domenica 30 novembre 2008

Chiuso per sesso



Aspettate un momento:
han levato le puttane dalle strade;
ora mettono una tassa sulla pornografia.
Per trombare e per farsi le seghe
non resta che andare in convento.

sabato 29 novembre 2008

La trappola del narcisismo

*

A partire dal momento in cui il desiderio è divenuto metafisico, esso trasfigura ormai soltanto degli ostacoli: riconosce ad essi un'autosufficienza che è solo il corrispettivo della sua stessa insufficienza; il desiderio diventa un'esperienza molto umiliante, penosa e sgradevole. Si capisce dunque come tutti i soggetti vogliano evitarla, e il miglior modo di evitarla è di imporla all'Altro. Non c'è nulla di più atto a distoglierci dall'Altro e a rivolgerci verso di noi, a rassicurarci su noi stessi, dello spettacolo di questo Altro che ci prende per oggetto di desiderio, che ci conferisce l'autosufficienza felice di cui, con identico gesto, egli si priva.
La strategia del desiderio, e non solo di quello sessuale, consiste nel far balenare agli occhi altrui un'autosufficienza alla quale potremo credere un po' anche noi se riuscissimo a convincerne gli altri. In un universo radicalmente privo di criteri oggettivi, i desideri sono completamente lasciati al mimetismo e ognuno deve trarre beneficio dal mimetismo non impiegato, dal mimetismo che cerca di fissarsi e che si fisserà sempre in funzione degli altri desideri. Si tratta dunque di fingere il massimo narcisismo, si tratta per ciascuno di proporre agli altri il desiderio che egli prova di se stesso, per costringere tutti questi altri a imitare questo desiderio allettante.

René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1983.

*Immagine tratta dal bel blog di Chiara di Notte.

Vita tra gli scaffali o è polvere?



Ho portato mia mamma a far spesa stamani; e mentre ci recavamo al supermercato mi narra, nello spazio di una mezz'ora, le vicende e gli accadimenti del paese: chi nasce; chi muore; chi sputa per terra; chi mette le corna e chi le riceve; chi si lascia, chi si prende; chi si ammala gravemente; chi va alla messa a mane e a sera; chi tenta la fuga, chi si rinchiude tra le mura di casa, chi costruisce una casa, chi è buttato fuori di casa; chi perde lavoro, chi s'inventa un lavoro; chi va dal dottore e poi in farmacia e il farmacista sbaglia medicamento e s'affretta a telefonare per dire: ­ - Scusi signora ho sbagliato non prenda cosa le ho dato; chi canta litanie per strada; chi esce coi sandali mentre piove e fa freddo; chi va al bar e chi dal barbiere; chi chiude il negozio perché la crisi; chi va in banca a sapere se gli tocca il bonus fiscale; chi gli dice no; chi va in pensione; chi fa testamento; chi si risposa nonostante; chi bestemmia; chi si segna davanti alla Madonna; chi compra il Giornale, chi l'Unità e
chi si manda a fanculo e poi gioca a carte; chi dice: ­ - Berlusconi è un pezzo di merda, e chi: - ­ è tutta colpa del cattocomunismo; chi va allo zoo vicino a vedere se è stato catturato un cattocomunista per sapere finalmente com'è fatto; chi va dal sindaco; chi in biblioteca: io, dopo aver riportato mia mamma a casa, a vedere se in tutti questi scaffali c'è abbastanza vita quanto ce ne sia fuori nel paese.

venerdì 28 novembre 2008

Fortezza 32.

