venerdì 27 marzo 2020

Uscire dall'ombra

Mi manchi, azzurro, non è vero
che mi manchi, azzurro, è vero:
è l'aria, piuttosto, che mi manca
quell'aria solita di sempre che
più solita non è ma riservata
in uno spicchio d'atmosfera
che il grigio di oggi chiude
e acquieta il voler andare altrove.

Non l'arrocco quotidiano sulla scacchiera
del pavimento casalingo rallenta
lo scorrere delle ore, no;
ma che i sogni stessi giochino in difesa
nell'attesa di essere nuovamente liberi
di tornare alle catene dei propri desideri.

Finalmente un'erezione: era tempo
che le connessioni interne della mente
non la contemplavano. Ora che faccio?
La prendo in considerazione?
Io direi - dico fra me e me - e mi do retta
e recupero il tempo perduto, come Proust,
senza fretta.
Le fanciulle sono sempre in fiore:
sarà bene esca da questa ombra.

giovedì 26 marzo 2020

Bazookami

Sono stato in edicola a comprare la Settimana enigmistica. Su una prima pagina ho letto, a caratteri cubitali, di un bazooka da 50 miliardi. A me mi: ripeto: a me mi fa girare i coglioni questo abuso di retorica militarista e guerrafondaia, anche perché l'unica arma di cui dispongo è una fionda. Con l'elastico rotto.

Anche l'elastico di molte mutande mi si è rotto, ma le mercerie, i negozi di abbigliamento, i banchi del mercato sono chiusi (poi nevica). 

E il baccalà chi me lo ammolla?

Comprerò le mutande su Zalando: si può?

Sinceramente, guerra per guerra, avrei preferito essere bombardato dagli americani: almeno dopo gli schianti, loro avrebbero paracaduto la roba da mangiare e non ci saremmo sbattuti per fa la spesa che neanche a Seveso al tempo che fu.

Comunque, tranquilli: sto a casa e cammino per qui, ma lasciatemi dire vaffanculo finché lo potrò dir.

martedì 24 marzo 2020

Ground Control to Major Tom

Camminare con il sole e il vento in faccia,
lungo i metri che la legge concede,
ad occhi chiusi per far sì che la luce
soffusa sotto le palpebre
conceda una vista che oltrepassi
l'ostinato presente.

E stare come dei nudi rami
in attesa che le foglie nascondano
e proteggano l'essere
e nutrano la nostra fame di quiete.

Se fosse questa una missione
ci saremmo almeno preparati
come astronauti in attesa del lancio
su una rampa del Kazakistan.

Tenere gli occhi chiusi ancora un poco
per vedere Terra come ne fossimo usciti
e provare nel confine delle propria solitudine
a cantare una canzone in attesa
di essere liberi una volta ancora.


domenica 22 marzo 2020

Vogliono i colonnelli

Considerazioni a margine di due post: uno e due.

Voglio credere, voglio sperare che tutte queste decisioni emergenziali siano prese dai governanti come extrema ratio per la tutela e la salvaguardia sanitaria della popolazione, ma non credo che la maggioranza della popolazione che le subisce (queste decisioni), le senta come un ulteriore aggravio epidemico, come un indebolimento sostanziale del corpo democratico, e temo, invece, le viva come una naturale conseguenza perché "sai, sennò la gente non capisce", e applauda se una pattuglia delle forze dell'ordine arresta qualcuno che contravviene alla regola (per esempio: uno da solo che cammina o corre per strada).

Io, invece, non sono contento per niente di dover andare in giro con un foglio di via. Sono assai preoccupato di essere controllato per un sì o per un no. Vedere l'esercito per strada mi fa cadere le palle immunitarie (me lo faceva anche prima, a vedere i mezzi blindati sotto il Duomo e gli Uffizi).

***
Per un guasto tecnico non ho la tv ordinaria per cui non mi abbevero alle informazioni standard ufficiali. Per ora seguo internet, due o tre fogli principali di agenzia. Vedo ancora questo fottuto insistere sui dati, sui numeri del contagio, e il godimento (quasi) nel cercare il caso di qualcuno che è morto anche se era «sano come un pesce».

