martedì 31 marzo 2009

Sempre nel mezzo



Stasera anch'io volevo dire qualcosa su Berlusconi... Poi ho letto Formamentis e, prima di telefonare a Dio per chiedere lumi, ho detto che no, non era il caso stasera. Ho pensato: devo respirare, devo liberare la mente per non turbare i sogni notturni. Ho letto così un articolo diverso, di evasione, di Antonio Dipollina su Repubblica e il relativo, sagace commento di Francesco Merlo da cui traggo questo passaggio:

«Non abbiamo liberato il sesso, ma la sua patologia. Ma cosa potevamo aspettarci liberando un cane che viveva in sofferenza, se non che diventasse feroce? E come puoi chiedere a una società di zoppi di mettersi a correre truffando la zoppia? È davvero un viziosetto innocente quel marito inglese. Venga qui e scoprirà che nell'Italia che di notte consuma il porno, di giorno va in onda l'oltranza della volgarità, sulla Rai e su Mediaset. Dai quiz alle notizie, tutto nella televisione italiana è un pretesto per ammiccare agli attributi femminili. C'è insomma in Italia un'oscenità diffusa, e non solo televisiva che si attacca come un'edera alle donne, è la smorfia del sesso, è una raffica di rimandi allusivi, un trafficare pubico e una pornolalia spesso mascherata da moralismo che è molto più sordida - apertamente più sordida - dell'universo della pornografia esplicita. Ecco perché quasi ci commuove il povero Richard con il suo scandaletto all'inglese. A noi il porno ci ha ridotto al punto da farci rimpiangere le dogane etiche, i pregiudizi e pure le pudicizie. Del resto a capire che il bacchettonismo aveva un costo e che, al contrario, il porno fa cassa è stato il governo Berlusconi introducendo la pornotax. La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e il ministro Tremonti, che non è il marchese De Sade, tutto contento sta mettendo a punto i decreti attuativi. Presto sapremo quanti soldi arriveranno nella casse dello Stato. "Pizzo" sulla masturbazione degli italiani, questo balzello si accanisce sul porno ma al tempo stesso lo riconosce e lo sdogana per sempre come vizio nazionale. E infatti ci dicono che al ministero fanno la fila per visionare il porno da tassare, che c'è una ressa per far parte di questa nuova commissione pornofiscale. Siamo partiti dal funzionario censore e siamo arrivati al funzionario guardone».

Niente da fare, dunque. Anche tra argomenti seri come masturbazione e porno Berlusconi è sempre nel mezzo, come il perineo.

Il mariuolo



Che artista: si era proprio ben riciclato.

lunedì 30 marzo 2009

Alla beatrice

Beatrice sui tuoi seni io ci sto alla finestra
arrampicato su una scala di corda
affacciato dal fuori in posizione precaria
dentro i tuoi occhi celeste vetro
dentro i tuoi vizi capitali
dentro i tuoi tremori e mali

Beatrice sui tuoi seni io ci sto a spiare
ciò che fanno seduti intorno a un tavolo
i tuoi pensieri su sedie di paglia
ospiti appena arrivati o sul punto di partire
raccolti sotto la lampada gialla
uno che ride uno che ascolta e uno che parla

Beatrice dai tuoi seni io guardo dentro la casa
dalla notte esteriore superstite luce
nella selva selvaggia che a te conduce
dalla padella alla brace
estrema escursione termica che mi resta
più fuoco per me tua minestra

Beatrice - costruttrice
della mia beatitudine infelice

Beatrice dai tui seni io vengo a esplorare com'è
la stanza dove abitare
se convenienti vi siano i servizi
e sufficiente l'ordine prima di entrare
se il letto sia di giusta misura
per l'amore secondo natura

Beatrice dunque di essi non devi andare superba
più che dell'erba il prato su cui ci sdraiamo
potrebbero essere stracci non ostentarli
per tesori da schiudere a viste meravigliate
i tuoi semplici beni di utilità strumentale
mi servono da davanzale

Beatrice - dal verbo beare
nome comune singolare

Giovanni Giudici, O beatrice, Mondadori, Milano 1972

domenica 29 marzo 2009

Il paradosso è la norma

«Che possibilità c'è di fare qualcosa del genere in un Paese dove il paradosso è la norma? Dove la lobby non influenza il governo ma è il governo, il quale però chiama se stesso Popolo, assumendo che l'interesse privato sarà prima o poi l'interesse di tutti, o almeno di tutti gli amici. E proprio mentre fa tutto questo, mentre l'interesse privato si fa norma pubblica alla luce del sole senza che ciò causi ormai il minimo scandalo, cerca e trova la sua fonte di legittimazione nientemento che nell'etica e nella religione e con quella legittimazione si mette a collezionare divieti e a restringere libertà. Il minimo che si può dire è che non gli manca il sense of humor.
(E il popolo infatti ci sta, perché anzitutto vuole speranza e futuro e non la trova altrove, certo non la trova dalle nostre parti, perché vorrebbe moralità ma se gli si rifila ordine e gli si urla parecchio nelle orecchie si convince che è lo stesso, perché si riconosce in un vincolo di clan e calcola che la fortuna del capo sarà la fortuna propria, perché ammira il successo e lo brama; perché vuole il Duce, perché l'alternativa fa schifo, perché avere in mano quasi tutto il sistema informativo e dell'intrattenimento forse un po' aiuta, specie in un Paese in cui la rete conta ancora poco, perché, perché...)».

da leggere tutto, questo splendido post di Falso Idillio

Dettagli

Sbaglio o un tempo a ogni congresso di partito venivano invitati, riservandogli posti nelle prime file, anche i segretari degli altri partiti, alleati o avversari che fossero?
Certo, questo per il PDL è il congresso costituente... vedremo cosa farà il PD al prossimo congresso settembrino.

venerdì 27 marzo 2009

Uno spiro leggero



Viviamo giorni particolari della nostra Repubblica. Giorni che mi piacerebbe vedere come saranno giudicati dalla Storia - ammesso e non concesso che saranno usati i criteri di metro e giudizio che rendono l'analisi storica degna di questo nome. Chissà quanti decenni, quanti secoli occorreranno per smaltire questa sbornia, questo offuscamento della mente.
Non so come, ma non riesco a rassegnarmi. Forse questo è dovuto a una mia particolare indole che riesce a scorgere luce persino nelle notti tempestose. Non lo so. So solo che, se si guarda con occhio attento a molte situazioni "analoghe", si può scorgere che dai momenti di massimo splendore si passa repentinamente alla rovina, alla caduta, all'esilio, alla gogna. Perciò, per non disperare, aspetto che venga una primavera di Praga, una piazza Tiananmen anche da queste parti dalle Alpi agli Appennini. E anche se poi verranno i carri armati, sarà bello sapere che per qualche giorno, forse qualche settimana, entrerà nei nostri cervelli uno spiro leggero, salino, che strariperà nelle nostre vene e che ci renderà coscienti dell'impostura che stiamo vivendo.

Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l'oscura primavera
di Sottoripa.

Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall'aperto,
strazia com'unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia
da te.

