martedì 30 luglio 2019

Il sindaco ai tempi di Facebook

Fare il sindaco ai tempi di facebook riserva al sindaco tanti pollici in su, tante faccine sorridenti, qualche cuoricino, alcune esclamazioni, poche facce irate, questo a ogni marciapiede rimesso in sesto, a ogni albero potato, a ogni evento culturale da trenta persone in su e cinquanta in giù, perlopiù pensionati baby ancora in forma e con la voglia tanta di studiare all'università dell'età libera, a ogni annuncio sulla viabilità o sull'emergenza mal bel buon cazzo di tempo, c'è un nuovo divieto di sosta, l'orario estivo della biblioteca, commemorare i martiri, i pettini, 25, 1, 4, 2, 77 i prodotti a chilometro zero, il centro commerciale naturale, la fava lessa, il cappuccino al mattino in tutti i bar presenti sul territorio comunale, e poi la mamma, la zia, la sorella e la cognata, c'è da tagliare il nastro per l'inaugurazione del vialetto al cimitero, la festa degli alberi, il saluto alle scuole, domani viene il questore, dopodomani il prefetto, passa il giro d'Italia, il trentennale del gemellaggio, la festa del vino della birra la sagra della castagna, della patata, della polenta al sugo di cinghiale, un saluto a tutti, condoglianze comprese, senza dimenticare di marcare il territorio comunale di ogni frase con il deposito dei punti esclamativi:

«Stamani ho espresso il cordoglio dell’amministrazione al Comandante di Bagno e di Cavallo! L’Arma dei Carabinieri dimostra ogni giorno l’importanza che riveste nella sicurezza del nostro Paese!»...

domenica 28 luglio 2019

Il falco alto levato

Prima dei "socialmedia" (internet c'entra e non c'entra), sui fatti di cronaca ci si accapigliava al massimo con una decina di persone in famiglia, venti se dentro un bar o trenta se il circolo fosse stato pieno, cinquanta se al rinfresco della cresima o della comunione. E per quanto giornali e televisioni si sforzassero di stamparli a caratteri cubitali o ad urlarli nei titoli dei telegiornali, il virus della cronaca contaminava una ristretta cerchia, e per ciò stesso aveva vita breve, come discussione pubblica, nella mente del pubblico.

Da un po' di anni a questa parte, da quando internet ha preso la piega social (Facebook, Twitter e, in minor misura, i blog) il virus dei fatti di cronaca non è circoscrivibile, contagia una platea straordinariamente più ampia, e i nostri colpi di tosse, gli starnuti e gli sputacchi di parole si diffondono nell'aere con velocità esponenziale fino a raggiungere una soglia critica in cui il nostro sistema immunitario alle cazzate alza bandiera bianca.

Il solo argine, a questo flusso continuo che ci ammorba, è la resistenza passiva che la nostra mente opera mescolando i fatti, frullandoli in modo da confonderli e non distinguerli più l'uno dall'altro. 

Ma non basta. Prima che la mente imploda e non capisca più niente, occorre trovare una strategia di difesa e - secondo me - le strade percorribili potrebbero essere due: o fare finta che i fatti di cronaca non accadano, che non ci riguardino e mostrare, verso di essi, “divina indifferenza” Spesso il male di vivere ho incontrato / e quasi sempre me ne so' fregato»); oppure, al contrario, prestare la medesima attenzione per tutto, perdere - per ogni accadimento - più neuroni che capelli, mostrare trasporto empatico verso ciò che accade in cronaca senza fare differenze tra un fatto e l'altro.

Ognuno segua la propria indole. Io, per il momento, provo a guardare, sopra la statua della sonnolenza, il passaggio del falco.

sabato 27 luglio 2019

La grande donazione

La moglie di Douglas Tompkins (un imprenditore tessile, ambientalista, escursionista, regista, agricoltore, filantropo americano), giorni fa, a pochi anni dalla morte del marito (2015), ha effettuato «la più grande donazione di terra mai fatta da un privato a uno Stato», il Cile - e si appresta, altresì, a fare una donazione analoga all'Argentina -, con il vincolo che siano creati dei parchi nazionali in cui gli stati s'impegnano a preservarne la biodiversità.

Brava. E bravo il marito. E, naturalmente, giù lodi, peana, osanna per una vita spesa all'insegna di un nobile fine: la salvaguardia della natura dai disastri ambientali provocati dall'uomo. Quali uomini? Fuori i nomi, i cognomi, i conti e banca e le azioni.

Ma a parte ciò: oltre a me, c'è qualcuno che si chiede come sia possibile (tollerabile) che un "privato", una persona sola abbia potuto e possa, forte di un ingente quantitativo di quattrini, riuscire a comprare uno sterminato numero di ettari di terra del pianeta? Direte: Tompkins ha fatto i soldi legittimamente; come i Benetton, era una magliettaio anche lui, poi ha ceduto le (azioni delle) aziende e, anziché comprarsi le Autostrade, con la liquidazione ha deciso di acquistare terreni per un nobile fine che neanche un dio.

