mercoledì 29 novembre 2017

Una famiglia per bere (2)

Mia sorella ha quarant'anni ed è, ancora più di mia madre e di moglie, la donna più importante della mia vita. Vorrei anche poter dire il contrario, cioè a dire che io sono l'uomo più importante per la sua, di vita, ma non posso, io sono infatti il fratellino da sorvegliare e accudire, medicandogli le ferite che si procura vivendo una vita considerata da tutti una vita da sconsiderato.
E perché? Perché non ho finito gli studi nonostante gli esami sostenuti e la tesi quasi in dirittura d'arrivo? O forse perché una sera su due tornavo a casa malconcio per aver bevuto troppa birra alla spina o aver fumato troppi spini alla birra? Vomitavo. Stavo ore chino sulla tazza del cesso, finché non mi sentivo completamente liberato. E lei era lì, a prepararmi la citrosodina, o il bicarbonato, o semplice acqua calda con un po' di zucchero, per farmi recuperare un po' di forze e togliere l'amaro insopportabile che mi restava bocca.

Mia sorella, purtroppo per me, andò via presto di casa. Si sposò con un suo coetaneo che era innamorato follemente di lei (lei lo era razionalmente di lui: figlio di un imprenditore edile e di una palazzinara, era uno dei partiti più ambiti della città, e senza neanche bisogno di concedere il voto di scambio), andò ad abitare in centro, in uno dei quartieri più in vista: attico di duecento metri quadri, e duecento quadri alle pareti, molti del Novecento italiano, tra cui due Casorati, un Savinio tre Rotella e un Sironi di attribuzione incerta in cui era raffigurato il Duce (questo lo tenevano in stanza di disimpegno). Io mi ricordo che la prima volta che andai a casa loro e lo vidi, mi venne spontaneo sputargli, ma - prevedendomi - mia sorella mi mise repentina la mano sulla bocca, promettendomi successivamente che avrebbe fatto di tutto per sbarazzarsene vendendolo a qualche imprenditore nostalgico, tipo Carlo Vichi della Mivar.

lunedì 27 novembre 2017

Una famiglia per bere

Il mio bisnonno era un viticoltore e faceva un vino con un tasso di acidità così alto da resistere bene alle latitudini tropicali, tanto che il viceré d'Etiopia volle insignirlo di una medaglia al merito e con un invito a passare una vacanza con la famiglia presso la residenza vicereale di Addis Abeba. L'invito fu accolto e, nel marzo 1937, mio bisnonno e consorte, più le famiglie dei figli al seguito (nipoti di primo grado compresi) si prepararono per il viaggio. Tutti, tranne mia nonna, perché aveva avuto il torto di sposare un umile macchinista ferroviere, di simpatie socialiste per giunta, sicché la faccetta nera per mio padre, restò soltanto quella delle sorelle più  piccole alle quali dipingeva, per celia, la faccia, di notte, con il lucido da scarpe testa di moro.

Mia nonna fu una donna preveggente. Quando eravamo piccoli ci raccontava che lei si era sposata per amore, mica come i suoi fratelli e sorelle che, invece, avevano ceduto al calcolo. «Voi, cari nipoti, non siete discendenti di un compromesso. Vedrete quando sarete grandi quanto questo potrà essere per voi un motivo di orgoglio».

E infatti. Io sono orgoglioso di non avere alcuno scheletro imperialista nell'armadio. Anche mia sorella, seppure lei preferisca portarseli a letto, gli scheletri imperialisti. Già. Bella donna, mia sorella. Tanto bella che, se non fosse stata sorella, ma che dico, meno male che lo è, giacché l'averla mi ha facilitato molto nel rapporto con le donne, attenuando, innanzi tempo, l'influenza edipica, in quanto io, da piccolo, più che andare a letto con mia madre, sognavo di andare a letto con lei.

Sono dieci anni che oramai ci vediamo soltanto per Natale, con le rispettive famiglie. Il suo compagno attuale è un trombone dell'aeronautica che si appunta le bandierine col tricolore sulla giacca, sulla camicia e, probabilmente, sul prepuzio. Solo a vederlo gli vorrei sputare addosso, sicché non lo guardo. Così, da due anni, per Santo Stefano mi viene il torcicollo. 