E l'inferno è certo.*

*Eugenio Montale, Le occasioni - 1° Mottetto.

giovedì 26 marzo 2009

Discorsi poetici



«Il discorso poetico è infatti un discorso continuo; e poi evita ogni cliché e ripetizione. L'assenza di queste magagne è ciò che accellera l'arte e la distingue dalla vita, il cui principale artificio stilistico, se così si può dire, sta appunto nel cliché e nella ripetizione, visto che essa parte sempre da zero. Non stupisce che oggi la società, imbattendosi in questo discorso poetico che continua, si trovi a disagio, come se dovesse salire su un treno in corsa. [...] La poesia non è una forma di intrattenimento, e in un certo senso neppure una forma d'arte, bensì il nostro fine antropologico, genetico, il nostro faro linguistico, evolutivo. Si direbbe che ne abbiamo la percezione da bambini, quando assorbiamo e ricordiamo versi per diventare padroni della lingua. Da adulti, però, desistiamo da questo impegno, persuasi di avere ormai acquistato quella padronanza. E invece ciò che abbiamo padroneggiato è soltanto un idioma, qualcosa che può forse bastare per farla in barba a un nemico, per vendere un prodotto, per chiudere una partita, per meritarsi una promozione, ma sicuramente non basta per guarire l'angoscia o infondere gioia. [...]
Leggere poesia, se non altro, è un processo di formidabile osmosi linguistica. È anche una forma assai economica di accellerazione mentale. Entro uno spazio ridottissimo una buona poesia abbraccia un immenso territorio mentale, e spesso, verso l'epilogo, offre al lettore un'epifania o una rivelazione. Questo avviene perché nel processo di composizione un poeta adopera - in genere senza nemmeno saperlo - i due principali modi di cognizione disponibili alla nostra specie: l'occidentale e l'orientale. [...] Il primo asseconda generosamente il razionalismo, l'analisi. In termini sociali, è accompagnato dall'affermazione dell'uomo ed è semplificato in generale dal "Cogito ergo sum" di Descartes. Il secondo si affida principalmente alla sintesi intuitiva, invoca l'autonegazione ed è rappresentato, come meglio non si potrebbe, dal Buddha. In altre parole, una poesia vi offre un campione dell'intelligenza umana all'opera, di un'intelligenza completa, non distorta. È questo che costituisce il fascino essenziale della poesia, anche a prescindere dal fatto che essa sfrutta quelle proprietà ritmiche ed eufoniche della lingua che sono di per sé rivelatrici, e non poco. Una poesia, se vogliamo, dice al suo lettore: "Sii come me". E al momento della lettura voi diventate ciò che leggete, assumete lo stato che la lingua ha in quanto poesia, e la sua epifania o rivelazione vi appartiene, è vostra. Tutto questo rimane vostro anche quando chiudete il libro, perché non potete tornare indietro, al momento in cui non possedevate. Si può ben parlare di evoluzione, mi sembra. Ora, il fine dell'evoluzione non è la sopravvivenza del più efficiente né quella del renitente. Nel primo caso noi dovremmo accontentarci di Arnold Schwarzenegger; nel secondo caso, che comporta un'alternativa più accettabile dal punto di vista etico, dovremmo arrangiarci con Woody Allen. Il fine dell'evoluzione - che ci crediate o no - è la bellezza, che sopravvive a tutto e genera la verità per il semplice fatto di essere una fusione di ciò che è mentale e di ciò che è sensuale. Come sempre avviene agli occhi di chi sta a guardare, non può essere totalmente incarnata se non nelle parole: è questa la premessa di ogni poesia, che è inguaribilmente semantica così come è inguaribilmente eufonica.»

Iosif Brodskij, Dolore e ragione, Adelphi, Milano 1998

mercoledì 25 marzo 2009

Uomo e mondo



«C'è l'individuo e c'è, davanti a lui, uno dei mondi che gli potevano capitare in sorte. Gli è capitato questo, non scelto né fatto da lui. E non c'è nulla che possa cancellare o far dimenticare questo fatto primo.
Il quale fatto primo dà alla vita il carattere di sogno notato dai poeti (e da qualche filosofo): alla fine, non è più reale del sogno perché sia il mondo vissuto che il sogno nel ricordo sono eguali vanità e fantasmi.
Qui tutto è come un miraggio e soprattutto ogni oggetto di desiderio - e fra gli oggetti di desiderio soprattutto la donna. Chi potrebbe fabbricare Dèi se non gli uomini? Che cosa di meglio può fare l'uomo che recitare la propria umanità? Quale altra realtà potrebbe realmente esistere tranne quella che si costituisce fra gli uomini? E se questa è la realtà, cioè il destino, che ragione ci può mai essere di non accettarla, di non affidarvisi?»

Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995.

Di ragioni per non accettare questa realtà ce ne sarebbero eccome. Prendiamo questo caso per esempio, che spero non sia vero (ma non credo, purtroppo), e ragioniamo, in questo caso da uomini: alla prossima visita urologica proviamo a depilarci e se per caso il dottore si rifiutasse di controllarci la prostata per ragioni etiche, facciamogli noi il dito guantato.

Come cantava Gaber:

La realtà è un uccello [sic!] che non ha memoria, devi immaginare da che parte va.

martedì 24 marzo 2009

Ostraka



Una decina di giorni fa, in una sua famosa lettera scritta di pugno, il Papa scriveva:
«Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema [Il caso Williamson]. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie».
Ora a me pare che il cardinal Bagnasco disattenga le indicazioni papali; mi spiego:
invece di gridare all'ostracismo e alla campagna denigratoria dei media, Bagnasco farebbe meglio consigliare al Santo Padre di cambiare strategia comunicativa, perché è chiaro che dopo simili bischerate l'internet (e i media in genere, vorrei dire: il buon senso) si scateni prendendo di mira chi le ha dette, mostrandone la fallacia, la ridicolaggine, in pratica svolgendo una delle funzioni più nobili della rete: sputtanare chi, da posizioni di potere, spara e fa cazzate (e speriamo che a questa possibilità non venga messa la museruola con delle retrograde forme censoree). L'internet è la nuova agorà, è il luogo dove i cittadini, che si ostinano a non essere sudditi, manifestano le loro libere opinioni; per questo nell'ostrakon dei nostri blog possiamo scrivere il nome di chi ci pare nella remota speranza di mandarlo in esilio, fosse pure per 10 anni.

lunedì 23 marzo 2009

Poeta in nero

*

Nera cintura stivaletti neri
nero il cappelluccio a cencio
tutto bardato di nero se ne sta
ritto sullo sgabello inalbera
un cartello con la scritta: Ich bin
stolz ein Dichter zu sein
muovendo le labbra appena.
Sono fiero di essere un poeta.
Ma perché tanto nero?
gli domando con gli occhi.
Vesto il lutto per voi
da dietro vetri neri
con gli occhi mi risponde.

Vittorio Sereni, Stella variabile

domenica 22 marzo 2009

Uno strumento umano



Bello il ricordo che Franco Loi dedica oggi, sulle pagine della Domenica del Sole 24 ore, a Vittorio Sereni. Bello e, oserei dire, quasi struggente se confrontato al panorama poetico italiano (europeo) odierno e al triste pensiero che intellettuali di tale spessore un tempo avevano ruoli di comando dentro la più importante casa editrice italiana.