Sano come un pesce... Nessuno nelle redazioni che sia mai andato a pescare? 

Nella premessa che questa situazione mi ha - comunemente - scaraventato in una ipocondria che mai prima avevo vissuto, e che io sia certamente allarmato e segua le direttive indicate per contrastare la pandemia, l'aspetto non secondario che mi affligge è come il sistema informativo (del quale siamo noi stessi vittime e complici tramite l'uso dei socialmedia) abbia agito e stia agendo nella diffusione del panico e nella richiesta del Vogliamo i colonnelli. 

Eppure, nel 1969, nonostante ci fosse un canale solo, la televisione parlava in un altro modo.

sabato 21 marzo 2020

Is everybody in?




Ho tra le mani
domani
lo guardo lo curo
lo cullo sicuro
pensando che adesso
sia solo un spesso
paio di mutande di piombo
che mi gettano a piombo
sul fondo più fondo.

*
Può la poesia guarire qualcosa?
Non credo. È già tanto che non risulti noiosa,
che a leggerla insomma si abbia
più percezione di gioia, che di rabbia

Ma la rabbia di oggi non consente
di stare leggeri a parlare di niente:
il tarlo non rode solo il pensiero
ma il resto del corpo («ti giuro che sclero!»).

*
Primavera, finalmente.
Primavera, formalmente.
Disinfettatemi stocazzo di mente
che vorrebbe viaggiare lontana
con due gocce di valeriana
ma certo non basta una tisana:
lo Stato ci passi LSD adesso
così usciremo di casa lo stesso
comodamente seduti sul cesso.

*
E allora farò come Kavafis
se non posso la vita che desidero
cercherò di star calmo qui
nel mio privato chilometro zero
a fare spesa di me
e mettermi in dispensa
nel caso poi di me avessi bisogno
e farmi lesso o al forno
o restassi senza carta igienica.

_________
Qui il testo


giovedì 19 marzo 2020

Correva l'anno

Siccome non credo che chi passa da qui venga a cercare notizie (aggiornamenti o annottamenti) sul gran tormento in corso e neanche impressioni sulla angst che da esso scaturisce, ho pensato di riordinare e ripulire la scrivania e una parte di libreria. Bravo.

Ho ritrovato un'agenda. È del 1990. E se piangessi?

Fu un anno che ero - eravamo innamorati. Infatti passò presto, come un fulmine, quell'anno. Comunque, in tale agenda bancaria dell'ex popolare dell'Etruria e del Lazio (quanti fallimenti!), sono riportate le cronache quotidiane - spesso in versi -  di un giovine perdigiorno che si accompagnava con una giovine che non aveva tanti giorni da perdere, ma pur ogni tanto inseriva delle note a margine della suddetta diaristica. Ad esempio (28 marzo):
Le piccole cose d'una stanza d'albergo a Venezia: levarsi le scarpe, mettere i calzini sul radiatore, lavarsi le mani, buttarsi sul letto, spogliarsi, fare i bisogni, rilavarsi le mani, pettinarsi, mettersi il pigiama, andare a letto zusammen... Tira  ora vento e piove ancora: i pigolii, il nido ai piedi, alcuni strofinamenti... na nait... ci svegliamo: occhi piccoli, naso grande, bocca storta: un'ora prima d'alzarsi: ci laviamo, ci vestiamo, ti trucchi: occhi grandi, naso piccolo, bocca dritta: colazione e: primo sole a Venezia! Venezia d'Oriente. Pranzo vegetariano. Palazzo Grassi: Andy Warhol: una retrospettiva. E poi ancora Venezia, le calli, ri-San Marco, (Acquarium), tutto un giro a finirsi i piedi. Poi albergo, cena. la camera, il letto... qua, qua, qua. 
E la nota a margine:
«Luca è un bambino cattivo: occhi piccoli, naso grande, bocca storta e... qua, qua, qua».
Ma ritornando all'oggi, a questo tempo che non passa, a questi scienziati «i migliori che sono sul mercato» (!), vorrei tanto che presto, molto semplicemente, ci rifossero i banchi del mercato, compreso quello della bella signora prosperosa che vende mutande e calzini anche da uomo e che sempre buoni consigli mi sa dar.   

martedì 17 marzo 2020

Incluso il cane


Io ci provo, ci provo, ci provo ma non riesco, non riesco, non riesco a stare tranquillo, nonostante ci siano le condizioni per stare tranquillo, incluso il cane.
Certo, me la racconto - e come no, hai voglia se me la racconto - che andrà tutto bene, ma questo futuro - «Che fine ha fatto il futuro?» - sia pure schiacciato dall'angosciante presente, quando arriva?