[...]

domenica 26 novembre 2017

Un'occhiata

«Anche una propria occhiata si ricorda quanto e forse meglio di una parola; è più importante di una parola perché non v'è in tutto il vocabolario una parola che sappia spogliare una donna. Io so ora che quella mia occhiata falsò le parole che avevo ideate, semplificandole. Essa per gli occhi di Ada, aveva tentato di penetrare al di là dei vestiti e anche della sua epidermide. E aveva certamente significato: "Vuoi venire a letto con me?"».
Italo Svevo, La coscienza di Zeno


È da ieri notte che consulto il vocabolario e, finora, non ho trovato alcuna parola che sappia spogliare una donna. O un uomo. O un cane. No, un cane non si spoglia, a parte quelli di piccola taglia che, d'inverno,  padrone e padroni rivestono con mantellini in filo di scozia. 

E, dunque, esisterà mai una parola che possa spogliare una persona al solo pronunciarla o scriverla? 
Spoglia. Terza persona singolare del verbo spogliare. Ma non solo.
Spoglia dalle mie parti si usa anche come sostantivo: la spoglia intesa come impasto di farina e uova. Ho udito questa parola fin da piccolo (forse persino nel grembo materno) quando mia madre tirava la spoglia per fare tortelli, ravioli, tagliatelle e tagliolini. E ripensando a quel bambino  che osservava quei gesti domenicali che realizzavano la spoglia, e rivedendo apparire sulla spianatoia della mente quella superficie quasi circolare, trovo che in essa sussista una tenue capacità di spogliare una persona delicatamente, o meglio: di sfogliarla, veste dopo veste, pagina dopo pagina, come un albero d'autunno si spoglia, a ogni refolo di vento, delle proprie foglie. La spoglia, in quanto corpo umano nudo, privo di supposizioni, restituito a se stesso e allo sguardo altrui, all'occhiata che desidera e sogna lo spoglio (non elettorale) delle proprie inibizioni.

venerdì 24 novembre 2017

Squadrone, ponzare march

Lo ha salvato la rapidità del trasporto in un ospedale sudcoreano, a bordo di un elicottero Black Hawk. «Era quasi morto dissanguato quando è arrivato», ha raccontato il dottor Lee, uno dei medici. Lo hanno operato due volte, prima per estrarre i proiettili. E hanno trovato nel suo intestino perforato un groviglio di parassiti, vermi lunghi fino a 27 centimetri: sarebbe colpa del cibo contaminato delle razioni nordcoreane. L’agricoltura di Pyongyang, stretta dalle sanzioni, non dispone di fertilizzanti chimici e come concime si usano escrementi, anche umani. L’intelligence di Seul sostiene che in passato ai soldati nordcoreani fu ordinato di «fornire due chili di feci al giorno» per lo scopo.
Domanda gastroenterologica: mediamente, una persona adulta, in età militare, per fornire due chili di feci al giorno, quanti chili di cibo dovrebbe mangiare? Ma soprattutto: quanto tempo deve stare seduta sulla tazza del cesso?

giovedì 23 novembre 2017

Eugenio Majoris

«La sera è tardi per intraprendere qualsiasi giudizio sensato sulla propria stabilità sentimentale perché la sera tardi i sentimenti sono stabiliti tutti in punta di giudizio», disse Lucas a un passante serale che girovagava in cerca di un collegio sindacale.

«Mi sa che è fuori orario, signore», provò a suggerirgli indicando l'orologio fermo di quella che una volta era la filiale di una banca popolare, adesso inglobata in una commerciale guidata da una cordata di pescatori di alto bordo, puttanieri che girano in Jaguar e Mercedes Benz, gente ibrida, che consuma gli avanzi del capitale, tre chilometri con un litro e tanto basta per essere abbastanza considerati come buoni inquinatori del mondo.

«Io sono uno dei millennials, di quelli di cui parlano tanto volentieri, e spesso, gli articoletti sulla fascia destra dei quotidiani online italiani. Quando la smetterete di assumere una posizione pregiudizialmente divergente e passatista nei confronti del nuovo che avanza?»

«Quale nuovo?» chiese, timidamente, Lucas, consapevole di essere da tempo lontano dalle istanze politiche ed economiche presenti sul territorio.

«Come sarebbe a dire: quale, lei che sicuramente quando aveva la mia età l'avrà visto sorgere, e parlo di circa un quarto di secolo fa, all'alba delle cadute e dei crolli, delle nuove ere e delle conclusioni definitive della storia. Avrà capito che cosa intendo, nevvero».