«Prima di essere assunto, ebbi un colloquio con Vittorio [...] Parlammo di cultura e di nostre letture. Ma a un certo punto lui mi chiese: "Si occupa anche di poesia?". "No", dissi imbarazzato. "Meglio così", mi tranquillizzò sorridendo. Il suo commento era riferito alla vanità letteraria dei versificatori, e sono d'accordo ancora con Silvia [la figlia di Sereni], quando precisa che per suo padre "la poesia era una forma di ricerca di verità", non un gioco letterario o, tantomeno, un mezzo di notorietà».

La poesia come forma, come strumento di ricerca di verità. Qualunque essa sia la verità. La poesia come smascheramento, come ignudamento: luce flebile puntata verso le stelle, invano, ma non importa. Tentativo di balbettare qualcosa di vero di sé, degli altri, del mondo. Balbo parlare per chi lo produce, pura sinfonia e armonia per chi la ascolta, per chi la dice sottovoce dentro un bosco, su una strada ai margini d'Europa. La poesia è la bussola, è lo Zenit e il Nadir. Bisogna essere felici: i poeti sono esistiti e abitano ancora tra noi: apriamo le loro pagine e facciamo volare le loro parole.

VIAGGIO DI ANDATA E RITORNO

Andrò a ritroso della nostra corsa
di poco fa

che tanto bella mai ti sorprese la luna.
Mi resta una città prossima al sonno
di prima primavera.
O fuoco che ora tu sei

dileguante, o ceneri confuse

di campagna che annotta e si sfa,
o strido che sgretola l'aria

e insieme divide il mio cuore.

Vittorio Sereni, Gli strumenti umani.

sabato 21 marzo 2009

Un post imposto



Farfuglio, fuori neve. Passerotti delusi zampettano e mi chiedono l'ora. Rispondo ch'è primavera meno un quarto e che la devono smettere di ascoltare la cantante in Pausa. La devono smettere d'inseguire la modulazione di frequenza sempre più debole, sempre meno libera, sempre più soffocata dai richiami assurdi di un occidente in vendita senza nessuno che voglia comprarlo. Pazienza. Mi sono imposto un post assurdo e credo di essere nel torto. Se un giorno dovessi diventare come Rossella (Carlo) vi prego sputatemi addosso al mio passare, al mio parlare, al mio viscidume interiore. Forse dovrei tornare a guardare un po' le trasmissioni televisive del pomeriggio, quelle coi pettegolezzi e le cronache cialtrone. O forse dovrei fare una ricerca sul lessico politico pentapartitico e rimpiangere Nicolazzi, Altissimo, il mitico Spadolini, le pause filosofiche craxiane e le vette linguistiche del Ciriaco De Mita d'un tempo. Ha ragione Michele Serra oggi a dire che essere politicamente scorretto equivale essere un piccolo peto senza rumore. Quanto sarebbe più nobile riguadagnarsi uno spessore con la misura: politica, politesse oblige. Ma io non sono un politico, io posso essere un fiore, ma fuori fa un freddo bestia e tira un vento da sradicamento e mi sento cigolare come un'altalena arrugginita. Mi fermo, mi sto e vi sto venendo a noia.

venerdì 20 marzo 2009

Su per Montélleri



Quadretto in cui s'accapiglia
quel gesto che svelò la dimora
che sciolse domina da signora
afflato dove il volto si scompiglia.

Disamore rotola e cade, masso
pesante giù per la strada, ma cartelli
non ce n'erano ad avvisare il passo
malcerto e stanco su per Montélleri.

Ovvio e sicuro l'ansimare lasso
che sfigura contorni e dona orpelli
allo sguardo che dal raggio più basso
va alla costellazione dei Gemelli.

Dimostrerò recrudescenza
ma non piccarmi o far bizze:
solo per rigore; ed un'essenza
esalerà tra fumi e stizze.

Staccarsi da un'altra placenta
è naufragio, è smarrimento:
sentire che si ripresenta
il trauma dello svezzamento.

È vero, ti amo, ti stringo, mi
struggo e soffro, oh se soffro
e non va né su né giù, qui
nella gola rimane il groppo.

Ora la nostra variegata età
mostra il sentiero a chi non sa;
e chi sa avverte trista pietà
diminuzione dell'ansietà.

Non più il percorso è percorribile:
ricominciare daccapo, stesso
impegno, stessa dedizione; lo scibile
umano va ripetutamente commesso.

Dal ventre, dalla fronte, dal polpaccio
ricomincia la strada: scarpe nuove.
Sperare che là oltre i vetri piova,
non fare per fare, disfare e mi faccio.

Torna presto, musa, tra le mie mani:
torna cartina geografica
torna sole, balsamo degli umani,
sapore, odore, tocco la tua.

1991

giovedì 19 marzo 2009

Alchimia del verbo


«L'aforisma, se non paradossico, se non ha abbastanza urto, resta tra le muraglie del linguaggio pietrificato, dove la sterminata folla degli umani gira e gira come nell'ora d'aria i prigionieri di Newgate: la farfalla ricade. L'ergastolo linguistico, universale condanna. Dà contentezza di morire il pensiero di non dover più emettere i luoghi comuni quotidiani, di non averne più offeso l'orecchio, di non patire più per lo sconcerto e il disagio che suscitano un poco di ironia, di olio lubrificante d'enigma... Oh magnifico, l'enigma, e il
koan Zen, l'oscurità di un verso, l'anagramma rivelatore, l'oracolo che sorvola e svapora: ti rassicurano, la porta dell'infinito verso cui abbaiamo pieni di sete non è chiusa, non riusciranno a sbarrarne per sempre l'entrata i pretoriani bestiali del finito.
Alchimie du verbe: meravigliosa-meravigliante parola. Partire per non arrivare. Partire per lo scoglio solitario dove non ti seguirà nessuno. Col mio retino ne ho acchiappate, mentre volavano invisibili, appena udibili, alchimie del verbo, benedetta la loro luce di sera, la loro cerchiata fragilità candelare».

Guido Ceronetti, La fragilità del pensare, Rizzoli, Milano 2000.

mercoledì 18 marzo 2009

Uno strano ronzio



Io non sono un tipo violento. Perlomeno credo di non esserlo, nella misura in cui non desidero fare e/o provocare male a nessuno. Anche quando una mosca entra in casa e ronza fastidiosamente nelle stanze, cerco - per quanto possibile - di farla uscire dalla finestra. Tuttavia, se dopo vari tentativi, essa persiste a non voler sortire e si ostina a posarsi, con le sue sporche zampette, or qui or là per la casa, ecco che prendo la paletta con l'intento di schiacciarla.
Per l'appunto stasera, seppur ancora le mosche intorno non vi siano, mi son trovato improvvisamente con la paletta in mano; davanti al televisore però, tentando invano di colpire il ronzare inoppurtuno del petulante Sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, ospite della puntata odierna di 8½. Meno male non ho il televisore al plasma.

martedì 17 marzo 2009

I Buoni e i Cattivi

«"Il problema non è tanto la malvagità dei cattivi quanto il tepore dei buoni", dice Max Frisch.
Dice molto bene: il problema non è forse affatto la malvagità dei cattivi, specie se si pensa alla malvagità contemporanea, affare di Stato, in quanto essa è un fatto di situazione, di un individuo che si lascia prendere in una situazione nella quale poi non potrà che fare il male.
Il problema grave, comunque, è la mediocrità dei cosiddetti buoni, cioè degli indifferenti al bene e al male.
È dall'indifferenza che viene il male moderno, da una mancanza della coscienza di ciò che è male, o dalla sua abolizione per via di un'istanza superiore: lo Stato, la Rivoluzione, la Patria e simili. Male è l'opprimere il debole, ma non è più male se non si crede alla differenza fra oppressione e libertà, fra debole e forte. Male è far soffrire un uomo, ma non è più male se una Causa Superiore esige la sofferenza dei più.
Per ragionare così, tuttavia, bisogna aver accettata la mediocrità come legge, considerare se stesso e gli altri "uomini medi" soggetti a necessità superiore - privi del diritto di giudicare le forze che devastano il mondo.»

Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995.

lunedì 16 marzo 2009

Pop economy



Stasera, durante 8½ e per l'ennesima volta, son venuto a sapere che circa 300.000 persone al mondo detengono più del 90% dei capitali esistenti; tra questi, una piccolissima parte, circa 300 (bello il paragone di Gino Strada sul fatto che questi riempirebbero si e no un Boeing) detiene il 40% della ricchezza mondiale. Bene, al di là di ogni possibile e vano discorso di equa redistribuzione di questo incalcolabile patrimonio (non si riescono, infatti, a contare le stelle), io vorrei rivolgermi a questi individui - accusati da molti analisti, forse non a torto, di essere i veri responsabili della crisi economica mondiale - con toni pacati, non di condanna o minaccia, ma semplicemente suggerendogli di... spendere, di comprare, d'investire i loro immensi risparmi e capitali per stimolare la domanda e l'offerta, la ricerca, il lavoro, il rilancio dell'occupazione. Gentili Signore e Signori forza, aprire i vostri borselli, spaccate i vostri salvadanai, spendete e spandete ricchezza, magari facendo attenzione a diversificare i vostri acquisti, senza concentrarli cioè per soddisfare malamente i vostri insaziabili desideri d'apparenza. Non limitatevi a comprare calciatori, soubrette, aeroplani, cocaine varie e fiumi di Sassicaia. Andate nei luoghi più depressi e impensati, per esempio in una piccola merceria di un negozio di provincia, e comprate di tutto anche se non vi occorre niente. Se così farete, se non vi comporterete da ricchi taccagni, vedrete che 4-5 miliardi di persone vi saranno, in futuro, riconoscenti. Orsù dunque, date fondo ai vostri fondi: così facendo il prof. Giovazzi vi dedicherà un panegirico.

domenica 15 marzo 2009

Una birra alla Spinoza

Stasera ho ripreso in mano il vero Spinoza (non che lo Spinoza post-moderno non sia all'altezza, per carità) e, appena aperto, subito alcune perle:

«Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse loro sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché essi vengono spesso a trovarsi di fronte a tali difficoltà che non sanno prendere alcuna decisione e poiché il loro smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna li fa penosamente ondeggiare tra la speranza e il timore, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa; quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più allorché esita in preda alla speranza o al timore, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione». (p. 1)

«Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e che non l'ha ancora deluso: incostanza, che fu già causa di innumerevoli agitazioni e di guerre atroci; infatti, come si rileva dalle cose or ora dette e come osserva molto bene anche lo stesso Curzio "nulla riesce più della superstizione a dominare le masse"; onde avviene che queste siano facilmente indotte, col pretesto della religione ora ad adorare come Dèi i loro re, ora a esecrarli e a detestarli come una peste comune del genere umano». (p. 3)

«Mi sono spesso meravigliato che uomini, i quali si vantano di professare la religione cristiana, e cioè l'amore, la gioia, la pace, la moderazione e la lealtà con tutti, contendessero tra di loro con tanto astiosa irruenza e si odiassero a vicenda con sì feroce e costante accanimento, da far capire da ciò, piuttosto che dall'esercizio di quelle virtù, la specie di fede da ciascuno professata; le cose sono ormai arrivate al punto, che quasi non si può più distinguere di chi si tratti, se di un Cristiano, cioè, o di un Turco o di un Ebreo o di un Pagano, se non dalla veste esteriore di ognuno e dal culto o dalla Chiesa che frequenta o dall'opinione che segue o dal maestro sulla cui parola suole giurare. Per il resto conducono tutti la stessa vita». (p. 4-5)

Benedetto Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1972

sabato 14 marzo 2009

Elle apostrofo internet

Ho letto solo oggi l'inchiesta di Marco Politi su Repubblica di ieri («La guerra del Vaticano») insieme all'analisi che ne fa Vito Mancuso («La solitudine di Benedetto XVI»). Chissà che bei post ci riserverà Malvino. Io qui mi limito a osservare, in margine di quanto riportato da Mancuso sulla lettera scritta di pugno dal Santo Padre, questo interessante passaggio:
«Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema [Il caso Williamson]. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie».
Ecco, sentire il Papa reclamare dai suoi collaboratori una maggiore attenzione alle notizie che circolano nella rete è un'ulteriore prova, se ce ne fosse ancora bisogno, di quanto importante sia la circolazione dell'informazione attraverso, appunto, l'internet (interessante poi anche notare come Benedetto XVI metta l'articolo davanti a internet: chissà se maschile o femminile). Questo però conferma anche le ragioni dello zelo governativo di mettere freno alla diffusione, alla condivisione, alla gratuità dell'informazione della Rete. Per capirsi: una ventina d'anni fa, il caso Williamson poteva più facilmente esser messo a tacere...

venerdì 13 marzo 2009

Un venditore principiante



«Una mattina, un giovane che sembrava quasi un ragazzo entrò in una libreria e chiese di essere presentato al padrone. Fecero come desiderava. Il libraio, un vecchio dall'aspetto venerando, fissò severamente il giovane un po' intimidito, in piedi davanti a lui, e lo invitò a parlare. «Voglio fare il libraio,» disse il giovane principiante «ne ho un grande desiderio e non so cosa potrebbe trattenermi dal mettere in atto il mio proposito. Da sempre ho concepito il commercio librario come qualcosa di affascinante, e non capisco perché io debba ancora struggermi lontano da questa bella e piacevole cosa. Vede, signore, mi pare di essere, così come le sto ora davanti, straordinariamente adatto a vendere i libri del suo negozio, a venderne tanti quanti lei può desiderare. Sono un venditore nato: garbato, svelto, cortese, sollecito, sbrigativo, deciso, calcolatore, attento, onesto, però non onesto fino alla stupidità come posso far sembrare. Sono capace di ridurre i prezzi quando mi trovo davanti un povero diavolo di studente, e di tirarli su per fare un favore ai ricconi, dei quali devo supporre che qualche volta non sappiano cosa farsene del loro denaro. Per quanto sia ancora giovane credo di avere una certa conoscenza degli uomini, e inoltre io amo gli uomini, per quanto disparati possano essere; così non metterò mai la conoscenza che ho di loro al servizio di un guadagno illecito, ma tanto meno mi verrà in mente di danneggiare il suo stimato negozio per un eccessivo riguardo verso certi poveri diavoli. In una parola: il mio amore per gli uomini si terrà in bell'equilibrio, sulla bilancia della vendita, con la ragione commerciale, che è altrettanto necessaria per la vita quanto un'anima piena di amore: manterrò la giusta misura, glielo assicuro fin d'ora».

Robert Walser, I fratelli Tanner, Adelphi, Milano 1977.

giovedì 12 marzo 2009

Farsi un pianto



Stasera ho voglia di piangere. Non per un fatto personale, ma per una ragione sociale. Politica. Storica. Filosofica, forse. Piangere come gesto rivoluzionario, come risposta alle vicissitudini politiche, sociali, storiche e filosofiche dell'Italia. Bisognerebbe imporsi il pianto, come costume. Assumere delle prefiche e sguinzagliarle ogni volta che parla Berlusconi, ogni volta che parla il Papa, ogni volta che si gioca una partita di calcio o danno un programma pseudo-comico alla tv. Piangere, farsi un pianto. E coi nostri lacrimoni-lenzuola stendere un velo pietoso sopra lo sfacelo italiano. Addormentare la patria. Addormentarsi tutti e continuare a piangere se al risveglio ci si accorge che questo incubo (sociale, politico, storico, filosofico) lo stiamo vivendo.

mercoledì 11 marzo 2009

Aspettando Godot



L'ultimo numero della rivista Vita e pensiero pubblica un saggio di Roger Scruton intitolato Il vicolo cieco degli «scienziati atei». Non ho letto tale articolo, se non l'estratto ove si dice che «da Dawkins a Dennett, da Harris a Hitchens, cresce l’ondata di studiosi che intendono distruggere il fenomeno religioso. Ma anche le più recenti scoperte scientifiche non contraddicono l’ipotesi della trascendenza. E con tutta evidenza il sacro ritorna». Dunque, non posso discutere il merito di quello che viene lì esposto. Posso, tuttavia, porre una questione trasversale, più o meno sostenendo questa tesi.
A mio avviso, se qualcuno è dentro un vicolo cieco riguardo alla questione della trascendenza, non sono certo gli scienziati atei a esserlo, ma i religiosi stessi; e questo a prescindere dal fatto che l'ateismo possa avere o meno una valenza veritativa. Mi spiego con una domanda che rivolgo a tutti i credenti di qualsiasi fede: cosa credete quando credete in Dio? A cosa pensate? Ritenete davvero che il Dio del vostro credo sia l'Unico Dio possibile? Tra le tante religioni ancor oggi presenti sul pianeta, quale si avvicina di più a Dio? In breve: Dio è cattolico apostolico romano? È ortodosso? È ebreo? È musulmano (sunnita o sciita)? È Geova? È avventista del settimo giorno? È valdese, o battista, o mormone, o evangelico, o luterano, o calvinista? È induista, o buddista, o taostista, eccetera eccetera? Insomma, per farla breve, se Dio si dovesse presentare, hic et nunc, a chi darebbe ragione? A chi direbbe “sei nel giusto, sei nel torto, sei un saggio o sei un bischero”?
Per questo credo che, se davvero vi sia qualche speranza di poter far entrare (per alcuni, concedo, ritornare) Dio sulla scena, l'unica possibilità è fare piazza pulita di tutte le religioni, soprattutto di tutte le impalcature fallaci sulle quali esse si fondano. Occorre cominciare a sgretolare la montagna sulla quale abbiamo costruito le nostre fedi improbabili per riuscire a vedere finalmente l'orizzonte. È questa la ragione per cui ritengo che gli scienziati atei siano nel giusto: perché hanno cominciato il lavoro di scavo, di picconaggio alle enormi stoltezze che riempono le nostre menti bambine. Chi nutre una vera e concreta speranza di poter vedere il vero volto di Dio, deve contribuire a far crollare quella montagna che oscura il nostro sguardo. Solo quando l'umanità avrà un orizzonte comune, uno sguardo scevro da ogni superstizione, da ogni sacralità, allora forse, chissà, Dio potrà presentarsi col suo vero Nome. Godot?

martedì 10 marzo 2009

Aver da dire qualcosa

A me piace scrivere post prendendo spunto dalla mia biblioteca scompigliata. Pesco un libro a caso, cerco le sottolineature, i vari asterischi o Nota Bene, e rileggo. A volte càpita che la pagina sia pertinente con qualche argomento su cui ho piacere discorrere, confrontarmi, parlare. Altre, invece, succede che la pagina ritrovata contenga in sé un germe e una promessa d'ispirazione.
Stasera per esempio ho ritrovato un libro che avevo dato per disperso. Un libro di Taccuini, quindi un vero e proprio blog ante-litteram. L'avevo messo in soffitta, tra cumuli di polvere, inframezzato tra libri del Club degli Editori, tra Nuovi Argomenti, Alfabeta, Paradossi, L'Indice dei libri e qualche Playboy e Playmen d'annata (quest'ultimi due tipi di riviste mi hanno costretto a un attento riesame degli argomenti ivi trattati).

Ma adesso spazio al libro ritrovato.

«Non si sa che cosa si ha da dire se non si comincia a dirlo. Ed è il momento in cui si comincia a parlare che decide di quello che si dirà.
Che cosa significa allora "aver qualcosa da dire"? Aver sofferto qualcosa dalla vita. Ma "soffrire" non significa esser stati umiliati, torturati, esser nati gobbi, una sofferenza esteriore.
La sofferenza fisica o morale non è detto che sia la peggiore o più significativa. Ma aver subìto la vita senza saper come rispondere è la sofferenza feconda. Esser stato messo alla prova. Niente vale se non c'è stato questo. E se si vuole vivere d'amore e d'accordo non si sa nulla, non s'impara nulla.
Noi non mettiamo quasi mai alla prova la vita - i nostri simili - per sapere che cos'è, chi sono. Supponiamo la bontà per esempio, ma non osiamo avventurarci a conoscerla.»

Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995.

lunedì 9 marzo 2009

Brava Fiorenza



Grazie Firenze, questa volta ben puoi esser degna di questa digression che ti tocca.
Grazie ai ventidue consiglieri favorevoli che hanno conferito degnamente la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro (con particolare merito ad Alessandro Falciani, autore della proposta).

P.S.
Il prossimo candidato sindaco del PD, Matteo Renzi, si era dichiarato contro tale iniziativa: vada a cacare.

La reinvenzione dell'adulterio



«Qualsiasi sistema sociale che possegga regole di comportamento è soggetto al rischio che esse vengano violate, se gli individui possono ricavare dalla trasgressione vantaggi che superino il peso delle sanzioni. Il problema è dunque quantitativo: le violazioni diventano così regolari e frequenti da far crollare il sistema, oppure si verificano ma non tanto spesso da distruggere il sistema, oppure ancora sono così rare da essere trascurabili? Tradotto nel linguaggio della sessualità umana, il problema si pone in questo modo: i bambini nati fuori del matrimonio sono il 90, il 30 o l'1 per cento del totale?»


Jared Diamond, Il terzo Scimpanzé, Bollati-Boringhieri, Torino 1994, pag. 107

In riferimento a un suo post del 6 marzo scorso, vorrei porre al dottor Malvino (e a chiunque sia interessato alla questione) questa domanda provocatoria (per vedere se la sua opinione coincide con quella che Jared Diamond argomenta nel capitolo "La scienza dell'adulterio" e che si basa, in estrema sintesi, sulla ESS - ovvero la Strategia Evolutivamente Stabile, perno della Teoria Evolutiva dei Giochi).

Interessante leggere l'incipit del suddetto capitolo:

«L'adulterio, considerato a mente fredda, è funzionale alla lotta per l'evoluzione, in cui vincono gli individui che lasciano il maggior numero di figli. Questa concezione ci aiuta a capire perché l'uomo abbia reinventato l'adulterio dopo che gli altri due scimpanzé lo avevano aggirato.»

A margine, altra domanda: a che punto sarebbe oggi questa "reinvenzione"? Detto altrimenti: quanto ci siamo distaccati dalla necessità evolutiva nei rapporti adulterini?

domenica 8 marzo 2009

Lo stupore

I motivi per disperare prevalgono quelli della speranza. Prevalgono, sono maggioranza, ma non soffocano la fiducia verso il genere umano. Dopo i bombardamenti, sotto le macerie, si scava ancora in cerca del volto dei sopravvissuti. La fatica della carezza, della stretta di mano, della riconoscenza, dell'abbraccio, della parola lieve che dice non tutto è perduto: proviamo a ricomporre un senso, un'idea di unità nella diversità. Ricordiamoci che siamo fatti dello stesso impasto di lacrime e sangue, ma con questi non dobbiamo più cercare di dissetare la nostra sete di vendetta, di predominio, di conquista. Siamo qui e siamo soli: prendiamo insieme l'unica strada possibile per continuare ad abitare la terra.

«Sento ancora, come se fosse oggi, Lévinas confessarmi, durante un viaggio, il suo stupore di fronte al fatto che dei pensatori abbiano potuto pensare che lo stupore di fronte all'esistenza di qualche cosa, invece che nulla, sia il punto di partenza radicale della metafisica. Poi aggiunse che ai suoi occhi il fatto che su una terra così crudele come la nostra qualche cosa come il miracolo della bontà abbia potuto apparire era infinitamente più degno di stupore.»

J. Greisch, «Heidegger et Lévinas interprètes de la facticité», in E. Lévinas e AA.VV: Positivité et transcendance. Suivi de Lévinas et la phénoménologie, PUF, p. 206. Tratto dal saggio introduttivo di Silvano Petrosino a Emmanuel Lévinas, La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book, Milano 2002, p. XXVII.

Consigli democratici 4.



Segnalo la consultazione di questa preziosa bussola.

Qui mi limito a riportare questa osservazione:

«In passato, nella prima Repubblica - e per quasi cinquant'anni - il 40% dei cittadini è stato all'opposizione senza possibilità di diventare maggioranza. Ma senza mai sentirsi straniera. E senza mai perdere la speranza. Allora, però, i partiti offrivano valori, identità, organizzazione, socializzazione. E ciò garantiva appartenenza, senso. Cittadinanza. Oggi non è più così. Anche se non si può dire che gli elettori del Pd non abbiano espresso il lor sostegno a questo progetto. Visto il risultato elettorale di un anno fa. Vista la grande partecipazione che ha caratterizzato le primarie. Semmai, il problema sta nello scarto fra un investimento tanto generoso e una risposta altrettanto povera. Da ciò la delusione, la secessione silenziosa. Per ri-conquistare gli esuli, i gruppi dirigenti del Pd dovrebbero rinunciare ai giochi di palazzo, a parlar di se stessi per "parlare nuovamente alle persone", come ha scritto Michele Serra. "Basterebbe una politica copiata da un noto estremista. Barack Obama", conclude un altro lettore. Ma forse anche meno. Una politica.»

I blog ampliano il nostro universo



«Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Non le chiedo più, come negli anni dell'adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità con esse e mi permette di comprenderle meglio. Non credo di essere l'unico a pensarla così. Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e organizzarlo. Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all'infinito questa possibilità d'interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. Ci procura sensazioni insostituibili, tali per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello. Al di là dall'essere un semplice piacere, una distrazione riservata alla persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.»


Per me questo discorso, oltre che per la letteratura, vale anche per voi (oso dire per noi), cari amici linkati.

sabato 7 marzo 2009

Dream news



Vaticano, monito globale dell'Italia:
«Nessuno ospiti il Papa».

Lo Stato italiano minaccia la comunità mondiale di ritorsioni: «Se volete rapporti completi con noi, non accogliete il leader spirituale dei cattolici: basta e avanza una nazione al mondo a sopportare le ingerenze vaticane».

giovedì 5 marzo 2009

I vantaggi del fanatismo

Brain Differences Found Between Believers In God And Non-believers

Scopro (grazie ad Andrew Sullivan) i vantaggi che offre l'avere una mente fondamentalista.

Tuttavia

«Their findings show religious belief has a calming effect on its devotees, which makes them less likely to feel anxious about making errors or facing the unknown. But Inzlicht cautions that anxiety is a "double-edged sword" which is at times necessary and helpful.

"Obviously, anxiety can be negative because if you have too much, you're paralyzed with fear," he says. "However, it also serves a very useful function in that it alerts us when we're making mistakes. If you don't experience anxiety when you make an error, what impetus do you have to change or improve your behaviour so you don't make the same mistakes again and again?"»

Nota a margine.
Credo sia per questo che Berlusconi non abbia mai chiesto scusa per i suoi errori; ma non perché è un religioso. No, perché si sente una divinità.

Tutto è aria

*

Prima che si ritirasse in camera sua, «non per dormire, ma solo per piangere tra me e me nel silenzio dell'orrore, per singhiozzare dentro di me», come diceva lui, disse: «Come s'è disgregata ogni cosa, come s'è dissolta, come si sono dissolti tutti i punti d'appoggio, come s'è volatilizzata ogni solidità, come non esiste più nulla, proprio più nulla, vede, come non è venuto fuori nulla dalla religione e dall'a-religiosità e da tutte quelle lungaggini e ridicolaggini che sono tutte le concezioni della divinità, proprio nulla, vede, come la fede e la mancanza di fede non esistono più, come la scienza, come la scienza al giorno d'oggi, come la pietra dello scandalo, il millenario ante-giudizio universale ha estromesso tutto, l'ha messo alla porta, lo ha soffiato fuori nell'aria, come tutto ora è diventato aria... Ascolti: tutto non è altro che aria, tutti i concetti solo aria, tutti i punti d'appoggio solo aria...» E disse: «Aria congelata, tutto nient'altro che aria congelata...»


Thomas Bernhard, Gelo, Einaudi, Torino 1986, pag. 130

*Edvard Munch, Autoritratto - Uomo che passeggia di notte

mercoledì 4 marzo 2009

Prostituzione intellettuale



Che l'Italia sia un paese alla deriva si denota anche da piccoli segnali marginali come lo stato del dibattito intellettuale che tiene banco nei media. La tensione creatasi intorno al caso Englaro sembra pian piano allentarsi; e invece di rinfocolare la questione allargandola anche ad altri temi bioetici o di simile spessore e intensità, ecco che, di contro, si ritorna al clima solito, dove a tenere banco e a riprendere la parola sono gli addetti ai lavori del gioco del calcio: presidenti, allenatori, giocatori e vari commentatori che amplificano il nulla che annebbia le menti italiche. Quando infatti uno sente parlare di prostituzione intellettuale, di leninismo, non è alle riunioni editoriali di Einaudi, di Bompiani, di Adelphi, o del Mulino, eccetera, che deve far correre la mente: macché. Ormai i microfoni e le conferenze stampa si tengono altrove, nelle sale sponsorizzatissime dei campetti di calcio. Pasolini invece di fare il cineasta e giocare a calcio per diletto, avrebbe dovuto prendere il patentino a Coverciano ed allenare il Lanerossi Vicenza. Così facendo avrebbe sicuramente lasciato una maggiore eredità intellettuale; avrebbe consentito alla letteratura, alla vera riflessione politica, alla filosofia, alla poesia, di trovare un autentico spazio in mezzo al popolo. Purtroppo però questi spazi sono ormai occupati da intelligentissimi semianalfabeti di ritorno ai quali dei grandi pensatori si aggrappano pur di far notare che esistono ancora coi loro discorsi a cazzo.

martedì 3 marzo 2009

La televisione di Dio



IO. Pronto Dio?

DIO. Sì?

IO. Scusa se ti chiamo, ma avrei bisogno di qualche chiarimento.

DIO. In merito a cosa?

IO. Vorrei sapere se l'universo è grande.

DIO. O che discorsi tu fai? L'universo è grande... certo ch'è grande, non lo vedi?

IO. Sì, più o meno. Ma grande quanto?

DIO. Grande quanto non potrai mai sapere né immaginare.

IO. Ah. Dunque è... infinito?

DIO. Più o meno.

IO. Bene, come immaginavo.

DIO. O mortale, e tu mi disturbi per queste quisquilie?

IO.No, non proprio. Questa era la premessa a una domanda che vorrei farti e che mi sta molto a cuore.

DIO. E cioè?

IO. O Altissimo...

DIO. E dài, te lo dissi anche l'altra volta. Chiamami Dio e basta.

IO. Va bene. O Dio che sei dappertutto, in alto, in basso, al centro, ovunque insomma, in ogni tempo e luogo, dimmi ti prego. Se ti interessano tanto le vicende umane, il tragicomico spettacolo della nostra storia, o che bisogno c'era di tutto questo sciupìo di materia stellare, spaziale, universale, per relegare tutto il teatrino in questo minuscolo pianeta marginale?

DIO. O mortale, tu mi trovi un po' spiazzato. Ma ti rispondo con un paragone. Per me voi umani siete ciò che per voi è la televisione. Come voi pensate che tutto il mondo sia là dentro, anch'io mi son concentrato su questo angolino di universo che controllo comodamente seduto sul mio divano a tre stelle; mi son fatto talmente prendere (e rincoglionire) dalle vostre, come tu stesso ammetti, tragicomiche vicende che sono incollato al vostro pianeta come voi siete incollati davanti al teleschermo. Solo questo posso dirti. Va' adesso, e quest'altra volta telefonami per cose più importanti.

DIO. Buonanotte Dio e scusa il disturbo.

IO. Buonanotte mortale. Quest'altra volta telefona a Berlusconi e digli che la smetta di dire bischerate sul Mar Morto o sul Mar Rosso: non è mica Mosè, e che ca... cappero.

Benvenuto flagello



«"La guerra, la peste e la fame sono i tre flagelli di Dio", dice un venerabile adagio. Il realista farà osservare che questi flagelli ci hanno molto probabilmente guidati verso di Lui. E che i paesi dell'Africa nera più colpiti dall'aids, dalle mosche infette e dai signori della guerra, sono quelli dove i movimenti religiosi fioriscono meglio.
»

Régis Debray, Le Feu sacré, Fayard, Paris 2003, pag. 121.

Questo passo non porta a ritenere che la Chiesa, in fondo in fondo, sia contenta di questa crisi economica generale?

lunedì 2 marzo 2009

Follie e saggezze teologiche

A proposito di evoluzione e teologia. In margine al Dna di Dio e al Cercare l'ago nel pagliaio.

Innanzitutto, chiariamo subito che cosa sia la Teologia. Essa, come si ricava dalla sua etimologia, è un discorso, uno studio su Dio. Dunque essa è una disciplina che prende in esame qualcosa che di per sé non può essere oggetto di ricerca scientifica (se non nella maniera paradossale che Dawkins giustamente e magistralmente effettua nel suo L'illusione di Dio).

La teoria scientifica dell'evoluzione invece ci dice come stanno, come furono e come, in una certa misura, saranno le cose della vita sul nostro pianeta. La teologia cristiana fatica ad accettare tale dato di fatto perché esso evidentemente scombussola tutto l'impianto sul quale essa poggia i piedi; ma siccome si è innestata nella tradizione filosofica dei greci, prevede all'interno del suo discorso l'uso della logica razionale, e perciò essa non può sottrarsi a un confronto con l'evoluzionismo, pena la ricaduta completa nel ridicolo. Infatti, così come, obtorto collo, fu costretta ad accettare l'eliocentrismo, così ora - ancor più obtorto collo con l'aggiunta di qualche imprecazione - la teologia è costretta a fare i conti con la realtà dell'evoluzione e col suo ancor più rivoluzionario portato circa la natura umana (e divina). Innanzitutto l'evoluzione mette a repentaglio qualsiasi fondamento della Scrittura giudaico-cristiana, giacché mina le basi di ogni possibile creazionismo. Oltre a questo, anche tutti i teorici del disegno intelligente dovrebbero arrendersi perché d'intelligente, di teleologicamente orientato nella storia della vita sulla Terra non c'è traccia; oramai che la vita sia frutto del caso e della necessità pare assodato.
Allora il destino della teologia è completamente segnato? Il "coraggioso" tentativo di Vito Mancuso di conciliare questi due cosiddetti magisteri mi sembra destinato al fallimento; e questo perché tale sforzo cerca d'inglobare il dato di fatto dell'evoluzione dentro il calderone di un finalismo che porta l'uomo a essere il vertice di tutto il "creato". Tuttavia, più si gratta nel fondo della vera ricerca scientifica, più si scopre di quanto siamo sì degli esseri straordinari, ma anche di quanto siamo insignificanti se messi a confronto con l'incommensurabilmente piccolo e incommensurabilmente grande universo che ci sta intorno. È normale quindi considerarci dei prediletti figli di Dio, ma a che pro? A far sussistere un'idea di Dio che la teologia stessa dovrebbe rigettare?
A mio modesto avviso, se la teologia vuole continuare a parlare di un Oltre l'uomo, dovrebbe partire e fondarsi non tanto su un logos impeccabile, da tavolino, che fa discendere tutto il reale dall'alto di un qualsivoglia disegno divino. No, essa deve fondarsi proprio sul fallimento dell'idea di Dio, sulla sua sconfitta, sulla sua morte.

125. L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.

F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125, tr. F. Masini, Adelphi, Milano.

La teologia dunque come (se non ricordo male disse da qualche parte anche Sgalambro, mi pare nel suo Trattato dell'empietà, ma devo controllare) criminologia. Dacché siamo nati per credere, bisogna altresì riconoscere, una volte per tutte, che Dio è morto perché noi l'abbiamo ucciso.
Questo celeberrimo aforisma nietzschiano è, a mio avviso, direttamente collegato a questo passaggio de Il gene egoista, dove Dawkins chiarisce, primariamente, cosa il suo libro non sia:

«Io non intendo sostenere una moralità basata sull'evoluzione: dico come le cose si sono evolute e non come noi esseri umani dovremmo comportarci. Sottolineo questo punto, perché so che esiste il pericolo di essere frainteso da quella gente, troppo numerosa, che non sa distinguere tra una dichiarazione di fede nella verità dei fatti e un'affermazione che così i fatti dovrebbero essere. La mia opinione personale è che una società umana basata soltanto sulla legge del gene, una legge di spietato egoismo universale, sarebbe una società molto brutta in cui vivere. Sfortunatamente però, per quanto noi possiamo deplorare una cosa, questo non le impedisce di essere vera. Questo libro cerca soprattutto di essere interessante, ma se volestre ricavarne una morale, leggetelo come un avvertimento. Siate consapevoli che se desiderate, come me, costruire una società in cui i singoli cooperino generosamente e senza egoismo al bene comune, dovete aspettarvi poco aiuto dalla natura biologica. Bisogna cercare di insegnare generosità e altruismo, perché siamo nati egoisti. Bisogna cercare di capire gli scopi dei nostri geni egoisti, per poter almeno avere la possibilità di alterare i loro disegni, qualcosa a cui nessun'altra specie ha mai aspirato».

Richard Dawkins, Il gene egoista, tr. G. Corte, A. Serra, Mondadori, Milano.

Ecco da dove, secondo me, una seria teologia dovrebbe partire. Ma a questo punto il suffisso Teo, avrebbe ancora un senso? Non basterebbe un serio e onesto discorso sull'essere umano?

P.S.
L'uomo folle è l'unico teologo oggi possibile; la follia è l'unico orizzonte della teologia.

domenica 1 marzo 2009

Consigli democratici 3.

Ho visto Dario Franceschini a Che tempo che fa. Ha fatto una degna figura, quasi da convincermi anche sul punto essenziale. Quasi. Sì, perché ha mostrato di non aver capito che il punto essenziale su quale voglio (in tanti: vogliamo) chiarezza è stato, anche stasera purtroppo, lasciato in sospeso. E il punto è la libertà di coscienza in materia delle libertà individuali, a cominciare dal testamento biologico (o biografico). Infatti, Franceschini, ben incalzato da Fabio Fazio, è parso sempre difendere la posizione di quei pochi (due, tre) parlamentari democratici che, in materia di questioni bioetiche, assumono le posizioni retrive del Vaticano di cui si fanno portavoce a scapito della laicità dello stato e della libertà dell'individuo. Franceschini ha sostenuto che è naturale che in un grande partito - che contiene molteplici ispirazioni - vi siano posizioni divergenti e che ogni parlamentare ha il diritto di richiamarsi alla sua coscienza. Fazio ha fatto anche la domanda giusta, dicendo a Franceschini che sarebbe più normale che, in tali materie, fossero i cittadini a esser lasciati in condizione di poter scegliere liberamente come deliberare per se stessi. Franceschini ha glissato sul principio che ogni parlamentare ha il diritto di rivendicare la propria autonomia in certe materie. La conversazione poi è scivolata sulla questione di dare ai disoccupati senza ammortizzatori sociali un assegno di disoccupazione. Per trovare i fondi necessari, ha detto Franceschini, oltre a un risparmio sulla spesa pubblica, occorre riprendere il percorso di dura lotta all'evasione che questo governo, ahimè, ha invece abbandonato. Sì, perché evadere, oltre ad essere un reato, significa danneggiare tutta la comunità di cui si fa parte, commettendo un vero e proprio crimine sociale. E qui Franceschini ha dichiarato, severo, che tale lotta è una vera questione di principio, e che preferisce perdere il consenso di coloro che invece la pensano diversamente. Bravo Dario, mi son detto; però questo discorso vale anche per le questioni di sopra. Quanti sono, infatti, i potenziali elettori del PD che hanno le stesse posizioni della Binetti, della Bianchi, di Rutelli eccetera? Dunque, caro segratario provvisorio, cerca di capire che, pur essendo di natura diversa, le questioni hanno lo stesso punto in comune. Come non ti sogneresti di lasciar libertà di coscienza in materia di evasione fiscale, così non puoi lasciar libertà di coscienza sul tema ancor più importante che riguarda la libertà di noi cittadini di disporre come ci pare della propria vita, dal suo inizio alla sua fine. Per questo, come sei stato severo e giusto nel dichiarare che preferiresti perdere voti piuttosto che guadagnarne a discapito della lotta all'evasione, se sarai altrettanto severo e giusto nei riguardi di questo tema, vedrai farai riguadagnare al PD almeno otto punti percentuali alle prossime elezioni. Auguri.

Il testamento biografico

«L'atto con cui il paziente in fieri (tutti lo siamo) dà disposizioni sulla propria fine è un atto non burocratico, ma etico. Esso concerne non solo o non tanto l'organismo, oggetto della biologia, ma anche o soprattutto la persona, la quale è un soggetto la cui natura è intrecciata alla storia, alla sua storia di vita. Coinvolta in tale atto è sì la biologia, ma anche o soprattutto una biografia. Per questo l'atto medesimo dovrebbe essere detto, a mio avviso, testamento biografico, con accezione più ampia, affrancata da riduzionismo biologico».

brano tratto da un articolo di Giorgio Cosmacini, Chiamatelo «testamento biografico», Il Sole 24 ore, domenica 1 marzo, pag. 27

Candles In The Wind



Anche oggi, grazie ad Andrew Sullivan, scopro queste immagini piene di significato esistenziale, unite a un interessante articolo sulla natura della fede.

Consigli democratici 2.



Pur non essendo stato contattato o intervistato da nessun istituto d'indagine statistica, mi ritrovo perfettamente nella figura di ex voto del PD, assai ben descritta oggi da Ilvo Diamanti su Repubblica.
In calce, suggerisco anche come fare per recuperarmi: dare un calcio (metaforico) nel derrière a tutti i teodem o rutelliani presenti nel partito.