domenica 31 maggio 2009

Il canto del gallo



Leggendo come sempre Malvino, stasera mi sono chiesto (forse un po' confusamente): ma cosa vogliono le gerarchie cattoliche in fondo oltre che perpetuare il loro potere mondano? Qual è il fine ultimo, l'orizzonte definitivo della Chiesa? La Parusia? Ne dubito, in quanto la loro azione politica - che si svolge con il loro continuo, incessante giudizio sulle vicende umane - s'impone diventando a tutti gli effetti una delle varie Potenze e Principati che dominano il mondo.
Domanda: qualora l'Italia (facile), l'Europa (meno facile), il pianeta intero (difficilissimo) fossero ispirati e mossi dai dettami della Chiesa Cattolica e seguissero i precetti catechistici attenendosi ad essi scrupolosamente, cosa succederebbe? Si assisterebbe all'avvento di una società perfetta, al ritorno del paradiso in terra?
Aldilà della verità storica di tale affermazione, la Chiesa Cattolica mi pare davvero fondata su Pietro, con una differenza fondamentale però: l'apostolo, al canto del gallo, che gli ricordò le parole del suo Maestro, si ravvide di aver rinnegato Gesù e pianse amaramente; la Chiesa, il Vaticano invece, nonostante che a cantare sia un intero pollaio, fa finta di niente e non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Passi indietro da gigante

50.

ho fatto passi indietro da gigante, in questi mesi:
il mio cervello
trema come marmellata marcia, moglie mia, figli miei:
il mio cuore è nero, peso 51 chili:
ho messo la mia pelle
sopra i vostri bastoni: e già vi vedo agitarvi come vermi: adesso
vi lascio cinque parole, e addio:
non ho creduto in niente

Edoardo Sanguineti, Segnalibro (Postkarten LXVII poesie, 1972-1977), Feltrinelli, Milano 1989

sabato 30 maggio 2009

Il voto di Dio

Se davvero fosse Dio a eleggere il papa, credo che questa sarebbe un'ennesima prova della sua imperfezione.

Una verità e mezzo

«Il Vaticano è la nostra Cina, l'Italia il suo Tibet»

Guido Ceronetti, Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano 2009

Nota: il titolo si rifà al celebre detto di Karl Kraus: «L'aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo».

venerdì 29 maggio 2009

Sfuggire al giudizio

«Certo, conoscevo le mie debolezze, e me ne pentivo. Continuavo però a dimenticarmene con meritoria ostinazione. [...] Capisco, la cosa urta. Forse pensa che non sia logico? Il problema è di scivolar via, e soprattutto, oh! sì, soprattutto evitare il giudizio. Non dico evitare il castigo. Il castigo senza giudizio è sopportabile, e d'altronde ha un nome che garantisce la nostra innocenza: sventura. No, si tratta invece di sfuggire al giudizio, di evitare d'esser sempre giudicati, senza che mai venga pronunziata la sentenza. [...] Siccome sfuggirvi è difficile, mentre riuscire a far ammirare e insieme scusare la propria natura è buona creanza, cercano tutti di essere ricchi. Perché? Se lo è mai chiesto? Per essere potenti, certo. Ma soprattutto perché la ricchezza sottrae al giudizio immediato, ti libera dalla folla della metropolitana per chiuderti in una carrozzeria nichelata, isola in vasti parchi ben custoditi, caro amico, non è ancora l'assoluzione, è la condizionale, che fa sempre comodo».

Albert Camus, La caduta, Bompiani, Milano 1958

giovedì 28 maggio 2009

La percezione del tiranno

Se qualcuno dovesse rimproverarmi perché non mi occupo e non scrivo dei veri tiranni del mondo - da Kim Jong-il a Chavez, da Ahmadinejad a Putin, da Gheddafi a Mugabe, dal Comunismo cinese a quello cubano eccetera - sappia che il motivo è perché «le dittature degli altri non [mi] danno fastidio» (Flaiano).

La ripugnanza maggiore che il regime berlusconiano provoca in me non è dovuta tanto alla sua azione (o non azione) di governo, alla sua politica tout court (tutte cose queste che, pur non approvandole, rientrano in una normale dialettica democratica), quanto al fatto che tale regime mi obbliga pressoché quotidianamente a pensare all'esistenza di Berlusconi, così che questi diventa un pensiero dominante che contamina la mia di esistenza. Nel costringermi - volente o nolente - a pensarlo, nell'abbassare cioè i miei pensieri alla sua "miseria", ecco: in questo senso Berlusconi è per me un tiranno. È di questa tirannide che io sono esausto, preoccupato; e ancor più rammaricato giacché questa è una percezione che riguarda soltanto una minoranza (cospicua minoranza) di italiani.

P.S.
Sia detto per inciso: io non odio Berlusconi, né lo invidio. Penso soltanto in modo diametralmente diverso da come lui pensa la vita, le cose. Vorrei solo diventasse un po' meno percepibile, un po' meno rompicoglioni.

Nostalgia del passato

«Quando uno, di mestiere o per vocazione, ha meditato a lungo sull'uomo, gli accade di provar nostalgia per i primati. Quelli non hanno pensieri reconditi»

Albert Camus, La caduta, Bompiani, Milano 1958

mercoledì 27 maggio 2009

La fine della pedagogia

Caro Dario, il problema non è «fareste educare i vostri figli da Berlusconi?», ma il fatto che i nostri figli, Lui, li ha già educati, li sta ancora educando.

En honneur de

Selva piccola autunnale
E corona a un rosso sole
Assaporo il tuo sapore
Madremare con più sale

Alle dita il tuo tepore
Liscio sguscia umida sera
Mio respiro è il tuo odore
Lingua tacita e segreta

Di pensieri ti circonda
Ognuno dei cinque sensi
Alla duplice colomba
Del tuo seno li dispensi

Poi ti volti e sei la luna
Bianco pane del tuo dorso
Solco e filo che risalgo
Alla dura intatta cruna

Alla gloria dei capelli
Al bel gelo che mi fende
Dai tuoi occhi alla tua bocca
Che mi pènetra e mi prende

Che non sono più me stesso
E in te sola mi converto
Nel tuo corpo nel tuo pari
Perdo il segno del mio sesso

Nella pace del tuo altare
A cui prego genuflesso
Nella perla del tuo volto
Nel pulsare del tuo petto

Buia tana vegetale
Nella morte del tuo odore
Ti conosco mi conosco
Nell'amaro del tuo sale

Giovanni Giudici, Il ristorante dei morti, Mondadori, Milano 1981

P.S. Una delle più belle poesie d'amore del Novecento. Da leggere sottovoce a chi si ama, prima dei pasti.

martedì 26 maggio 2009

Un paese che conserva

«Italia, paese di porci e di mascalzoni. Il paese delle mistificazioni alimentari, della fede utilitaria (l'attesa del miracolo a tutti i livelli) della mancanza di senso civico (le città distrutte, la speculazione edilizia portata al limite) della protesta teppistica, un paese di ladri e di bagnini (che aspettano l'estate) un paese che vive per le lotterie e il giuoco del calcio, per le canzoni e per le ferie pagate. Un paese che conserva tutti i suoi escrementi».
[1969?]

Ennio Flaiano, Frasario essenziale, Bompiani, Milano 1986

La via più facile

Nel post precedente ho chiesto a Fabristol (che ringrazio vivamente) d'illustrare le ragioni evoluzionistiche che hanno portato al trionfo dell'attuale modello femminile. Il commento è talmente illuminante che mi pare doveroso riportarlo.