Da futili eventi interrotto
Farfuglia preghiere fabula
Terre dove i potenti feudatari d'una volta
Spaziavano e ora impassibile
Si stende un grigio-notte al finestrino
Del viaggio bambino:
Riunita la breve famiglia e intorno uno sbriciolìo
Su sterminate righe di giornale
Vite coetanee:
Breve è pure la scena al centro della quale sta
Quasi normale l'oggetto
Mentre si scambiano trionfali qua e là
Occhiate i giudicanti come per dire vedi
Che avevo ragione io

7 maggio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 27 novembre 2008

mercoledì 26 novembre 2008

La coquetterie



La civetta la sa più lunga di Freud sul desiderio. Non ignora che il desiderio attira il desiderio. Per farsi desiderare, dunque, bisogna convincere gli altri che ci si desidera da sé (...)
La civetta cerca di farsi desiderare, perché ha bisogno di questi desideri maschili, rivolti a lei, per alimentare la sua stessa civetteria*, per comportarsi da civetta. Non ha, in altri termini, maggiore autosufficienza dell'uomo che la desidera, ma il successo della sua strategia le consente di sostenere l'apparenza, offrendo anche a lei un desiderio che può copiare. Il desiderio che le è rivolto è per lei prezioso, perché fornisce l'alimento necessario a un'autosufficienza che verrebbe meno se fosse totalmente privata dell'ammirazione. Come, insomma, l'ammiratore preso nella trappola della civetteria imita il desiderio che egli crede realmente narcisistico, così la fiamma della civetteria, per poter splendere, ha bisogno del combustibile fornitole dai desideri dell'Altro. La civetta è tanto più eccitante, e tanto più forte è la sua seduzione mimetica quanto più numerosi sono i desideri che attira.

René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1983.

*Questo discorso vale oggi anche per gli uomini

martedì 25 novembre 2008

Trapassato remoto



1.
Ti pensavo una volta.
Ti pensai più di una volta.
Fosti pensata, intensamente.

Ma adesso che non c'è più niente
che fra noi si frappone,
nemmeno un fastidio, un dolore si sente
a pronunciare il tuo nome.

Né freddo né caldo, stella;
luce consumata in pochi anni.
Chissà se sarai ancora bella
chissà se indosserai gli stessi panni.

2.
Ti amavo una volta.
Ti amai più di una volta.
Fosti amata, ripetutamente.

Ma adesso persino la mente,
che cerca l'amore di un tempo, si oppone
a ricordare il tuo nome.

Il tuo nome fondante, quel nome
che m'insegnò la parola amore.
E anche volessi non c'è alcun dottore
che mi rimetta dentro al tuo addome.

3.
Ti volevo una volta.
Ti volli più di una volta.
Fosti voluta fortissimamente.

Ma adesso persino il volere
è diventato impotente
a frugare nei cassetti della mente

l'amore che un tempo intercorse
e ci trasportò fin sopra le stelle
con le mani sui reni a tenerci
stretti per non cadere di schianto

come di fatto cademmo.



lunedì 24 novembre 2008

Sì, ancora la neve

"Ti piace essere venuto a questo mondo?"
Bamb.: Sì, perché c'è la STANDA".

Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi... ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l'ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è - il mondo pinoso il mondo nevoso -
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: "siamo un segno senza significato":
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?


Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c'è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l'immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c'è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
- l'ho, sempre, molto, saputo -
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d'immagini
all'ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch'è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l'autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
- ai piedi della grande selva -
dove c'è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l'"umbra fuimus fumo e fumetto"):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata...
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva - e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora - per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e "acqua che devia
si dispera si scioglie s'allontana"
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole...
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l'avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l'entusiasmo l'empireirsi l'incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l'eterno l'esterno l'interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?

Detto alla neve: "Non mi abbandonerai mai, vero?"

E una pinzetta, ora, una graffetta.

Andrea Zanzotto, La beltà, da Le poesie e le prose scelte, Mondadori, Milano, 1999.

sabato 22 novembre 2008

Spello



Se solo potessi vedere
le mie mani attaccate
al tuo sedere,
in santa pace sulla muraglia,
controversie finite,
sicuro che il gesto non sbaglia
mira né superficie.

Il panorama giù in fondo si sfoca:
la ruggine della ringhiera
mi porta intemperie in mente,
mentre la voce fioca fioca
suggerisce proseguire quel gesto.

