mercoledì 31 maggio 2017

Il sogno di Giovanni (intermezzo)

A volte sogno di separare me stesso e dispormi su tre piani, scombinandoli, come il corpo di una valletta che un prestigiatore ha appena fatto a pezzi con lame misteriose: e prendo una scatola, quella coi piedi, e la incammino verso Santiago per scoprire se c'è davvero un rapporto tra i chilometri e la fede, e pure se Dio cammina con le scarpe da ginnastica e di quale marca (anima sana in corpore sano?)

Successivamente, prenderei la scatola del centro, quella della vita impropria, nel senso della vita dei pantaloni, o dei bassi desideri dell'impero del peccato: una scatola bandita come primo premio al tavolo del mercante in fiera. Sotto di me il lattante in attesa della balia.

Infine la scatola del giudizio, quella del cervello in una vasca idromassaggio a pensare se vale la pena pensare e darne le risultanze, ad esempio: in questa forma; oppure rinunciarvi, andare in automatico, compiere gesti perché è naturale compierli, come se ci fossero ordinati da una autorità superiore...

martedì 30 maggio 2017

Hypocrite électeur

«Messo alle spalle lo spavento legato alle Presidenziali francesi e minimizzati anche i rischi legati al voto tedesco di fine settembre, i mercati finanziari non hanno mai fatto mistero di puntare tutta l’attenzione sul nostro Paese, ritenuto da molti analisti la vera mina vagante della lunga stagione elettorale europea. Logico quindi che l’ipotesi di una consultazione anticipata, scoprire cioè che il potenziale problema è più vicino, abbia indotto gli investitori a vendere senza mezzi termini gli asset italiani.» via Il Sole 24 Ore
Leggere articoli sul tema è molto istruttivo perché illustrano ottimamente lo stato dell'arte in materia di elezioni libere e democratiche. Il voto dei mercati (questa entità astratta contro la quale si staglia la critica miope dei vari populismi sinistrorsi o destrorsi che siano) ha un peso incomparabilmente maggiore rispetto a quello di – va detto senza infingimenti – tutto il corpo elettorale.

I mercati decidono quale sarà la politica economica del presente e del futuro governo, perché ogni governo, quale che ne sia il colore, o dà conto ai diktat dei mercati o implode.

La politica è ostaggio dei mercati. Ma che cosa si intende con mercati e che cosa essi vogliono?

Facciamo un passo indietro: l'errore più grande che commette ogni politica riformista, compiuto anche dalle politiche che portano avanti istanze radicali (no-euro, no-global) è quello di credere che i mercati siano disgiunti dal sistema produttivo in essere, che siano un'entità astratta che depreda il lavoro onesto e probo di uomini e donne di buona volontà, imprenditori e lavoratori che sono, o diventano, appunto, le vittime predilette dei mercati. Ebbene, se non si corregge questo errore, non ci si accorge che i mercati sono funzionali al sistema, che tutto il sistema economico e produttivo, se non ci fossero i mercati, non avrebbe alcun modo di andare avanti. Non solo piccola e media e grande impresa hanno bisogno dei mercati. Soprattutto: lo Stato, ogni Stato è dipendente dai mercati.

Quando i cronisti parlano di vendere asset non bisogna confonderli con le seggette del w.c. Vendere asset significa vendere il debito (pubblico) senza il quale lo Stato non va avanti. Esempio: se uno Stato non riuscisse a vendere il proprio debito, o se dovesse venderlo a fronte di un esorbitante rialzo degli interessi da elargire ai creditori, in poche settimane fallirebbe e ospedali, scuole, forze dell'ordine, pensioni, tutta la struttura statale, tranne coloro che nelle posizioni di comando avranno possibilità di salire su privilegiate scialuppe di salvataggio, alla Schettino, affonderanno – senza inchino.

Viviamo dentro un sistema economico e produttivo creato dall'uomo che non è dominato dall'uomo, bensì il contrario. Siamo noi a essere dominati da un'astrazione, l'astrazione del valore, nel senso che tutto il fare umano, per valere, o sottostà alla legge del mercato o non vale. Ogni merce, come dimostra in modo irrefutabile l'analisi marxiana della stessa, contiene in sé una doppia contraddizione irrisolvibile (valore d'uso/valore di scambio) dentro l'attuale sistema, giacché tutta la produzione, tutto il lavoro, sotto il capitalismo, viene svolto non per soddisfare i reali e concreti bisogni umani, ma quelli legati ai fini della valorizzazione del capitale – l'astrazione del valore.

Oh, certo: non va dimenticato che esistono, eccome se esistono, coloro che si pascono di questo sistema: ma non è che sostituendoli, o peggio: sacrificandoli (anche se, ogni tanto, per sfizio, appiccicarne qualcuno al muro potrebbe dare un po' di soddisfazione) risolverà la crisi...


Alors, hypocrite électeur, mon semblable, mon frère, che dici: quanto vale il tuo voto? Quanto valgono i voti di tutti? Un cazzo? Aspetta che me lo tocco, per sentire se è in asset.

Player

Raggiunta la quota del 5 per cento, il pastificio La Molisana ora è il quinto player in Italia dopo Barilla, Divella, De Cecco e Garofalo. [via]
Quando qualcuno parla o scrive così, forse pensa così, in questi termini, in termini di player; allora, io capisco che la produzione di pasta, la produzione in generale, è un game, in cui ci sono player in competizione che vanno alla conquista di fette di mercato. 
Fatto 100 il mercato, con quale quota minima si diventa player
Il 5 per cento. Uno sbarramento alla tedesca. Alfano non ci sta: ha legittimamente paura di non continuare a essere un player.

domenica 28 maggio 2017

Essere altro (2)

Circa un mese dopo aver immaginato di essere il capoufficio, Giovanni decise di essere suo cugino, noto avvocato, il quale aveva il suo bello studio nella piazza principale della città. L'idea gli venne quando seppe che il cugino era partito per un lungo viaggio in Polinesia, sogno di una vita che finalmente si realizzava. Così, Giovanni, complice il fatto che anche la segretaria e le stagiste avevano preso ferie, una mattina di buon'ora, di soppiatto, si introdusse nello studio del cugino e vi rimase dopo che il personale delle pulizie ebbe finito il suo lavoro.
Non trascorse neanche mezz'ora che qualcuno si presentò per essere ricevuto. Inventandosi una scusa sul fatto che si trovasse solo senza nessuna segretaria, Giovanni fece accomodare il signore nello studio del cugino, presentandosi come un collega che lo sostituiva fino al termine delle vacanze.

«Avvocato, avevo già spiegato al suo collega la mia urgenza, e mi scuso in anticipo se mi sono precipitato senza preavviso, ma non ho potuto fare diversamente. La situazione è questa: ho intenzione di separarmi da mia moglie».

«Se è questo che desidera, va bene. Dove sarebbe il problema e l'urgenza di risolverlo?»