«Tutte le creature viventi al mondo, inclusi gli umani, cercano la via più facile. Dal punto di vista energetico si intende. Raggiungere il miglior risultato col minor dispendio di energie. È così che si è evoluta la vita sulla Terra.
Ora una ragazzina ha di fronte a se un bivio: ottenere denaro e un uomo con potere che possa darle sicurezza finanziaria per la propria prole; o ottenere quella sicurezza e quel denaro coi propri mezzi, ovvero lavorando, studiando ecc.
Inconsciamente (ma neanche così tanto) molte ragazzine scelgono la prima perché la più facile. Perché non devono fare altro che essere se stesse: cioè femmine seduttrici. La natura mi ha dato un corpo per sedurre ed io lo uso.
Ed è giusto che sia così, dal punto di vista biologico: guai se le femmine non scelgono il maschio che dà loro più sicurezza.
Forse senza il velinismo la razza umana si sarebbe estinta decine di migliaia di anni fa.
Stesso argomento calzerebbe a pennello per i maschi se la natura li avesse dotati di caratteristiche seduttrici simili, ma soprattutto di un bisogno impellente così forte come quello di assicurare ai propri figli sicurezza finanziaria.
Insomma le veline non fanno altro che essere femmine di default. Un po' come i maschi che sfoggiano macchine costose e fanno risse con altri maschi. È un modo istintivo e primitivo di essere Homo sapiens.
La primitività animalesca si elimina solo con l'istruzione, e gli/le italiani/e non brillano certo in questo campo».

lunedì 25 maggio 2009

La copula della destra



Perché esistono pochi blogger di destra? Si chiede Fabristol lasciando spazio ai suoi commentatori di rispondere a questa constatazione. In fondo come si fa a esercitare con onestà, con un minimo di rigore, la propria intelligenza al servizio di un «uomo che parla alle viscere del paese»? La partita è perduta in partenza per chi non vuol essere un guitto o un deficiente.

Tuttavia, a margine di questo interessante dibattito, mi ha particolarmente colpito uno dei commentatori di Fabristol, il quale sostiene che «scrivendo sul blog si scopa poco». Come a dire che chi pensa non tromba. E dacché i blogger di destra sono pochi, si presume che essi copulino in maggior misura. Potrà avere anche ragione, ma allora? È nelle voglie di quell'etto e mezzo di cazzo che deve reggersi una classe dirigente e/o intellettuale? È nel chilometraggio vaginale che si misura l'emancipazione femminile? Possibile che il sesso non divenga, una buona volta, solo una piacevole parentesi (godibilissima, per carità) ma che non "guidi" le umane sorti e progressive? Perché si deve pensare col cazzo, dunque: a cazzo? Perché si devono usare le “viscere” per parlare?

Mi piacerebbe che Fabristol illustrasse (da un punto di vista evoluzionistico) le ragioni che hanno condotto (guidato) la donna italiana (europea?) verso tali bassi livelli di richiamo; cioè, detto miserevolmente: la donna si vuole velina perché l'uomo (di potere) desidera la donna velina?

Ma, limitandosi a lanciare uno sguardo veloce sugli ultimi quarant'anni della nostra storia repubblicana, il modello femminile è sempre stato così? Mi pare di no, anzi. Le principali attrici italiane univano desiderabilità e intelligenza e anche la tv mi pare offrisse canoni più dignitosi. L'intelligenza della donna non era confinata sopra i cubi o intorno a lubrichi pali dove sculettare. La donna desiderabile era un misto di fascino e intelligenza, e anche Edvige Fenech, al confronto con le attuali veline, pareva la Montalcini. Quindi, quale perverso meccanismo ha fatto sì che il modello femminile di riferimento divenisse così squallido (con tutte le misure al posto giusto, ovviamente)?

domenica 24 maggio 2009

A lume spento

Scrive Starobinski in L'invenzione della libertà [citazione tratta da L. Sciascia, La palma va al nord, Gammalibri, Milano 1982]:

«L'uomo dei lumi, nel momento in cui propugna il diritto di opporsi a qualsivoglia autorità, acquisisce il senso della contraddizione. Da quel momento, può anche succedere che si trovi in contraddizione con se stesso: egli diviene, allora, il primo critico delle idee dalle quali è attratto e delle formule che ama, fino al punto di volere tentare l'esperienza del loro contrario».

Vediamo. Domattina, al risveglio, proverò a essere berlusconiano (o clerico-fascista o ateo-devoto, o leghista - per ora limitiamoci alla prima ipotesi). Fedele alla linea del Capo, entrerò in un bar per un caffè e, ai mezzi sorrisi ironici degli astanti sull'attuale, scabrosa, situazione del mio Principale, replicherò con fare capezzoniano; o bondiano; o bonaiutiano; o ghediniano. Meglio ancora sarebbe se restassi in silenzio, sardonico silenzio, giannilettiano. Poi, al lavoro, ai colleghi e alle colleghe che scuoton la testa di fronte a tanto squallore, ribadirò che è tutta una montatura di Repubblica, della Sinistra, dell'ex-fidanzato comunista; dirò che se Silvio non ci fosse bisognerebbe inventarlo, che se non ci fosse non andrei a votare, che è l'unico che può fare le riforme, che è l'unico che può farci contare davvero qualcosa in Europa, che è l'unico dalla parte degli italiani... La sera, al rientro a casa, andrò in bagno, mi laverò le mani e il volto, mi guarderò allo specchio: sempre che lo specchio faccia in tempo a riflettere l'immagine di me stesso offuscata da uno sputo.

Prosegue Starobinski:

«Sotto questa definizione possiamo collocare tutti gli intellettuali: tutti coloro, cioè, che hanno la capacità, i mezzi e il tempo per tener desta la propria intelligenza. Cosa che comporta non il registrare passivamente, ma piuttosto il "criticare" in forma attiva. Vale a dire: tutti gli intellettuali sono stati, o sono, uomini "dei lumi"».

Sì, domani proverò a spengere quel minimo d'intelligenza che possiedo, per vedere l'effetto che fa.

Come un macellaio giù all'angolo

Ieri sera mi lamentavo che in questo paese pare non vedersi nessuna speranza all'orizzonte. Mi sbagliavo: grazie Gino, sei proprio un gran signore.

Nessuna rosa è certa

*


Ogni giorno uscendo verso l'auto

io traverso un giardino
e spesso vorrei che Aristotele
fosse arrivato al-
l'esame del ditirambo,
che fossero rimasti i suoi appunti.

Erba ruvida guasta il prato fine
mentre io guardo a destra e a sinistra
tic toc -
E a destra e a sinistra le foglie
crescono sul pesco di un anno
lungo il tronco snello.

Nessuna rosa è certa. Ciascuna è una rosa
e questa, diversa da un'altra,
s'apre piatta, quasi come un piatto
senza tazza. Ma è una rosa, color
di rosa. La senti ruotare lentamente
sullo stelo di spine.

William Carlos Williams

Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991

*La stessa rosa fotografata stamani in due scatti in rapida successione (il primo scatto è assolutamente casuale)

sabato 23 maggio 2009

Domande senza costrutto

Se il nostro paese, la nostra Italia, fosse diversa da quella che è, noi blogger nostrani di cosa scriveremmo? Avremmo gli stessi spunti, gli stessi impellenti bisogni di critica, le stesse passioni, le stesse speranze e delusioni? Se ci fosse sottratto, come per incanto, il quadro attuale (Berlusconi, Vaticano, liberalismo deficitario, sinistra insulsa, Democratici né carne né pesce) staremmo qui a elucubrare soluzioni alla deriva plebiscitaria, al gentismo, al populismo, all'assenza di una prospettiva concreta, alla ricerca di un'orizzonte dove nessun Obama sembra apparire? E se anche apparisse e, sempre d'incanto, tutto diventasse normale, civile, democratico e libertario, dove finirebbero i nostri pensieri in una Repubblica autenticamente tale? Ci incammineremmo per i viali peripatetici a porre questioni sul senso ultimo della vita? Saremmo contenti? Soddisfatti? Proveremmo la sensazione di essere finalmente dei "re"?