«È vero, il buon vecchio nuovo che avanza, quello in cui mi parve già allora troppo illusorio crederci e che invece adesso osservo, grazie a lei che girovaga per strada ad ora tarda, da una nuova prospettiva...»

«La stessa mia, suppongo».

«No, la prospettiva del lampione che la illumina, adesso sgombro dallo svolazzio delle falene e dagli inseguimenti dei pipistrelli che cercano, in stagioni loro più consone, con successo di catturarle.»

«Non la seguo».

«Si figuri io».

«Dovrebbe informarsi».

«Ho già una forma. Desidera suggerirmene un'altra?»

«Sì, la nuova Repubblica».

Lucas alzò gli occhi al cielo e, per la prima in vita sua, nonostante una leggera miopia, nello squarcio apertosi tra due dense nubi, ebbe modo di vedere la costellazione Eugenio Majoris. E per quanto tentasse di ricongiungere i puntini, non appariva niente.

martedì 21 novembre 2017

L'Ema a Ponte a Ema

Anziché palesare una volta di più che l'organizzazione generale e burocratica delle varie agenzie europee, per questa e quella funzione pubblica di controllo e indirizzo, favorisce la Disunione europea piuttosto che il contrario, i rappresentanti dei vari governi contendenti, che gioiscono o piangono a seconda del risultato a fine gara, giammai mettono in discussione la gara, la contesa stessa e il suo svolgimento, simile al combattimento tra galli specificamente allevati a tale scopo, per intrattenere la platea, il pubblico che ogni tanto si domanda, nell'intervallo tra uno spostamento di sede a un altro, se ancora, in Europa, stare uniti e farsi i dispetti, sia un collante per l'Unione degli Stati oppure un diluente che sciolga gli ultimi resti di tela unitiva, fintanto che risultino brandelli di Stati in perenne competizione che si strappano, vicendevolmente, le ultime ossa che il Capitale concede.

E perché una tanto ambita Agenzia del Farmaco generi un così cospicuo indotto - giacché è per esso che le varie città candidate se la contendevano a colpi di voti, non certo per ragioni scientifiche e di ricerca -, indotto generato con i soldi che gli Stati versano nelle casse dell'Unione, e quindi soldi di natura altamente improduttiva, nessuno tra i governanti che a monte si domandi perché per svolgere una simile funzione occorrono denari a iosa? Non si possono, gli impiegati, tenere ognuno a casa sua e che le varie mansioni siano svolte con telelavoro, sì che i soldi si spargano sul terreno stanco d'Europa, dai Paesi Bassi a Campobasso?


lunedì 20 novembre 2017

Non ci scusiamo per l'interruzione

Sullo stato whatsapp di un'amica psicoanalista, ho scoperto una frase di Paul Valéry che dice: 
«Tout commence par une interruption».
Anche il coito. 

Ah se avessi un recapito della mia prima fidanzata come glielo chiederei volentieri se io sono cominciato quando lei mi interruppe (o, meno riflessivamente: quando s'interruppe il nostro amore).

E forse lo dovrei pure chiedere a mia madre, se sono iniziato quando si ruppero le acque.

Ma invece no, mi limito a interrompere il post.

domenica 19 novembre 2017

Il messaggio del Prodigioso

Due domande:
1) I Federanziani sono una costola dei Pastafariani?
2) Il futuro Ministro della Terza Età sarà senza portafoglio come Veronica Lario?

Lasciatemi divertire

Volevo dire: sempre senza linea, comunque la trovo, a tratti, facendo spole, spartachi, madonne pellegrine, catture di hottispotti altrui. Ma questo trallalero influisce molto sulla resa bloggheristica. E un po' è un bene, il distacco, così non penso al dovere, mi limito al piacere, eccolo, c'è la linea e siccome son due giorni che sono in astinenza io debbo... postare.

Già. Considerato il decennio appena raggiunto dal blog, esaminandolo ed esaminandomi, mi rendo conto che la composizione dei post, al novanta, novantacinque per cento delle volte, è avvenuta e avviene in linea, nel senso che batto qwerty collegato a internet perché il pc se non è collegato non mi ispira affatto, mi fa lo stesso effetto della Lettera 35 made in Jugoslavia che mi comprai sognando diventare Moravia, perché era uno scrittore trombante, almeno a parole e ai cazzi espressi in prima persona, ma, nonostante essa, che era rossa e passionale, avrò composto si e no un raccontino insulso sul raffreddore da fieno e poco altro.