«Nel fatto che voglio andare a vivere con un'altra. E che quest'altra è incinta e non ne vuole sapere di continuare a nascondersi».

«E dunque?»

«E dunque, se dico a mia moglie che voglio separarmi e andare a vivere con un'altra e quest'altra è incinta, beh, avvocato, è prevedibile che mia moglie me la farà pagare – e cara – la separazione».

«Esclude quindi che sua moglie possa convenire a una separazione consensuale».

«Sì».

«Lei invece vorrebbe separarsi consensualmente».

«Beh, sì»

«Sua moglie sa dell'esistenza dell'altra?»

«No. Almeno credo di no».

«Ha mai manifestato a sua moglie l'idea di separarsi?»

«Sì... o meglio: no. Le dissi tempo fa che ero in crisi, che il nostro matrimonio non funzionava, che bisognava fare qualcosa, le solite scuse per vedere come poteva reagire: un dramma. Per due settimane mi è stata addosso con amorevolezza e attenzione che non hanno fatto altro che aumentare il mio senso di colpa e la preoccupazione nel dirle la verità».

«Avete figli?»

«Sì, due, gemelli, maschio e femmina: fanno le medie».

«Dunque, mi faccia pensare a voce alta: per avere la “consensuale”, bisogna avere il “consenso”. Occorre, cioè, che sua moglie convenga su una decisione che, al momento, è unilaterale, soltanto sua, egregio signore. E come far sì che la povera moglie si persuada della bontà di qualcosa che, al momento, le fa solo orrore? Il nostro è uno studio rinomato per la professionalità e il rispetto della legalità; quindi non possiamo suggerirle o proporle soluzioni ai confini del raggiro».

«Raggiro?»

«Sì, perché – stante così le cose – sua moglie non cambierà idea.

«E come potrei raggirarla?»

«A questo ci potrebbe pensare un'agenzia esterna con la quale saltuariamente collaboriamo per risolvere i casi più complicati. Soltanto, capirà, richiederne i servigi determinerà un aumento della parcella».

«Non importa. Sempre meglio che pagare gli alimenti a vita. Il problema è la fretta»

«Non si preoccupi. Se tutto va per il meglio (il suo meglio), entro due settimane dovremmo vedere i primi risultati».


[...]

sabato 27 maggio 2017

Specchio notte

Nel farsi del buio
la notte si disfa:
un continuo liquefarsi
di sogni rarefatti
che animano corpi disfatti
dal sonno.

Indagarsi: aprire un'inchiesta
su come la notte disponga
noi stessi nel sonno
che spesso ci porta
a sogni che tolgono quiete
al giorno.

Trovare un colpevole
è la via più facile
per lasciarlo fuggire:
a nessuno piace
incarcerarsi
per darsi pace.

La notte è uno specchio
per occhi chiusi:
soddisfatti o delusi
l'immagine che ne ritorna
non dipende da quello che siamo
ma da ciò che vorremmo o fuggiamo.
Un attimo: e ti vengo incontro;
un altro: e subito scappo.

Sul fare del giorno
quando il sonno esaurisce
il suo effetto anestetico
e la coscienza a fatica
riprende il suo posto
a stento mi riconosco
tanto sono patetico.

Allora mi alzo per lavare via
quel resto di sogni incrostati
che dicono più di quanto
sono disposto ad ammettere.
Ma a ricondurre l'azione
alla vita che non li ammette
sono i sogni a finire in prigione
e la vita a restare in manette.

giovedì 25 maggio 2017

Essere altro

C'erano momenti nella vita di Giovanni in cui aveva la netta impressione di non essere sé stesso, ma un altro, per esempio suo fratello, Tommaso, due anni più piccolo, sorridente, occhi azzurri e lui no. E nonostante lo specchio gli testimoniasse il contrario in quei minuti in cui al mattino si radeva prima di fare la doccia e, dopo di questa, vestirsi, uscire, andare al lavoro rispettando la solita tabella di marcia, auto, treno, mezzo chilometro a piedi dentro la ztl della quale tutti parevano avere il permesso, tranne lui.

Ma finché si trattava di suo fratello, non c'era granché da preoccuparsi, perché la maggior parte delle persone che incontrava non lo conosceva, Tommaso, conosceva lui e le sue saltuarie bizzarrie e scambi repentini di umore e personalità. «Sarà un po' bipolare», disse il capoufficio agli altri colleghi di Giovanni, quando questi si prendeva una pausa in solitudine, lontano dalla macchinetta del caffè e dall'angolo esterno per i fumatori.

Preoccupato il capoufficio divenne quando a Giovanni gli saltò in mente di essere lui stesso il capoufficio, cominciando a smistare ordini, a metter fiato sul collo a chi non riusciva a mantenere un ritmo confacente agli standard produttivi, a chi chiedeva permessi per questo o quello o peggio ancora ferie che non erano state programmate con debito anticipo.

La cosa interessante fu che i colleghi di Giovanni si lamentarono col capoufficio stesso di esser stati vessati dal comportamento improprio del collega, quando in pratica Giovanni non aveva fatto altro che imitare e ripetere le stesse pratiche vessatorie del capoufficio stesso, cosicché questi seppe indirettamente quello che in realtà i sottoposti pensavano di lui. Per questo, l'indomani la scoperta, dopo anni di lontananza dai sacramenti, andò a cercare un prete per confessare i propri peccati e lavare la coscienza. Divenne anche più buono: elargiva permessi e ferie a piacimento, tanto che, in capo a un paio di settimane, la Direzione d'impresa lo richiamò e lo minacciò di licenziamento.

[...]




mercoledì 24 maggio 2017

Non c'è niente da fare


Rispetto ai coniugi presidenziali, io - ieri - ho visto la Cappella nelle stesse condizioni di un filo d'erba che cerca luce in mezzo alla Foresta Amazzonica. Sola fortuna: non essere calpestato dal branco di turisti eterogenei costretti a seguire, muti, le guide non autorizzate dalle autorità locali; guide che - per non incorrere in sanzioni tipo ti vieto l'ingresso sei mesi così impari a farci concorrenza - avevano spiegato  ai turisti, in sette minuti, cosa c'era da vedere lassù in alto nel cielo chiuso da Michelangelo.