Neanche un dio, appunto.

- Eh, ma ha fatto i soldi onestamente, mica con il narcotraffico o la vendita illegale di armi.

Ma io non discuto l'onestà, la regolarità, la bravura dell'individuo. Discuto la dismisura e conseguente diseguaglianza che regolano i rapporti di proprietà all'interno di una società di classe. La finitezza umana, singola, individuale non potrebbe, da sola, essere bastante per porre un limite oggettivo che la società intera (almeno quella democratica: escludiamo le monarchie assolute e le dittature, per esempio) pone al consumo e al possesso di risorse di un pianeta finito? Giacché non esiste alcun merito, alcuna eccezionalità imprenditoriale o di altro genere che renda umanamente accettabile il fatto che qualcuno possegga sconfinati appezzamenti di suolo (e forse sottosuolo). Eppure il diritto (borghese) garantisce e tutela il diritto di proprietà fondiaria senza limiti. 


Occorre però fare attenzione: non sta nell'espropriazione tout court il riscatto del bene comune, per favorire la collettività ai danni del singolo possidente; bensì nello scardinare un meccanismo economico e produttivo che determina tale smisurato squilibrio di appropriazione del valore.


La produzione sociale è frenata, inceppata dai «rapporti di proprietà».

C'è un simpatico account Twitter chiamato Has Jeff Bezos Decided To End World Hunger? 
che rende bene l'idea dell'immensità della ricchezza concentrata su un solo individuo: 
«Jeff Bezos has a net worth of $165bn. The UN says it would cost $30bn to end world hunger per year. So, has Jeff Bezos decided to end world hunger today?»
Ma ripeto: non si tratta di assaltare la diligenza Bezos, ma semplicemente di iniziare a rimettere in circolo alcuni ragionamenti che, sebbene siano stati formulati più di centosettant'anni fa, sono ancora gli unici in grado di fare il punto reale della situazione:
«A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi.
Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia dell'industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio.Basti ricordare le crisi commerciali che col loro periodico ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l'esistenza di tutta la società borghese.
Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. - Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.
A questo momento le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.» 
L'unica riserva è sulla frase finale: gli uomini che impugneranno quelle armi contro il capitalismo, non in una nazione ma nell'intero pianeta, non sono stati ancora generati. Va dato atto alla borghesia di aver impedito di far nascere i suoi becchini. Come ci è riuscita? Come ci sta riuscendo? La butto là: panem et circenses.

giovedì 25 luglio 2019

Il tuo disordine è stato spedito

Fare il corriere non è facile, soprattutto d'estate. Tuttavia, Manuel Defica (attenzione a dove fate cadere l'accento), non essendo figlio di un cineasta (l'unica parentela artistica ce l'aveva la mamma, lontana cugina del cantante Tony Astarita), non aveva trovato altro modo di guadagnarsi da vivere - per il momento la laurea breve in economia non era servita a trovarsi un'occupazione coerente con gli studi intrapresi, o forse sì, visto che la sua tesi verteva sulla logistica aziendale -, e lui aveva bisogno di soldi, per le ragioni solite che sarebbe tedioso ripetere qui.
Oggi poi che ci sono quasi quaranta gradi all'ombra e l'asfalto pronto per cuocerci due uova, Manuel teme proprio di non reggere questi ritmi: la sveglia all'alba, il carico delle consegne, pacchi e pacchetti, aziende e privati, soprattutto privati che, da quando il commercio online è diventato una pratica comune, hanno fatto aumentare considerevolmente il carico di lavoro per i corrieri, ma non certo i guadagni che sono notevolmente diminuiti.

Le due di pomeriggio e il furgone ancora pieno zeppo di consegne Prime. E, inoltre, accanto a queste, due grosse scatole pesanti fuori misura, a magazzino gliel'hanno caricate con il muletto, sebbene il suo furgone non fosse provvisto di sponda montacarichi. Il mezzo specifico è a fare la revisione e la consegna è urgente. Tanto il destinatario, una ditta privata, avrebbe sicuramente avuto il modo di scaricare i due colli.

Prima di procedere con le consegne ordinarie, decide di liberarsi di quel peso e si reca dunque presso la ditta a cui era destinato. A magazzino si presenta un impiegato con spolverino color lavanda, due bic - nera e rossa - infilate nel taschino e una targhetta sull'altro, con scritto il nome, Albert, e la mansione, magazziniere.