Con forza sentire la sera venire.
Se chiudo gli occhi
ti sfioro le labbra rigate:
sorridi, sorridi che viene da sola
l'estate.
Vorrei tu portassi una pezzuola,
incorniciare il tuo volto vorrei.

Mangiate ricordi a digiuno
insegna un illustre dottore;
melanconico cielo spezzato dal fumo
di sterpi infuocati senti l'odore,
la fatica, la gioia di corpi
surriscaldati d'amore.

Le corse sui mattonellati:
«In discesa coi sandali ti sbucci le dita!»
Dici cento lire e fai luce:
un affresco s'illumina, un prete
contento. «Ho fame», mi dici, si mangia
con calma e con calma vai in bagno,
ti trucchi.

Ti vorrei addormentata
sulla panchina dei tigli;
ma adesso uno scarto ci separa,
una vallata, dei figli,
intrecciando impressioni e visioni,
noviluni, anni luce, un quarto d'ora.

Signora, signora illumina
lo sguardo (tentativo)
cattura la prova ch'è stata:
«Non me li leva nessuno i momenti»,
urlo, senza serbare rancore:
la prova c'è stata, vissuta;
mani strette, la vita dipinta,
non si cancella un quadro d'amore.

Galleria: «Ammirate signori il lieve
tocco quasi impreciso, il frullio
della pennellata in estasi breve.»

venerdì 21 novembre 2008

Rivoglio la DC



Ho un certo rimpianto della Democrazia Cristiana. A scanso di equivoci: ho detestato, grazie anche a una certa tradizione familiare, la DC con tutto me stesso. Ma almeno quando c'era la DC il Vaticano stava rintanato nella sua Cittadella e non si permetteva questa continua intrusione politica. E questo avveniva proprio perché c'era la Democrazia Cristiana. Con la Dc al potere abbiamo avuto le leggi sull'interruzione volontaria della gravidanza e sul divorzio. Per carità, essa era contraria a tali applicazioni legislative, tuttavia non permise al Vaticano (e se sbaglio qualcuno mi corregga) alcuna intromissione negli affari interni dello Stato laico italiano.
Un mio amico pensava che, dopo lo scompiglio di Mani Pulite, i vecchi democristiani avrebbero "rifatto" la palla, ovvero la Balena bianca e sarebbero ritornati al potere con gli stessi criteri e metodi. Non è stato così e, credo, non sarà così. Questo perché l'avvento di Berlusconi e il bipolarismo hanno giocato un ruolo altamente favorevole all'intervento della Chiesa negli affari politici del nostro paese.
Infatti si è dimostrato che, chiunque sia al comando, la Chiesa ha il suo rilevantissimo potere d'intervento nel determinare i programmi politici e le sorti del governo.
Nessun governo italiano, sia esso di centrosinistra o di centrodestra, può permettersi di essere totalmente indipendente dall'influenza Vaticana. Il nostro Stato è uno stato satellite del Vaticano, un po' come ai tempi dell'U.R.S.S. le varie repubbliche sovietiche erano dipendenti da Mosca.
In Italia è impossibile immaginare un governo alla Zapatero; ma è altrettanto impossibile immaginare un governo alla Margeret Thatcher (vedi l'anticipazione malviniana).

Al PD, con affetto



Con quali azioni invece di canzoni
Chiara faremo la tua notte nera
Terra che bruci, terra che dolori
Tristezza d'uomo, malattia d'uomo?
Fare dolore è tutto il vostro fare:
Se tu hai guardato in una faccia d'uomo
Non fare niente; fare bene è non fare.

Guido Ceronetti, Compassioni e disperazioni, Einaudi, Torino, 1987

mercoledì 19 novembre 2008

Fortezza 31.

Oggi trentamila passi
Fra le due estremità
Del tratto che gli è permesso
Nessun rumore però all'impiantito
Grazie alle pianelle di panno avute in dotazione
E spazio, spazio per fare
A sazietà orazione
Il tempo contemplando nel suo vuoto di parola
Fiume di secoli a pronunziarsi e momento

5-7 maggio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Fortezza 30.