***
Ha vinto
«Il Santo Padre crede alla capacità dei vecchi di sognare». 
Una speranza anche per gli animalisti.

***
«Camminò in direzione opposta alla piazza, verso il fiume, e passando accanto alla tomba di Augusto notò un ragazzo che chiamava un gatto e gli offriva qualcosa da mangiare. Era uno delle migliaia di gatti che vivono tra le rovine dell'antica Roma e che mangiano rimasugli di spaghetti. Il ragazzo gli stava dando un pezzo di pane ma non appena il gatto si avvicinò, quello tirò fuori un petardo dalla tasca, lo mise in mezzo al pane e accese la miccia; poi, lasciò il pane sul marciapiedi e proprio nel momento in cui il gatto l'afferrò ci fu lo scoppio. L'animale lanciò un urlo infernale e balzò per aria con il corpo che si attorcigliava su se stesso. Una volta a terra si diede alla fuga su un muro per poi perdersi nell'oscurità della tomba di Augusto. Il giovane rise per il suo scherzo e con lui diverse persone che si erano fermate a guardare.
Il primo istinto di Streeter fu di prendere a schiaffi quel ragazzo e insegnargli che non si devono sfamare i gatti randagi con petardi accesi, ma con un pubblico così riconoscente si sarebbe potuto creare un incidente internazionale per cui si convinse che non c'era niente da fare; in fondo le persone che avevano riso alla bravata erano gente d'animo buono e gentile, la  maggior parte di loro genitori affettuosi - li avresti dovuti vedere nel primo pomeriggio mentre raccoglievano violette sul Palatino!».
John Cheever, The Bella Lingua, in I racconti, Feltrinelli, Milano 2012 

lunedì 22 maggio 2017

Sequela Roma

Domani andrò a Roma per assistere ai lavori per l'elezione del successore del cardinal Bagnasco a presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Scherzo. Nondimeno, dato che - per ragioni su cui non mi attardo - passerò dal Vaticano, se avessero bisogno di una mano per lo scrutinio, non mi tirerò indietro. Anche perché questa volta il vescovo della mia diocesi sembra tra i favoriti:

«Per il Centro un candidato credibile sembra essere il vescovo di Fiesole, Mario Meini, attuale vicepresidente della Cei.»

Ma a parte questo. Un paio di post indietro, mi lamentavo sul fatto che i politici contemporanei siano soliti usare un linguaggio comprensibile, accessibile ai più, e tuttavia insignificante, melenso, inconcludente, che non ha bisogno di alcuna interpretazione.

Tutto il contrario, ad esempio, del discorso di saluto di Bagnasco al Papa:

«Santità, 
a nome di tutti i Vescovi delle Chiese che sono in Italia, Le esprimo la più viva e affettuosa riconoscenza per la Sua presenza tra noi, segno della premura pastorale con cui ci segue, ci accompagna e ci guida. A nostra volta – animati da un forte spirito di comunione con il successore di Pietro – siamo qui con la disponibilità ad accogliere con docilità la Sua parola autorevole e incisiva, per una sequela sempre maggiore del Signore.»

Per capire il significato di «sequela» in questo contesto (so’ ignorante), mi è occorso ricercare su wikipedia e scoprire che:

La sequela, termine di origine tardo-latina che deriva da sequi («seguire»), esprime nel contesto teologico un atteggiamento di dedizione e obbedienza nei riguardi di Dio, con particolare attenzione e aderenza alla condotta di Gesù Cristo, sul modello degli apostoli e dei primi discepoli, che accolsero la chiamata diretta di Gesù (cf. Marco: «Disse loro: "Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini". E subito, lasciate le reti, lo seguirono»).[1]
Mettersi alla sequela di Cristo significa accoglierne pienamente la parola e seguirne con fede l'esempio, secondo gli insegnamenti del Vangelo, fino al sacrificio di sé, alla passione e alla croce. Ogni cristiano è chiamato a ciò (cf. Matteo: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me»).[1]
Nell'ambito della teologia del XX secolo, il concetto di sequela risulta centrale nel pensiero di Dietrich Bonhoeffer, oppositore e vittima del nazismo. La sua opera più diffusa, Vita comune (1939), descrive gli elementi che contraddistinguono l'esistenza quotidiana del cristiano, entro la prospettiva di una «teologia della sequela». Inoltre, nell'opera Sequela (1937), egli parla di «grazia a caro prezzo (teuere Gnade), perché chiama alla sequela (Nachfolge)

Son soddisfazioni. 
Inoltre, come non sottolineare l'ironia con cui Bagnasco si dichiara disponibile «ad accogliere con docilità la Sua [del Papa] parola autorevole e incisiva»? Sembra dica: «Caro Bergoglio, a sentirti parlare cascano le palle, ma dato che sei Papa dobbiamo sorbirci per forza i tuoi discorsi che certamente non sono all'altezza del magistero che ricopri».

«Di questa stagione conosciamo complessità e contraddizioni, attese e opportunità: non intendiamo cedere a frustrazioni e lamentele, consapevoli che la missione affidataci sgorga dall'incontro cercato, coltivato e custodito con Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto. In lui prende volto il nostro essere Chiesa, comunità dal cuore ardente e misericordioso, che trova la sua unica e vera grandezza nel servizio umile e generoso. Avvertiamo – e Lei, Santità, ce lo testimonia con coraggio apostolico – che questa rimane la via maestra per fecondare con la gioia del Vangelo la cultura e la società odierna, cosicché la luce di Cristo possa illuminare ogni uomo.»

Detto altrimenti: da quando Bergoglio è Papa, molti vescovi e cardinali sono in preda a una crisi di nervi. Perciò, proprio perché non possono palesare apertamente il loro malcontento, non intendono «cedere a frustrazioni e lamentele». Così, restano frustrati e si lamentano nel segreto della confessione (forse) o si sfogano come possono: ad esempio con discorsi raffinati, che dicono e non dicono, che dispensano sorrisi alla mensa del Signore e, intanto, non lesinano pedate sotto il tavolo.

Forza Meini.

domenica 21 maggio 2017

I'm sorry

It’s a very bad thing, Twitter’s role in that,” he said finally. “If it’s true that he [Trump] wouldn’t be president if it weren’t for Twitter, then yeah, I’m sorry. Evan Williams

«Fu una cosa molto brutta, il ruolo del fuoco in quell'evento», disse, infine. «Se è vero che Hitler non sarebbe salito al potere senza l'incendio del Reichstag, allora, beh certo, mi dispiace.» Homo erectus.

Capito vi ho

Ho capito perfettamente quello che hai detto.
Davvero? E che cosa hai capito?
Un cazzo.
Anonimo



Dalla prof De Santis, ho letto una frase di Tullio De Mauro:
«Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite».
Per rispetto del destinatario, è ineccepibile che così sia. Da eccepire, casomai, ce l'avrebbe l'emittente che, legittimamente, può pronunciare e scrivere parole che non siano capite, che lascino spazio a dubbi, che siano passibili di diverse, molteplici interpretazioni. Per intendersi (oppure no): a volte, dire parole che non siano capite è una necessità, soprattutto per fingere, per deviare l'attenzione, per comunicare con chi ha orecchie per intendere e intenda lui e basta.

Mi sovvengono i politici della (cosiddetta) Prima Repubblica. 

Ascoltavi o leggevi, per esempio, i discorsi aggrovigliati di Aldo Moro, De Mita, o di Asor Rosa su Rinascita e occorreva il traduttore in differita di un, per esempio (ahi quanto mi manca) Sergio Saviane per dipanare la matassa.

Eppure c'era molta più soddisfazione - e comprensione - a leggere (o ascoltare)  tali incomprensibili articolesse, che ad ascoltare (o leggere) gli attuali pronunciamenti politici di tutto l'arco costituzionale, in particolare di quei politici che parlano rivolgendosi al volgo con un linguaggio piano, facebookiano, zeppo di stereotipi e frasette zuccherate che indiabetiscono il comprendonio.

Le parole di Renzi, di Di Maio, di Salvini e dell'animalista dell'ultim'ora, sono fatte apposta per essere capite, paradossalmente violando il diritto alla comprensione di chi legge o ascolta, proprio perché si capiscono e sarebbe molto meglio di no.

venerdì 19 maggio 2017

Il tagliaunghie delle vanità


«La personalità dell'artista, dapprima un grido, una cadenza o uno stato d'animo, poi una narrazione fluida ed esterna, si sottilizza alla fine sino a sparire, si spersonalizza, per così dire. L'immagine estetica nella forma drammatica è la vita, purificata nell'immaginazione umana e da questa riproiettata fuori. Il mistero della creazione estetica, come quello della creazione materiale, è compiuto. L'artista, come il Dio della creazione, rimane dentro o dietro o al di là o al disopra dell'opera sua, invisibile, sottilizzato sino a sparire, indifferente, occupato a curarsi le unghie.»

James Joyce, Dedalus. Ritratto dell'artista da giovane, Adelphi, Milano ed. XII 1987, trad. di Cesare Pavese.

Trent'anni fa, al primo Salone alla prima Fiera del Libro (ancora non internazionale, ancora non al Lingotto, ma ubicata in altro centro fieristico di Torino), c'ero. Ci andai. Ci fui.
E ci stetti, tre giorni, pagando l'ingresso ogni giorno (settemila lire, forse, che non erano rimborsate facendo acquisti: per questo comprai un solo libro), per cercare inutilmente di incontrare Ceronetti (che non c'era, non essendo animale da fiera), ivi trovando e timidamente salutando Umberto Eco (avrei potuto avere l'occasione di una sua firma, ma avevo in mano Dedalus e la ragazza indigena che mi accompagnava bloccò la figuraccia perché io, stonato provinciale, avrei avuto anche l'ardire di chiedere un autografo a un autore da apporre su un libro non suo), e altri, più o meno noti e importanti.

L'impressione che ne ebbi, che tuttora ho quando entro nei grandi store librari: il libro è, tra le merci, la meno adatta per essere esposta copiosamente, come succede a ogni articolo in promozione al supermercato. Vedere colonne e altopiani dello stesso volume, best seller del momento, dà l'idea di valanga imminente dalla quale mettersi in salvo. Non dico questo per snobismo, ma perché il libro o è inattuale o non è, giacché il libro attuale è condannato nell'attimo stesso in cui è pubblicato, perché ha perso la sfida col tempo perso a scriverlo. Soprattutto: il libro è tra gli oggetti il più impromozionabile, a disdoro degli autori che lo promuovono. Chi scrive, una volta scritto, deve rimanere «dentro l'opera o dietro o al di là o al disopra dell'opera sua, invisibile, sottilizzato sino a sparire, indifferente, occupato a curarsi le unghie.»

Oggi mi sono messo lo smalto.

mercoledì 17 maggio 2017

Onanismi editoriali

«La virtù non consiste nei principi, ma unicamente nell'amore».
Leopold von Sacher Masoch, L'amore crudele

Non sono più un attento osservatore delle novità editoriali, per fortuna. Nondimeno, ogni tanto, e purtroppo, mi ci imbatto. E solitamente sobbalzo: a partire da una base di squat sumo, spicco un salto di buona fattura e ripiombo con leggerezza sul selciato.
Oggi ho toccato il soffitto. Un commesso della Feltrinelli mi ha guardato storto, sussurrando un cautelativo: «Si contenga». E io mi sono contenuto. Limitato a fare una foto alla novità editoriale, per vedere se, per mera mimesi, potreste anche voi sobbalzare:


La Nave di Teseo edizioni. Quel gommone di fuorusciti dalla Bompiani - già Rizzoli - perché fu comprata dalla Mondadori (ovvero da Berlusconi). A bordo, e per poche miglia, vi salì anche il poro Eco, ricordate.

Con un clic su Google ho trovato l'anteprima al libro uscito in Italia lo scorso 26 aprile. Ma non voglio parlare di ciò, perché niuna differenza di forma e contenuto v'è tra quel che scrive il neo eletto Président e una delle tante enews del nostro rivoluzionario di Rignano sull'Arno; bensì di un paio di capoversi che avrebbero senz'altro ricevuto il plauso dello scrittore austriaco citato in esergo, scritti da Angelo Maria Perrino (direttore di Affaritaliani), i seguenti:

C'era grande movimento oggi [26 aprile, ndb] in via Stefano Jacini a Milano, sede della casa editrice La nave di Teseo, dove alle 15 era in programma una riunione dei soci. Nonostante il gran daffare la direttrice e fondatrice Elisabetta Sgarbi ha trovato il tempo di incontrarmi alle 14.30 e di regalarmi una copia digitale del libro del momento, quel "Rivoluzione" di Emmanuel Macron che domani esce in Italia e sulle cui copie cartacee si sono fiondati tutti i giornali, svuotando letteralmente l'ufficio della editrice del momento.
[...]
Ma la Sgarbi è l'editrice del momento anche per le altre due novità delle quali mi ha fatto dono: "Tutto è in frantumi e danza", ultima fatica del finanziere-scrittore Guido Maria Brera, marito della conduttrice Rai Caterina Balivo, scritto a quattro mani con lo scrittore Edoardo Nesi, e "Democratizzare l’Europa!", il trattato, best seller in Francia, firmato da Thomas Piketty, Guillaume Sacriste, Antoine Vauchez e Stéphanie Hennette.