Io sono sempre stato uno scrivente epistolare, ovverosia un mittente in cerca di un destinatario. E se una volta l'eccitazione consisteva tutta nello scrivere letterine più o meno d'amore e d'amicizia, ripiegarle in quattro o in tre a seconda del formato della busta, scegliere un bel francobollo e impostare (io ho sempre im-postato: e mi ricordo di una buca delle lettere accanto a un ufficio postale con la scritta in lettere di ferro battuto: IMPOSTAZIONE, davanti alla quale mi mettevo in posizione Mennea) (e parentesi delle mail a parte), da un decennio a questa parte, il piacere mio scritturale - e, spero, in parte minima, anche tuo, mon semblable, mon frère - consiste appunto nel comporre ivi quello che la mente, nel quotidiano esercizio del vivere pensando o pensar vivendo, ritiene necessario e divertente esprimere per dare agli altri un'idea di sé, un selfie complesso che serve innanzitutto al sottoscritto, il quale, di riflesso, si augura di offrire un seppur minimo piacere a coloro i quali hanno la bontà di passare da queste parti.
Perché leggere qualcosa di piacevole, sia esso futile o utile, a seconda della leggerezza o profondità raggiunta, è, lasciatemelo dire, un godimento.

E come cantava Palazzeschi?


giovedì 16 novembre 2017

Nel vento di Roma

La vita mi passa
la voglia di capirla:
«Lassa perde»
direbbe un amico sapiente
silente nel vento di Roma
che scioglie i capelli
e la chioma di lei
e di quell’albero accanto
soli in attesa di un tram.

Soli non è un eufemismo
a Roma se non si è
innamorati giacché
la gente che passa
come la vita di sopra
passa la voglia di capirla
la gente incazzata
e indifferente
nei quadri che Roma non regge
e non appende.

Io le parlo a Roma
come a un’amante lontana
conosciuta in un giorno
d’aprile il più dolce dei mesi
lo stesso che un poeta
precoce scelse
definire crudele
nella solitudine
di un treno e di un albergo
di un sottopasso
e una panchina di marmo.

Roma mi accolse come
una prostituta accoglie
il primo cliente al mattino
quando ha voglia di lavorare
e gli fa credere che
lui è l’unico uomo
che l’abbia saputa
soddisfare.

C’è chi ci crede
come io ci credetti,
per le strade di Roma
camminando e sentendo
una strana aderenza delle suole
al suolo, tutta una storia
consumata di passi morbidi
cadenzati in si bemolle d'amore.

Qualsiasi cosa tu faccia a Roma
da innamorato la fai bene:
entrare in una chiesa e lasciare
che qualcuno preghi
e qualcuno se ne freghi
entrambi esempi di fede
corretta della quale il Dio improbabile
terrà conto.

Poi Roma fece
la sua parte: si rese complice
di quei due che si sospettavano
che aspettavano solo di guardarsi
per capire che Roma
li avrebbe eternizzati
affrescati alle pareti di quella camera
come i colori nelle stanze
del marchigiano.

E Roma aggiunse alla collezione
un’altra storia breve
facilmente dimenticabile
e sotterrabile senza tema
che incauti archeologi la estraggano
trovandoci significati diversi
da quelli qui raccontati
di amore sussurrato
trattenuto dentro sguardi
e sorrisi d'intesa.

La vita mi ritorna
la voglia di capirla
senza capire perché.

martedì 14 novembre 2017

Molestie a parte

Orbene, ma tutti quei registi (e produttori), tutte quelle attrici (e attori), chi se li incula?
Pensavo questo, oggi, quando al telefono (cellulare), un'altra gentile operatrice di Sky (Mariangela), mi ha chiesto se ero interessato al pacchetto Cinema in offerta a metà prezzo, per tutto l'anno. Ho risposto no, fosse anche gratis, non lo vorrei, dacché raramente perdo tempo a guardare film, quelli vecchi forse, sono un passatista, un Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, una Monica Vitti e una Laura Antonelli allora prenderei il Cinema al volo.