Queste domande confuse sono scaturite dalla lettura di un post su Bioetica («La Svizzera è agli antipodi») e dal fatto che io, frequentando la Svizzera da alcuni anni (mia moglie è svizzera) tutte le volte che lì mi sono recato sento come una mancanza, uno svuotamento di significato, l'allontanamento da un'idea che mi rende, anche e soprattutto negativamente, parte di una Repubblica, fratello di altri cittadini. Mi fermo. Quest'Italia è sempre più una puttana di cui non posso fare a meno, anche se mi ferisce. Sono un masochista italiano.

Un moscerino

Un moscerino, spinto dal suo inconscio,
cadde nel vino e vi divenne moscio.

Toti Scialoja, Versi del senso perso, Einaudi, Torino 2009

Mature

Dall'ortolano, questa mattina.

Un'anziana signora, credo ultrasettantenne, rivolgendosi al garzone del negozio:

«Giovinotto, mi porteresti le borse [della spesa] in macchina

La proprietaria del negozio con fare scherzoso e confidenziale:

«E se te le porta cosa gli offri?» [intendendo un caffè al bar, credo]

La signora:

«Se fossi più giovane saprei io cosa offrirgli. E invece ora, se gliela offrissi, c'è caso che non mi porterebbe nemmen le borse in macchina».

venerdì 22 maggio 2009

spaccato come una mela



30.


sono spaccato come una mela, tra una mia insonnia per ansia e una mia insolubile

sonnolenza: è certo che certe mie circonvoluzioni cerebrali, annodate come rettili
dentro il nucleo più arcaico della mia testa (tanto per esprimermi così, molto
alla buona), non rispondono ai comandi, si impennano pungenti, e poi,

senza un motivo al mondo, mi sommergono in un mio floscio letargo:
sorrido appena,
con pena, passivo e smorfioso: (da cameriere, come dice mia moglie, con dispetto): e
sono uno sfinito ammasso eterogeneo: (cedo, cerimonioso, il mio passo, a chi è vivo):

Edoardo Sanguineti, Segnalibro (Scartabello XLVII poesie, 1980), Feltrinelli, Milano 1989

giovedì 21 maggio 2009

La classe dell'Avvocato



Stanchezza. Mi torna in mente Gianni Agnelli, la sua classe infinita. Questo ricordo è dovuto a un coriandolo d'intervista che, queste sere, Blob ha offerto, ricavandolo dai famosi faccia a faccia di Mixer di Gianni Minoli. Bene, in tale frammento* l'Avvocato parla di donne. Sagacemente, come sempre, Blob accosta tali parole alla penosa vicenda del Berlusconi tombeur de femmes (proprio una tomba, letteralmente - e pensare che quest'ultimo, prima di diventare l'uomo più ricco d'Italia, venerava Gianni Agnelli come un modello).

Minoli: «Lei è un uomo molto amato dalle donne: che effetto le fa questo?»
Agnelli: «Se è vero non può che farmi piacere.»
Minoli: «
Ma l'amore per le donne cosa rappresenta nella sua vita (se ha rappresentato qualcosa d'importante)?»
Agnelli: «No guardi... ci sono due tipi di uomini: ci sono uomini che parlano di donne e uomini che parlano con le donne. Io, di donne, preferisco non parlare.»

*L'intervista integrale, che consiglio vivamente di vedere, si trova qui.

Il genio italico

Ottima risposta alla crisi occupazionale. Un unico neo: il Sig. Marco Donarini si dichiara esausto e affaticato giacché lavora quasi 24 ore al giorno: perché dunque non assume due impiegati?

Trombare pallido e assorto
presso un rovente muro di box...

mercoledì 20 maggio 2009

Filistei e filisteismo

«Un filisteo è una persona adulta i cui interessi sono di tipo materiale e scontato, e la cui mentalità è formata dalle idee correnti e dagli ideali convenzionali del proprio gruppo o della propria epoca. Ho detto "persona adulta" perché il bambino o l'adolescente che può sembrare un piccolo filisteo è solo un pappagallino che imita i comportamenti dei volgari incalliti, ed è più facile essere un pappagallo che un airone bianco [...]
Il filisteismo è internazionale. Lo troviamo in tutte le nazioni e in tutte le classi [...] Il filisteismo comporta non solo un insieme di idee correnti, ma anche l'uso di frasi fatte, luoghi comuni, banalità, espressi in parole sbiadite. Un vero filisteo non ha altro che queste idee triviali e da esse è totalmente composto [...]
Il filisteo nel suo appassionato desiderio di conformarsi, di inserirsi, di aderire è combattuto tra due aspirazioni: comportarsi come si comportano tutti, ammirare e usare questa o quella cosa perché è così che fanno milioni di persone [...]
Un filisteo non sa niente di arte, letteratura compresa, e non gliene importa niente - la sua natura è fondamentalmente antiartistica - ma cerca informazioni [soprattutto televisive]. Se è un filisteo maschio s'identificherà con l'affascinante dirigente o con qualunque altro pezzo grosso [...] se è un filisteo femmina - una filistea - s'identificherà con la segretaria biondo fragola, una snella ragazzina ma in fondo in fondo una madre, che sposerà quel buon ragazzo del principale [...]
Nel suo amore per l'utile, per i beni materiali, egli diventa facile vittima della pubblicità. Gli annunci pubblicitari possono essere bellissimi - alcuni sono molto artistici - non è questo il punto. Il punto è che tendono a rivolgersi alla fierezza del filisteo quando possiede cose [...] Il sontuoso filisteismo che emana dalla pubblicità non è dovuto al fatto che essa esageri (o inventi) la meraviglia di questo o quel prodotto di consumo, ma al suo suggerire che l'acme della felicità umana è acquistabile e che il suo acquisto nobilita in qualche modo l'acquirente».

Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, Garzanti, Milano 1994.

Il guaio non è tanto che tutti, più o meno, talvolta ci comportiamo da filistei. No, il dramma, soprattutto italico, è il filisteismo totale, onnicomprensivo e onnipervasivo, che consente al sommo Imbonitore di far credere che Cristo l'è morto da i' sonno.

La fenice nazionale



«
Delle due personae del Novecento italiano, delle due grandi maschere che aprono per noi il secolo, per ragioni anagrafiche è stato d'Annunzio a imitare Virgilio (o Racine) e a farsi interpretare come poeta di regime. Ma si tratta di una parte rubata. Il rapporto col fascismo, sebbene di stretto vicinato, ma di natura manifestamente esteriore e opportunistica, fu esercitato da d'Annunzio senza nessuna convinzione e con la stessa marpioneria usata tanti anni prima nei confronti delle famiglie aristocratiche della Roma di fine secolo. Il caso di Pascoli è diverso. Il fascismo, in Pascoli, è un'esperienza intima, che si offre a un sapere quasi etnologico. Il fascismo pascoliano contiene e prefigura il fascismo ‘storico’, ma non lo esaurisce, continua a rappresentarlo, a metterlo in essere nella sua radice, nella sua aurora, nella sua infinità capacità di metamorfosi e rinascita. [...] Chiunque parli e scriva nella nostra lingua ha conosciuto lungo il secolo, il fascismo prima adulto, poi decrepito e miserabile. Di questa carcassa (di questa fenice nazionale) si vedono in Pascoli, limpidi, i lenti e iniziali movimenti da embrione, i filamenti della cellula. Si può dunque comprendere, se si pensa non al trionfalismo esteriore del Pascoli ‘eroico’ ma all'arco descritto dalla sua intimità più segreta, come il frequentatore dell'opera pascoliana sia preso dal sospetto di trovarsi di fronte a una specie di emblema nazionale. Ma si può anche capire, se si pensa a tutto quel liquido che ne sanguina dolce e oleoso, come una certa antipatia si sia formata verso le lacrime pascoliane, e, soprattutto dagli spiriti forti, sia oggi professata quasi con zelo. Questo libro vuole sottrarsi a questo atteggiamento di superiorità. Esso riconosce nell'esperienza pascoliana un oggetto sgradevole, forse repellente e perverso, ma più importante della sua repulsività».