Nonostante il gran daffare la direttrice fondatrice Elisabetta Sgarbi ha trovato il tempo di incontrarlo e regalargli una copia digitale del libro del momento. Di più: la Sgarbi stessa «è l'editrice del momento» perché, oltre al R,ivoluzione di Macron, gli regala altri due libri-novità di gran prestigio (una «ultima fatica» e - udite! udite! - un «trattato best-seller»).
Bene, capisco che per un direttore di una testata online avere in regalo una copia digitale di un libro possa provocare siffatta eccitazione, ma averne addirittura tre, capirete perché egli è andato così in brodo di giuggiole, manco la dark lady dell'editoria nostrana gli avesse digitalizzato altro organo di stampa, magari con l'ausilio di piccoli colpetti di frustino.

lunedì 15 maggio 2017

Scoperta stupefacente

Federico Fubini, notista economico del Corsera, dà conto di una ricerca di due insigni economisti di Princeton, i quali
«sono arrivati a una scoperta stupefacente incrociando i dati sulla frequenza e le cause di morte negli Stati Uniti dall’inizio del secolo: i bianchi privi di un diploma di college sembrano colpiti da un’epidemia di suicidi improvvisi con le armi o lenti con l’alcol e le sostanze oppiacee che per la prima volta da decenni sta riducendo la loro aspettative di vita.»
Stupefatto dalla mia ignoranza, non arrivo a capire come, da un punto di vista epidemiologico, due malattie affatto diverse come i «suicidi improvvisi» e i suicidi «lenti» possano far parte dello stesso tipo di epidemia.
Se prendiamo, infatti, la definizione di epidemia del De Mauro
1. vasta e improvvisa diffusione di una malattia infettiva: un’epidemia di influenza, debellare l’epidemia
2. fig., rapida diffusione di un fenomeno, spec. negativo: un’epidemia di incidenti, di fallimenti | grande quantità di qcs. 
possiamo  notare che, in senso proprio, i due tipi di suicidi - ammesso e non concesso che i cosiddetti suicidi lenti degli alcolisti e dei drogati possano essere considerati suicidi - non collimano parimenti con la vasta e improvvisa diffusione della malattia suicida, in quanto coloro che si suicidano lentamente, non lo fanno certo improvvisamente; dipoi, anche in senso figurato, i due fenomeni si distinguono nettamente, giacché chi si ammazza con l'alcol e con la droga, per quanto s'impegni, non può certo tenere il passo , quanto a rapidità, di chi si uccide con un'arma.

Anche questa volta, credo, perlomeno come si evince dal resoconto di Fubini, si fanno indagini di ricerca su determinati fenomeni e manco un piccolo pensiero rivolto alle cause. Il fenomeno, secondo loro, è che ci sono stati aumenti di suicidi tra i bianchi (maschi o femmine? giovani o vecchi?) senza titolo di studio, rispetto a coloro che l'hanno, il diploma. Perché? I due studiosi
«respingono l’ipotesi che la Grande recessione sia responsabile di questa epidemia, perché essa non è riscontrabile fra i neri allo stesso livello medio-basso di reddito. Né è riscontrabile in Europa nei ceti medi colpiti dalla crisi.»
Insomma, in America, se non sono la crisi, la povertà, la sfiducia totale nel sistema, l'assenza di "ammortizzatori sociali", la disperazione, perché i bianchi senza diploma si ammazzano di più di quelli che ce l'hanno? Perché non possono appenderlo nelle loro camerette per far contenti i genitori che tanti sacrifici (tanti debiti) hanno fatto per mandarli, invano, all'università? Si uccidono, dunque, per un mero foglio di carta? 
Non è dato sapere. Nondimeno, in conclusione, Fubini, che forse si è accorto anche lui che manca qualcosa di pregnante nell'indagine, si sbilancia:
«È la fotografia di un profondo malessere in questo gruppo di americani, che si sente abbandonato a se stesso e ha finito per votare per Trump. E una prova, qualora ce ne fosse ancora bisogno, delle profonde implicazioni politiche dei trend demografici.»
Profondo malessere? Derivante da? Assenza di diploma? Allora, se c'è Trump, dobbiamo dare la colpa ai professori (compresi i due di Princeton) che non hanno saputo prevenire l'abbandono scolastico? Nessuna risposta.
Peggio: una prova che, secondo Fubini, dimostra le «profonde implicazioni politiche dei trend demografici». Ahinoi, prova infondata, giacché - macchetelodicoaffare - sono i trend demografici a essere determinati dalle implicazioni politiche e queste da quelle socioeconomiche.

Domandarsi come si riproduce la vita e le condizioni sociali della stessa è troppo dimandare sotto questo cielo.

domenica 14 maggio 2017

TheGiornalista


via

«Valore storico». [...]
«Intervistarlo, anche per chi come me lo ama e ne conosce praticamente ogni snodo, non è per niente facile». [...]
«Intervistarlo è un po' stare sul ring ed essere lo sfidante di un campione invalicabile. Stai lì, ci provi e speri prima o poi che il Campione abbassi almeno una volta la guardia. Per fortuna è successo». 

Meno male sfuma. 

Io dico che un po', ma poca poca, pochissima, una dose minima, quasi niente, un'inezia, un nonnulla di modestia sia una prova indispensabile per essere autorevoli nel mondo della comunicazione; e, viceversa, non averla per niente, nulla nulla, neanche un coriandolo di forfora, e abbondare, per contro, e grandemente, in crassa presunzione e assoluta spudoratezza, sia la più plateale manifestazione di essere/avere una faccia di culo.
(r)Amen

sabato 13 maggio 2017

All'ombra del Grande Mediatore

Questo è uno dei migliori articoli letti sul cosiddetto attacco hacker - che, come giustamente spiegato, hacker non è, perché non siamo in presenza di pirati informatici che rubano dati, bensì di rapinatori che rapiscono (bloccano) l'accesso ai dati dei pc “infettati” da un malware, i quali, per liberarli e renderli nuovamente disponibili ai proprietari, chiedono un riscatto (in bitcoin, per ovviare al problema della tracciabilità) entro una certa data, altrimenti, addio dati in ostaggio, che diventeranno polvere informatica sia per i titolari che per gli stessi truffaldini.

A margine, alcune considerazioni profane.

1) Pare che tutti i pc colpiti abbiano Windows come sistema operativo, in particolare il vecchio, glorioso XP (anche i bancomat italiani girano quasi tutti con XP). Vero è che Windows è il sistema operativo più diffuso tra i pc-desktop 

e che quindi, anche per un semplice calcolo statistico, per i criminali informatici è più redditizio “creare“ virus o malware che hanno più probabilità di riuscita a colpire pagliai piuttosto che aghi.
Morale della favola, potrei dire - consigliare a tutti: smettete di usare Windows e passate a Linux (o a quei fighettoni esosi della Apple). Non lo farò, perché ho smesso di predicare invano. Fate come vi pare, ma almeno controllate ogni tanto gli aggiornamenti. 

2) La questione, tuttavia, non riguarda i singoli utilizzatori, ma società o enti più o meno grandi, più o meno pubblici. È chiaro che la gestione hardware e software abbia un costo, soprattutto il software proprietario (Microsoft e Apple) ha un costo notevole. Linux no, non si pagano licenze di installazione: si paga l'assistenza, chiaramente, qualora se ne abbia bisogno (ma quella si paga anche per Windows o MacOS). 

3) Il National Health Center inglese è l'organizzazione pubblica (?) più colpita. Immagino questo scenario: dati decenni di riduzione della spesa, il parco hardware dei centri ospedalieri inglesi è obsoleto, la maggior parte dei pc monta XP perché funziona bene, fa girare i programmi che servono e stop. Inutile e dispendioso acquistare nuove macchine e nuovo software quando quelli "vecchi" svolgono il loro egregio lavoro. Il problema, però, è che Microsoft ha abbandonato XP al suo destino, non fornendo più alcuna assistenza per tale sistema operativo. Un po' come se vai dalla Fiat a chiedere ricambi per il 127. O il Millecento.