Però una stradina
Sì una stradina mi sembra
Che qui doveva esserci ma intanto
Già in lei si avventurava
Barluminando dove
Mi porti povera anima:
Uno di questi giorni adesso li avverto ripasso
Mi raccomando qui me le tenete le robe

8-12 aprile 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

martedì 18 novembre 2008

Stop, confusione.



Ti ho vista appesa a questa luna sottile
che taglia lo scuro orizzonte novembrino
e spande la luminescenza attraverso
la porta chiusa del cielo. Il cortile
è invaso di foglie multicolori che sembrano
un sipario. Tu sorridi, sai che ho perso
la scommessa: non avrei mai creduto
tu potessi salire fin lassù. Ripeto, ho perso.
Son pronto a pagare tutto il mio debito, muto,
contratto stupidamente, ma ora basta,
il gioco è finito. E anch'io ho finito di cercare
rime immagini varie suggestioni melense,
scarti semantici e paradisi fiscali.
Questa poesia non doveva essere altro
che un richiamo e tu hai abboccato mia pescatrice:
quando ho visto la mattanza dei delfini
mi sono pentito di appartenere a questa razza
così come quando ho sentito parlare Ruini
avrei preferito diventare un gatto
per attaccarmi alle palle di tutto il Vaticano
e via a briglia sciolta, vienimi dietro
ti porto io via lontano in questo piccolo viaggio
dove la politica smette la sua finzione
dove la guerra ritorna e riporta lo spavento
la nostra realtà nuda e cruda, il nostro
bellum omniun contra omnes necessario
perché non siamo capaci d'altro che di prendersi
per il culo noi umani dotati di cervello e usato
per molteplici strategie evolutive e non
per capire che non c'è niente da capire.
Stop. Prendo fiato. Riguardo la luna.
Vedo con piacere che sei scesa
che sei scivolata dolcemente sopra il tetto
della mia casa per ricordarmi che la carezza
è un gesto di abbandono, non una calamita.
Spero tu mi abbia colto un po' di terra lunare
per seminare la mia rabbia e la mia incertezza.
Qua sulla Terra ancora si fatica
a vivere solo per il pane, solo per la. Stop.
Se avessi avuto un figlio maschio lo avrei
chiamato Desiderio così sarebbe stato
sicuramente un uomo perfetto, senza nèi,
senza infingimenti. Tutto votato a esser se stesso
un bello Stavrogin postmoderno tutto cultura tutto sesso
tutto soldi imbevuti di sangue che scorre
in miliardi di umani e di delfini. Amica mia fa' sì
che il nostro transito non aumenti la sofferenza
del mondo, ma che sia una parvenza segreta
d'amore, l'unica traccia che dobbiamo
cercare di lasciare su questo sperduto pianeta.
Stop.

lunedì 17 novembre 2008

Bisogno d'ali



Avrei bisogno d'ali questa sera
per salire sulle stelle -
Sai, mi hanno detto che sono belle
come le tue mani quando
si avvicinano al mio viso
e zittire mi fanno, con delicatezza.

Ogni forma di pudore è superata
quando ci si concentra troppo sul proprio io
quando si fa di se stessi il centro.

Mi manca la necessaria distanza
per dispormi sul prato come secchi
aghi di pino o filtri invecchiati di sigarette -
per dire un attimo basta alla mia presenza
per sentire Presenza - mosca leggera
noiosa farfalla di velluto marrone
con le ali bordate di nero e un piccolo
punto bianco, come un occhio,
il mio occhio che vola.

E vola allora stasera se ti va di volare
sopra i fumi, i miasmi più putridi,
sotto polveri di dinamite, intorno
a magnifiche presunzioni e ancora
allo sbadato rincorrere vita tra la finzione.

Sono sceso da terra e ho promesso
un filo di vento, mezzo sogno pronunciato
a bassa voce, una sirena, un lampo
dieci centesimi per farti uno squillo
e sentirti riattaccare, Dio, stasera no,
non è il caso, non sono degno.

E mi spezzo e mi perdo e mi finisco -
mi consumo come un breve passo consuma
la strada delle formiche, senza avere
la forza e la costanza di ricostruire
la casa perduta, la strada.

Sapevo che ti avrei deluso così disarmato -
involontariamente, senza fare un gesto
una parola crociata che finisce con "aro" -
il sapore del fiele, non un bacio, più.
Eppure mi passo ancora con cura
il filo interdentale e ti aspetto senz'ansia
e mi metto davanti un sorriso
come una carota - ed era "somaro"
la parola che mancava.

Ed ho perso quando ho vinto e vinto
quando ho perso il perduto possibile:
è sbagliato sognare senza averci pensato
perché il sogno si pensa e si aspetta e ci si crede
perché il sogno è l'unica cosa realizzabile
l'unica messa in scena valida del creato -
e il mio sogno sei tu e chissà se te nei accorta.

Credo proprio di sì, altrimenti
non saresti tra le mie braccia, stasera.

domenica 16 novembre 2008

La Volpe Ravasi (e l'uva)



La richiesta che il Monsignor Ravasi ha rivolto ai fedeli di abbassare i toni, si può leggere in vari modi. Uno di questi è che Ravasi è una persona intelligente e furba; egli sa che il clamore dei contrari alla sentenza che stabilisce definitivamente le ragioni di Eluana e della famiglia Englaro è solo uno schiamazzo di una cospicua minoranza; e, inoltre, egli teme che tale schiamazzo, che si prefigge di attuare iniziative clamorose al riguardo (non escluso il rapimento del corpo di Eluana), stia per ritorcersi contro le proprie ragioni ecclesiastiche. Dunque, silenzio militi. Facciamo calmare le acque. Sappiate che in Parlamento siede una maggioranza ch'è, tendenzialmente, la Nostra maggioranza; una maggioranza di cattolici infanti e atei devoti che basta lavorar bene nelle coscienze che, vedrete, ci confezioneranno, in un futuro prossimo, una legge pro domo nostra. Silenzio, e acqua in bocca. Smorziamo le urla, l'uva è acerba. Ripeto: l'uva è acerba.

sabato 15 novembre 2008

Breve passeggiata



Ad A. E.

Ho camminato da queste parti
le mani in tasca in cerca
di quel piccolo tepore che spezza
la lama del vento. Eppure tendevo
la mano a una compagna presente
che spesso ritrovo "su fili, su ali"
la sera e a lei mi sento vicino.
Dunque, dicevo, ho camminato
e non ero solo e i miei occhi
erano quattro e guardavano
insieme l'azzurro del cielo
screziato da pallide nubi d'argento.
Respiravo, ricordavo. E ritorna
la memoria di lavanda
che dischiude i propri segreti
e manifesta una minima esistenza
stanca d'impolverarsi in disadorne
soffitte dove il ragno è l'unico amico.
E non soffro, non ci riesco
perché il piacere è l'unica malattia
consentita, l'unica ricetta
per sopravvivere sereni
e respingere via le torme
del risentimento. Adesso
è bene le mani si lascino:
che ognuno impari a volare
da solo.

venerdì 14 novembre 2008

Fortezza 29.

Reiterare, persistere -
Sola via d'uscita è scavargli
Tutti tutti i misteri suoi
A risposta incalzi domanda
Il perché del perché e via -
Come spietata musica di banda
Nella sinfonia quando pare
Spengersi nel pianissimo ma ecco che subito
Risale mai non finita:
Sia così così sia
Lunga più che tutte le vostre insieme
Fu la sua vita

30 marzo 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 13 novembre 2008

Telegiornali



Stasera ho guardato il telegiornale su France 2. Lo faccio saltuariamente. Beh, anche stasera ho avuto conferma che in Francia non esiste un'attenzione al pettegolezzo politico come nei tg italiani. Più di tutti, mi hanno colpito due servizi che, penso, nessuna trasmissione televisiva italiana tratterà: giovani studentesse afgane sfigurate col vetriolo solo perché osano, appunto, studiare (i volti tumefatti e piagati e il dolore dovuto a tanta imbecillità e cattiveria religiosa); l'abbondante raccolto, quest'anno, di riso basmati nell'India settentrionale, la raccolta, la battitura, la vendita ai grossisti. Per un attimo, mi son sentito cittadino del mondo.