***
Stamani una collega, toccandomi involontariamente un braccio prima e ripassandoci sopra di proposito una mano dopo, mi ha detto: "Come è duro. È un muscolo?". L'ho avvertita che avrei potuto denunciarla per molestie.

***
Della giornata, fatte le cose da fare («C'è da fare la spesa, si fa; da andare dal dentista, ci si va»), resta il tempo che resta, quello che vola, disperso in rassegnata rassegna dei pensieri che le ore diurne hanno accumulato, prima che le notturne li trasformino in materiale onirico, che coadiuva od ostacola la digestione, la quale prosegue il suo lavoro a nostra insaputa. Come vorrei avere un appartamento gratis a Roma, in novembre. Tante cose da fare ci sarebbero, da Navona in là.

lunedì 13 novembre 2017

Filini telefonici

Premessa (uggiosa): nonostante l'assistenza tecnica mi abbia assicurato che «i tecnici, già sollecitati, faranno il possibile per risolvere il guasto», ancora sono senza internet e telefono di casa. 

Svolgimento: oggi pomeriggio, mi hanno chiamato sul cellulare da un numero col prefisso di Milano.

- Pronto, signor Massaro, sono Lucia del servizio clienti Fastweb e la chiamo dall'Italia.

- Ah bene, mi dica: notizie sul ripristino della mia linea?

- No, la chiamo in merito a una promozione riservata ai clienti del telefono fisso: da oggi, Fastweb, propone in offerta l'attivazione gratuita di un numero mobile più X giga e Y minuti.

- Senta, signora Lucia, le posso - brevemente - raccontare una storia? È dal 27 ottobre che non ho il piacere di usufruire dei vostri servigi telematici per un guasto sulla mia linea che non vi decidete a riparare, quindi, come pensa che potrei essere interessato alla vostra offerta?

- Mi dispiace signor Massaro; spero che tutto si risolvi quanto prima.

- Come ha detto, scusi? Non ho sentito, la linea è un po'  disturbata.

- Ho detto che spero tutto si risolvi presto.

- Ah, risolvi! Benissimo: ora le credo che mi stia chiamando dall'Italia.

domenica 12 novembre 2017

La presa di Pisapia

Quando dicono: «Bisogna fare di tutto per unire», o anche: «Bisogna saper includere», oppure ancora: «Bisogna riconciliare le varie anime della sinistra» sappiate che non pensano ad altro che a se stessi, gli uniti, gli inclusi, i riconciliati, perché il loro obiettivo è la riconferma, il non uscire dalla zona confortevole della politica di mestiere, quella che fanno tanto perché li pagano, li invitano nelle redazioni dei giornali o delle televisioni a dire la loro, come se la loro fosse parola attesa che contenesse un significato, una speranza oppure avesse, al limite, un minimo potere persuasivo, capacità di convincere la prossima, esigua percentuale di coloro che ancora non sono stati sfiniti nel midollo da più di trent'anni di progressismo o di centrosinistra di merda, come la storia attesta che sia stato e che soltanto di peggio ancora potrà essere, e che - oh, tapini -  si recheranno alle urne, per votarli, per garantirgli ancora una legislatura di vuoto e malaffare, perché se costoro (i politici di sinistra) ci vanno disuniti, in pochi avranno la possibilità di ritrovare il posto finora occupato per continuare a rappresentare il nulla.


P.S.
Voi lo sapete, vero, che Veltroni "ha firmato" una serie televisiva per Sky che racconta l'educazione emotiva di alcuni ragazzi di una scuola media di Roma?
Io non ce l'ho il coraggio di guardarla perché mi sembra di non dover scontare alcuna pena. Se però mi dite che farlo darà più stimoli intellettuali che il Papa di Sorrentino, allora, beh, lo farò

sabato 11 novembre 2017

Blogger's workout

Da nessun luogo addì martembre, mi pare cominci così l'incipit tradotto di una poesia di Brodskij, che rammento da un luogo in cui non posso constatare che sia vero, dovendo fare in fretta per scrivere un post inutile, giusto per mantenermi in forma, ginnastica da tastiera fuori porta, uno due, uno due, pronti, via.

Dunque, giusto per memento, racconto quel che accade alla mia linea, Cavandoli.

