coppia di gemelli e la voglia di sparire, aveva confessato alla moglie la propria omosessualità e lei, forse perché lo amava, forse perché aveva fatto uno più uno, non l'aveva buttato fuori casa (in pratica, per lavoro, era fuori casa almeno otto mesi all'anno), gli aveva chiesto soltanto di attendere a rivelare ai figli la propria “diversità” almeno finché non fossero stati grandi (e il problema, tra loro, era stabilire a che età lo sarebbero diventati). Lui, perché in fondo le voleva bene, aveva accettato l'accordo ma viveva adesso un momento di crisi perché i bambini facevano la quinta elementare e lui non voleva loro nascondere più niente, sopratutto temeva che avessero saputo di rinterzo qualcosa che avrebbe trasformato la fiducia filiale in una profonda delusione.

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