Cesare Garboli, Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli, Einaudi, Torino 1990

Noticina a margine: non so come né in che misura, ma mi pare che questo discorso su Pascoli possa essere esteso alla realtà politica dei nostri giorni, meglio, alla natura politica della maggioranza degli italiani e dall'escrescenza sgradevole rappresentata dal potere berlusconiano.

martedì 19 maggio 2009

Il tragico soffocato

Adesso si è messo un po' in disparte, fa lo statista, il serioso, ripiglia fiato, si ricarica per ricomparire, pronto per tuffarsi nell'arena elettorale. Ogni tanto cerca di smorzare i toni con delle battutine del cazzo, buone per muovere il riso degli stolti e degli scotti. Che rivinca non sarebbe una sorpresa, nemmeno che stravinca e riconfermi il suo gradimento verso gli italiani. Ma io mi chiedo, soprattutto: quando tutto questo sarà finito (perché un giorno finirà, vero?) come si comporteranno gli storici, i letterati, i pittori, i cineasti? Quale traccia resterà, quale vulgata? Quale sarà il giudizio obiettivo, serio, storiografico accertato di questi anni in cui la «la coscienza tragica è stranamente impedita, e dunque la tragedia imperversa affatto cruda e incondita, essendole negata la simbolica liberazione»* artistica? I nostri posteri rideranno di noi? O piangeranno come io piango quando leggo dell'ascesa al potere di Mussolini, della fine della democrazia, del Concordato, del ventennio (clerico)-fascista, delle leggi razziali eccetera? So solo che io mi vergogno di questo stato di cose, e mi sento in parte responsabile perché impotente.

*Giorgio Manganelli, Introduzione a Ennio Flaiano, Frasario essenziale, Bompiani, Milano 1986

lunedì 18 maggio 2009

Il depilatore

La vicenda Berlusconi-Noemi-Veronica assomiglia a una parabola (ebraica). Un uomo aveva due donne «una giovane e l'altra vecchia. La giovane gli strappava i capelli bianchi, la vecchia gli strappava i capelli neri, al punto che divenne calvo dai due lati»*. Ma, purtroppo, quest'uomo non si è rassegnato alla calvizie: s'è fatto ricrescere i capelli e se li è dipinti tutti di nero. Di contro la sua invadenza strappa il pelo pubico di una cospicua minoranza di italiani.

*Parabola tratta da Salomon Malka, Emmanuel Lévinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Mipillano 2003 (pag. 132)

domenica 17 maggio 2009

Le comodità dei fanatici



«Capisco che ci sia, da parte dei fanatici, la esigenza di etichettarmi una volta per tutte o come rivoluzionario o come reazionario. I fanatici hanno bisogno di star comodi. Per mia parte, dico di essere semplicemente, in questo momento, un conservatore. Voglio conservare, di fronte allo Stato che se ne è svuotato, la Costituzione. Voglio conservare la libertà e la dignità che la Costituzione mi assicura come cittadino; e la libertà di cui ho goduto come scrittore, e la dignità che come scrittore mi sono guadagnata.
Questa libertà e dignità sento oggi che sono in pericolo. In quanto cittadino capisco - ma non approvo - che molti siano disposti a barattare libertà e dignità per un po' di ordine pubblico, di sicurezza: in quanto scrittore mi batterò affinché questo baratto non si compia. Metto in conto la sconfitta, e anzi la prevedo: ma non posso che battermi, finché avrò un margine, sia pur piccolo, sia pure insicuro. Il ripristino dell'ordine pubblico, da noi è sempre stato pagato caro: a prezzo di un più vero e profondo disordine, che corrode anche le menti più lucide e le coscienze più nette. Ed è già cominciato, a guardar bene».

Leonardo Sciascia, La palma va a nord, Gammalibri, Milano 1982 (brano tratto da un articolo su Panorama, Aprile 1978).

Lausanne metro



Salgo sulla metro che dal lago porta in centro e dietro me sale una giovane signora coi pattini in linea insieme alla sua (immagino) figlia, anch'ella dotata di pattini e con in mano una bambola semisvestita. Io mi seggo su uno dei molti sedili liberi, anche la bambina si siede, di fronte a me; la presunta mamma no: ha paura, forse, di poggiare il suo bel culo sodo e sudato sul probabile sporco dei sedili. La metro parte, con scatto improvviso. La donna perde l'equilibrio e cade tra le mie braccia. Proteggo a fatica lo stomaco e le parti più basse, ed una spontanea madonna m'esce di bocca. Per fortuna siamo a Losanna e nessuno mi conosce e forse nemmeno capisce. La signora s'affretta a scusarsi, imbarazzata. Io accetto le scuse e dico "si figuri, càpita a tutti di sbilanciarsi e cadermi sulle palle. Sapesse quanta gente c'è che mi sta sulle palle" continuo a dire, risentito, del mondo, del tempo, della vergogna che ci governa di là dalle Alpi. La signora comprende e non comprende il mio cattivo francese. Si dice disposta, per farsi perdonare, a offrirmi un caffè da Manora. Ma non è l'ora. Non ora. Non più.

Il bombo



Chiede il bombo: «Perché ronzo?

Perché vado sempre a zonzo

come un gonzo, senza meta?

Perché peso come il piombo
sopra il fiore che si piega?»

Toti Scialoja, Versi del senso perso, Einaudi, Torino 2009

sabato 16 maggio 2009

Corsi e ricorsi

«A partire dal 1926» Benito Mussolini fu un nuovo Cristo, un nuovo Unto. «Preghiere ricalcate sul Credo vennero recitate al suo indirizzo, così come laudi mutuate dalla liturgia medievale del Christus vincit. E al duce più che a chiunque altro fu riconosciuta la capacità di fare miracoli, compresi i miracoli di guarigione. Quanti - nella propaganda di regime - i casi di bambini malati che recuperano la salute grazie a una fotografia di Mussolini posta sotto il guanciale, di sordomuti che ritrovano la parola per giurare fedeltà al fondatore dell'Impero, di gestanti che fissano il ritratto del duce appeso al muro per trasmetterne le virtù alla creatura nel loro grembo! Quanti i miracoli ancora più strepitosi, come quella volta che l'intervento di Mussolini era valso a fermare la lava eruttante dall'Etna... Dietro simili discorsi, il gusto genericamente italiano per i gigantismi, i fenomeni da baraccone, i colpi di scena, ma anche la crescente connivenza ideologica del fascismo con il cattolicesimo: dunque con un'antica cultura del meraviglioso e del soprannaturale, del taumaturgico e dell'escatologico.
Ormai a ridosso della firma del Concordato, i retori di regime prenderanno a descrivere il "gorgo di fedi intorno al Duce" come l'annuncio inequivoco di un "religiosissimo italiano". Canteranno nel fascismo un'ideologia tanto più moderna, in quanto disposta a rilanciare il millenario culto dei santi; mentre saluteranno nel cattolicesimo la forma storicamente più compiuta di una concezione gerarchica della società. E insisteranno sopra il bisogno collettivo - bisogno della patria oltreché della Chiesa - di "scolpirsi in Cristo": quello strano Cristo senza barba né baffi né capelli, il redentore di* [Arcore].»