4) Pensierino malizioso: scommetto che nei prossimi mesi Microsoft venderà (piazzerà) molte nuove licenze del suo Windows 10, sì da far compiere, al suo attuale modello di punta, un notevole balzo nella sua, al momento, stazionaria (e sotto le aspettative) percentuale di utilizzo.

5) Di primo acchito, soprattutto per come è mossa la campagna mediatica, gli hacker sono considerati i novelli untori, da mettere presto sul rogo prima che infettino ulteriormente sistemi informatici e provochino ulteriore caos. Ma siamo sicuri di bruciare le persone giuste? Leggiamo
Secondo quanto emerso fin dalle prime ore in cui si è sviluppato l’attacco, è apparso chiaro come il codice da cui trae origine il problema sia di diretta derivazione da un precedente codice sviluppato dalla NSA. Quest’ultimo è emerso soltanto lo scorso mese di aprile, portato alla luce dal misterioso gruppo “Shadow Brokers“, i quali hanno reso noto come, tramite il cosiddetto “Eternal Blue“, la NSA avrebbe potuto accedere ad un enorme numero di sistemi in tutto il mondo.
La NSA era evidentemente venuta a conoscenza del bug in Windows e, invece di segnalarne l’esistenza, ne aveva tratto giovamento ufficialmente a scopo di ricerca contro il terrorismo internazionale. Una sorta di backdoor, della quale Microsoft non era a conoscenza, che la National Security Agency statunitense poteva sfruttare a proprio piacimento con una potenza di fuoco di enorme portata.
Alcuni indizi legati alla situazione in Siria ha fatto pensare che il gruppo “Shadow Brokers” possa avere base in Russia, ma in realtà non si conosce molto in proposito. Dallo sviluppo di Eternal Blue da parte della NSA e dal successivo leak che ha portato alla luce tali attività, ha però certamente tratto origine l’attacco che ha preso il largo nelle ultime ore. L’offensiva ha sicuramente portato ad una vasta raccolta di denaro, il cui uso e le cui destinazioni non sono però date a sapersi.
 «La National Security Agency è l'organismo governativo degli Stati Uniti d'America che, insieme alla CIA e alla FBI, si occupa della sicurezza nazionale statunitense». 
Eppure quanto sono più puttane e più streghe (quanto bruciano meglio) gli hacker russi.

venerdì 12 maggio 2017

A cavalluccio






Pare che Deborah S., da piccola, sia stata una promessa in tale disciplina. A stroncarle la carriera fu il fatto che, a un certo punto, pretese gareggiare con la testa del cavalluccio all'incontrario.

***
Il legale di Schettino ha dichiarato che gli italiani vogliono sempre crocifiggere qualcuno. Per un attimo avevo capito appendere. Ma a parte i discorsi. Gli italiani chi? Non io. Io a Schettino, per esempio, gli darei una pensione sui mille euro al mese, una casa popolare a Casilino e il completo anonimato.

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Le idee del nuovo Pd: l'Assemblea vuole l'alleanza a sinistra. A ulteriore conferma di non esserlo.

giovedì 11 maggio 2017

Sentimental

«L'ironia sentimentale è un cane che abbaia alla luna e intanto piscia sulle tombe». Karl Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi.

Cara Ypsilon,

ricordi Venezia? Era freddo, pioveva, ma noi camminavamo lo stesso lungo le calli meno battute dai calli delle genti. Eravamo callifughi. E poi che soddisfazione fu togliersi le scarpe in quella camera d'albergo color cenere. Giusto il tempo di una rapida doccia per dipoi sdraiarsi sul letto e disporsi in contemplazione reciproca dei piedi, tanto che se fossimo morti nel sonno qualcuno avrebbe potuto dare la colpa al feticismo delle merci.

Di me posso dirti che non sono diventato imprenditore di una fabbrica di plastica che brucia perché bruciare è il fine ultimo della produzione; né tantomeno un operaio della FCA di Cassino che ha appena detto ok, prendete la mia produttività e regalatemi un abbonamento in una palestra con l'istruttrice dai leggins aderenti affinché resti vigile durante il turno di notte alla catena di montaggio; ma neanche un assistente di volo Alitalia in pensione anticipata prima dei cinquant'anni e cinquemila euro (o più?) di emolumenti al mese.

Non ti interessa, lo so: pazienza, era per tanto per allungare il brodo con l'attualità e per infastidirti, ancora oggi, con le mie digressioni inutili, i miei pali e le mie frasche, la mia inconcludenza.

Lo sai che sempre, e volutamente, ho equivocato il tuo «Sì, ma adesso stringi», con un «Sì, adesso stringimi»: per questo ero così appiccicoso e tu mi scollavi di dosso, degna erede di Erodiade.

Finché un giorno, durante la nostra ultima cena (un ristorante semivuoto di una stazione climatica), chiedesti al cameriere di portare un vassoio vuoto per metterci gli avanzi. Solo qualche settimana più tardi compresi che ci avevi posato il nostro amore decollato.

Fosti il mio esilio, per ritrovare l'unica patria, l'unico territorio da marcare: sé stessi.  

martedì 9 maggio 2017

Educare alla leadership

Ma quello che mi ha colpito è il progetto che Obama ha per i prossimi anni [è] soprattutto un lavoro strutturato e capillare di formazione di giovani leader in tutto il mondo. Perché questo è il punto chiave per il futuro: nel mondo della post-verità e delle fake news educare all'approfondimento, alla leadership, allo studio una generazione di persone che sono già interconnesse e che insieme possono cambiare la società globale. La nuova generazione, insomma, è quella che può sconfiggere il populismo con il proprio impegno. I ragazzi come i depositari della sfida più intrigante del nostro tempo: persone su cui scommettere, facendo leva sull'ottimismo e sulla tenacia. 

Educare alla leadership.
Io non lo credo - anche se molti lo attestano - che Matteo Renzi sia un leader. Orbene: ammesso e non concesso che lo sia, chi lo avrebbe educato, lui, alla leadership? I’ su’ babbo?

Nessuno. Non si può educare nessuno a essere un leader. È probabile che leader sia chi crede di esserlo, ma può esserlo (o diventarlo) un leader, soltanto  se vi sono (o vi saranno) persone disposte  a credere che lo sia. 
Il problema, dunque, è ribaltato: per Obama, come per tutti quei cazzoni più o meno simpatici, più o meno affabili e forbiti che sono (stati) considerati leader, non è tanto importante formare leader,  piuttosto è educare le persone a credere che vi sia bisogno di un leader, uno che ci guida e ci conduce, basta fare una croce sulla casella giusta il giorno delle elezioni e poi il resto è fatto, viva la democrazia.