Venerdì 27 ottobre, tardo pomeriggio, la connessione va e viene, più va che viene, nel senso che un minuto si connette e l'altro sparisce, finché, in serata, sparisce del tutto. Chiamo l'assistenza Fastweb, a Durazzo. Essi verificano che non ho connessione, né telefonica né internet e mi dicono che dovrò attendere 72 ore, di prassi, ma che intanto i loro tecnici subito si metteranno al lavoro. Col cazzo, Durazzo. Infatti, il tecnico - di una ditta che esegue lavori in appalto a Telecom (dato che Fastweb si appoggia su Telecom per farmi arrivare il segnale) - giunge a verificare la mia linea in data 2 novembre. Egli, dopo un lavoro di un'ora e mezzo buona di controllo, constata che il guasto non è sulla linea portante, bensì sul modem/router Fastweb che non riesce a ricevere bene il segnale; cosicché, egli mi prenota un appuntamento per l'indomani con un incaricato Fastweb per la sostituzione del suddetto modem. 
Venerdì 3 novembre, verso le 19, arriva a casa mia Johnny, un giovane tecnico a partita IVA di fastweb, che assomiglia a Steve Wonder da giovane. Gli offro un succo ACE perché lo vedo a corto di vitamina e intatto mi sostituisce il modem con uno nuovo di ultima generazione. Dopodiché, egli contatta la centrale Fastweb di Durazzo ("speriamo risponda una donna, mi trovo meglio con le albanesi che con gli albanesi"), risponde - ahilui - un uomo e, insieme, fanno l'allineamento. La linea parte, alleluja, grazie di tutto e buona serata.
La connessione è ripristinata, ma lunedì 6 novembre, verso le 14, daccapo, linea out. Arichiama Durazzo che ancora, per la verità, non aveva "chiuso" il mio caso. Mi dicono ancora: attenda 72 ore. 
Ne sono passate più di 120 e ancora niente, nessun contatto. Per puro caso, dato che lo stesso tecnico che era venuto a casa mia si è ripresentato a trafficare davanti alla centralina che si trova a un dipresso da casa, ho saputo che il problema è di questa natura: stanno "ricompattando" la centrale Telecom del comune dove abito. Vale a dire: dopo un contenzioso sugli affitti, dato che le nuove tecnologie anziché un palazzo abbisognano di un monolocale per gestire il tutto, Telecom ha affidato a una ditta terza tale spostamento dei cavi. Ebbene, in questo trasloco, alcune linee sono saltate, compresa la mia. Una di queste sere mi sono presentato di persona alla centrale per vedere se trovavo qualcuno a cui raccomandarmi. Trovo un amico, che lavora in Telecom da anni, il quale mi dice: "Noi non possiamo niente, ci hanno esclusi, dobbiamo aspettare che la ditta abbia finito e poi rimettere in funzione ciò che hanno danneggiato. Ci vorranno due settimane, questa e la prossima".

Eccomi qui. Come si fabbrica una molotov?

P.S.
In sovrappiù stamani è saltato un ripetitore della rete cellulare TIM. Non suggeritemi Vodafone. Aspetto la mongolfiera di Google.

giovedì 9 novembre 2017

Palle sgonfie




Oramai la mia sola speranza di riavere una connessione a casa è quella di attaccarmi al passaggio di questo preservativo usato gonfiato da Google. 

martedì 7 novembre 2017

Dieci tali Lucas

Non mi piacciono gli anniversari. E aiutato dal fatto che sono senza linea internet a casa, mi sono persino dimenticato di ricordare che, lo scorso 4 novembre, questo blog ha compiuto dieci anni.

Appena quella cazzo di fastweb del cazzo mi ricollegerà col mondo, offrirò da bere leggere qualcosa.