* “Predappio” nel testo

Sergio Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento, Einaudi, Torino 2007 (pag. 192-3)

venerdì 15 maggio 2009

Verba volant

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio.

Mi chiedo se abbia senso pensare a quale sia stata la prima parola pronunciata dalla nostra specie.

Parimenti, mi chiedo quanti scaffali dell'incommensurabile Biblioteca di Babele saranno stati occupati a partire da quella prima parola a quelle pronunciate finora.

Inoltre, mi chiedo se tutto questo insieme di parole pensate, dette e scritte abbia un senso, ovvero se qualcuna di queste parole resisterà alla morte del sole.

Per celia: quali dieci parole vorreste diventassero immortali? (Io ci devo ancora pensare = 5)

Incipit famosi





«Tesoro mio, ricordi la nostra prima notte a Parigi?
Passeggiavamo sotto la pioggia, e tu ti sei bagnata tutta.
Poiché avevo io l'ombrello».

Da un memorabile incipit di Snoopy.

La libertà

«L'amore per la libertà, prima fisica, in seguito spirituale e politica, è la sola idea che non mi ha procurato contraddizioni. È per me un amore tanto naturale, forse biologico, che non me ne faccio un merito (o, qui, dovrei dire: una colpa). Da ragazzo ero anarchico, adesso mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello Stato vengano rispettate da chi governa. Da ragazzo amavo la Repubblica come idea, adesso come sostanza. Spesso penso che il nostro paese affronta amare sorprese per un'incapacità dei suoi abitanti a sentirsi liberi, e una tendenza a lasciar correre: a Roma dicono "ad abbozzare". Un giorno, un filosofo, uno di quelli che girano sempre attorno alla verità senza mai potersi fermare, mi rimproverò di credere nella libertà, che non può esistere nello Stato moderno. Una altro giorno, uno storico di sinistra mi ha voluto dimostrare che in Italia l'anticlericalismo è superato storicamente. Vivere in un paese dove i filosfofi e gli storici sono così abbondanti e male informati, è duro: soprattutto se si pensa che sono i soli beati conformisti che mai si contraddicono».

Ennio Flaiano, Frasario essenziale [Le contraddizioni, 1957], Bompiani, Milano 1986

giovedì 14 maggio 2009

Tra due-trecento anni

Tra due-trecento anni la vita sarà migliore.
Ma intanto noi siamo ormai alla frontiera,
senza gli angeli di Elohim precipita la scala del Novecento,
e il Duemila già sventola la sua bandiera
per coloro che sono sicuri di entrarvi.
Io resterò da questa parte, in questo buio,
in questo viluppo di meschinità e di bisogno,
senza conoscere il terso luccichìo del futuro.
A me sarà bastato visitarlo nel sogno,
come uno sciamàno che scenda con piatti e sonagli
nel reame dei morti a conversare coi lèmuri.
Resterò sulla soglia come un rèprobo, come uno spergiuro.
Perché scusatemi, posteri, che freddo,
che vitreo deserto, che uniformità, che sbaragli
soffiano da quel futuro.

Angelo Maria Ripellino, Notizie dal diluvio, Einaudi, Torino 1969

Un mare di bene

Riuscirà Berlusconi a far diventare la seconda moglie un'ombra, un'assenza come la prima? E soprattutto: Veronica si vorrà far dimenticare e scivolare nell'oblio? Oppure sarà costretta a sparire dalla scena pubblica e tacere sull'uomo più pubblico d'Italia?
Ancora una volta il re è nudo. Ancora una volta, agli occhi della maggioranza, indossa un blazer perfetto.

mercoledì 13 maggio 2009

La territorialità

Piscia un cane sulle spine
polverose di Fregene.
Cuori di cane, ombra di cane,
spruzzatina a fin di bene.

Toti Scialoja, La mela di Amleto, Garzanti, Milano 1984.

Siamo tutti mammiferi



«Perché questo confinamento dell'Infinito? Forse perché non è sufficiente credere al Cielo per togliersi l'abito smesso del mammifero terrestre. Animale religioso, certo, ma il qualificativo, nella sua gloria, eclissa il sostantivo, che si richiama al nostro luminoso ricordo con una sorta di maligno piacere. L'etologia [...] ci offre ragguagli in merito alle condotte territoriali dei babbuini e delle balene. In base a quale miracolo noi ne saremmo esentati? Tuttavia, le rivolte dell'animalità (nazionalismo, sciovinismo, etnicismo) ci ripugnano al punto che consideriamo patologici dei semplici comportamenti riflessi, poiché riconoscerne l'aspetto zoologicamente banale suonerebbe offensivo per il nostro orgoglio. Appena adesso stiamo cominciando a penetrare i meccanismi biologici che governano, nell'individuo, la conservazione e la difesa dell'integrità del proprio sé di fronte al non-sé (nel trapianto di tessuti, ad esempio, o di fronte a certi virus o batteri). Non ne sappiamo ancora abbastanza circa i marcatori delle personalità collettive, antigeni del noi, risposte immunitarie di fronte al non-noi. Riusciamo soltanto a intravedere che hanno a che fare con la territorialità».

Régis Debray, Dio, un itinerario. Per una storia dell'Eterno in Occidente, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002, pag. (pag. 142)

martedì 12 maggio 2009

Amore nucleare

Permettimi di appoggiarmi al tuo fianco
ogni qual volta sarò bianco
color della stanchezza.
E il calor tuo m'infonda tenerezza
come una centrale nucleare.
Finché non saremo scoria
l'uno dell'altro scriveremo la nostra storia
particolare.
Stanotte ho visto in sogno
un libro scritto a mezzo
tu le pagine pari
io le pagine dispari:
poi sei sparita e mi vergogno.
A ripensarci provo ribrezzo
del patimento senza prezzo
di cui mi hai fatto dono.
Non ho chiesto nessun perdono:
ho solo sperato
di non lasciare mai nessuno
come te mi hai lasciato.
Perché è meglio trovarsi
tra i perseguitati
che tra i persecutori
anche se questi saranno
i vincitori.
Io voglio perdere
perché la vita la si capisce meglio
si va più vicini al fuoco della Cosa
che brucia Foreste Nere
esseri immaginari e il Niente.
Un giorno di x anni fa è esplosa
l'energia: e tutto è nato
come da un grande parto universale.
L'ostetrica è stata cordiale:
mi ha tutto ripulito, messo una cravatta
e una penna in mano e una giacca
e mi ha detto: «va' indietro non si torna,
se non alla fine, alla morte del sole».
Con la termodinamica non si scherza:
si lotta e basta sia pure come si respira
e digerisce: inconsapevolmente.
La vita è tutto l'insieme di forze
che resistono alla morte.
Bichat non mente.
Apro le porte
le spalanco
ora posso essere stanco
e appoggiarmi al tuo fianco
fintanto che
tu ne avrai voglia. Io starò qui
aspettando il sonno delle rondini:
un pipistrello qui sotto casa passa
striscia foglie di ciliegi e meli
eseguendo con grazia gli ordini
del fato. Sto in silenzio
per rispetto e per disperazione
e perché non voglio disturbare
con fiato perso
la meravigliosa ecolocazione.

