giovedì 11 luglio 2019

Il dono di Chernobyl

Anni fa, credo nel 1984, dopo l'uscita nelle sale italiane di The Day After, Beniamino Placido - uno dei più acuti editorialisti di Repubblica - scrisse che il sotteso, ma sostanziale messaggio di quel film non era volto tanto a spaventare il pubblico americano per l'imminenza di una guerra nucleare, quanto ad allarmarlo per un'altra, più subdola disputa di diversa natura: la guerra commerciale e la conseguente invasione del mercato statunitense di prodotti stranieri, in particolare di merci di alto livello tecnologico (elettronica, automobili) prodotte in Giappone.

Oggi, credo nel 2019, la prima impressione che ho avuto guardando Chernobyl è stata che tale sceneggiato, più che raccontare e mostrare l'imperizia, l'ottusità e la prevaricazione del potere e della burocrazia sovietici, lasci trasparire un significato ben più profondo, legato non al fallimentare "socialismo" da caserma russo, bensì all'attuale situazione storica in cui un solo modello economico domina la riproduzione sociale dell'intera umanità. In buona sostanza, la serie tv trasmessa in Italia da Sky mostra sottotraccia che viviamo in un'epoca nella quale il disastro non è localizzato in un punto del globo che, per quanto possa essere esteso, potrà comunque essere contenuto (sebbene al prezzo di un incalcolabile numero di vite umane). No, Chernobyl è la metafora di ogni luogo della Terra schiavo della logica storicamente determinata del Capitale. Chernobyl è ovunque non si scorga la contraddizione fondamentale tra
«valore d’uso e valore di scambio, dunque nell’ambito della produzione stessa [e, quindi,] la contraddizione tra il carattere globale delle forze produttive e la persistenza di un sistema obsoleto di stati nazionali» Olympe de Gouges
Questa cecità scientifica, in breve: il rifiuto della scienza di Marx fa, secondo me, il paio con le parole conclusive che il protagonista, lo scienziato Valery Legasov, pronuncia durante il processo e al suo epilogo:


«Ci sono già stato su un terreno pericoloso, ci sono tutt’ora su un terreno pericoloso, per i nostri segreti, per le nostre menzogne. Sono esattamente ciò che ci definisce. Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo fino a quando neanche ricordiamo che ci fosse una verità, ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato. Ecco cosa fa esplodere il nocciolo di un reattore RBMK, le bugie. »

«Essere uno scienziato vuol dire essere un ingenuo. Siamo così presi dalla nostra ricerca della verità da non considerare quanto pochi siano quelli che vogliono che la scopriamo, ma la verità è sempre lì, che la vediamo o no, che scegliamo di vederla o no. Alla verità non interessano i nostri bisogni, ciò che vogliamo, non le interessano i governi, le ideologie, le religioni. Lei rimarrà lì, in attesa, tutto il tempo. E questo, alla fine, è il dono di Chernobyl. Se una volta temevo il costo della verità ora chiedo solo: qual è il costo delle bugie? » Valerij Alekseevič Legasov

3 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

che personaggio!

Anonimo ha detto...

Mi piace come tratti alcuni argomenti ed è per questo che è difficile non condividere ciò che scrivi. Tempo fa uno studente facendo ricerche per i suoi esami si se servì anche di quel che scrivi qui. Bravo.
Vittorio

Luca Massaro ha detto...

Grazie mille, Vittorio.