«Senta, abbiamo il muletto dal meccanico. Se vuole le do una mano e scarichiamo, in due ce la dovremo fare».
Manuel, vista la buona volontà del magazziniere, decide di provare, in fondo sulla bolla di accompagnamento c'è scritto 70 kg a scatola. E infatti ce la fanno, le scaricano entrambe e il magazziniere prende la bolla e va in ufficio per mettere il timbro di consegna. In quel momento, arriva il titolare, un omaccione di quasi due metri; strappa di mano la bolla al magazziniere, guarda storto il corriere e dice: «Non è quello che volevo. Rifiuto la consegna. Riprendile e riportale al mittente». Manuel guarda stupito il magazziniere più stupito di lui e dice che è un problema, non ha la sponda montacarichi, e loro non hanno il muletto a disposizione, quindi... Ma il titolare è irremovibile: «Riprendi quelle scatole, portale via, non le voglio qui». «Sì, ma almeno datemi una mano...». Il magazziniere si offre spontaneamente, ma il titolare gli ordina di tornare in magazzino, si occupasse d'altro, se hanno sbagliato la consegna si arrangino a riprendere il materiale, non sono affari loro.
«Ma che sta dicendo? È stato il magazziniere ad autorizzarmi a scaricare». Manuel non fa a tempo a finire di parlare che il titolare gli si avvicina minaccioso, le mani alzate:
«Riprendi le scatole e levati dalle palle», urla, la faccia paonazza e madida di sudore.
«Ma da solo non ce la faccio a caricarle!».
«Non è un mio problema, hai capito? Arrangiati!». E si allontana, sbattendogli la porta in faccia.

Manuel non sa che fare. Contrariato, telefona in sede, ma il responsabile gli dice di riportare i due scatoloni al magazzino senza fare storie. Manuel gli fa presente il problema del peso; come soluzione, il responsabile dice di attendere un suo collega che passerà ad aiutarlo quando avrà finito le sue consegne.

«E le mie consegne?».

«Le farai dopo.»

«Ma non sarebbe più pratico se andassi a consegnare i pacchi che mi restano e poi ritornassi a ritirare questi due scatoloni?».

«Non puoi lasciare la merce incustodita; saresti ritenuto responsabile in caso di danni o di furto».

«E così me ne devo stare tre ore sotto il sole per via di quella testadicazzo di imprenditore?»

«Beh, sì».

«Perché siamo l'azienda più attenta al cliente, vero?»

«Sì, credo di sì».

«Bene».

Manuel sale dentro il furgone dove ci sono tutte le scatole Prime e le scarica, una dopo l'altra, accanto ai due scatoloni di prima. Poi si mette alla guida e parte, ma non si sa dove va.

martedì 23 luglio 2019

A scanso di equivoci

Chiedo venia: ho iniziato gli ultimi due post con due "a scanso di equivoci" (tre con questo, per chiudere la questione).
Perché scanso gli equivoci? Che cosa mi hanno fatto gli equivoci? Hanno la lebbra, la peste, il colera? Guardano canale 5? 

In fondo, a me piace equivocare, ossia «chiamare con lo stesso nome più cose» perché in principio era il verbo e il verbo era presso Dio e Dio è, per sua natura, un... anzi: il Grande Equivoco.

Forse scanso gli equivoci perché preferisco aver poco a che fare con Dio?

O forse, più semplicemente, perché temevo di essere frainteso?

Non lo so. Fatto sta che, per due volte di seguito, ho scansato gli equivoci. Beh, spero di farmi perdonare.

È successo un finimondo

A scanso di equivoci: io non sono anarchico e non sono contento dell'episodio accaduto perché so bene che a rimetterci (a parte qualche milioncino d'euro e la faccia) non è stato tanto il Potere costituito, bensì le persone che in quel momento, per un motivo e per un altro, erano in viaggio e si sono sorbite tre o quattro ore di ritardo.  Ma riguardo all'atto doloso che ieri ha bloccato le ferrovie in mezza Italia, credo che il post di Finimondo, il blog anarchico che, su segnalazione della Digos, è stato indicato dai giornali e dalle agenzie come possibile ispiratore dell'atto, non sia da valutare come volantino rivendicativo.
Infatti, in quel post non linkato dai giornali (e perché?) Finimondo , scrive:
«Ignoti che con un nonnulla hanno gettato nel caos la circolazione ferroviaria nazionale, settore importante di quel sistema pubblico di trasporti che ogni giorno fa funzionare la nostra amabile società, spostando merci umane e inumane a seconda delle esigenze del mercato. Ma quando non funziona più nulla, si sa, si è costretti a pensare a tutt’altro. Eh, lo sappiamo, lo sappiamo, che sbirri e giornalisti — abituati come sono o al mutismo dell’obbedienza o al coro del consenso — prenderanno queste nostre parole nientepopodimenoche per una "rivendicazione". Ma che ci volete fare? È più forte di noi. Non riusciamo a trattenere la nostra emozione nel constatare come questo gigante chiamato Potere abbia sempre e comunque i piedi di argilla. Come sia sufficiente accendersi una sigaretta all’aria aperta in campagna e sotto la luna per mandarlo in tilt. Come tutta la sua esaltata magnificenza, tutta la sua tracotante invincibilità, dipendano da fragili cavi disseminati un po’ dovunque. Talmente vulnerabili da poter essere neutralizzati persino da una lumaca.»
Ebbene, fatto salvo che tale atto doloso abbia comportato il disagio e l'incazzatura di migliaia di persone (e tra questi, probabilmente, anche qualche anarchico) che in quel momento erano in viaggio, felicitarsi dell'accaduto è sufficiente per essere attenzionati dalla Digos e additati dalla stampa? E questo perché tale guadio non ha un'impronta goliardica, bensì ha una matrice anarchica (e quindi, nella sua essenza, anti-statale e anti-sistema) e ciò non è tollerabile di per sé per il potere statale?

