domenica 9 dicembre 2007

Sete

Io dico che –
che io dissi
sì o no, non mi
ricordo né
dove né
quando, ma
di sicuro dissi
qualcosa d'oscuro
che tu non
riuscisti
a capire
e io ebbi
un bel ridire
sì e no ai tuoi
occhi tristi.
E scesero – oh, sì
che mi ricordo! –
gocce d'acqua
frammisti
a lacrime
e bevvi, bevvi, bevvi
finché sete ebbi
del sale tuo.
Piangi ancora
adesso
perché più
del sesso
del tuo dolore
ho sete,
mia quiete.

lunedì 19 novembre 2007

La postazione militare

Ho provato a gestire il mio tempo
guardando e misurando costellazioni
finché il fiato dell'occhio ha catturato
un allineamento con altri sette pianeti.

E ho disposto le valigie per la partenza
perché so che dovrò viaggiare e camminare
per trovare e ritrovare me stesso
il mio primo passo sul valico innevato.

Su in cima a questa catena appenninica
che permette nei giorni sereni
di tuffare il guardo nel mare
ho discusso con rondoni e tafani

se fosse più rapido volare intorno
al cemento del proprio centro
o più facile separarsi dal proprio Sé
per costruire un Io d'Eros e Agape.

I riflettori della postazione militare
si son giusto spenti in tempo per farmi gustare
il sapore dell'alba mischiato
a tre mirtilli, due lamponi, una rosa canina.

E con rinnovato piacere
le mie labbra si sono bagnate
di gocce di rugiada rubate
a fresche frasche di fiori d'acacia.

Il respiro ho saputo far penetrare
dentro questa vuota carcassa
l'odore di fuochi poco lontani
che bruciano altri resti d'uomo.

Mi son ricordato allora del privilegio
d'essere vivo qui e ora e che il tempo
e lo spazio a me regalati dalla grazia celeste
devono seguire la propria vocazione.

giovedì 15 novembre 2007

cromosomi

Mi sembrava non fosse
Necessario dirti che Minosse
M’ha stretto e avviluppato
Gettato in fondo al burrato
Là dove ho messo piede
Nessuno si mosse ché non vede
La mia ossitudine
La mia gravezza mescolata
Al sangue diuturno d’aranciata
Spremuta di solitudine
Spremuta d’angoscia
E le strinsi gridando una coscia
Non due ché con l’altra fuoriuscivo
Spargevo sementi sul ventre
Ma non interrompevo il vivo
D’amor che lei mi dava sempre
E io le davo consenziente
Oh com’ero felice oh che ancora
La porca della malora
Qui ritorna in mente mentre
Proponevo politica a pochi
Ascoltatori lungimiranti
Li scasso col sole d’un ricordo
Un pizzico d’arpa un accordo
Ma la rima mi porta via mi devìa
Mi fa inciampare mi cambia rotta
E quella rottanculo se ne andò
Lasciandomi in un mare di lagrime
Amare di rancore di rivincita
Di perduto onore di svilimento
A chi per amor aveva sempre interrotto
Il coito e gli sta bene
Così non s’è confuso il gene
Il ventitre mio col suo
Quarantasei a Napoli tesoro
Non ti ci portai e tu mi maledissi
E il mio pianto lo frissi
Friggendo poesie in distrutto
A carte giocai quarantotto
Teatro feci parlando di pene
Di fregne di acetilene
Di coppie doppie di tris
E persi un casino di miss
Piangendo colei che partì
Con quello che la seminò
Preoccupato di spargere a vuoto
Cromosomi. E io nacqui
E poi tacqui e non dissi nulla
Me ne andai a Spoleto
A bestemmiare un’opera di lirica
Di Menotti e di controfagotti
Di sfilate di Laura Biagiotti
Di modelle sognate dentro
La mia stanza d’hotel il Greto.
Con garbo pagai il conto
E mi iscrissi ai repubblicani
O ai socialdemografici, non ricordo,
La Malfa o Nicolazzi o Zanone
Intendendo far carriera nel penta
Partito. Ma è come non è
Arriva Di Pietro il ciclone
E tutti i miei intendimenti
Finiscono in delusione, anzi
M’arrestano perché colpevole
Di mancata concussione
Per fortuna arrivò Lui il Salvatore
L’unto bisunto del Signore
Il mastro Lindo sudicio visto che unto
Ma tanto imbellettato da troione
E per fortuna uscii di prigione.
Feci televisione, guizzi e frizzi
Quiz e blitz, strizzi struzzi, lazzi
E cazzi col capostruttura Iannazzi
Si trombò tutte quelle di colpo grosso
Col pensiero, naturalmente.
Son passati più di dieci anni
E tante cose in mezzo che è meglio
Rivolgersi a più fidati storici
Imparziali che a me parziale
Che nacqui da un tradimento
Da un lisciamento da un abbandono
Innocente ed esposto raccolto
Dal benevolo Benefattore.
Dicono che domani lo fotteranno
Milioni d’italiani tastandosi
I bassifondi, maschi e femmine
Alla ricerca delle risacche
Con le quali li ha definiti.
Io gli ho detto: hai sbagliato
Definizione, là dentro le ovaie
Dentro i coglioni ci stanno
I futuri uomini e le future donne
Che non ti sopporteranno.
E con un calcio di collo pieno
Ti scacceranno (speriamo).