Letture



Di Sergio Luzzatto, sto leggendo con passione, Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento.
Ho detto: con passione. Proprio così. Rido e piango, tribolo, m'infervoro, m'incazzo, mi calmo, comprendo (o cerco di comprendere). Capisco (penso di capire) molte cose della nostra storia, da dove veniamo, soprattutto: cosa siamo. Mi rassegno.
Il brodo primordiale di quella cosa chiamata Italia è ancora molto torbido: secoli ci vorranno, forse, per diventare altro da ciò che siamo. E mi sento responsabile, massimamente responsabile perché impotente, inerme di fronte a quello ch'è accaduto e accade; e mi vergogno. Poi penso a quelle menti illuminate, resistenti, che hanno attraversato il nostro Novecento: una cospicua minoranza di persone che hanno saputo, all'occorrenza, dire di no, al potere, alla chiesa, al miracolo. Così comincio questa giornata con un minimo di ottimismo, salutando e ricordando quell'uomo rispettabile e veramente onorabile che fu Vincenzo Trani.

La vita in versi

Metti la vita in versi, trascrivi
fedelmente, senza tacere
particolare alcuno, l'evidenza dei vivi.

Ma non dimenticare che vedere non è
sapere, né potere, bensì ridicolo
un altro voler essere che te.

Nel sotto e nel soprammondo s'allacciano
complicità di visceri, saettano occhiate
d'accordi. E gli astanti s'affacciano

al limbo delle intermedie balaustre:
applaudono, compiangono entrambi i sensi
del sublime - l'infame, l'illustre.

Inoltre metti in versi che morire
è possibile a tutti più che nascere
e in ogni caso l'essere è più del dire.

Giovanni Giudici, La vita in versi, Mondadori, Milano 1970

lunedì 11 maggio 2009

Il paradosso monoteista

«È sempre sconcertante vedere delle religioni purificate, educate all'astratto, aggrapparsi caparbiamente a un rettangolo parossistico di quindici ettari [...] Per un monoteista stricto sensu, senza fuoco né luogo, non dovrebbero esistere, in linea di principio, né città sante, né pietre sacre, né luoghi tabù. Né colline più ispirate di altre. Lo spirito, infatti, soffia là dove vuole. La santità del cuore e la memoria della parola dovrebbero dispensare dalla ottusa fissità delle cose inerti. Dovrebbero, ma non è così. La teoria non equivale a un dato di fatto. E la ragione non ha motivo di protestare. A che scopo avere sloggiato Dio dalla natura, mediante la scrittura, se ciò non è servito che a tornare al governo degli uomini per mezzo delle pietre? Se di nuovo bisogna uccidere e morire, come un pagano, per salvaguardare chi un sepolcro vuoto, chi una moschea, chi un muro, il kote, chiamato dai cristiani "del Pianto" - e che cosa c'è di più sorprendente, in effetti, che un muro, a paragone dell'Illimitato? [...] Le superstizioni topografiche hanno delle ragioni che la ragione monoteista dovrebbe ignorare, ma che, volente o nolente, le si impongono».


Régis Debray, Dio, un itinerario. Per una storia dell'Eterno in Occidente, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002, pag. (pag. 136-138)

domenica 10 maggio 2009

Little ego



La ragazza se ne stava distesa sul prato sul far della sera - la luna quasi piena - e di se stessa non aveva ricordo. Guardava lo scorrere veloce delle nubi maestose che ombreggiavano il chiarore lunare ma che, allo stesso tempo, permettevano di scorgere più nettamente i contorni, i rilievi, le venature della luna stessa.
La brezza leggera piacevolmente abbracciava le sue membra e finalmente cominciava a respirare. Dentro la casa ancora si svolgeva il caotico rumore della festa, dalla quale si era allontanata, come oppressa.
Tutta quell'allegria, quella forzata gioia di vivere - senza nemmeno accorgersi di farlo - tutto quel consumo sfrenato di bibite, cocktails, liquori, quell'ammassarsi di avanzi di cibo, tutto questo l'aveva schifata. E poi la musica incessante, martellante, continua, l'aveva perseguitata sin da quando il festino era iniziato.
Ai suoi occhi, le facce di tutti i presenti, dagli amici ai semplici conoscenti, erano diventate mostruose, ributtanti: doveva per forza scappare.
Eppure era sempre stata la prima a partecipare a queste feste, la prima a organizzarle, a provocarle; qualsiasi occasione andava bene purché fosse stata fatta festa.
Un brivido la colse al passaggio di un grande nuvolone tetro, dalla forma inquietante. Si scosse, si alzò, abbandonò il tappeto verde del giardino. Le era parso di sentire delle voci dentro casa chiamarla. Infatti. Non c'era tempo da perdere. Era arrivato papi.

È difficile amare

È difficile amare in primavere
come questa che a Brera i contatori
Geiger denunciano carica di pioggia
radiottiva perché le hacca esplodono
nel Nevada in Siberia sul Pacifico
e angoscia collettiva sulla terra
non esplode in giustizia.
Potrò amarti
dell'amore virile che mi tocca, e riempirti
se minaccia l'uomo
sé nel suo genere?

O trasferisco in pubblico stridore
che è solo nostro, anzi tuo e mio?

Elio Pagliarani, La pietà oggettiva (Poesie 1947-1997), Fondazione Piazzolla, Roma 1997

Illusioni clandestine

I Clandestini sono i capri espiatori prediletti della società contemporanea¹, «ma i periodi di persecuzione intensa avvengono quasi sempre quando la comunità, per una ragione o per un'altra, è in crisi. La folla fa ricadere su vittime impotenti la responsabilità del suo smarrimento, una responsabilità che non può dipendere da nessun individuo o gruppo di individui particolari. La collettività si illude così di riacquistare sul proprio destino una specie di padronanza»².

Quando ci sveglieremo da questa illusione sarà troppo tardi, forse. Eppure le voci in giro ci sono, le testimonianze dirette e indirette, i moti d'indignazione, le proteste (la vocina sommessa delle gerarchie ecclesiastiche è talmente bassa per paura di disturbare). Niente. Il governo procede spedito nella linea della fermezza. Pensano, come la maggioranza degli italiani pensa. A questa illusione va aggiunta la crassa soddisfazione dei nostri rappresentanti di governo. Essi si sentono padroni del loro destino e ridono soddisfatti in vista delle prossime elezioni.


¹«Gli Ebrei sono i capri espiatori prediletti della società medievale». René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983 (pag. 165)

²Ibidem

sabato 9 maggio 2009

Allergia democratica

«Fuori piove dna»*
paracadutato da piante in calore.
Sembra neve ma
io comincio a starnutire
dacché il mio dna mi dice
“starnutisci Luca è primavera”
e il mio naso cola
e gli occhi piangono
e le lacrime scendono
proprio ora che dovrei essere felice.
E allora parto
cammino nel borotalco:
con te a braccetto nel ricordo
porto come un'ape porta
il seme altrui di fiore in fiore
E monto su un treno separato
arrivo in una piazza tutta asfalto
con al centro un chiosco biancoverde:
un militante in camicia verde
mi chiede il vuoto
e io glielo prometto.
Democratica allergia
quanto ancora pianger mi farai?

*Incipit d'un capitolo del bellissimo libro di Richard Dawkins, L'orologiaio cieco, Mondadori, Milano.

venerdì 8 maggio 2009

Apocalittici e integrati

A volte sono integrato. A volte sono apocalittico. E penso che il perpetuarsi politico della Chiesa (di qualunque chiesa cristiana, soprattutto la Cattolica - con questi mezzucci) ritardi ciò che essi stessi predicano: la Parusia, il ritorno trionfante del Cristo.

IO Cosa ne pensi del comportamento della Chiesa in questi ultimi tempi?

DIO Cosa vuoi che ti dica, fanno quello che possono, per conservarsi e perpetuarsi.

IO Ma mi spieghi perché gli ecclesiastici sono più "integrati" che "apocalittici"? Non ti sembra che le loro parole e le loro azioni siano volte a ritardare la tua Parusia?

DIO In fondo fanno bene: se dovessi tornare sarebbe finita la cuccagna, anche per loro.