Se i Sorveglianti fossero intelligenti, dovrebbero far tesoro delle succitate parole, giacché esse gettano luce sulle debolezze di una parte del Sistema e potrebbero anzi rivelarsi d'aiuto per rafforzarne il Controllo. Come può, infatti, l'intero sistema di trasporto dell'Alta Velocità interrompersi per un danno così contenuto come l'incendio di una cabina elettrica a Rovezzano? Se in luogo dell'«opera di ignoti» fosse caduto un fulmine o fosse stata, appunto, una lumaca, quali alibi i dirigenti della Rete Ferroviaria italiana avrebbero potuto accampare?

In fondo lo Stato, quando vuole, sa dimostrare di essere efficiente e sul pezzo in maniera rapida. Basti vedere come, nel giro di poche ore, il ministro degli interni - il poliziotto mascherato! il detective de Milano! - fosse sul posto per verificare di persona sull'accaduto. Sicuramente non ci è arrivato in treno.

domenica 21 luglio 2019

I giorni della Luna

A scanso di equivoci: celebro con favore anch'io il cinquantenario dell'allunaggio e balbetto, con Neil Armstrong, «that's one small step for a man, one giant leap for mankind».

Tuttavia, nel meccanismo mediatico che genera tanto entusiasmo celebrativo, vorrei gettare un granello di polvere, soffiato dalle pagine di uno scrittore che, all'epoca, tanto entusiasta non era.

La "conquista della Luna": « si tratta di una trappola prodigiosa, da eccitare per un ultimo eccesso quel che ci resta di un'immaginazione autentica. Probabilmente, non meritavamo una forca così alta; una più modesta sarebbe stata più giusta. Ma l'uomo è tra i fuochi di una lotta che non si sa dove abbia il suo centro, se ne ha uno. Un'arte del supplizio meravigliosamente raffinata è stata messa in opera per incenerirci perfettamente. Hanno l'aria di lasciarci camminare fuori della gravità, solo per acchiapparci dopo, senza sforzo, in un punto stretto. L'uomo non beve pietre lunari, anche se pensa a nutrirsi di petrolio, e basta che il suo bicchiere resti asciutto, o si riempia di mota avvelenata, perché tutte le sonde inviate negli spazi a scattare istantanee di mondi morti, immagini rifiutate dalla poesia superstite di un mercato straccione si spengano nella sua gola. Un uomo colpito da paralisi e da pazzia per aver preso con le dita, in una padella annerita da olii incerti, qualche grammo di frittura di pesce che ha ricevuto dal plancton attossicato il suo ultimo boccone prima delle reti, non può guarire con ipotesi di astrofisica. Annunciategli anche il ritrovamento di un sandalo romano su Marte, le sue labbra mortefatte non sorriderebbero.»
« L'uscita di qualche essere umano dal regno della gravità è nel regno della gravità significata nel rantolo del pescatore giapponese e nella fame dell'egiziano, nelle leucemie prodotte dalle radiazioni ionizzanti, nelle catene infinite di distruzione fisica, psichica e mentale create dalle combinazioni aggressive di tanti metalli, gas, polveri, fluidi, sonorità, velocità, rovine. Tutti i progressi ancora possibili, prima del definitivo arresto, nei voli spaziali, sono già nel sangue invaso e cascante, in speciali varietà di agonia, e nelle periferie e nei centri della corruzione genetica, in ulcere senza cicatrice, prefigurati. L'uomo sulla luna, cercalo nelle tanche di morte della petroliera; nella miniera abbandonata dove hanno calato i detriti radioattivi; nel banco di schiuma immobile sul pelo dell'acqua; nei tuoi polmoni e nel tuo intestino. I giorni sulla luna e le piaghe della grande peste che ci ha colpiti, misteriosa come ogni peste, sono un unico e medesimo giorno, e uno che lo sappia e scriva è un visitatore di lazzaretti, in cui finirà la sua opera di misericordia, interrogandosi inutilmente sull'origine del miasma e cercando, nella parola pura, una difesa dal contagio, il soccorso di una medicina veramente umana.»
« Le frecce di Apollo portano la peste. Le frecce di Apollo 11, 12, 13, 14 piovute sulla terra dalla luna, sono frecce di Apollo, sempre le stesse frecce, venute dall'alto, per il tormento e l'illuminazione del basso.»
« Il segno umano è dappertutto. Come abbiamo fatto, in un tempo così corto, se la nostra misura è esatta, a sfregare uomo su tutto? Il nostro segno era anche, forse, prima di Armstrong, sulla luna. Prima della luna, forse, quando la luna si stava formando come stella fredda lontano dalla terra e la terra non gli aveva ancora impartito la sua legge, era stampato nel cerchio vuoto il segno.»
« L'avventura umana è breve. Un respiro cosmico ed è la fine.»

