giovedì 1 giugno 2017

Essere altro (3)

Giovanni era un bell'uomo, inconsapevole di esserlo, nel senso che non aveva mai prestato troppa attenzione al proprio aspetto, tanto si guardava poco allo specchio, giusto il necessario per radersi o togliersi un punto nero che puntualmente emergeva dopo aver mangiato la maionese; egli, infatti, non dava peso agli sguardi, né ricambiava eventuali apprezzamenti di colleghe o vecchie amiche che ogni tanto incontrava. Di solito, quando una donna lo fissava, con una mano scendeva a controllare se aveva la cerniera dei pantaloni aperta, oppure si passava un fazzoletto prima sugli occhi e poi sul naso in cerca di eventuali escrezioni.
«Mi sarò fatto male la barba?», si chiedeva se lo sguardo risultava più insistente. E se lo specchio confermava l'impressione, si tagliava gli ultimi peli rimasti sul collo, con le forbicine che aveva sempre l'abitudine di portarsi dietro.

Essersi messo nei panni del cugino avvocato, aver ricevuto, ascoltato e infine aver suggerito una strategia al cliente che voleva separarsi dalla moglie, lo portarono a voler essere un suo caro amico d'infanzia, lui sì davvero bell'uomo che, fin da ragazzo, era sempre stato fortunato con le donne. Alto almeno dieci centimetri più di Giovanni, robusto e atletico, era maestro di tennis e di tango, cosa questa che lo rendeva particolarmente seducente, come Vilas.

Giovanni decise di esserlo e, in pochi giorni, giusto quelli necessari per carpirne le abitudini quotidiane, fece conoscenza della moglie del cliente, una donna che a tutta prima non lasciava aperta alcuna porta sulla primavera, la vita tutta ancora rivolta in devozione all'istituto del matrimonio. Giovanni, tuttavia, mise a frutto tutta la sagacia del suo essere altro e riuscì, come primo passo, a strapparle un caffè, nel bar adiacente al supermercato dove lei aveva l'abitudine di fare la spesa un paio o tre volte alla settimana. 

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