domenica 3 dicembre 2017

Una famiglia per bere (3)

Ebbe appena il tempo di festeggiare il primo anniversario di matrimonio che mia sorella restò vedova: suo marito fu colpito alla testa dal gancio di una gru, mentre visitava, cascomunito, un cantiere per la costruzione di un ipermercato. Un incidente sul lavoro, insomma, ogni tanto capita, sebbene raramente, che la vittima sia l'imprenditore, anziché un dipendente...

Avrei potuto iniziare così un nuovo capitolo di un ennesimo romanzo interrotto, poi ci ho ripensato, troppo comodo per mia sorella liberarsi di un marito che non amava e che aveva sposato soltanto per interesse. Certo che anche lui, mio cognato, altrettanto aveva sposato mia sorella per interesse, giacché lei era, è una donna molto interessante, sotto altri aspetti, nient'affatto trascurabili. Forse per questo il matrimonio funzionava, ero io che invece non funzionavo, perché invidiavo sia lei che lui, il diverso potere che ognuno di loro emanava, la ricchezza e la bellezza, cose che stavano debitamente alla larga da me. E vivevo come un risentito, uno che avanzava pretese, in un primo momento indirette e poi, via via, sempre più disdicevoli e pressanti. Per esempio, mi presentavo a casa di mia sorella quando suo marito non c'era e, in pratica, la ricattavo minacciandola che avrei rivelato tutto a mio cognato; anche se, in pratica, non avevo niente da rivelare. E, infatti, al mio assalto, lei replicava: «Che cosa? Non ho niente da nascondere»; ma io, caparbiamente, le rispondevo: «Io so più cose di te di quanto tu stessa non ne sappia. Quindi attenta». Lei si limitava ad alzare le spalle, apriva la sua borsetta, mi dava cinquantamila lire con la stessa disinvoltura con la quale si lancia un osso al cane e io correvo fuori, al momento contento di aver ottenuto almeno un paio di giorni di autonomia.

Lei ci teneva a me, come si tiene a un cane, ed è già tanto per un fratello rompicoglioni. In fondo, eravamo rimasti soltanto io e lei, della famiglia: i nostri erano morti di itterizia, alle Galapagos. Dico di itterizia perché furono scambiati per iguane da cacciatori di frodo delle stesse, mentre facevano snorkeling. Essi si erano regalati il viaggio dopo essere andati entrambi in pensione, piuttosto giovani: cinquantacinque mio padre (ex dirigente Telecom) e cinquantatré mia madre (funzionaria delle Ferrovie). Partirono tutti contenti, tanto noi eravamo grandi per badare a noi stessi. E da allora ci badiamo, senza essere ricambiati. Veramente mia sorella sì, si è sposata apposta, perché voleva tirare il fiato e recuperare la possibilità di una vita facile. Il punto è che io credevo che lei la volesse anche per me, una vita facile, e che si sentisse responsabile e per questo incaricata di provvedere a ciò. «Invece manco per niente: ti devi arrangiare. Devi sbrogliartela da solo. Non puoi continuare a pretendere che io sostenga il tuo infantilismo. Devi crescere. Non trovi lavoro? Lascia che te lo trovi io. Non ce la fai a mantenere casa dei nostri? Vendila: di quello che ricaverai io non pretenderò niente. Ma, ti prego, smettila di venire a battere cassa. Non ce la faccio più a inventare scuse per spese non fatte a mio marito. Quindi, ecco, queste sono gli ultimi soldi: d'ora in poi, arrangiati da solo». 

2 commenti:

siu ha detto...

Dài che comincia ad essere intrigante...

Luca Massaro ha detto...

Grazie dell'incoraggiamento, ma chère.