Andrà - quando diventerà: è andata? Quando potremo metterci davanti a un tavolo a raccontarci la storia di questi tempi tristi e tribolati? E io stavo così, e passavo il tempo in quel modo... 

Il problema è che, invece, qui si stia assistendo e - soprattutto - subendo un crescendo di ansia e preoccupazioni diffuse, come se la società tutta fosse all'angolo in attesa del KO. 
Ma quando suona almeno la fine di un round?

Quando la smetteranno con il quotidiano bollettino della contabilità del contagio? Quando impacchetteranno tutti i dati nella silenziosa statistica dell'Istat?

Nel Bilancio demografico nazionale del 2018 si legge che, due anni fa, in Italia ci sono stati 633mila decessi, vale a dire poco più di 1700 morti al giorno. È un dato tranquillizzante, nevvero?



Certo, la situazione attuale è grave, la realtà oggettiva non è che la si cambia a proprio piacimento. Io vorrei soltanto che, in questi giorni dello stare a casa, si potesse, non dico nascondere la realtà: soltanto tenerla per un attimo in stand-by, e si avviasse una narrazione diversa degli eventi e, in spirito decameroniano, si riuscisse a mitigare l'effetto panico senza dover ricorrere alle benzodiazepine.

Per fortuna c'è il cane.

lunedì 16 marzo 2020

Basta col dito

Ora che sono a casa potrei scrivere e scrivere e scrivere (e leggere e leggere e leggere). 

Invece guardo il dito


N.B.
Mi riferisco al dialogo tra Totò e Aldo Fabrizi che va, più o meno, dal minuto 42'30" al 44'15".

venerdì 13 marzo 2020

E diventava virale

Dei rimpianti giorni della normalità perduta e, ahimè, mestamente agognata, ve le ricordate tutti le colonnine di destra (o sinistra, o al centro, o sopra, o sotto, o a kamasutra tra una pubblicità e l'altra) dei quotidiani online, nelle quali, sovente, v'era Tizio e v'era Caio, o pure Pluto e Topolino, che - ripresi in video - facevano qualche cazzatella che, attestavano puntualmente i titoli, diventava virale?

Beh, chissà se lo usano ancora nelle redazioni online tale aggettivo; ma soprattutto: chissà se, dopo che sarà andato tutto bene, lo useranno ancora. 

giovedì 12 marzo 2020

Un nespolo

Non mi va di parlarne:
eppure ne parlo;
non mi va di sapere:
eppure mi informo;
non mi va di scriverne:
eppure ne scrivo.

Potrei tirarlo fuori
l'argomento
ma mi trattengo: 
signore e signori,
non è il momento:
è meglio se spengo.


Ma non spengo, no. Fare la cronaca di questi strani giorni dell'incertezza (fatta salva la certezza del sillogismo aristotelico) non mi pare il caso. Neanche fare battute (con i socialmedia, il numero dei battutisti ha superato di gran lunga quello dei poeti). Non mi va di scherzare e neanche di piangere. Di fare un urlo ogni tanto: sì. Di ricordarmi del desiderio: anche. Di fuggire l'ipocondria: ma come? Per esempio: oggi ho sfruttato, per quanto concesso dalla mia scarsa attitudine, il contatto con la terra: raccogliere i rami potati degli ulivi; piantare un nespolo.

«Non è bello stare sotto un nespolo e tenere un diario o un mensuario quando il carnevale impazza».
Luigi Pintor, Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001

mercoledì 11 marzo 2020

Meditate, gente, meditate

Ieri sera, su invito di una conoscente, ho partecipato a una meditazione (laica) di gruppo online. Ventidue minuti di silenzio e di buio (a occhi chiusi). Sono rimasto seduto su una sedia, col telefono davanti, cercando di mantenere una posizione della schiena ben dritta, e mi sono messo le mani una sul petto e l'altra sull'addome. Poi, quando è suonata una campana che sembrava il varo di un cargo indocinese, mi sono concentrato sul respiro, prestando attenzione allo scorrere dell'aria nei due sensi legati alle fasi della respirazione stessa. E la mano sull'addome ondeggiava al movimento del diaframma, assecondandolo. A un certo punto, la mente è andata per i cazzi suoi e mi sono trovato in vari posti, non esotici, ma tutti legati alla quotidianità, ivi compreso fare la spesa con gli ingressi contingentati. Siccome la guida, nel preambolo, aveva avvisato i partecipanti che poteva succedere, ho riacchiappato la mente e riportata, seppur a fatica, dentro il flusso, nel va-e-vieni del respiro. Un indolenzimento alla spina dorsale si è quindi presentato a distrarmi e ho dovuto spostare la mano dall'addome alla schiena, in una sorta di patetico autoabbraccio. L'indolenzimento è svanito, sì, ma è subentrato un prurito proprio dentro una scapola: meno male ho le braccia lunghe, così, con la punta dell'indice e del medio, mi sono potuto grattare con soddisfazione. A un certo punto non ce l'ho fatta: ho aperto gli occhi e ho visto che, in quel momento, di tutti i partecipanti, ero l'unico ad averli aperti. Gli altri restavano come si doveva, concentrati, a meditare. Spinto da un riflesso imitativo, ho richiuso gli occhi, ho rimesso le mani dove come all'inizio e cercato di tenere la mente concentrata sui bpm del cuore. Ce l'ho fatta: li ho riaperti allo scadere dei ventidue minuti, nonostante centinaia di distrazioni (o attenzioni) corporali e mentali.

Meditare, dunque, pare un ottimo esercizio per tenere a bada il flusso continuo di informazioni (e tensioni) che ci frullano in testa e provocano irrequietezza e agitazione. E, da quel che mi sembra di aver capito, ciò avviene proprio perché si costringe il pensiero dentro al corpo, lo si confina nei suoi limiti, facendolo concentrare, innanzitutto, su ciò che sta alla base del vivere: respirare, sentire il cuore che batte. Due palle, insomma: ma anch'esse servono - e non solo per la riproduzione.

domenica 8 marzo 2020

Le cose del corpo

« È segno di scarse qualità naturali dedicare troppo tempo alle cose del corpo: per esempio un eccessivo indulgere agli esercizi ginnici, a mangiare, a bere, a defecare, ad accoppiarsi. Attività che devono restare marginali: tutta l'attenzione va rivolta alla mente ».
Epitteto, Manuale, 41 (edizione Garzanti, traduzione Enrico V. Maltese).

È assai difficile, in questo periodo, porre tutta l'attenzione alla mente; a farlo, si rischia di diventare pazzi, perché la mente, pensa e ripensa, ricade sempre nello stesso pensare: ma che rottura di palle è mai 'sto corona? Come farò a scansarlo? Me le laverò abbastanza le mani? Starò a sufficiente distanza dal prossimo? Ehi, ma quello in fila alla cassa prima di me ha starnutito: che faccio? Ritorno indietro?
Sarà anche per questi motivi che, in questo periodo, contrariamente a quanto suggerisce il filosofo, è dedicando molto tempo alle cose del corpo che la mente riesce a distarsi, a pensare ad altro, giacché indulgere a certi piaceri, a certe attività, la rilassa, le fa ritrovare equilibrio e distacco necessario per guardare gli accadimenti con maggiore oggettività.

«Ehi tu? Ma quante volte hai tirato lo sciacquone oggi?»


giovedì 5 marzo 2020

La sospensione di Budda

Sono sospeso, aereo, ma non posso, come Igles Corelli,
andare alle Mauritius. Mi taglierò i capelli
da una parrucchiera italiana
con il figlio piccino che fa il nido ma anch'egli
questa settimana
sta a casa con la nonna o una tata africana.