Cercasi esegeta

«Il mio lavoro è logicamente, esteticamente, e narrativamente “sbagliato”, fondandosi sulla stolta speranza di “narrare intorbidando le acque” per dépister il lettore dalla traccia della sua reale esistenza. La sua essenza, il movente vero, è un disperato tentativo di giustificare la mia adolescenza di “destinato al fallimento dall'egoismo narcisistico e follemente egocentrico dei predecessori, dei vecchi, e degli autori de’ miei anni in particolare”. Carità e pudore filiale mi hanno frenato e distorto la penna a una significazione impossibile, tale da rendere impossible ogni vera esegesi. Colpa mia [...]». C.E. Gadda, Lettera a Contini, 9 aprile 1963

Non per vantarmene - non me ne vanto proprio, non perché ne abbia onta ma perché a tale titolo di studio non corrisponde una reale competenza della disciplina - ma io ho, tra gli altri, un diploma di congegnatore meccanico, tre anni di istituto professionale, sai che roba, tutti maschi, tranne la segretaria, alla quale, una volta, il mitico custode con lei tremendamente incazzato, disse: «Io non ce l'ho con lei, signora, no: ce l'ho con Cristaccio, ma più che altro col su' Babbo, il Padre Nostro che decise quel giorno di toglierci una costola per farci bestemmiare ogni giorno che Cristo mette in terra».
Ebbene, mi sovviene ciò (e non l'eterno) perché in quella scuola - frequentata da molti che, come me, erano destinati al fallimento dall'egoismo narcisistico - c'era un professore di, boh, meccanica applicata, che insegnava in pratica come si usavano torni, frese, rettificatrici e altre macchine utensili, il quale - data la mia scarsa attitudine e minor voglia - mi diceva spesso, sorridendo quando ero alle prese con un tornio Breda e le punte al widia: «Eh, eh Massaro che vuoi, da grande farai lo spazzino». E, in un certo senso, ci azzeccò quasi, perché, nei successivi anni universitari, d'estate, quando le amministrazioni comunali avevano in dote più soldi da spendere, e assumevano studenti disoccupati a tempo determinato senza passare dalle cooperative di lavoro o, peggio, da agenzie interinali che ti ciucciano soldi alla fonte, m'è capitato appunto di lavorare come netturbino per due stagioni consecutive, nello stesso comune dove, al tempo, fu girato un film che a me fece molto cagare ma che ebbe un grande riscontro nazionalpopolare. Olé. 

Divago, trivago, Zivago. Dottore, un bersaglio per favore.

Volevo dire che, insomma, anche a me, quasi come al Carlo Emilio «carità e pudore filiale mi hanno frenato e distorto la penna a una significazione impossibile, tale da rendere impossible ogni vera esegesi»,  anche se non ho ancora capito se in me abbia più influenza la carità oppure il pudore filiale.

Stasera ho sciolto i freni alla penna (alla tastiera) apposta. 
A voi lettori l'esegesi.

domenica 7 maggio 2017

Evgenij Smerdjakov

Non ditemelo, lo so da solo che - da un punto di vista politico - sarebbe più proficuo rispolverare, dalle teche Rai, le previsioni dei colonnelli Bernacca e Baroni, ma non è che uno lo legge per farsi un'idea politica, Scalfari, piuttosto clinica, di quando cioè arriverà il momento - arrivata una certa età - di arrivare a farsi di acido lisergico, mescalina e maria giovanna seduti sul quel che resta del nostro sofà poltrone e sofà scucito, mica siamo altoborghesi romani biasciapaternostri e amen.
Scusatemi, ma era maggio e pioveva. Ho letto l'incipit dell'editoriale...
«HO PENSATO e scritto più volte che è necessario sapere in che cosa consiste una sinistra moderna e perfino una sinistra rivoluzionaria. Credo di averlo finalmente capito e comincio questo articolo chiarendo questo punto fondamentale.»
...e mi sono detto: anvedi che davvero Scalfari ha avuto un'illuminazione sulla sinistra.

E invece mi sono trovato a leggere due lunghi capoversi, allineati a sinistra, pronunciati da 
«papa Francesco il 26 aprile scorso parlando alle tre del mattino in un videomessaggio all’incontro internazionale intitolato Il futuro sei tu, a Vancouver. Non si poteva dir meglio sia ai poveri derelitti sia ai potenti, ai ricchi e ai leader politici.»
E qui mi sono emozionato al pensiero che un nonagenario ascolti Radio Vaticana alla tre del mattino, anziché, come tanti coetanei, il rosario delle cinque del pomeriggio, su Radio Maria.

Cosicché non ho potuto rinunciare a proseguire la lettura. E ho fatto bene, giacché, zacchete, altra staffilata di controbalzo:
«Di leader politici ce ne sono pochi, anzi ce n’è uno soltanto ed è Matteo Renzi. Può piacere o non piacere, ma questo aspetto sentimentale dice poco. Per giudicarlo occorre valutare che cosa sta facendo e che cosa si propone per il futuro, per se stesso e per il Partito di cui è tornato ad essere il segretario dopo le “primarie” del 30 aprile.»
Segnatevi quel sibillino «può piacere o non piacere», vi servirà dopo aver letto le predizioni scalfariane su determinati, insulsi, accadimenti di cronaca politica spicciola nostrana e internazionale.

Letti? No? Fa niente. Divertente è leggersi l'epilogo:
«Qualcuno dei miei lettori ha la sensazione che io sia diventato renziano. È possibile, il tempo corre e cambia i pensieri e soprattutto la natura dei fatti. Posso rispondere con una battuta: se fosse Renzi a pensare come me? Una battuta o un’ipotesi? Si vedrà dai fatti, che sono la vera realtà.»
Qualcuno dei miei lettori ha la sensazione che io sia diventato un figlio di puttana. È possibile, il tempo corre e cambia i pensieri e soprattutto la natura dei fatti. Posso rispondere con una battuta: i padri fondatori farebbero meglio a morire prima di non affondare. Dove? Nella merda dei fatti.

sabato 6 maggio 2017

Una modesta proposta


Sono d'accordo, anzi di più: a mio avviso si dovrebbe concedere il diritto di voto agli appena nati: alla prima boccata d'ossigeno, per dare un senso ulteriore al pianto, presentargli il certificato elettorale ai nascituri e, insieme, dato che ancora difficilmente potranno recarsi al seggio, incaricare aruspici demoscopici in grado di interpretare la smorfia, la faticaccia bruta d'essere usciti (exit) da un posto (pool?) in cui insomma, tutto sommato, male non si stava, persino se chi ci portava in grembo non era vergine.