lunedì 10 novembre 2008

Una grande facciata



Alla morte di Marco Aurelio, la vittoria del cristianesimo, sebbene dovesse realizzarsi a pieno solo un secolo e mezzo dopo, appariva già sicura, senza che nessuno tra i pagani lo sospettasse. I cristiani nella loro fede ne avevano il presentimento; non tardarono ad averne coscienza per il fatto della loro situazione reale nel mondo contemporaneo. Nel corso del secolo III, il paganesimo finì col divenire sempre più una maestosa facciata, dietro la quale ascendeva il cristianesimo. (
Così, oggi, il cristianesimo potrebbe esser divenuto la grande facciata, dietro la quale sale la religione dell'umanità.)

Alfred Loisy, Le origini del cristianesimo, Einaudi, Torino, 1942 (ristampa Il Saggiatore, Milano 1974, pag. 302)

E se questo presentimento stesse pian piano per realizzarsi?
La religione dell'umanità: nessun idolo, nessun dio, nessun al di là se non in un nostro futuro possibile; un qui e ora, di amore, pace e fratellanza, di uguaglianza, di libertà. E' irrealizzabile, lo so, ma è ipotizzabile, potrebbe cioè darsi concretamente qualora ognuno di noi smettesse di brandire ogni tipo di arma sull'Altro.

domenica 9 novembre 2008

Fortezza 28. (a Eluana)



Starsene lì murato quale pena deve dargli
Anche se poi come dicono
Uno si abitua -
Di Lei vorrei fare un romanzo
Ben che lo so quanta vi è differenza
Tra il raccontarlo e l'esserci -
Stringere insieme un senzaterra senzatempo
E dove posa gli occhi, che cosa scopre
Nelle croste dei muri
O quelle trine d'aria, gli umori:
Passino a Lei da uno spiraglio queste righe
Potessi sapere
Da morti come si vive

22 ottobre 1988-12 febbraio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Nota a margine.
Provate a leggere questi versi pensando a Eluana.

sabato 8 novembre 2008

Fare politica (aut aut)


Immagine tratta da G.O.D.

E' vero: fare politica contribuisce al proprio successo personale; ma è anche vero che fare politica significa occuparsi, in primo luogo, degli altri prima che di se stessi. Bene, io questa vocazione non ce l'ho, mi limito da individuo a offrire un modestissimo contributo pseudo-intellettuale che getto nell'agone della rete e poi basta*. Criticare è più facile che proporre o concretizzare un'azione politica, lo ammetto. Tuttavia, siccome credo che la politica sia questo mettersi al servizio degli altri (cioè dei cittadini abitanti la polis), allora credo anche fermamente che chi si mette a fare politica lo debba fare (quasi) esclusivamente con questo nobile intento.
Questa, sia detto en passant, è anche la ragione per cui ho sempre pensato che Berlusconi sia inadatto (unfit per riprendere una famosa copertina dell'Economist di qualche anno fa); e che questo non sia stato ancora capito dalla maggioranza dei miei concittadini mi preoccupa e sgomenta. Ma come si fa, a meno di non avere appunto degli interessi diretti e personali di sudditanza, a farsi convincere che Berlusconi faccia politica per gli altri, quando ha dimostrato e dimostra tuttora che pensa soltanto a se stesso?

*La penso esattamente come forma mentis

venerdì 7 novembre 2008

Fortezza 27.

Subito un pio squittire d'implumi
Da remoti nidi ma poi
Tonfi e tonfi sulle assi del soppalco
Abbiate requie invoco
Almeno per queste ore -
Erinne d'uragano sapda infine vibrata
Stammi lontano férmati:
Blatta sul pavimento scappo qua e là
Aspetto lo scricchiare delle mie costole:
No - non soltano visioni
Alba inchiodata e lume violetto
Nel laido ospedale
Mostrami a chi inginocchiarmi

10 febbraio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

giovedì 6 novembre 2008

Ecumenismo agnostico



Quanto tempo ancora questo pianeta sopporterà che il potere religioso delle varie chiese degli ultramondi abbia un effettivo, nefasto, terribilmente concreto potere temporale su questo mondo? O Pastori, cominciate a spogliarvi di ogni ricchezza, a ignudarvi di ogni potere e forse mi (vi) ricrederò.


Un Dio ti sta di fronte
se ti sente e ti vede
ridere dolcemente
- se ti tocca col piede.

Su di me cala il buio
e il rombo di una grotta

- mi strozza l'acquacotta

che raspo col cucchiaio.


Toti Scialoja, Le sillabe della sibilla, tratto da Poesie, Garzanti, Milano, 2002

martedì 4 novembre 2008

Fortezza 26.

Non siamo belve, non vale
Contargli i respiri -
Nulla che arda non disarde alla fine:
Fargli più spazio invece
Che lo tradisca -
Indurgli deliri dai quali
Come da enigma o specchio si carpisca
Chi lo sorregga, il dialogante muto
Va-e-vieni dei suoi pensieri ulani:
Così labbri di rosa
Disegnano gli infanti il proprio sognare
Così le sillabe tra finte bave e i cani


21-22 gennaio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

lunedì 3 novembre 2008

Rose di Novembre

*

La dolce voce racconta le rose di fine Novembre

spalancate sul passato isolate come un soccorso
la fine delle occasioni accettata solo a parole
franano passi di corsa sulla ghiaia del giardino

si corre da una rosa all'altra credendo di averne voglia
si corre da una rosa all'altra per arrivare a una rosa

che conservava la forma quanto può averne la cenere
di un cartoccio non appena il fuoco che l'arse s'è spento.

Toti Scialoja, Cielo coperto (1997-1998), tratto da Poesie, Garzanti, Milano, 2002

*Per W.d.K. 20.3.1997, 1997
vinilico su canapa di canapa
204,5 x 205 cm

domenica 2 novembre 2008

Fortezza 25.

E lui di essa primo architetto -
Prigione non nel senso stretto
La sua più che del corpo
Dell'intelletto:
Sbarre serrature bastano
A farle via un po' di plastico
Pazienza di lima piedi di porco -
Ma chi è carceriere di se stesso
Ha un bel prendersi su capello per capello
A tirarsene fuori:
Cafarnao d'un cervello
Non c'è grazia se non muori


14-15 gennaio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990

Un tal Lucas*



Man mano che ci si avvicina alla cordigliera delle Ande, il versante argentino della Patagonia diventa di un verde sempre più intenso, come se il fogliame degli alberi sopravvissuti alla voracità dell’industria del legno volesse dirci che, nonostante tutto, la vita è possibile, perché ci sarà sempre un pazzo o molti capaci di vedere più in là del naso del profitto.

Uno di questi è Lucas, o un tal Lucas, come lo chiama la gente che vive vicino al lago Epuyén.

Quando, circa trent’anni fa, i militari argentini presero il potere con un colpo di stato e instaurarono una terribile e crudele dittatura, Lucas e un gruppo di ragazze e ragazzi scapparono da Buenos Aires e cercarono rifugio nella lontana Patagonia.

Erano gente di città, studenti, artisti e molti di loro non avevano mai visto un attrezzo agricolo, ma vi si trasferirono ugualmente portando con sé i propri libri e dischi. Avevano una sola idea in testa: azzardarsi a ideare e a mettere in pratica un modello di vita alternativo, diverso, in un paese in cui la paura e la barbarie imperversavano.

Il primo inverno (come tutti gli inverni della Patagonia) fu duro, lungo e terribile. I loro tentativi di coltivare la terra andarono a vuoto e non ebbero nemmeno il tempo di proteggere le loro capanne dal vento gelido che s’infilava da tutte le parti.