Appoggio il capo alla vasca sospesa, lo declino
all'indietro e sento l'acqua tiepidina uscire dal soffione
della doccia e la prima passata di shampoo
massaggiare, della mia testa
dura, quel che resta
del cuoio capelluto: ben poco: gli ormoni
a una certa età fanno girare i [omissis]

È una bella sensazione farsi lavare i capelli
con il capo all'indietro: il fastidio è solo del collo
che pensa a quella puttana di Erodiade
che per levare dagli impicci sé stessa e il cognato -
dopo aver organizzato la danza dei sette veli -
suggerì a Salomè quale desiderio dovesse esprimere
dopo che la figlia conquistò il diritto a esprimerne uno:
la testa del Battista - e la giovane chiese aggiungendo
di suo soltanto l'idea pittoresca del vassoio.

Ecco: io mi sento la testa sospesa su un vassoio
senza nessuno che me l'abbia tagliata
per reprimere una verità che non ho.
E dato che non ce l'ho, non giudico: sto
sospeso e di poi mi lascio acconciare
phonare e mettere giusto un tocco di gel.

Mi guardo agli specchi che riflettono me
davanti e di dietro e di lato:
inutile dire oramai che essere nato
sia un inconveniente: sono qui
a subire come tutti il tramonto dell'occidente
nel corpo e nella mente -
ma ciò non fa di me uno stronzo reazionario
o un ebete riformista scialpinista
nelle piste innevate del Pakistan.

Sto come il cazzo di Budda
ad aspettare la rivelazione:
riuscire ancora a far centro
orinando con un'erezione.

martedì 3 marzo 2020

L'inizio di Fukuyama

Nel mondo brindano le testedicazzo. Netanyahu ha vinto, Erdogan troneggia, Putin ortodossa, Trump scoreggia, gli europei in fila per due, col resto di quel ciuffino biondo dar cece in bocca che tanto s'è prodigato cor poppolo suo a uscirne (e bravo stronzo, te e la reggina coeli in terra e pace in terra agli omini de bona volontà). E insomma: dovesse finire proprio adesso la storia ('a Fukuyama! ma vattelapijanderculo, va!) non è che - a conti fatti con l'Apocalisse - ci si farebbe tutta questa gran figura come uomini che si fanno comandar da questi brutti nel viso e fatti male addosso. Manco un marcantonio, una Cleopatra, uno struzzo, un bucio di culo de Torre del Lago potrebbe raddrizzar la situazione.

***
Uno dei miei timori conseguenti al corona è che si stia diventando tutti un po' più miopi. Vedi me, per esempio.
Oggi, dopo un lustro, sono andato a fare una visita medico-sportiva per attività non agonistica (controlli vari: spirometria, elettrocardiogramma e pressione sotto sforzo, analisi delle urine) e sono risultato idoneo (roba leggera, non agonistica appunto). Dico questo perché, leggendo sui titoli di google news della morte di un corridore (il quale aveva fatto anche lui da poco una visita medica agonistica) e constatando che è morto d'infarto, mi sono allarmato meno che se fosse deceduto in seguito al corona.

***
Il bollettino di Borrelli: era meglio quello di Francesco Saverio (una prece) sugli avvisi di garanzia.

***
Riguardo al tema della popolazione, che è stato sfiorato nei commenti al post precedente, conviene leggere un breve articolo su quel che accade alla Serbia e ai due pareri, apparentemente contrastanti, che tentano di spiegare perché vi sia un così vistoso calo complessivo degli abitanti di quella nazione.





domenica 1 marzo 2020

Tradire le aspettative

Giorni fa, incontrai un amico avvocato che, dopo i soliti convenevoli, mi ammonì:
«Hai tradito le aspettative».
«Come sarebbe a dire?».
«Sarebbe a dire che le aspettative sono venute nel mio studio per inoltrare istanza di separazione».
«Ma io non sapevo neanche di averle, le aspettative».
«Eh sì - aggiunse, sogghignando - dicono tutti così, per non pagare le conseguenze o gli alimenti».