IO Ma perché non torni per fare chiarezza, per farci capire se e come esisti e per, finalmente, giudicarci?

DIO Giudicarvi? Ancora con questa storia del Dio Giudice di Cassazione? Ma lo vuoi (lo volete) capire che qualsiasi comportamento è già giudicato nell'atto di compiersi? Non lo capisci che se esiste una giustizia essa è automatica, immediata, inesorabile? Ogni gesto compiuto è già inchiodato nel legno storto che bene vi rappresenta, voi umani.

IO Legno storto? Ché disprezzi la tua creazione?

DIO La mia che? Pensi davvero che, se vi avessi creato, vi avrei fatto così rintronati?

IO Perdonami un'ultima domanda per stasera: cosa accadrebbe se noi terrestri abbracciassimo la stessa religione, la stessa fede e pregassimo e ti adorassimo tutti nello stesso modo?

DIO Du' palle!

Se è tutto qui...

Turbano la mia limpida fede
cattolica apostolica e che più
non tanto il corso dei tempi
il tradimento dei nuovi chierici, i magnifici scandali
mi restano in mano altri pezzi del puzzle
ad esempio il povero vitello grasso
che sarà l'unico ad andare di mezzo
quando il figliol prodigo si deciderà a ritornare.
Chiaro che non ho capito niente
che dovrò ancora pensarci un po' su.

Luciano Erba, L'ippopotamo, Einaudi, Torino 1989

giovedì 7 maggio 2009

Saggezza ebraica



Dal sito di Le Monde vengo a sapere che «il Vaticano reclama a Israele sei luoghi santi cristiani» sui quali la Santa Sede, da anni, chiede la sovranità.
Essi sono: la Basilica dell'Annunciazione a Gerusalemme; il presunto sito del miracolo della moltiplicazione dei pani; il giardino di Getsemani (sempre a Gerusalemme); il monte Tabor, in cima al quale si trova la Chiesa della Trasfigurazione; il sito di Kfar (penso si riferisca alle rovine di Cafarnao).
Il presidente israeliano Shimon Peres si è detto possibilista, ma molti componenti ultra-ortodossi dell'attuale governo Netanyahu invece nicchiano. L'argomentazione migliore (pare una battuta di Woody Allen) la offre il ministro del turismo, Stas Misezhnikov che dichiara: «Se noi fossimo sicuri che questo regalo al popolo cristiano ci portasse milioni di pellegrini cristiani, noi avremmo una ragione per riflettere [a questo accordo]. Ma siccome non ne siamo sicuri, perché dovremmo offrire tali regali?».

Alka seltzer



Che dire di più? «Sul secondo divorzio del premier la Santa Sede non ha nulla da ridire. Anzi. Dal punto di vista religioso, la lite coniugale sana una condizione di peccato grave, quasi di scandalo (per il diritto canonico Berlusconi è ancora sposato con Carla Dall’Oglio). Insomma: il paradosso è che, rompendo l’unione con Veronica da cui ha avuto tre figli, il premier verrà riammesso ai sacramenti, come da tempo anelava. Chi immagina contraccolpi negativi sul voto cattolico in vista delle Europee, consideri l’impatto visivo di Berlusconi che fa la comunione, proprio come un vecchio leader democristiano».
Il figliol prodigo è tornato a casa. «Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato».
Numerosi Papi-Razzi immortaleranno l'evento: il corpo di Cristo sarà nuovamente manducato dall'Unto. E se gli rimanesse indigesto?

[Qualcuno di mia conoscenza direbbe: «Gl'andasse a traverso!»]

mercoledì 6 maggio 2009

Fumo & fumetti

*

Su Repubblica di oggi, Federico Rampini ci informa che in Cina (precisamente nella contea di Gongan) i dirigenti del Partito hanno imposto l'obbligo di fumare «per motivi patriottici e per il bene pubblico. La circolare diramata dalle autorità locali è tassativa: sono tenuti a fumare tutti i dipendenti pubblici, insegnanti inclusi [...] “È un sostegno alla ripresa, è un aiuto all´economia locale, ed è una bella iniezione di gettito per le finanze pubbliche”. Gongan è nella provincia centrale dello Hubei, il cuore della Repubblica Popolare, e va orgogliosa della sua produzione di tabacco».

Questo fatto di cronaca mi riporta in mente un vecchio fumetto, mi pare pubblicato da Lanciostory tanti anni fa, di cui non ricordo (purtroppo) né il titolo né gli autori. In tale fumetto si raccontava una storia ambientata in una società tipo quella americana in cui tutti fumavano, dai piccoli ai grandi. Non v'era obbligatorietà a fumare, tuttavia farlo era caldamente consigliato e suggerito da tutti: dallo Stato, dalla Chiesa, dai media, dalla famiglia, dai medici, dagli insegnanti eccetera eccetera. Ciò nonostante, un uomo ricco e affermato, per ragioni che ora mi sfuggono, decide di smettere di fumare e questo, all'inizio, lo fa sentire in piena forma. Col tempo, però, tale evento gli provoca una serie di guai in famiglia, con gli amici, al lavoro: tutti cominciano a guardarlo con sospetto, a isolarlo, a temerlo, a non considerarlo. La storia si conclude con questo tizio che, pieno di dubbi e incertezze, si reca su una spiaggia sconsolato: da un lato smettere di fumare lo ha fatto star meglio fisicamente e psicologicamente, dall'altro invece smettere lo ha condotto alla solitudine e all'emarginazione sociale. Ecco che, mentre sta riflettendo, si notano degli agenti dei servizi segreti che lo sorvegliano con un binocolo; uno di questi impugna un fucile di precisione ed è pronto a sparare, quando l'uomo estrae dal taschino una sigaretta e se l'accende: l'individuo è salvo, la società sicura.

Questa la storia. E provassimo a cambiare oggetto del contendere? Detto altrimenti: nella nostra attuale società occidentale, quale potrebbe essere "la sigaretta" che provocherebbe una simile reazione del potere nei confronti dell'individuo? Quale gesto anarchico, folle, realmente rivoluzionario, anche se inconscio, potrebbe dare un fastidio tale al potere costituito? Premere il pulsante rosso sul telecomando?

Troppe domande, è meglio che esca a fumare mezza A.S. gialla.

Il comunismo

Sempre sono stato comunista.
Ma giustamente gli altri comunisti
hanno sospettato di me. Ero comunista
troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi.
Giustamente non m'hanno riconosciuto.

La disciplina mia non potevano vederla.
Il mio centralismo pareva anarchia.
La mia autocritica negava la loro.
Non si può essere comunista speciale.
Pensarlo vuol dire non esserlo.

Così giustamente non m'hanno riconosciuto
i miei compagni. Servo del capitale
io, come loro. Più, anzi: perché lo dimenticavo.
E lavoravano essi, mentre io il mio piacere cercavo.
Anche per questo sempre ero comunista.

Troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi
di questo mondo sempre volevo la fine.
Ma la mia fine anche. E anche questo, più questo,
li allontanava da me. Non li aiutava la mia speranza.
Il mio centralismo pareva anarchia.

Com'è chi per sé vuole più verità
per essere agli altri più vero e perché gli altri
siano lui stesso, così sono vissuto e muoio.
Sempre dunque sono stato comunista.
Di questo mondo sempre volevo la fine.

Vivo, ho vissuto abbastanza per vedere
da scienza orrenda percossi i compagni che m'hanno piagato.
Ma dite: lo sapevate che ero dei vostri, voi, no?
Per questo mi odiavate? Oh, la mia verità è necessaria,
dissolta in tempo e aria, cuori più attenti a educare.