I ragazzi si trovarono così ad affrontare un nemico ignoto e imprevedibile. Ma nonostante i loro discorsi e le loro buone intenzioni non arrivarono a niente.

Un giorno, quando le scorte di legna cominciarono a scarseggiare, alcuni uomini, dai gesti lenti, si presentarono in quelle capanne malandate e, senza tanti discorsi, scaricarono la legna, accesero le stufe e tapparono le fessure delle loro capanne.

Lucas li ringraziò e poi chiese loro perché si davano tutta quella pena.

«Perché fa freddo; perché sennò?» rispose uno dei salvatori.

Quello fu il primo contatto coi paesani della Patagonia. Poi ce ne furono altri e altri ancora e pian piano i ragazzi impararono i segreti del vivere in quella bella ma impervia regione.

Trascorsero così i primi anni. Le capanne divennero solide e accoglienti, le terre divennero orti; furono costruiti ponti e strade nuove. Lucas e i suoi compagni si trasformarono in veri e propri custodi dei boschi.

Nel 1985 anche la regione del lago Epuyén vide arrivare le spietate motoseghe che cominciarono a tagliare sterminando lecci, roveri, querce, castagni… alberi di oltre trecento anni, senza pietà. Tutto finiva nelle fauci della trituratrice, che trasformava il legno in schegge e segatura facile da trasportare in tutto il mondo. Il deserto cominciava a prendere piede.

Nessuno sembrava capace di opporsi a tale sinistro rumore delle motoseghe. Ma Lucas, un tal Lucas, disse no, e decise di parlare in nome dei boschi per conto di tutta la popolazione.

«Perché vuoi salvare il bosco?» gli chiese qualche paesano.

«Perché bisogna farlo. Perché sennò?» ribatté Lucas.

Così, sfidando qualsiasi ostacolo e sopportando minacce, pestaggi, arresti, diffamazioni, nacque il progetto Bosco.

A Buenos Aires li chiamano «quegli hippy di merda che si oppongono al progresso», ma nei pressi del lago Epuyén la gente li appoggia perché un’elementare saggezza indica che la difesa della terra è la difesa degli esseri umani che la abitano.

Ogni albero protetto, ogni albero piantato, ogni seme curato significa salvare un secondo del tempo senza età della Patagonia e del mondo. Forse domani il loro progetto diventerà un grande corridoio di foresta autoctona lungo quasi 1500 chilometri. Forse domani gli astronauti dallo spazio potranno vedere una lunga, splendida linea verde accando alla cordigliera delle Ande.

Allora, forse, qualcuno dirà loro che tutto ciò ha avuto inizio da Lucas, un tal Lucas, un paesano di Epuyén, laggiù in Patagonia.

* libero adattamento del racconto omonimo di Luis Sépulveda.

Tale racconto è stato interpretato dalla mia classe (una quinta elementare) lo scorso giugno. Venne fuori un bello spettacolo. Uno di quei momenti che mi fanno amare il mio mestiere. E qui colgo l'occasione per ringraziare pubblicamente Giulio Bencini, operatore teatrale della Ruinart, dal quale è partita l'idea di questo superbo lavoro.


sabato 1 novembre 2008

Manfrine presidenziali

Stasera, mentre mi facevo la barba, pensavo a quale concreta soluzione possa essere adottata affinché Berlusconi non divenga Presidente della Repubblica.
Dato che il settennato di Napolitano dovrebbe scadere proprio prima della fine della legislatura e che quindi l'attuale Parlamento avrebbe la possibilità di eleggere Berlusconi nuovo Presidente della Repubblica, io penso che il Presidente Napolitano dovrebbe dimettersi circa un anno o due prima della fine naturale del suo mandato. In questo modo, l'attuale maggioranza potrebbe sì eleggere Berlusconi... ma questo provocherebbe uno scompiglio che, probabilmente, porterebbe a nuove elezioni anticipate; o altrimenti, se Berlusconi volesse portare a termine il suo lavoro, sarebbe costretto a cedere il passo a un altro esponente del suo partito.