Guido Ceronetti, Difesa della Luna, Rusconi, Milano 1971 


Nonostante i limiti di un pensiero reazionario, Ceronetti toccava - con un mirabile bisturi linguistico - alcuni nervi scoperti delle magnifiche sorti e progressive che la Missione Apollo conteneva. E cinquant'anni dopo, a lato delle celebrazioni, sarebbe necessario constatare che a quel piccolo passo non ne sono succeduti altri di simile portata e che, per contro, di lazzeretti la Terra, e non la Luna, è ancora piena.

Ma la pubblicistica odierna si limita alle celebrazioni, non si interroga sulle motivazioni che portarono l'uomo sulla Luna. Soprattutto: depenna, in larga misura, il contesto storico-sociale che determinò tale impresa collettiva - qui, invece, narrato in modo esemplare, da cui estraggo la chiusa:

« Mezzo secolo dopo, gli sbarchi sulla Luna rimangono un traguardo scientifico, tecnico e organizzativo, una dimostrazione ispiratrice di due potenti verità pur nell'attuale momento storico costantemente sotto attacco di tendenze reazionarie e irrazionali, ossia il fondamentalismo religioso, quello economico e quello post- modernista: 1) la ragione umana è in grado di comprendere il mondo attraverso lo sviluppo della conoscenza scientifica, delle sue leggi e delle sue proprietà oggettive; 2) utilizzando la tecnologia basata sulla scienza e con uno sforzo comune socialmente organizzato, l'umanità può sfruttare la natura per i suoi scopi e raggiungere traguardi giudicati a priori quasi impossibili. »
« Immaginiamo dunque quali potrebbero essere i traguardi, non solo “spaziali”, se l’umanità riuscisse finalmente a liberarsi degli anacronistici Stati nazionali nelle forme nelle quali tutt’ora si configurano e a organizzare un modo di produzione globalmente e socialmente pianificato sui bisogni e il benessere dell’umanità intera e per scopi pacifici e razionali. »

sabato 20 luglio 2019

Come plastica

Te lo dissi, tu ripetesti, fummo d'accordo
sul fatto che nessuno avesse ragione:
rara virtù umana il riconoscere
di essere entrambi dalla parte del torto.

Ingenui, tuttavia, credemmo che
dagli errori avremmo imparato
a prevedere quando sarebbe stato
il caso di fermarsi, per non sbagliare più.

L'aurora, che ci investiva ogni mattino
separandoci dai sogni, dimostrava
invece quanti chilometri da percorrere
ancora c'erano per mantenere il proposito.

Allora lanciavamo i desideri altrove
in un punto lontano da noi stessi
per donarci un po' di consolazione
ché soddisfarli non era stato possibile.

E piangevamo con cognizione di causa
per non restare indifferenti, per patire
piuttosto che avere l'impressione
che il corpo appartenesse a qualcun altro.

Poi ci prendevamo a schiaffi, per convenzione.
O meglio: io li prendevo perché non ce la facevo
a imitare la tua rabbia, a sfogarla
sul mio non essere più in grado

di darti amore e il resto conseguente. 
E fummo a noi stessi degli assenti
anche se dall'appello risultava
che eravamo davanti l'uno all'altra.

E la sera ci raccontavamo a turno
la storia triste del nostro amore perso
gettato ai bordi della strada come
plastica che il terreno non assorbe, no.

giovedì 18 luglio 2019

Bollo d'allevamento

In un caldo pomeriggio estivo, su una strada regionale molto transitata che non consente facili sorpassi, si era formata una fila chilometrica, giusto perché un automobilista imponeva un'andatura media inferiore ai 40 km all'ora. Dopo circa 40 km e, appunto, più di un'ora, un altro automobilista, leggermente accaldato e innervosito, a un semaforo affiancò l'autovettura del precedente automobilista lento, aprì il finestrino e, con occhio severo, gli domandò: «L'hai pagato il bollo?».

La domanda sarebbe stata più che opportuna, se il bollo auto fosse una tassa sulla circolazione.

Invece esso è una tassa sulla proprietà. 

Noi automobilisti paghiamo non per circolare, ma per avere una macchina. Per questo, forse, il bollo è, tra le tasse, non certo la più "odiosa" (sono più odiose le accise, per esempio), ma una delle più antipatiche. Perché non è più una tassa di scopo, con l'obiettivo di finanziare la realizzazione e la manutenzione delle strade pubbliche dove i veicoli liberamente circolano (anche per questo non si capisce quanti soldi ricavati da tale tassa siano dalle regioni impiegati per circolazione sulle strade regionali).