1958

Franco Fortini, Una volta per sempre (Poesia 1938-1973), Einaudi, Torino 1978

martedì 5 maggio 2009

Il silenzio è d'oro

È anche troppo facile immaginare perché il Vaticano e i suoi media stiano zitti riguardo alla vicenda del divorzio Berlusconi. Stanno zitti perché questo "monarca" rappresenta la più concreta garanzia per far valere la loro voce dentro l'istituzione Stato. Infatti, bisogna ricordarsi che

«dove non vi sono troni terrestri, anche il trono celeste è privato della sua base sociale; ma proprio questa rendeva credibile agli schiavi abituali, se pur senza bisogni religiosi, la sua immagine speculare in cielo. Vera immagine speculare, con il sovrano che si riflette nell'altissimo ed insondabile consiglio, con lo squillante coro di lodi riflesso nella corte di angeli privi di volontà. E d'altra parte è indicativo che, se pensiamo alle loro sedi, non troviamo gran differenza tra l'altissimo Dio dei pagani e il Dio che la chiesa abitualmente ci propone».*

Questo governo, per gli attuali vertici vaticani, è una grazia divina: guai dunque a scuoterne le fondamenta. Gli unti son sempre benvenuti, anche se lordano le menti dei sudditi.

*Ernst Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, 1971 (pag. 26)

lunedì 4 maggio 2009

Seguivo il tuo viaggio

seguivo il tuo viaggio
provavo le tue impressioni
pensavo i tuoi pensieri
meglio del simulatore di un centro spaziale
che riproduce a terra le vicende
di un'astronave in volo tra le stelle
finché scese le ombre sopra i tetti
te addormentata, perso ogni contatto
caddi di quota, riabitai un mio baratro
tra voci inascoltate e la spezzata
illusione di un filo che ci legasse
non solo a te ma ogni cosa sperata
ai grandi assenti, a eterni invisibilia

Luciano Erba, L'ippopotamo, Einaudi, Torino 1989

Un Dio portatile



«Andare all'essenziale, e dire tutto in poche parole, rimarrà la prestazione migliore compiuta dal Dio dell'Occidente. Egli ha tagliato i ponti con tutto ciò che è superfluo. Questo è il suo marchio di fabbrica, che riuscirà persino ad accelerare la comparsa delle scienze fisico-matematiche, nel XVII secolo. Nel governo della natura, attraverso le leggi fisiche e matematiche, Dio può diventare amico degli scienziati e dei razionalisti, ai quali facilita il lavoro, che consiste nel far entrare una molteplicità di fenomeni nello spazio di alcune formule algebriche ultrasintetiche. Lavora in economia, e si tiene allo stretto necessario [...] La parsimonia esplicativa [...] non aveva nulla che potesse dare fastidio a un Essere così economo nella propria presenza (sino al punto che il suo stesso nome non deve essere pronunciato). Una economia dei mezzi che è l'apice dell'orgoglio. E di calcolo efficace. Meno si gesticola, meglio si comunica. Troppo pieno di sé per consentire di scendere a patti con la figurazione, Dio rinuncia al sensibile per possedere il sensibile. Il genio ebraico, vietandosi il prestigio mondano della visibilità, ha piegato l'indigenza a proprio vantaggio, praticando la diminuzione argomentativa (il simbolo dice più della cosa): fare il vuoto per affermare. Yahweh guadagna in energia quanto perde in termini di massa. Rinuncia a scrivere le proprie dediche su oggetti pesanti. [Usa] soprattutto dei papiri, fogli volanti cuciti che si possono nascondere sul fondo di una giara. Vantaggio di un corpo mobile e immutabile al tempo stesso; traslocare senza fare danni. Fecondo paradosso: un Dio amovibile ma stabilizzato, meticoloso e volante [...] Soltanto la scrittura ha permesso al popolo ebraico di disperdersi senza lasciarci la pelle [fino a un certo punto], la memoria, la fede».

Régis Debray, Dio, un itinerario. Per una storia dell'Eterno in Occidente, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002, pag. 131

domenica 3 maggio 2009

Sotto la torre...

Sotto la torre, al parco, di domenica
con pacata follia per ore e ore
immobile a guardarti. Avevo gli occhi
gonfi, e il sesso, e il cuore.
Infastidita
i tuoi polsi snervati dalla mia
estasi, "lasciami" hai detto, di fuggirti
mi hai consigliato. Sono egoista e
lo spirito umano ha più bisogno
di piombo, che di ali.
1959

Elio Pagliarani, La pietà oggettiva (Poesie 1947-1997), Fondazione Piazzolla, Roma 1997

La pipa del papi

E se la figlia del "papi" fosse, in realtà, la figlia della "mami" (Veronica, bien sûr)?

«Sua Altezza Serenissima chiese a uno straniero giunto a corte, della cui somiglianza con la sua persona era rimasto impressionato: "Vostra madre è mai stata a palazzo?" E si sentì rispondere prontamente: "No, ma c'è stato mio padre"».

[Barzelletta attribuita a Freud, riportata oggi sulla Domenica del Sole24Ore, nell'articolo di Armando Massarenti, «Non toccate il punto R», recensione al libro di Jim Holt, Senti questa. Piccola storia e filosofia della battuta di spirito, Isbn Edizioni, Milano 2009.]

sabato 2 maggio 2009

«Essere uno fra tutti»

«Così dice Sartre, e a questo si riduce tutto considerato l'engagement. Si parla e si scrive - quando si ha il privilegio di poterlo fare - per solidarietà con i propri contemporanei».

[Questo è per me uno dei motivi del tenere un blog]

«Certo, e altro motivo non c'è - ove per "solidarietà" s'intenda sentirsi legato agli altri non solo da qualche vago "amore" e "pietà", ma anche dall'odio, dalla collera, dal disprezzo per tutto ciò che manca agli uomini attorno per farne degli uomini».

[L'obiettivo pedagogico del blogger]

«Solidarietà, dunque. Ma solidarietà in che? qui sta il busillis. Nel "reale"? Questo vuol dire tutto o nulla. In un'esperienza comune, dunque. Sì, ma quale? Quella delle angustie quotidiane? Quella della politica? Quella dei sentimenti e delle passioni individuali? Quella del lavoro? Quella del gioco?
Oppure quella "realtà" difficile e oscura che sta in fondo a tutto questo? Una certa "unità" o "struttura" dell'uomo da ricostruire e di cui si pensa che noi tutti abbiamo bisogno e andiamo in cerca?»

[Ecco, la lettura di questo prezioso brano pone bene la questione: di che cosa "abbiamo bisogno e andiamo in cerca" con questo esercizio, pressoché quotidiano, del blog? Esporre i nostri io come esempi sui quali "ricostruire" l'uomo? Ma se il mondo ci assomigliasse, saremmo più contenti e soddisfatti?]

brano tratto da Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995 (pag. 141)

venerdì 1 maggio 2009

Nuvole



Per anni ho guardato le nuvole

a oriente di questa terrazza

senza curarmi se fossero
diverse per chi le avesse osservate

da un'altra parte della città.

Ma oggi è un giorno al duale

amo, dunque io sono, io e te siamo.

«Cara, se guardi sopra Porta Venezia

c'è una nuvola che ha la faccia di Lincoln».
Lei mi risponde al telefono

«la mia nuvola ha la faccia di Marx».


Sfrangiate nuvole

restate nuvole.

Luciano Erba, L'ippopotamo, Einaudi, Torino 1989

[Che noiosa unione deve essere quella che fa vedere lo stesso tipo di nuvole! Mi viene in mente questo perché, se fossi stato il marito di Margaret Mazzantini, avrei preferito farmi strappare il pelo di dosso piuttosto che leggere un brano (penosissimo) del suo libro davanti a una moltitudine di persone. Ma Sergio non è stato capace di dire no]