Nondimeno, allo stesso tempo, inizierei a pensare seriamente a delle limitazioni di voto per età anagrafica (che senso ha, infatti, far votare gli ultra ottantenni se votare è «decidere sul proprio futuro»? Non ci si lamenti se poi, costoro, gli ottuagenari andranno a votare esclusivamente per il loro presente), e - pure - limitazioni andrebbero poste anche per ceto e condizione sociale (esempio: a un disoccupato cronico, incapace persino di raccattare un gettone d'oro della Rai, dovrebbe essere impedito l'esercizio del proprio diritto perché, troppo condizionato dalla sussistenza, rischia di finire preda degli Achille Lauro di turno: e il voto di scambio è, o almeno, dovrebbe essere sanzionato dalla legge).




venerdì 5 maggio 2017

Caporali coraggiosi

Dopo la lettura di un tragicomico post di Phastidio, torno su Alitalia per capire se i soccorsi padulo escogitati dal gran lavoro di gubito dei gran manager (indebitamente remunerati), siano mossi dal principio del too big to fail, oppure da un residuo moto di orgoglio patrio, che spinge i governanti a far di tutto per non far scomparire (dal mercato?) la nostra (a prescindere!) compagnia di bandiera (dal nome impareggiabile: infatti, come suona bene Alitalia all'orecchio, non c'è Lufthansa che tenga).
Se questo fosse il vero (e nobile) motivo, allora per farlo digerire alla pubblica opinione, credo che il governo dovrebbe opportunamente intestare, a titolo puramente onorifico, una (o due o tremila) azione(-i) a ogni cittadino che, in modo diretto o indiretto, a diritto o di traverso (molto di traverso), ha pagato le tasse e quindi anche indirettamente la suddetta compagnia.

Anche per aver diritto, un giorno, a leggere dentro il pozzo nero la scatola nera.

mercoledì 3 maggio 2017

Carezze qwerty

È ancora sera e io non sono pronto
a dirti vieni a prendermi la mano
per sollevare questo cruccio che mi tarla
l'anima o quello che ne resta poca cosa

Così fo finta niente accada e non ti accorgi
di niente mi vedi come sempre che sorrido
che tutto scorre via dalle mie spalle
come fossi un campione – e niente rima

Eppure c'è qualcosa che non quadra
tra te che non capisci e il mio specchio
il riflesso che riporta in modo errato
la misura della mia insoddisfazione

La tua voce si è spenta tra le rocce
e se ci metto orecchio non c'è eco
solo il fruscio consueto di lontano mare
che ammalia i ricordi e ne fa schiuma

Capisco che mi manca il camminare
fianco fianco lentamente dietro
la tua ombra che si è immobilizzata
e io fermo ci so stare poco

Così alzo le mani e ti saluto mòvendo
soltanto i polpastrelli per mimare
la sequenza di parole digitate
come fossero carezze che volevi

per allargare il cuore.

martedì 2 maggio 2017

Caro il mio cipiglio


Dato che non sapremo mai, con esattezza, quale lavoro svolgano i dirigenti pubblici delle aziende statati o parastatali e affini, e come possano avere competenze manageriali specifiche a seconda dei settori che sono chiamati a guidare, ci è consentito - mi è consentito affermare che una dichiarazione del cazzo del genere sarebbe stata più rassicurante se a pronunciarla fosse stato un operaio addetto al carico e allo scarico dei bagagli di Malpensa o Fiumicino? Il quale, sicuramente, avrebbe più titoli per affrontare la «sfida dell'amministrazione straordinaria» e più probabilità di vincerla - o meglio: di perderla più onorevolmente (senza gravare ulteriori milioni di euro sul debito in corso).

lunedì 1 maggio 2017

Accerta il merito con l'accetta

A Ernesto Galli Della Loggia, con osservanza

1 «Gli uomini di Èfraim si radunarono, passarono il Giordano verso Safon e dissero a Iefte: «Perché sei andato a combattere contro gli Ammoniti e non ci hai chiamati con te? Noi bruceremo te e la tua casa». 2Iefte rispose loro: «Io e il mio popolo abbiamo avuto grandi lotte con gli Ammoniti; quando vi ho chiamati in aiuto, non siete venuti a salvarmi dalle loro mani. 3Vedendo che non venivate voi a salvarmi, ho esposto al pericolo la vita, ho marciato contro gli Ammoniti e il Signore li ha consegnati nelle mie mani. Perché dunque siete venuti oggi contro di me a muovermi guerra?». 4Iefte, radunati tutti gli uomini di Gàlaad, diede battaglia a Èfraim; gli uomini di Gàlaad sconfissero gli Efraimiti, perché questi dicevano: «Voi siete fuggiaschi di Èfraim; Gàlaad sta in mezzo a Èfraim e in mezzo a Manasse». 5I Galaaditi occuparono i guadi del Giordano in direzione di Èfraim. Quando uno dei fuggiaschi di Èfraim diceva: «Lasciatemi passare», gli uomini di Gàlaad gli chiedevano: «Sei un Efraimita?». Se rispondeva: «No», 6i Galaaditi gli dicevano: «Ebbene, di' scibbòlet», e se quello diceva: «Sibbòlet», non riuscendo a pronunciare bene, allora lo afferravano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano. In quell'occasione perirono quarantaduemila uomini di Èfraim. 7Iefte fu giudice d'Israele per sei anni. Poi Iefte, il Galaadita, morì e fu sepolto nella sua città in Gàlaad.» Giudici, 12.

Professore, mi scusi: provi anche lei a dire «scibbòlet».

Come, si rifiuta? Stia tranquillo: qui nessuno vuole afferrarla e portarla - vivo - presso i guadi dell'Arno (a sciacquarsi le mutande). Ciò precisato: le è balenato di leggere - attentamente - questa informativa? Non si fermi al titolo, entri nel dettaglio, veda che un po' di selezione naturale va da sé. Certo, le politiche inclusive hanno consentito di diminuire, complessivamente, la percentuale di abbandono scolastico (che rimane pur sempre elevata). Chissà perché poi i maschi abbandonino gli studi in misura maggiore delle femmine. Chissà perché, poi, gli studenti nati all'estero abbandonino in misura doppia la scuola rispetto agli indigeni. Forse perché chiamati a svolgere mansioni lavorative (per le quali non serve alcun diploma) che, oramai, gli studenti italiani si rifiutano di svolgere? Sia come sia, per non dilungarmi, concludo facendole una domanda che segue una sua affermazione: 
proprio perché la scuola promuove tutti, cioè non seleziona, e una scuola che non seleziona, che non accerta il merito, è una scuola che in linea di principio rifiuta di fornire alla società, al mondo del lavoro, qualunque attestato affidabile circa le reali competenze, la volontà d’impegnarsi, le capacità di ingegno e di carattere, dei giovani che le sono stati affidati. 
Nella sua attività accademica, dopo aver "selezionato", per merito, i giovani che si sono a lei affidati, gliel'ha fatta loro una raccomandazione per  farli entrare a lavorare, per es., in via Solferino?