Quindi, l'idea di una sua abolizione non sarebbe peregrina, tuttavia - come giustamente rilevano al Sole 24 Ore - «occorre individuare coperture», giacché le regioni, senza tali soldi, si troveranno, complessivamente, 6,5 miliardi di introiti in meno. Infatti, il bollo auto è una tassa regionale e, da un certo punto di vista, è una delle poche che possa considerarsi, a giusto titolo, una tassa che rispetta il tanto osannato federalismo fiscale perché i soldi vanno direttamente nelle casse delle regioni, senza l'intermediazione dello Stato.

Che fare dunque? Estendere le agevolazioni: niente bollo per le auto meno inquinanti e gradualmente aumentato per le auto più vecchie, soprattutto per quelle che, con la scusa d'essere d'epoca, non pagano niente o poco e puzzano tanto.

mercoledì 17 luglio 2019

Il coraggio del cacciavite

«Se consideriamo il processo di produzione dal punto di vista del processo lavorativo, l'operaio non trattava i mezzi di produzione come capitale, ma come semplice mezzo e materiale della sua attività produttiva adeguata allo scopo. In una conceria, per esempio, egli tratta le pelli semplicemente come suo oggetto di lavoro. Non è la pelle del capitalista che egli concia. Le cose stanno diversamente non appena consideriamo il processo di produzione dal punto di vista del processo di valorizzazione. I mezzi di produzione si trasformano subito in mezzi di assorbimento del lavoro altrui. Non è più l'operaio che adopera i mezzi di produzione, ma sono i mezzi di produzione che adoperano l'operaio. Invece di venire da lui consumati come elementi materiali della sua attività produttiva, essi consumano lui come fermento del loro processo vitale; e il processo vitale del capitale consiste solo nel suo movimento di valore che valorizza se stesso». 

Karl Marx, Il Capitale, Libro 1, capitalo 9.

Dato l'alto grado di sviluppo e l'elevata composizione tecnica, il capitale ha sempre meno bisogno del fermento probiotico dei lavoratori. Ovverosia: per mettere in moto tutta la massa del capitale costante, c'è sempre meno bisogno di capitale variabile, cioè di forza lavoro umana. E da ciò conseguono alcuni effetti verso i quali i signori della politica non provano alcun interesse, similmente ai signori del Castello nei confronti dell'agrimensura.

Quanta poca considerazione dell'agrimensura hanno al Castello...  Mosso dalla suggestione della rilettura del libro Kafka, azzardo: il Capitale è il Castello inaccessibile, inviolabile, intangibile. Lo sfinimento a cui conduce la lotta contro di esso (per ottenere riconoscimento da esso) è inevitabile, come la stanchezza finale di K. 
Coraggio e perseveranza, lo scontro quasi violento pure, non bastano. Tanti Klamm guidano il mondo, tanti camaleonti ai quali è impossibile dare la caccia, afferrarli, poterci solo parlare e discutere. E questa impossibilità è dovuta al fatto che non è consentita alcuna discussione con un meccanismo, con un soggetto automatico, con un HAL 9000. Occorre il coraggio del cacciavite, ecco tutto.

domenica 14 luglio 2019

Convertitevi, un giorno verranno i denti del giudizio


Secondo il ministro dell'istruzione israeliano «la terapia di conversione degli omosessuali può avere risultati efficaci»; e ce lo garantisce personalmente, affermando di avere «una conoscenza molto approfondita della formazione». E noi - come disse il mago Otelma - non dubitiamo affatto, giacché sfidiamo qualunque maschio - omo, bi, o etero curioso - a farsi fare un pompino da uno con un'arcata dentale come lui.


P.S.
Perdonate, ma appena l'ho visto, m'è tornata in mente una barzelletta che ci raccontavamo alle elementari:

- Dottore, mi aiuti: ho i denti gialli.
- Si metta una cravatta marrone.

Tre righe in cronaca

Cominciamo dai turchi. Gli americani - o meglio: Trump si è incazzato con Erdogan perché hanno comprato missili dai russi. Ma il presidente USA gliel'ha spiegato ai suoi compatrioti che i turchi dovranno pure piazzare, da qualche parte, l'uva sultanina, i pistacchi e le lavatrici Beko? 

Proseguiamo con gli italiani: secondi gli italiani. Secondi a nessuno, in quanto servitori. Come giustamente fa notare Alberto Negri, Salvini supera persino Arlecchino nel servirne tre insieme. Con quali contropartite d'interesse nazionale non si sa, al momento parrebbe un mero interesse particolare. Ma vedremo. Allo stato presente, dubito tuttavia che, anche qualora fosse accertato il finanziamento illecito, questo potrà incidere negativamente sul consenso elettorale della Lega.

Seguitiamo con l'Assemblea nazionale del Pd. Zingaretti: «Dobbiamo cambiare tutto per...». 
Aspetta: dove l'ho già sentita questa frase?