giovedì 8 novembre 2007

Le dimissioni del poeta

L’utilità sociale del poeta chissà dove confina:
Il poeta risponde ai bisogni oppure è
Uno scarto della ferrea disciplina produttiva?
Egli schiva ogni overdose di luoghi comuni
Scivola sulle principali questioni, non sta sulle soglie
Del duemila, non si china a suggestioni patetiche.
Il poeta è in disistima; non è più rappresentativo;
E poi quando di chiunque si possa dire ch’è stato un poeta
È già finita la distinzione, il salto elettivo.
Il poeta non più s’abbandona alle emozioni:
È duro e forte e ferreo. Più poca musica
Trascinano le sue parole, terreo scandire di sillabe
Masticate male dallo stesso durante cenacoli
Di sparute presenze. Il poeta non conquista più
Le masse: ha rotto il patto con Belzebù;
È solo, in disparte; e frigge rabbia, odio, rancore
Contro orecchie insensibili al suo dolore
Di mancato mercenario o fallita meretrice.
Il poeta non sa più cosa dice:
È privato di spessore, di ascolto, di rilevanza.
Chiuso in sé nella sua famosa e logora stanza
Ha perfino smesso di fumare e di decidere.
Non aspetta più la maga ispirazione,
S’imprigiona in una vaga accidia
E muove pochi passi verso compassione
Di sé o di sé perfidia. Si scioglie il poeta come strutto,
Aspettando un’intervista televisiva dove si gioca tutto.
Il poeta è uno stolto, il poeta è un buffone
Il poeta è un vigliacco presuntuoso e cialtrone.
Il poeta è un pallido pavido spento
Che grida nel deserto la rabbia e il proprio spavento.
Il poeta è un assetato d’essere
Poiché d’essere privo.
Il poeta vuole soltanto una mano sul viso:
Che sia schiaffo o carezza, fa niente
L’importante è sentirsi per l’altro presente.
                                                    Urla il poeta:
«Toccate il mio corpo, smembratelo, fatelo a pezzi
Sentitelo vostro che di vostra terra sono
Assaggiate il mio sangue e dite se è buono:
Se sa di petrolio oppure di vino
Di merda o di rosa, ditemi se sa di qualcosa
Il poeta ha bisogno di aiuto, di un aiuto
Per l’amore che non riesce più a dare
Per il suo fallimento, per il suo non essere
«Mano de mujer que se posa sobre la frente dolorida»¹.

¹Questo verso castigliano l'ho rubato a Ceronetti che lo riporta nella sua introduzione alle sue Compassioni e disperazioni, Einaudi, Torino 1987, senza dirmi da qual poeta l'abbia anch'egli rubato. Cercandolo su google offre questo risultato. Chissà.

martedì 6 novembre 2007

La speculazione degli entusiasmi

La speculazione degli entusiasmi.
La generosa prestazione offerta
dalla tua intelligenza femminile.

Confusi afrori, caotici miasmi
provengono aldilà della porta
e sovrastano il dolce, senile

profumo.

Alimenti vari appetiscono il mio orgoglio:
problematiche gustative?
No, è che le tue forme così vive,
così reali mi fanno star sveglio

tutta la notte.
Solo all'alba m'addormento.
Stremato, accendo una sigaretta a stento
e ne guardo il fumo.

E gli spazi, e i confini?
Certo che sto bene nella botte
di ferro de' tuoi seni!

Ma è questo l'immenso, la libertà,
la benevolenza, la passione, la generosità?

Sì, il nostro estenuante abbraccio
dimostra che ciò non è solo un capriccio.

lunedì 5 novembre 2007

Autoritratto


Sulle sublimi spole
Della mente tessere un'’idea
Che copra le stolte fole
Della vacua marea.

Seria ebbrezza dei propri passi.
Fitta pioggia che s’infiltra.
Umido, nebbia, mar de'’ Sargassi;
Ombrello, libro, cappello di feltro.

domenica 4 novembre 2007

Coscienza

Sono qui solo con la mia coscienza
e chiamo uno scienziato che me la dissezioni
ne faccia fette fini, per panini freschi
che trippai di strada distribuiscono a bancari
affannati da ore di duro esercizio contabile.
La mia coscienza s'è persa fluttuando, non è stabile;
oscilla su indici borsistici vari: quasi quasi
la converto in oro o in barili di petrolio
dove ci corro sopra, come in un folle inseguimento,
tra discariche cariche di rottami e un pugno
finto alla bud spencer mi riporta qui al presente.
Riparto.
Ero qui solo con la mia coscienza, dicevo,
e non so proprio chi chiamare per parlarne.
Massima: se ognuno è solo con la sua coscienza
e non interscambia con le coscienze altrui
va incontro certamente a giorni bui.
Se potessimo fotografarla, la nostra coscienza,
istante per istante, chissà che potenziale
– pressoché incalcolabile – caleidoscopio d'immagini
verrebbe fuori. Esempio: io che scrivo e che penso a che modo
posso trovare per farti capire come mi piacerebbe
che anche a te piacesse, diovoglia, in qualche
istante pensare, ma se io (cioè te) dicessi lui (cioè a me)
quanto piacere mi farebbe se mi dicesse
(e dev'essere lui – cioè io – dacché io sono il “lui”)
quanto gli piacerebbe abbracciarmi e darmi
un bacio leggero a sfiorare le labbra rigate
dal vento autunnale e porca miseria non ho
con me il burro cacao, ma forse anche le sue
di labbra saranno rigate e se per caso
non avesse capito che io ho capito
– maledetta questa fotocopiatrice che rende opache
tutte le foglie, ma è autunno e ci corri
con me, ci correrei, ovvero ovvero ovvero, clic.
Fermo immagine. Riparto.
Sarò solo con la mia coscienza come lo sono già stato
ma forse in modo diverso nel senso
che sento di aver sprecato tempo e il luogo a non dirti
quanto sarebbe stato bello averti amato
se prima t'avessi incontrato.
A scuoterla bene, a scecherarla, coscienza mia
mi dice e mi offre un migliaio di soluzioni
di vissuti in verticale-orizzontale, panorami
in contropendenza, scenari. Risolvi:
batte forte in tua presenza, cinque lettere,
inizia con la “c”. Fosse solo ciò che finisce in “o”
con due zeta in mezzo sarei più leggero
e non cercherei di azzerare (resettare, uso invalso)
questa coscienza che frulla e mi zabaiona
e stimola una superproduzione testosteronica:
un burrificio sono diventato. È che se mi sveglio
e ti penso mentre ti prepari una tartina
che inzuppi nel caffellatte, e sei in ciabatte, e la suggi
mentre giri la manopola della radio
e ti sintonizzi sulla mia bassa frequenza
di Radio Coscienza e senti un “grrr...grrr...”
un rosario, una dedica stolta, una rassegna,
un'onda verde, una canzone libera, un idiota,
un trillo, “solo tu resisti sei come il sole che
cancella i giorni più tristi” e giri giri giri fino a spengere.
Silenzio. Coscienza piatta. E riparti, t'infili le scarpe
e ripeti la lista della spesa, hai preso il telefono?
Eccetera. La guida Coscienza riprende il lavoro:
che fortuna buttarla in mezzo a cento altre
piccole e grandi per non far della propria
una tiranna autodistruttrice!

L'asfodelo incerto

Questo blog nasce con l'intenzione di pubblicare una serie di vari scritti, in prosa o in versi, che scrissi, ho scritto e (spero) scriverò. Vanagloria, narcisismo, egotismo, presunzione: chiamatela come volete questa mia voglia di espormi; è essa che mi spinge a sfruttare quest'occasione, libera e gratuita, della rete. Non ho nessuna ambizione, se non quella di mandare per il mondo, indirizzata a tutti i possibili lettori di lingua italiana, ciò che una piccola mente di un piccolo paese, ha pensato ed espresso nel corso della sua vita.

Bene, a presto. Saluti cari a tutti coloro che leggeranno queste righe.
Luca Massaro