Rimasi piuttosto basito. E non certo dell'umore di replicare alle ironie dell'amico. Mi congedai velocemente, dicendogli di farmi sapere se dovevo rivolgermi a uno studio legale pure io. Scoppiò a ridere, ma quando vide che io non ridevo per niente, si ricompose come poté e disse: «Ti faccio sapere».

L'indomani mattina mi telefonò e mi chiese - se potevo - di passare da lui nel pomeriggio.
Potevo, dunque, ci passai.
Pioveva, e io mi bagnai (non Alberto). Non ho mai compreso perché non sia fatto divieto assoluto ubicare studi legali lontani dai portici. Ma vabbè.

La segretaria dell'amico avvocato mi diede un asciugacapelli Dyson e io - siccome sono un fan di Elettra Lamborghini - me lo passai sui peli pubici e poi misi una storia su Instagram.

Poi mi fece accomodare nello studio dell'amico avvocato e io mi sedetti davanti alla sua scrivania in attesa che lui finisse un colloquio con un cliente. Nella sedia accanto alla mia c'erano dei libri (non si leggeva il titolo) e un Kindle. 

L'amico avvocato entrò, sempre di buon umore. Mi chiese se volevo da bere e io declinai per venire al dunque.
«E veniamo al dunque, dunque».
Attaccai:
«Davvero ho tradito le aspettative e loro se la sono presa a male?».
«Così pare».
«E dove sarebbero le aspettative, adesso? Mi piacerebbe discutere con loro, avere la loro opinione personale nei miei confronti».
«Sono accanto a te».
«E dove? In questa stanza, siamo io e te - e l'arredamento».
«Sono sedute accanto a te».
Guardai nuovamente la sedia con sopra dei libri senza titolo e il Kindle.
«Posso?», chiesi all'amico avvocato se mi fosse consentito prendere in mano gli oggetti.
«Certo, fai pure».
I libri che sfogliai erano fatti di pagine bianche; e il Kindle che accesi era senza contenuti.
«E dunque? Sarebbero queste le ‘mie’ aspettative?»
«Così pare».
«Ti giuro che non ci sto capendo un cazzo».
«Le tue aspettative - mi hanno detto - vogliono separarsi da te perché non le hai rispettate: non hai scritto né pubblicato o autopubblicato alcun libro e loro sono deluse: sostengono che glielo avevi promesso».
«Eh? Io avrei fatto loro questa promessa? Ma quando mai! Forse nel delirio di uno studente che cercò di far colpo con qualche collega universitaria alla domanda su quello che gli sarebbe piaciuto fare da grande. Comunque guarda, io sono tranquillo: promesse a parte (anche se dubito di averne fatte), non ero vincolato alle ‘mie’ aspettative davanti a un pubblico ufficiale, sicché posso capire la loro delusione, ma insomma: le avevo avvertite che non ero molto affidabile, mica avranno creduto davvero che... Lo so bene: si sono stufate di tanto attendismo, di tante belle parole per garantire al mio essere una dimensione ontologica degna di essere ammirata dagli altri. In fondo, quando si è più giovani e stupidi, si è anche meno preveggenti: si crede, a torto, che raggiungere una posizione di rilievo in un settore, quale che sia, significhi appunto realizzare delle aspettative.
«Le mie clienti ti accusano soprattutto che, nel corso dell'ultimo decennio e più, ti saresti troppo attardato e blandito con la scrittura bloggheristica».
«Ah, sì? Forse in questo hanno ragione. Presumibilmente era questa la mia sola velleità, la mia sola aspettativa: essere qui, in questo luogo dell'immediatezza, del presente che cammina, svincolato da ogni progettualità che subisca i torti della mediazione, le cure editoriali di salcazzo e il plauso o il rifiuto di redazioni prezzolate, alle quali preferisco le patate in insalata con l'olio buono e il parmigian».
«Sembra un'ammissione di colpa. Rinunci loro, dunque? Le svincoli dal loro mandato di pungolatrici ontologiche?».
«Sì. Tanto mica erano retribuite».