Concludiamo con l'Encierro di San Firmino che, quest'anno, ha visto pochi incornati a Pamplona: peccato.

giovedì 11 luglio 2019

Il dono di Chernobyl

Anni fa, credo nel 1984, dopo l'uscita nelle sale italiane di The Day After, Beniamino Placido - uno dei più acuti editorialisti di Repubblica - scrisse che il sotteso, ma sostanziale messaggio di quel film non era volto tanto a spaventare il pubblico americano per l'imminenza di una guerra nucleare, quanto ad allarmarlo per un'altra, più subdola disputa di diversa natura: la guerra commerciale e la conseguente invasione del mercato statunitense di prodotti stranieri, in particolare di merci di alto livello tecnologico (elettronica, automobili) prodotte in Giappone.

Oggi, credo nel 2019, la prima impressione che ho avuto guardando Chernobyl è stata che tale sceneggiato, più che raccontare e mostrare l'imperizia, l'ottusità e la prevaricazione del potere e della burocrazia sovietici, lasci trasparire un significato ben più profondo, legato non al fallimentare "socialismo" da caserma russo, bensì all'attuale situazione storica in cui un solo modello economico domina la riproduzione sociale dell'intera umanità. In buona sostanza, la serie tv trasmessa in Italia da Sky mostra sottotraccia che viviamo in un'epoca nella quale il disastro non è localizzato in un punto del globo che, per quanto possa essere esteso, potrà comunque essere contenuto (sebbene al prezzo di un incalcolabile numero di vite umane). No, Chernobyl è la metafora di ogni luogo della Terra schiavo della logica storicamente determinata del Capitale. Chernobyl è ovunque non si scorga la contraddizione fondamentale tra
«valore d’uso e valore di scambio, dunque nell’ambito della produzione stessa [e, quindi,] la contraddizione tra il carattere globale delle forze produttive e la persistenza di un sistema obsoleto di stati nazionali» Olympe de Gouges
Questa cecità scientifica, in breve: il rifiuto della scienza di Marx fa, secondo me, il paio con le parole conclusive che il protagonista, lo scienziato Valery Legasov, pronuncia durante il processo e al suo epilogo:


«Ci sono già stato su un terreno pericoloso, ci sono tutt’ora su un terreno pericoloso, per i nostri segreti, per le nostre menzogne. Sono esattamente ciò che ci definisce. Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo fino a quando neanche ricordiamo che ci fosse una verità, ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato. Ecco cosa fa esplodere il nocciolo di un reattore RBMK, le bugie. »

«Essere uno scienziato vuol dire essere un ingenuo. Siamo così presi dalla nostra ricerca della verità da non considerare quanto pochi siano quelli che vogliono che la scopriamo, ma la verità è sempre lì, che la vediamo o no, che scegliamo di vederla o no. Alla verità non interessano i nostri bisogni, ciò che vogliamo, non le interessano i governi, le ideologie, le religioni. Lei rimarrà lì, in attesa, tutto il tempo. E questo, alla fine, è il dono di Chernobyl. Se una volta temevo il costo della verità ora chiedo solo: qual è il costo delle bugie? » Valerij Alekseevič Legasov

martedì 9 luglio 2019

Il passaggio all'elettrico


In Norvegia sono più avanti.

Sicuramente, durante il corteo funebre a piedi, si respira meglio a stare in coda al Tesla. E tuttavia, da un punto di vista ecologico, credo che il vecchio Fiat 132 a benzina della Misericordia paesana abbia avuto, complessivamente, nel suo arco di vita (credo sia stato rottamato), un minore impatto ambientale. 

domenica 7 luglio 2019

Porto Portese

La questione migranti/migrazioni è complessa - e io non ho certo le competenze per dirimerla. Al limite, similmente a come fanno i politici, posso dare un contributo per nascondere la polvere sotto il tappeto. La polvere della questione, non i migranti, beninteso.

Per limitarci al caso italiano e alla polemica circa l'assenza di una politica comune e alla mancanza di solidarietà tra i paesi dell'Unione Europea, la mia polvere sotto il tappeto è: l'Italia ceda la sovranità nazionale di Lampedusa e acque territoriali circostanti a beneficio di tutta l'Unione. In breve: Lampedusa divenga il primo territorio sovranazionale europeo ove sventoli la sola bandiera blu con le stellette. Di più: Lampedusa diventi la capitale d'Europa, vi sia ubicato il Parlamento e la sede della Commissione. 
Premesso che, secondo me, tale cessione territoriale sarebbe vantaggiosa per l'Italia anche a titolo gratuito, lo Stato, in cambio, potrebbe ottenere - con ragione - l'abbuono di una cospicua fetta del debito pubblico, oppure la concessione dello sforamento del deficit per un determinato numero di anni.

E se l'Unione europea non fosse interessata?

Si trovi un altro Stato disposto a "comprare". Magari uno degli stessi stati europei. La Germania, per esempio, potrebbe essere una soluzione: in fondo, in pochi anni, i tedeschi sono riusciti a inglobare la Germania Est, figuriamoci se in pochi mesi...
L'Inghilterra? Già sono stronzi a Gibilterra, lasciamo perdere.
Gli Stati Uniti? Difficile accolgano la proposta: hanno già un cospicuo numero di basi americane a gratis nel nostro paese.
E perché no Israele, che di tanti territori occupati ha bisogno... Lampedusa è sufficientemente kasher?