Tanti auguri, Lucas.

lunedì 6 novembre 2017

Una volta a Venezia

Una volta, quando ero innamorato, mi veniva spesso in mente Venezia, soprattutto fuori stagione, fuori catalogo, anche se non c'è più stagione e non ci sono più momenti senza catalogo, a Venezia.
Una volta, quando ero innamorato – e fortuna voleva che innamorati fossimo in due – una gita a Venezia, anche solo per tre giorni, ce la facevo sempre, perché Venezia, per chi non ci abita, è una città da camminare da innamorati, altrimenti andarci da solo ti fai due palle, l'ipocondria t'assale, t'incupisci e pensi che morire potrebbe essere una soluzione, mangiando fragole.
Una volta, quando ero innamorato, e innamorati eravamo in due, io e lei andammo a Venezia e il caso volle pioggia e vento ad attenderci. Nel quarto d'ora a piedi che congiungeva la stazione all'albergo, le nostre facce infreddolite non sapevano se reclamare quiete alle intemperie o se, al contrario, queste si fossero trasformate in una tempesta tale da costringerci a stare chiusi in camera più di quanto sapevamo ci saremmo stati chiusi già.
Quella volta, quando ero innamorato, a Venezia avevo portato il Borsalino nero che lei mi aveva regalato per il mio compleanno. Nero, a tesa larga, mi riparava egregiamente dalla pioggia, ma un colpo di vento me lo tolse e lo fece precipitare nel canale. Dal parapetto del ponte dov'eravamo, ci incantammo a osservarlo gondolare via, lento e lontano, come quell'amore che da tanto tempo non esiste più.
Una volta, quando ero innamorato, pensavo Venezia fosse la città migliore per fare l'amore: per il suo essere città d'Oriente; per il fascino che incanala i passanti nelle calli come fossero collant colorati da sfilare; per il vento funambolico che fa camminare gli innamorati come acrobati su un filo; per la pioggia che sa di sale, come lacrime di felicità; per la sua capacità di sospendere il tempo, di far andare fuori sincrono le persone, anche quelle innamorate, per non illuderle con i “sarà per sempre perché il sempre a Venezia non è una verità.


sabato 4 novembre 2017

Una mancata esposizione

Se anch'io, nel 1994, fatta salva una breve militanza [*] nel partito monarchico, un concorso da giornalista in rai vinto con probabili raccomandazioni monarchiche o pentapartitiche e una spiccata indole al lecca e paraculismo, mi fossi messo a disposizione (a esposizione) di qualcuno che chiedeva la disposizione (l'esposizione) a quartabuono dei disposti (degli esposti), come portavoce, portacqua, porta quel cazzo che ti pare, forse, allora, nel giro di quasi cinque lustri trascorsi tra Strasburgo e Bruxelles, avrei imparato anch'io tre lingue e a fare quello che c'era da fare, soprattutto eseguire gli ordini e le direttive, farmi trovare sempre pronto appena si liberava un buco, o fare spazio al mio di buco alla bisogna, in giacca e cravatta, a rivestire incarichi via via sempre più di prestigio, perché mai mi sarei permesso di pisciare fuori dal vaso, di sputare nel piatto dove mangiavo, di toccare un culo fuori contesto, e buongiorno e buonasera, good morning and good night, bonjour et bonne nuit, buenos dias y buenas noche, ecco che forse, miracolo del tempo e dell'oblio conseguente, sarei considerato uno statista, perché di fatto - altro miracolo dovuto a una combinazione astrale sconvolgente - altri mi hanno eletto presidente di qualcosa, di un consesso di morti viventi, tra i quali la figlia di un certo Altiero, la brava intellettuale - ricordate - la quale, candidandosi, dichiarò che, nel caso fosse stata eletta, avrebbe rinunciato al seggio, col cazzo, vero Furfaro?, ma che vuoi che sia, il sopramondo si compone di certe facce, non di altre, non di quelle che nel 1994 non sapevano neanche come trovare una sede del partito monarchico per eventualmente iscriversi, o a chi raccomandarsi per fare lo spazzino comunale e quindi niente, che io non sia diventato uno statista è dovuto a una sicura cospirazione monarchica, perché a me i re, tutti i re e le regine, quelli buoni compresi, stanno sul cazzo. 

___________________
[*] Mi riferisco a http://www.ilpost.it/2017/11/04/tajani-ambizioni-politiche/
La piattaforma blogger stasera fa le bizze impedisce di inserire i link in modo corretto. Se lo faccio, appare questo

venerdì 3 novembre 2017

Questua news

Le edicole stanno morendo. 
Camminando, ne ho trovata una per strada, le ho dato un euro e lei, in cambio, non mi ha dato neanche un giornale. 

giovedì 2 novembre 2017

Senza ali

Sfrutto connessione di rimbalzo semplicemente per comunicare che ancora, nel luogo dove son solito postare, sono senza.
Pazienza.
Poca.
Pace.
Porci senza ali.