lunedì 2 gennaio 2017

Il messo (16)

Adesso toccava a lui, Mauro (poco più di trent'anni, una lieve pinguedine e i capelli che parevano reclamare sempre uno shampoo)  e non poteva nascondersi: il giro antiorario delle presentazioni prevedeva il suo turno.
Figlio di piccoli agricoltori specializzati in colture vivaistiche, a lui era destinato continuare l'attività di famiglia, essendo figlio unico e avendo già conseguito, con profitto, la maturità di perito agrario. Ma un giorno di tardo autunno, quando lui aveva poco più di vent'anni, un commerciante di alberi di natale, che da tempo acquistava, presso la loro azienda, un'ingente partita di piccoli abeti, fece sapere ai genitori e a lui che un suo caro amico, responsabile della manutenzione di Autostrade per l'Italia, cercava un giovane esperto di tecnica forestale che si occupasse dell'impianto e della cura delle aiuole, degli spartitraffico e degli svincoli della rete autostradale. Furono i suoi che lo convinsero a tentare tale esperienza lavorativa. Gli dissero che ancora loro ce la facevano da soli a gestire l'azienda; e poi questo avrebbe consentito a Mauro di conoscere il mondo, lui che era sempre stato riservato, introverso, con pochi, anzi: forse nessun amico amico, e delle ragazze, beh, neanche a parlarne. Mauro sulle prime maledì il commerciante, poi vide negli occhi dei suoi un desiderio autentico di allontanarlo, di staccarlo definitivamente dal cordone ombelicale per farlo diventare – mormoravano nella creduta intimità notturna del letto – un vero uomo. Già perché Mauro sin da piccolo, avrà avuto sei o sette anni, appena i suoi si coricavano, aveva preso l'abitudine di alzarsi e di mettersi in silenzio dietro la loro porta per ascoltare, le più volte un bisbiglio che si trasformava presto in un respiro grosso regolare, indice del sonno (cosa questa che lo tranquillizzava al punto di farlo ritornare svelto sotto le coperte per addormentarsi subito) oppure, rare volte, in un respiro affannoso e un muoversi scomposto che non riuscì granché a decifrare fino all'età pubere, o ancora, saltuariamente, in una conversazione abbastanza chiara e scorrevole che proseguiva il discorso fatto a tavola durante la cena – e di esse talvolta era proprio lui l'oggetto del discorso.
Mauro questa storia del vero uomo non l'aveva mai capita. «Cosa voglia dire “vero”, non lo so. Non è già abbastanza essere quel che si è? Perché quello che sono è “falso” e pregiudica la mia esistenza? Non sono un uomo “vero” perché non ho un amico, una donna, un cazzo d'interesse oltre gli studi e la pratica che svolgo in azienda? E mio padre, per caso, è un esempio da seguire in quanto al “vero”?». Fu forse per dare una risposta a questi ricorrenti interrogativi che Mauro acconsentì alla proposta professionale che gli si prospettava.

Il colloquio andò bene, fu assunto in pianta stabile e subito iniziò a svolgere il lavoro in lungo e largo per l'Italia. Più o meno ogni settimana cambiava destinazione e ciò gli impediva naturalmente di mettere radici altrove (e questo era anche uno dei motivi sottotraccia che persuasero i genitori della bontà di quel lavoro). Andava d'accordo con tutti i colleghi, ma con nessuno riuscì a entrare in confidenza. Una volta, l'amico del commerciante, un uomo adulto, già sposato e con prole, lo convinse a trascorrere una serata in un locale particolare a vedere spogliarelliste ed eventualmente – gli disse – portarsele a letto. «A letto dove?», chiese Mauro e l'altro gli dette una pacca sulle spalle come ad una sagoma. Era la prima volta che vedeva una donna nuda dal vivo e questo gli fece pensare che il suo mestiere di giardiniere non era del tutto casuale. Infatti, più che un essere umano, ebbe l'impressione di trovare davanti a sé un angolo di terra in attesa di essere coltivato. Di quella sera, tuttavia, la cosa che più ricorda ancora è il fumo in bocca che gli fu soffiato dalla ragazza che gli si presentò davanti senza veli – e fu da tale esperienza che trasse l'idea, apprezzata dall'amministrazione di Autostrade, di seminare, accanto allo specchio di venere, la menta piperita. Le occasioni di tali serate divertenti si ripeterono saltuariamente, sì che non ebbe modo di diventare dipendente dall'amore a pagamento. Anzi. Da ragazzo parsimonioso qual era, in capo a pochi anni riuscì a risparmiare una bella somma di denaro che avrebbe – pensava – persino permesso al padre di ricomprare un nuovo trattore. Ma non fu così. Sette anni dopo, il padre ebbe un infarto e divenne oramai chiaro a tutti che non poteva più essere lui a dirigere l'azienda. La madre si aspettava, con sufficiente sicurezza, che a questo punto Mauro lasciasse il suo lavoro e ritornasse a occuparsi di quel che un giorno sarebbe diventato suo. Una sicurezza infondata. Infatti, Mauro la prima cosa che fece rientrato al paese, non fu di tornare a casa, ma di iscriversi al corso per capire che cosa fosse realmente quello che in fondo desiderava di più.

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