Ultimi ripieghi: Arabia, Emirati, Qatar? O anche: se la vendessimo alla Cina? 

Sarebbe uno scandalo? Ma perché? Che cosa fece la Repubblica di Genova con la Corsica? Non ditemi: "Facile, tu abiti a più di mille km in linea d'aria, non puoi capire". E cosa c'è da capire? Io penso, invece, che se fossi lampedusano mi sentirei più rassicurato se Europa si assumesse per intero la responsabilità dell'isola e delle acque territoriali.

Mmmh... vedo troppi storcere il naso: sarà meglio che smetta di spazzare, ché questo è un tipo di polvere che sotto il tappeto non ci sta.

venerdì 5 luglio 2019

Macché satira

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Makkox - non mi piace il tratto; ma soprattutto: non mi fa ridere. Sembra satira un gradino sotto al livello del Bagaglino (con tutto il rispetto per Oreste Lionello, Pippo Franco e Martufello). E fin qui è un problema mio, me lo gestisco io, e non pretendo che mi si aiuti a risolverlo.
Però, certe volte, oltre a non farmi ridere, certe vignette hanno il difetto di farmi parteggiare (per un attimo, sia chiaro, per un attimo) per il personaggio sbeffeggiato; perché, nel caso specifico: se è vero, com'è vero, che Salvini si è adombrato per la sentenza che ha liberato la capitana Rakete, non credo affatto ch'egli si sia rattristato a vedere Sassoli incaricato presidente del parlamento europeo. Anche perché tale conquista democratica e progressista non lo tange minimamente: Salvini, infatti, sebbene fosse capolista alle scorse elezioni, difficilmente lo si vedrà occupare i banchi del parlamento europeo presieduto dal piddino. E poi, suvvia, nonostante sia alla sua terza legislatura europea (tre volte tre candidato dal pd), Sassoli sta alla politica tanto quando Gigi Marzullo sta alla cultura. Brava persona, per carità, ma era meglio se tornava a fare il giornalista per Euronews.

mercoledì 3 luglio 2019

La faccio semplice

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Nell'attesa che siano smaltiti dalle strade della città, per non aumentare il numero e l'ampiezza dei cumuli di rifiuti, quali indicazioni dare ai cittadini romani per buttare al meglio la spazzatura?

Io un'idea a bomba (o bomba o non bomba) ce l'avrei.

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Certo non tutti gli immobili saranno al pianterreno, ma qualcheduno avrà pure l'ascensore, no?

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Mi è venuta in mente questa canzone:

Ma non ho visto mai nessuno buttare lì qualcosa e andare via.

martedì 2 luglio 2019

Più bella e più superba che pria


«La concorrenza fiscale genera esternalità negative che costano a livello globale 500 miliardi di dollari l'anno, con un danno stimato per l'Italia tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l'anno. Una concorrenza fiscale di cui, di fatti, beneficiano le più astute multinazionali pone le imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, ma anche le grandi società la cui proprietà mantiene comportamenti fiscali lodevolmente etici nei confronti dei nostro Paese, in una situazione di grave disagio competitivo. [Per cui] è indispensabile, dunque, ritrovare un approccio strategico comune a livello europeo per porre fine alle distorsioni del mercato attualmente esistenti, assicurando che l'imposta sia versata nel luogo in cui gli utili ed il valore sono generati»

Oltre al dumping fiscale, secondo Rustichelli occorre correggere

«anche le pratiche di dumping sociale e contributivo che, favorite dalle delocalizzazioni, si sostanziano nello sfruttamento delle minori tutele previste per i lavoratori nei paesi dell'Est. [Pratiche che] appaiono ancora più inaccettabili quando incoraggiate attraverso l'utilizzo di risorse pubbliche che, anziché essere rivolte a promuovere lo sviluppo dei territori, vengono strumentalmente impiegate in danno di altri Paesi; ovvero quando la decisione di un'impresa di trasferire altrove la produzione venga assunta dopo aver ricevuto aiuti pubblici per effettuare investimenti produttivi».

- Sicuramente, la Relazione Rustichelli sarà il primo dei dossier che saranno posti all'ordine del giorno dall'appena insediato Europarlamento e della prossima Commissione europea. Sono certo che i leader europei saranno capaci di trovare un accordo che impedisca il dumping fiscale e, quindi, la malsana competizione tra Stati membri. Sono convinto che, in un breve lasso di tempo, queste storture saranno raddrizzate e che il Riformismo (con la erre maiuscola) riuscirà a riformare il sistema e saranno ritrovate coesione e comunità d'intenti che daranno nuovo slancio all'Unione europea che ritornerà più bella e più superba che pria.

- Bravo.

- Grazie.