giovedì 13 luglio 2017

Estraneo a se stessi


«Non solo le mie azioni che descrivo, ma me stesso, la mia essenza. Ritengo che sia necessario esser prudente nel giudicare di sé, e parimenti coscienzioso nel testimoniare, sia in male sia in bene, indifferentemente. Se mi sembrasse di essere buono e saggio o quasi, lo canterei a voce spiegata. Dire di sé meno di quel che si è, è stoltezza e non modestia. Valutarsi meno di quel che si vale, è vigliaccheria e pusillanimità, secondo Aristotele. Nessuna virtù si giova della falsità; e la verità non è mai materia di errore. Dire di sé più di quello che si è, non è sempre presunzione, spesso anche questo è stoltezza. Compiacersi oltre misura di ciò che si è, cadere in uno smodato amore di sé, è, secondo me, la sostanza di questo vizio. Il supremo rimedio per guarirne è fare tutto il contrario di quello che ordinano di fare costoro che, proibendo di parlare di sé, proibiscono di conseguenza ancora di più di pensare a sé. L’orgoglio risiede nel pensiero. La lingua non può avere che una parte molto lieve. Occuparsi di sé, sembra loro che sia compiacersi di sé; frequentare e praticare se stessi, amarsi troppo. Forse. Ma questo eccesso nasce solo in coloro che non si saggiano se non superficialmente; che vediamo attendere ai loro affari, che chiamano fantasticheria e ozio occuparsi di sé, e fare castelli in aria coltivarsi e costruirsi: ritenendosi un altro, estraneo a se stessi.»

Montaigne, Saggi, Libro II, Capitolo VI, edizione Adelphi.

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