sabato 22 novembre 2008

Spello



Se solo potessi vedere
le mie mani attaccate
al tuo sedere,
in santa pace sulla muraglia,
controversie finite,
sicuro che il gesto non sbaglia
mira né superficie.

Il panorama giù in fondo si sfoca:
la ruggine della ringhiera
mi porta intemperie in mente,
mentre la voce fioca fioca
suggerisce proseguire quel gesto.

Con forza sentire la sera venire.
Se chiudo gli occhi
ti sfioro le labbra rigate:
sorridi, sorridi che viene da sola
l'estate.
Vorrei tu portassi una pezzuola,
incorniciare il tuo volto vorrei.

Mangiate ricordi a digiuno
insegna un illustre dottore;
melanconico cielo spezzato dal fumo
di sterpi infuocati senti l'odore,
la fatica, la gioia di corpi
surriscaldati d'amore.

Le corse sui mattonellati:
«In discesa coi sandali ti sbucci le dita!»
Dici cento lire e fai luce:
un affresco s'illumina, un prete
contento. «Ho fame», mi dici, si mangia
con calma e con calma vai in bagno,
ti trucchi.

Ti vorrei addormentata
sulla panchina dei tigli;
ma adesso uno scarto ci separa,
una vallata, dei figli,
intrecciando impressioni e visioni,
noviluni, anni luce, un quarto d'ora.

Signora, signora illumina
lo sguardo (tentativo)
cattura la prova ch'è stata:
«Non me li leva nessuno i momenti»,
urlo, senza serbare rancore:
la prova c'è stata, vissuta;
mani strette, la vita dipinta,
non si cancella un quadro d'amore.

Galleria: «Ammirate signori il lieve
tocco quasi impreciso, il frullio
della pennellata in estasi breve.»

Nessun commento: