venerdì 30 aprile 2010

Lasciare nell'ombra

Adriano Prosperi recensisce oggi, dalle pagine della cultura di Repubblica, un libro di un noto medievista francese, Jacques Chiffoleau, La Chiesa, il segreto e l'obbedienza, Il Mulino, Bologna 2010). Da tale articolo estraggo:
«È una vicenda che comincia alla metà del XII secolo, con la compilazione del Decretum di Graziano, la prima e fondamentale sistemazione in un corpo unitario delle norme elaborate per governare la Chiesa cristiana d'Occidente. Qui si trovano i due canoni glossati da Giovanni Teutonico con la formula Ecclesia de occultis non iudicat (“La giustizia della Chiesa non si occupa di colpe occulte”). Il significato di quella norma è stato oggetto di analisi di esperti di diritto canonico prima di accendere una discussione più generale tra gli storici. La formula condensava un'idea biblica della giustizia, quella che affidava all'onniscienza di Dio il compito di vedere e giudicare la verità nascosta nei cuori degli uomini. Applicando quell'idea al funzionamento dei tribunali la formula segnava l'avvio di una distinzione tra i fori: da un lato il foro penitenziale della confessione segreta dei peccati dove il confessore agisce come orecchio di Dio, dall'altro il foro pubblico dove il giudice punisce i colpevoli di infrazioni alle leggi della comunità. Intorno a questa
articolazione dei fori nascerebbe anche - secondo alcuni - la prima separazione moderna tra pubblico e privato. Ed è comunque evidente l'affacciarsi di una Chiesa papale come potere mondano e soggetto creatore di diritto in un mondo dove era diffuso il senso religioso del mistero e delle cose occulte. La conoscenza della verità era attesa nel grandioso scenario dell'Apocalisse quando si sarebbe aperto il Libro dai sette sigilli.
Ma altri segreti furono quelli che interessarono da allora i giudici di una Chiesa che si stava affermando come titolare di ogni potere in terra. La loro opera è seguita da Jacques Chiffoleau per capire il modo in cui l'occulto venne definendosi nell'amministrazione della giustizia. E nota subito che quei due canoni glossati con la formula
Ecclesia de occultis non iudicat riguardavano infrazioni di chierici all'obbligo della castità. Qui “occulto” vale come il contrario di “notorio” e significa
concretamente che se le colpe dei chierici non erano di dominio pubblico allora la purgazione poteva rimanere segreta evitando lo scandalo. La minaccia dello scandalo era tanto più temuta quanto più forte era l'esigenza di esaltare la dignità del clero e di affermarne la supremazia sul laicato nell'età della Riforma gregoriana.
Si registra qui la nascita di una preoccupazione del potere ecclesiastico che connoterà nei secoli il modo di trattare le colpe del clero in tutti i casi in cui fu possibile lasciarle nell'ombra del segreto ed evitare il clamore del pubblico giudizio o l'umiliazione della penitenza pubblica. Il che fu possibile perfino nei casi dei cosiddetti “crimini enormi” (colpe di sesso, omicidio, simonia) i cui effetti fossero manifesti e noti alla società cristiana: se la teoria prevedeva la necessità di rompere il sigillo della segretezza confessionale, lo sviluppo di una raffinata casistica creò uno sbarramento protettivo intorno ai chierici criminali».

Da leggere tutto: qui in formato pdf

giovedì 29 aprile 2010

Europa mobile

*

Questi esercizi d'immaginazione geopolitica sono interessanti. Strano però che l'Economist non abbia spostato la Grecia. E strano ancora notare che il taglio operato sulla penisola italiana abbia un vago sapore leghista. Battezzare con “Bordello” la nuova nazione del sud poi ha un vago sapore ironico che smentisce, di fatto, la preoccupazione berlusconiana della cattiva immagine italiana all'estero provocata da libri, film e telefilm di argomento mafioso-camorristico. Se in Gomorra non c'è speranza, nel Bordello sì: una nazione con tal nome sarebbe pronta ad accogliere una grossa fetta del flusso turistico internazionale.

«Non morrà lo spirito europeo, se sarà distrutto il territorio chiamato Europa. Lo spirito europeo non è chiuso dentro il circuito geografico chiamato Europa. Vivo è lo spirito europeo, e dunque mobile. E ovunque è arrivato e si è fermato l'uomo europeo. Ha un suo movimento da oriente a occidente. Determinato da motivi psichici. Spinto da simpatie, respinto da antipatie. Guarda a occidente. Per simpatia della luce. È attirato dal sole che tramonta. Si muove nella direzione del sole. Per tenere dietro al sole. Per non perderne la luce. Suo carattere profondo è l'occidentalismo. Respinge quanto ha carattere orientale. Si accende e brilla prima in Grecia. Quindi inizia la sua marcia guidata dal sole. Passa in Italia. Dall'Italia passa in Francia e in Inghilterra. Dall'Inghilterra passa attraverso l'Atlantico in America: ultima tappa dell'europeismo».

Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, Adelphi, Milano 1977 (pag. 145)

Attica vista mare



«Un declassamento del rating di aziende o soggetti pubblici particolarmente indebitati, ha la conseguenza a breve termine di provocare un rialzo degli interessi applicati ai prestiti in corso, e quindi un aumento degli oneri finanziari. Il debitore potrebbe cedere beni immobili e mobili di sua proprietà a prezzi di realizzo, per evitare un peggioramento del rating»*.

La fortuna della Grecia è di non avere un ministro dell'economia come Tremonti. A quest'ora avrebbe già cartolarizzato il Partenone.

E poi: che abbia ragione il Nencini? Che sia tutto complotto plutocratico contro le ragioni del socialismo (europeo)? Meno male noi abbiamo l'ombrello di Pluto.

mercoledì 28 aprile 2010

Il doppio è un'eco dell'io



Non sono un feto sepolto in fondo a me stesso e che verrà,

sono io, io;

e sono io, io, io a essere lì davanti,

e non un altro,
davanti al fondo in rivolta dell'altro
che non è l'altro del mio io,

né un altro di fronte a me,
e che non ha altro scopo, per vivere,
se non di vivere nel mio riflesso,
che mi gioca poi il brutto scherzo di dirmi:
«Sei tu a doppiarmi,
sei tu il doppio, e non io».
È il linguaggio innato del servo che un giorno la luce diede

all'ombra, e il corpo umano alla tomba,
lingua di tutti i reprobi,
perché in fin dei conti da dove saltò fuori Satana,

perché questo doppio e quest'eco?
Perché un doppio e un'eco,

perché un vuoto, perché un pieno?

Chi ha fatto le categorie, gli esseri, le determinazioni? se

non il doppio e l'eco? Ma chi fece il doppio e l'eco?

Satana è forse solo un doppio e un'eco;

ma egli è l'accezione infusa, il senso macinato,

che assume la virtualità originaria delle cose, rifugiate nella

loro tana indolore,
come il sesso sotto il tetto di un cuore.


Antonin Artaud, Succubi e supplizi, Adelphi, Milano 2004 (trad. Jean-Paul Manganaro - pag. 219,220)

Sei tu a doppiarmi sei tu il doppio e non io.
Ecco qui, rivelata nel lampo di genio di uno più grandi rabdomanti del Novecento, la genesi di ogni conflitto mimetico. Nessuno riconosce mai il proprio mimetismo, tutti si sentono padroni del proprio io senza accorgersi che questo è l'inizio della schiavitù. Siamo schiavi di un'illusione. «Non esiste una cosa simile a quello che comunemente chiamiamo sé. Al contrario di ciò che la maggior parte delle persone crede, nessuno è mai stato o ha mai avuto un s黹. Lo so, questo discorso è difficile e non esauribile nello spazio di un commento breve e serale (e nemmeno ho le competenze per farlo: qui, uno in gamba). Tuttavia voglio solo accennare al fatto che noi umani, generalemente, facciamo troppo affidamento su questa illusione, gli diamo troppo valore e non consideriamo che l'io è un insieme di stati mentali che ci fanno credere di essere io; e che gli stati mentali avvengono a mente formata e accesa, mentre non ci sono a mente non formata e si esauriscono a mente spenta. E che, infine, nello spazio della nostra vita cosciente, quello che crediamo di riconoscere come io non è altro che il pensiero riflesso che supponiamo gli altri abbiano di noi, così come noi contribuiamo a far esistere gli altri: reciprocità. Il problema del conflitto mimetico sorge quando attribuiamo un di più di esistenza all'io degli altri e invidiamo gli altri - come ri-faccio dire ad Artaud:
È il linguaggio innato del servo che un giorno la luce diede
all'ombra, e il corpo umano alla tomba,
lingua di tutti i reprobi,
perché in fin dei conti da dove saltò fuori Satana,

perché questo doppio e quest'eco?

¹Thomas Metzinger, Il tunnel dell'io. Scienza della mente e mito del soggetto, Cortina, Milano 2010. Brano estratto dalla recensione al libro di M. Di Francesco pubblicato sul Sole24Ore di domenica scorsa.

martedì 27 aprile 2010

Crisi filosofica

«Un racconto antichissimo, testimoniato da più fonti, è il documento fondamentale sul nesso tra sapienza ed enigma. Si tratta di un filone della letteratura biografica su Omero, ripreso nel seguente frammento di Aristotele:
... Omero interrogò l'oracolo per sapere chi fossero i suoi genitori e quale la sua patria; e il dio così rispose: "L'isola di Io è patria di tua madre, ed essa ti accoglierà morto; ma tu guardati dall'enigma di giovani uomini".
Non molto dopo... giunse a Io. Qui, seduto su uno scoglio, vide dei pescatori che si avvicinavano alla spiaggia e chiese loro se avevano qualcosa. Quelli, poiché non avevano pescato nulla, ma si spidocchiavano, per la mancanza di pesca dissero: "Quanto abbiamo preso abbiamo lasciato, quanto non abbiamo preso lo portiamo", alludendo con un enigma al fatto che i pidocchi che avevano preso li avevano uccisi e lasciati cadere, e quelli che non avevano preso li portavano nelle vesti. Omero, non essendo capace di risolvere l'enigma, morì per lo scoramento”.
[...]
Dice Eraclito: "Rispetto alla conoscenza delle cose manifeste gli uomini vengono ingannati similmente a Omero, che fu più sapiente di tutti quanti i Greci" [...]
Forse Eraclito vuol significare che le cose manifeste, corpose, ci traggono in inganno e suscitano l'illusione di esistere fuori di noi e di essere reali, viventi, soprattutto perché noi le immaginiamo come permanenti. Non è che Eraclito critichi le sensazioni. Egli loda anzi la vista e l'udito, ma ciò che condanna è il trasformare l'apprensione sensoriale in qualcosa di stabile, esistente fuori di noi. L'esperienza dei sensi noi l'afferriamo istantaneamente e poi la lasciamo cadere; se vogliamo fissarla, inchiodarla, la falsifichiamo [...] Eraclito non crede che il divenire sia più reale dell'essere; crede semplicemente che ogni "opinione è una malattia sacra", ossia che ogni elaborazione delle impressioni sensoriali in un mondo di oggetti permanenti sia illusionistica».

Giorgio Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano, 1975 (pag. 61 e seguenti).

Più che una crisi economica, questa greca è una crisi filosofica¹: i politici, gli economisti coinvolti, incapaci di risolvere l'enigma, moriranno di scoramento. Affidatevi a Tremonti, vero mago della finanza creativa, l'unico in grado di risolvere l'enigma (economico) in modo oracolare (è l'unico che ha suggerito di tenere d'urgenza un summit a Delfi). Tremonti, un ministro che, contrariamente a Omero, avrebbe risposto all'enigma essendo pidocchioso di suo (soprattutto con la scuola pubblica² e con la ricerca).

¹Il primo ministro del Portogallo si chiama Socrates e ho detto tutto.
²Con la scuola privata (leggasi: cattolica) invece è stato prodigo.

Leghismo e nazionalismo

Ho scritto un articolo per Giornalettismo. È un po' infrenato e, mi pare, confuso. Ma spero di aver reso lo stesso un'idea “rubata” a piene mani da un saggio di Fernando Savater, “Le vittime del patriottismo”, pubblicato nella raccolta Contro le patrie, Elèuthera, Milano 1999.

Come sintesi di tale idea riporto una massima di Arnold S. Toynbee, citata da Savater (e anche da me in articolo):
«Lo spirito della nazionalità è la fermentazione acida del vino della Democrazia nei vecchi otri del Tribalismo».
Circa la situazione italiana, occorre sostituire nazionalità con identità territoriale.

lunedì 26 aprile 2010

Cambiare paradigma

Il Vaticano, mediante la Congregazione della Dottrina della Fede, ha un solo autentico modo per farsi perdonare delle piaghe pedofile perpetrate da alcuni, troppi, suoi preti e prelati; e cioè dire: “fratelli, ci siamo sbagliati; risarciremo tutte le vittime e consegneremo alla giustizia laica i peccatori; ma soprattutto, ci siamo sbagliati circa l'amore (fisico), ovvero circa il sesso: andate, e trombate tutti (o masturbatevi tutti), in modo libero e mai forzato e subdolo; dacché trombare tra esseri consenzienti, ognuno secondo i suoi gusti e ognuno secondo le sue possibilità, è uno dei massimi momenti celebrativi dell'amore qui e ora; prendete pure le precauzioni del caso dacché il sesso non è necessariamente vincolato al meccanismo riproduttivo; quindi, per chi vuol fare solo sesso e non mettere al mondo figli, usi pure gli anticoncezionali che più gli si confanno. Fare sesso fa bene all'animo umano perché è, ripetiamolo, una delle più alte manifestazioni di fratellanza, di partecipazione attiva alla vita. Non fatene tuttavia un idolo per non diventarne schiavi. Il sesso libera la mente se non la incatena alla proprie dipendenze. Finora noi abbiamo imposto e seguito dottrine che ne reprimevano la sua libera manifestazione e che lo relegavano nelle segrete della coscienza. Il sesso, qualsiasi sesso, se fatto bene, senza violenza e sopraffazione, è amore. Ma l'amore non è solo sesso. Tuttavia negare la sua centralità e necessità è stato un errore imperdonabile, giacché così facendo lo abbiamo trasformato in perversione. È per tale ragione, per aver condotto il sesso nella trappola del pervertimento, che tra noi vi sono stati e vi sono molti autentici pervertiti. Chiediamo quindi umilmente perdono per questo stravolgimento: facciamo ammenda e ci ripromettiamo di non rompere più le palle sui coglioni e le ovaie altrui. Andate in pace e godete per accrescere la felicità di questo mondo. Amen”.

P.S.
A volte i politologi non dovrebbero mettere bocca in tali vicende se devono pigliare per il culo e far incazzare persone amiche.

domenica 25 aprile 2010

Il blogger è un partigiano per conto suo

«Pin è seduto sulla cresta della montagna, solo: rocce pelose d'arbusti scendono a picco ai suoi piedi, e s'aprono vallate, fin giù nel fondo dove scorrono neri fiumi. Lunghe nuvole salgono per i versanti e cancellano i paesi spersi e gli alberi. È successo un fatto irrimediabile, ormai. [...] Non potrà più ritornare con gli uomini del distaccamento, non potrà mai combattere con loro.
È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere far mai parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti, vendicarsi di quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato o temuto pur restando com'è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa.
Ecco, Pin ora andrà via, lontano da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni. Là c'è la sua pistola seppellita, dal nome misterioso: pi-trentotto; Pin farà il partigiano per conto suo, con la sua pistola, senza nessuno che gli storca le braccia fino quasi a rompergliele, senza nessuno che lo mandi a sotterrare i falchi per rotolare in mezzo ai rododendri, il maschio con la femmina. Pin farà cose meravigliose, sempre da solo, ucciderà un ufficiale, un capitano: il capitano di sua sorella cagna e spia. Allora tutti gli uomini lo rispetteranno e lo vorranno con loro in battaglia: forse gli insegneranno a maneggiare il mitragliatore. E la Giglia non gli dirà più: - Cantacene un po' una, Pin, - per potersi strofinare addosso all'amante, non avrà più amanti, la Giglia, e un giorno si lascerà toccare il seno da lui, Pin, il seno rosa e caldo sotto la camicia da uomo».

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Garzanti, Milano 1987

sabato 24 aprile 2010

Sessantacinque anni fa

Tra circa mezz'ora è il 25 aprile 2010. Sessantacinque anni fa mio padre era a Berlino. Era uno dei tanti deportati italiani (non ebrei) nei campi di lavoro nazisti (era uno “schiavo” della Siemens, ma non costruivano elettrodomestici o telefonini). Aveva diciassette anni. Assisteva in diretta alla presa di Berlino da parte degli alleati e alla sconfitta del Terzo Reich. Dei suoi racconti di quei mesi, 18 mesi, di prigionia quel che più m'impressionava, da bambino, era il ricordo di quei giorni terribili, ma insieme fantastici, di bombardamenti continui, incessanti, come fossero interminabili fuochi d'artificio.
Se sono qui è perché lui sopravvisse.

P.S.
Porca puttana, davanti a me sulla scrivania c'è un telefono della Siemens: quasi quasi domattina lo fucilo.

I Greci, i Turchi e la rivincita di Troia

Pare che il salvataggio della Grecia dalla catastrofe economica ci costerà, più o meno, 90 euro (delle nostre tasse). Un po' meno del canone Rai, quindi. E se penso a Omero, a Parmenide, a Eraclito, a Eschilo, a Sofocle, a Euripide, a Socrate, a Platone, ad Aristotele, a Epicuro, a Kavafis, a Seferis sono anche contento di partecipare (sia pure involontariamente) a questa megacolletta.
Purtuttavia la Germania e la Francia nicchiano temendo nefaste conseguenze per la tenuta dell'Euro. Che fare? Io ho una proposta diplomaticamente fantasiosa: chiedere anche alla Turchia di partecipare al prestito. I turchi, come sappiamo, non hanno buoni rapporti coi greci (per usare un eufemismo); ma, allo stesso tempo, fremono per entrare a far parte dell'Unione Europea (Francia e Germania però son contrari). Ecco loro un'occasione d'oro per dimostrare di essere più europeisti degli europei (penso che questo sia per i turchi più facile che riconoscere il genocidio armeno). Insomma, a mio avviso se la Turchia offrisse una cospicua vagonata di euro le porte di Bruxelles si aprirebbero ad accoglierla prontamente come nuovo paese membro.

P.S.
A volte sogno di lavorare alla Farnesina.

venerdì 23 aprile 2010

Ritorno

È primavera, e riecco gli uccelli troppo presto.
Rallegrati, o ragione, pure l'istinto sbaglia.
Si imbambola, non vede - e cadono nella neve,
e periscono miseramente, in modo non adeguato
alla struttura della loro laringe e splendide unghiette,
oneste cartilagini e coscienziose membrane,
bacino del cuore, labirinto dei visceri,
navata delle costole e vertebre in splendida infilata,
penne degne d'un padiglione in un museo dei mestieri,
e becco di certosina pazienza.

Questo non è un lamento, è solo indignazione
che un angelo di reale proteina,
un aquilone con ghiandole da Cantico dei Cantici,
singolo in aria, innumerevole nella mano,
tessuto dopo tessuto annodato in una unità
di luogo e tempo come un dramma classico
tra gli applausi delle ali
cada e giaccia accanto a una pietra
che nel suo modo arcaico e rude
vede la vita come tentativi falliti.

Wislawa Szymborska, Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998

Cosa Fini ha veramente detto

Da questa splendida analisi, estrapolo:

«Questa gente non capisce di cosa Fini ha parlato.
E come non lo capisce il partito non lo capisce la gente che li vota (ma anche tanti di quelli che votano Pd, temo), che è gente che dopo sei parole ha già dismesso la concentrazione; ha già rinunciato a capire; è gente che dopo sei parole ha già scelto.
Non è che siano scemi.
Sono stati semplicemente costruiti così».


A tale analisi unisco questo divertissement malviniano (dal quale, poi, apprendo ulteriori segni di sfacelo. Mi auguro che al co-fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, domani in visita nel Nord-Est ove terrà una conferenza sulla “modernità”¹ giunga tale notizia di barbarie allo stato puro avvenuta a Paderno).

¹Mi pare di aver così inteso stasera a 8½.



giovedì 22 aprile 2010

Lo sparagmos

«Allora Agave disse: “Su, mettetevi tutt'intorno, Baccanti, ed afferratevi al tronco, in modo di mettere mano su questa fiera che scala le piante, e d'impedire che divulghi i cori misteriosi del dio”. Con mille mani diedero quelle di piglio all'abete, spiccandolo dal suolo. Stava in alto Penteo, e dall'alto cadde rovinando, con lamenti infiniti, al suolo: ormai capiva che la fine era vicina. Prima la madre, ministra del rito, diede principio allo scempio. L'assale. Lui gettò via la benda dai capelli perché, riconoscendolo, la misera Agave s'astenesse dall'ucciderlo. Toccandole la gota: “Sono io, madre - le dice - sono il figlio tuo Penteo, che partoristi nella casa d'Echione. Madre, abbi pietà di me e, per i miei peccati, non uccidere il figlio tuo”. Ma quella, con la bava alla bocca, ruotando le pupille stravolte, priva del normale senno, era preda di Dioniso¹: non riusciva a persuaderla. Poi gli prende il braccio sinistro con le mani, punta il piede contro il costato del misero, e l'omero gli svelle. Tanta forza non l'aveva: fu il dio che aggiunse alle mani vigore. Ino compiva l'opera dall'altro lato, squarciando carni, mentre Autonoe, col resto della turba delle Menadi, incalzava. Non c'era che un gridare: lui che gemeva con quel po' di fiato che gli restava: quelle che lanciavano grida di vittoria². Si portava chi una spalla, chi un piede, addirittura coi calzari. Gli strappi denudavano le costole. Ciascuna, con le mani insanguinate, tirava intorno brandelli di carne di Penteo, come se giocasse a palla. Giace il corpo smembrato, parte sotto le dure rocce, parte fra le macchie profonde della selva: ritrovarlo non è facile. Il capo sventurato, la madre se lo prende fra le mani, confitto in cima al tirso come fosse d'un leone montano, se lo porta per tutto il Citerone. Le sorelle le ha lasciate alle danze delle Menadi. E tutta fiera di quella sinistra caccia, s'è incamminata a questa volta, dentro le mura, ed evoca Dioniso, chiamandolo consorte della caccia, compagno della preda, vincitore. Bella vittoria davvero: di lacrime».

Euripide, Le Baccanti, traduzione di Filippo Maria Pontani, Newton Compton, Roma 2006.

1 la traduzione riporta "Bacco"
2 la traduzione riporta, al posto di "grida di vittoria", "alalà" (eia eia?)

Trasumanar significar per verba: si poria?

Nobile serietà. Purtuttavia: come mettere le mani nella merda? Allo stesso modo della destra berlusconiana e leghista? Ché per caso, oltre al pissi pissi bau bau, essa ha fatto "quarcosa" di concreto per risolver 'sta crisi sociale? Diciamoci la verità: se il labrador democratico deve provare ad abbaiare non sarà mai tanto bastardo quando il cane leghista, rottweiler de' mie' cojoni. E dunque: manco io ho la risposta e persisto nel dilemma solo per suonare un campano che svegli il gregge del nord, per dargli una scossa, per farlo trasumanare (e poi organizzar).

mercoledì 21 aprile 2010

Nel cortile

Nell'accidiosa primavera quando le ferie incombono
la città si svuota.
È dalle Idi di marzo che un vecchio merlo si posa
sul davanzale a beccare chicchi di riso e briciole.
Non utile per lui scendere nel cortile
ingombro di tante macchine casse sacchi racchette.
Alla finestra di fronte un antiquario in vestaglia
e due gattini siamesi. Da un osservatorio
un ragazzino rossiccio che tira ai piccioni col flòbert.
Vasto l'appartamento del grande Oncologo,
sempre deserto e buio. Ma non fu tale una notte,
quando avvampò di luci alla notizia
che il prefato era accolto in parlamento.
Tanti gli stappamenti di sciampagna,
i flash, le risa, gli urli dei gratulanti
che anche la Gina fu destata e corse
tutta eccitata a dirmi: ce l'ha fatta!

Eugenio Montale, Diario del '71 e del '72, Mondadori, Milano.

Tornando a casa stasera ho pensato al mio Eusebio e nel suo lago (non) d'indifferenza ho pescato questi versi.
Montale li scrisse (credo) in occasione della sua elezione a senatore a vita (avvenuta nel 1967). Io chiaramente li riporto con la loro particolare valenza di adesione alla realtà politica odierna (ma proprio odierna!), facendo del mio meglio nel linkare i luoghi giusti.
E poi anche con la gioia di far sopravvivere vocaboli in disuso come prefato e gratulanti.
Infine (e a parte): Montale fu eletto senatore a vita quando ancora la poesia in Italia aveva una valenza politica; perlomeno: tra i politici v'era chi nutriva rispetto e ammirazione verso la poesia, ovvero sapeva leggere versi, coglierli, valorizzarli. Il poeta era uno strumento umano che una vasta comunità di lettori usava per leggere il mondo. Oggi non è più così. La poesia non ha trovato spazio nella moltitudine dei non pensanti che preferisce tenere incollate le cuffie sul nulla. La poesia non ha più il conforto della ripetizione, non ha più potere di diventare meme - e diffondersi. Si diffondono solo grevi canzonette leggere che lasciano tracce di polvere vulcano nel proprio cervello bruciato.

martedì 20 aprile 2010

Today, tomorrow, Berlusconi

Questo articolo di Moisés Naim propone un interessante confronto tra gli scandali che hanno colpito Tiger Woods, la Toyota e la Chiesa Cattolica mostrando come questi tre soggetti pubblici, dopo una strategia iniziale d'improvvida autodifesa, abbiano successivamente (anche se parzialmente) “confessato” le loro colpe.

Di passata, mi dico: paradossalmente l'unico soggetto del mondo occidentale che si rinforza di fronte al clamore e all'evidenza degli scandali che lo colpiscono è Berlusconi.
Il problema però è che Berlusconi è italiano, fottutamente italiano e non ha alcun interesse specifico negli Stati Uniti (ovvero, nessuno scandalo che lo coinvolge - per quel che ne so - tocca qualche interesse “americano”). E soprattutto, come scrisse Javier Marías nel 2002*, in un ritratto per El Pais, Berlusconi è «una persona che non sente mai vergogna di alcun tipo, né personale, né pubblica, politica, estetica. E nemmeno narrativa. In realtà egli non sa cos’è la vergogna».

*Passo scoperto grazie a un notevole articolo di Adriano Sofri su Repubblica di oggi («Saviano, il Cavaliere e la cosmesi universale»). Dato che esso non è ancora online riporto il sito ove appare di rinterzo: qui.

lunedì 19 aprile 2010

Scrittori ombra


Edward Ruscha (American, b. 1937), "Ghost Writer", 1978*

«Quello è stato l'unico periodo della mia vita in cui ho tentato di tenere un diario. No, non soltanto quello. Anni dopo, in un momento di grade solitudine morale, ho cercato, per una ventina di giorni, di notare sulla carta i pensieri e gli avvenimenti. Ma allora fu la prima volta. Non mi ricordo come mi venne in mente, né come mi trovai tra le mani il lapis e il taccuino. Non credo di averli presi apposta. Certo mi salvarono dal mettermi a parlare da solo come un pazzo.
È strano che tutt'e due le volte ho cominciato a scrivere il diario in circostanze in cui, come si dice comunemente, non credevo di “scamparcela”. D'altra parte non potevo supporre che quegli appunti mi sopravvivessero. Ciò prova che furon dettati soltanto per bisogno di intimo sollievo e non per vanità.
Cito ancora poche righe del mio diario, tolte dalle pagine che buttai giù quella sera: oggi mi sembrano quasi dei fantasmi».

Joseph Conrad, La linea d'ombra, Einaudi, Torino 1988 (pag. 113).

Passi simili sono consolatori per noi piccoli (o grandi) blogger di provincia (o di città). Danno conforto nel restituirci la genesi del nostro essere qui, a camminare, nei sentieri della rete. Chi scrive partendo da presupposti simili sa in partenza che la sua partitura è una cura, è ricerca di un sollievo dalla volontà, dalla rappresentazione. La vanità non c'entra, non può avere spazio tra coloro che già sanno, in partenza, di essere fantasmi.

Essere figlio di papà

Sabato scorso Piersilvio Berlusconi ha dato, in diretta televisiva, tre rose alla sua fidanzata.
Ieri Marina Berlusconi, dall'alto della sua posizione di presidentessa del più grande impero editoriale italiano, ha replicato a Roberto Saviano ricalcando (sia pure con qualche sfumatura) la stessa posizione del padre.

La mattina, prima di questi eventi, avevo letto una lettera di Seneca.
Di poi, nel pomeriggio, ho ripensato a mio babbo.
È venuto fuori questo articolo, pubblicato da Giornalettismo.
Buona lettura, se vi va.

P.S.
In verità, in un primo momento, leggendo il brano di Seneca riportato in articolo, avevo pensato a Paolo Bonaiuti. Chissà perché.

domenica 18 aprile 2010

Comunione e televisione

Leggendo la soavità della riflessione di quel laico non credente di Malvino, mi sono visto: sì, mi sono visto quando anni or sono mi mettevo in fila a prendere l'ostia consacrata e di come sempre mi sia sentito gli occhi addosso di tutti i partecipanti alla messa, soprattutto quando ero lì ad aprir la bocca per mangiare il corpo di Cristo.
Gli occhi su di me, il mesto ritornare al mio posto, a volte inginocchiarmi e a pregare perdono, Padre, perché ho molto peccato.
Questa impressione era forse dovuta al fatto che sono andato sempre di rado a messa.
E poi ho sempre avuto il terrore che qualcosa andasse storto, nel senso che vi fosse un intoppo al momento di ingerire l'ostia. Infatti, ricordo benissimo quando una volta aprii poco la bocca e il sacerdote mi sbatté l'ostia sugli incisivi. Divenni tutto rosso, consapevole di aver molto peccato (erano i giorni ribaldi de Le Ore e di Supersex e di atti impuri a ripetizione). Ricordo anche quando, per imitazione del gregge circostante, cominciai anch'io a prender in mano l'ostia per poi subito manducarla; ma una volta (andai alla messa di una chiesa di un monastero di suore camaldolesi di clausura) capitò che tardai ad ingerire l'ostia; la monaca che aiutava il prete mi rimproverò ad alta voce davanti a tutti: «l'ostia va subito messa in bocca!» gridò, facendomi fare una figura di merda incredibile.

Adesso è un po' d'anni che ho smesso di comunicarmi e confessarmi (cattolicamente intendo, giacché qui mi comunico e confesso abbastanza).

«O signore non son degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato».
Chissà cosa gli avrà detto Dio a Berlusconi dopo che questi ha pronunciato tali parole (se le ha pronunciate). Secondo me gli ha detto: «Va' Silvio, sei in diretta, e ci sono milioni di persone».

Marina ha risposto...

... (qui) e io ho sbagliato la mia previsione.

Tuttavia, quand'ella dice che «la Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent'anni» non ricordando come il più grande gruppo editoriale italiano è finito nelle mani della sua famiglia, l'amarezza liberale aumenta sempre più.

sabato 17 aprile 2010

Cercasi narratori di riferimento

Secondo Antonio Gurrado (Il Foglio, "Leggere Saviano e Genna e capire perché la sinistra ha perso i suoi elettori", 17 aprile 2010),

«se la sinistra vuole riscattarsi e tornare a far presa sugli elettori deve trovare subito un narratore di riferimento che esegua ciò che Togliatti aveva (metaforicamente) chiesto a Vittorini. Lo scrittore organico è più importante del programma e delle alleanze perché crea un immaginario condiviso sulla visione della società, smuove le coscienze e incute rispetto anche in chi non ha mai aperto un libro. Tradotto in politichetta, lo scrittore organico è più utile di uno spin doctor».

È vero, il rammarico che oggidì non vi siano scrittori del calibro di Pasolini, Sciascia e Calvino è grande. Gurrado infatti sostiene che «il massimo fulgore della sinistra è coinciso con l'acme"» dei tre autori; e che, probabilmente, né Roberto Saviano (che non si risolve ad un'aperta adesione politica), né Antonio Moresco, né Giuseppe Genna, né altri, riescono ad avere un peso simile nell'assumere quella posizione di "narratore di riferimento" adatta a smuovere le coscienze e a convogliarle in un'adesione ad un progetto politico (di sinistra).
D'accordo, mi dico, può essere (anche se ne dubito). Ma, allo stesso tempo, mi chiedo: a destra, invece, non c'è mai stato (né c'è) alcun bisogno di avere narratori di riferimento? Ma poi mi rassicuro subito dicendomi che sì, in fondo: c'è la troupe dei foglianti a smuovere le coscienze; e questo basta a garantire “il massimo fulgore della destra italiana”.

Lacrime editoriali

Leggendo stamani la lettera aperta di Saviano a Berlusconi, la cosa che più mi ha colpito è la parte finale, questa:

«Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua [di Berlusconi] famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. È da loro che voglio risposte.»

Chissà se la figlia Marina, presidente della Mondadori, risponderà personalmente a Saviano o darà mandato al personale della casa editrice di rassicurarlo circa la volontà di continuare a pubblicarlo e ben reclamizzarlo. Ne dubito.
Dunque vedremo Saviano alla Feltrinelli, o alla Rizzoli, o alla Bompiani? Chissà. Il dramma è che continueremo a vedere la Mondadori (e l'Einaudi) nelle mani di Berlusconi.
La storia partita da molto lontano della Mondadori” e dell'Einaudi è una storia triste. Credo che se Arnoldo e Giulio potessero vedere in che mani sono finite (e in che modo!) le loro creature editoriali, piangerebbero amaramente.

P.S.
Ieri, nella conferenza stampa, Berlusconi mi pare abbia detto che la “nostra” mafia sarebbe la sesta al mondo come capacità di affari, ma che risulterebbe essere prima nell'immaginario collettivo dell'opinione pubblica mondiale, per l'enorme “supporto promozionale” offerto alle cosche dalle varie Piovra e Gomorra. Come a dire: se le mafie nostrane non godessero di tale pubblicità indiretta, sarebbero le prime in assoluto? Sarebbero il nostro vanto e orgoglio? Capitanerebbero i vari G8 segreti delle principali organizzazioni criminali del mondo?

venerdì 16 aprile 2010

Leggendo una poesia

Leggo versi di Sereni
per un amico che morì anni fa. Rammento
quel suo amico e la casa dov'era vissuto.

E quando Sereni ebbe accompagnato
al cimitero del Verano il corpo del suo amico
per l'autostrada oltre l'Appennino ritornò
fissando a uno a uno cinquecento chilometri
riflettendo a poco a poco
verso questa città
che oscilla nei mattini di sole sulle marcite.

Non ho mai capito gli altri né me stesso
ma il modo che ho di sbagliare questo sì. Se mi arriva
una verità è nel mezzo della fronte: è
un'accusa. Ragiono
senza comprendere. Mai sono dove credo [*].

Avrò parlato quel mattino
come l'idiota che so essere. Qualche bava
gaia avrò avuta alle labbra. Qualche sussidio
per la mia giornata fino a notte.
Per arrivare a passi torti fino a notte.
Incredulo Sereni mi guardava offeso. Era seduto
al suo tavolo e negli occhi sanguinosi
gli duravano le grandi costruzioni della propria morte.

La cortesia e la grazia non so bene che siano.
Dentro questo autobus che ci trasferisce c'è tale un urlìo
che non permette di parlare
e nemmeno di tacere umanamente.

Mi è stato fatto non so quando un male.
Una ingiustizia strana e indecifrabile
mi ha reso stolto e forte per sempre.
Leggo i versi di Sereni per Niccolò Gallo
e scrivo ancora una volta parola per parola.
Non tutto allora è vero quello che ho detto sin qui.
Posso anche io intendere chi noi siamo.

Franco Fortini, Paesaggio con serpente (poesie 1973-1983), Einaudi, Torino 1984

[*]
Mi sento ben rappresentato da questa strofa di cinque versi sciolti.

giovedì 15 aprile 2010

L'Alleanza volò sopra i cieli di Ponza

Un paio d'ore fa ho visto uno scorcio di 8½. A un certo punto Lilli Gruber ha chiesto all'onorevole Bocchino, fedele finiano del PdL, quanti sarebbero i deputati pronti ad aderire all'eventuale gruppo autonomo in Parlamento. Italo Bocchino ha risposto (più o meno): «Quattro, cinque; massimo sei fra Camera e Senato». Lilli Gruber ha sorriso sorniona come per dire "non mi prenda in giro". Purtroppo, dall'aria grave con la quale ha risposto, non credo che l'onorevole Bocchino abbia mentito.
Sì, credo anch'io che i parlamentari pronti a seguire l'improbabile “strappo” di Fini non saranno più di una decina. E penso: Alleanza Nazionale svanita nel nulla, disciolta nell'aere della greve aria berlusconiana. Un partito dignitoso, solido, radicato, con un notevole consenso: pouf, non c'è più. E pensare che l'ultima volta che si presentò col suo simbolo (2006) prese più di 4 milioni di voti (12,3% alla Camera e 12,4% al Senato)!
Fini e i suoi fedeli si trovano ora smarriti, consapevoli che indietro non possono tornare, dacché se avessero l'ambizione di ripresentarsi come forza autonoma di destra a delle improbabilissime elezioni anticipate, sanno benissimo che rischierebbero di star fuori del Parlamento come Bertinotti e la Sinistra Comunista.

Della felicità

«È per la felicità come per la verità: non la si ha, ma ci si è. Felicità non è che l'essere circondati, l'esser dentro, come un tempo nel grembo della madre. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Per vedere la felicità, dovrebbe uscirne: e sarebbe come chi è già nato. Chi dice di essere felice mente, in quanto evoca la felicità e pecca contro di essa. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile».

T.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino

P.S.
Son quasi sicuro di aver riportato questo brano un paio d'anni fa ma non riesco a ritrovarlo, forse perché non gli avevo messo l'etichetta giusta. Lo riporto, anche perché ripetere fa bene, soprattutto quando ci sono passaggi così sublimi di pensiero.

Leghista Casta



Ritorno ancora sulla questione settentrionale e il PD per dire, con maggior forza, che nessun tipo di leghismo (nazionalismo depotenziato) potrà essere sconfitto da un altro tipo di leghismo (tantomeno di sinistra).

«Questa interessata idiozia potrebbe essere semplicemente accantonata con il motto “il ladro crede che tutti siano nella sua stessa condizione”»¹.

E la condizione mentale della Lega è quella di chi fa il furbino, riuscendo bene a mescolare le carte in gioco: sono almeno sette anni pieni di partecipazione al governo nazionale, più un ventennio (quasi) di governo locale. Si vede hanno governato bene per molti. O, forse, sono riusciti meglio a rappresentare la condizione mentale della maggioranza degli italiani del nord: una mentalità gretta, chiusa, aperta solo per vendere i propri maglioncini o bulloni e poi - zac - chiusa ermeticamente quando si tratta di pensare anche ad altri egoismi.

Giacché rappresentare gli egoismi locali è un compito facile e difficile insieme: facile per chi ha molto pelo sullo stomaco; difficile per chi invece sente che cercando consensi stimolando bassezze mentali equivale a mortificare i propri ideali. Si vede che al Nord stanno tutti più o meno bene e tutti hanno da difendere i propri indiscutibili valori (etici e pecuniari) e le proprie identità minacciati da Roma ladrona (intesa come resto d'Italia)².

Pensa al Veneto: quarant'anni di democrazia cristiana, poi pentapartitica, poi berlusconiana, ora leghista: regione ricca sia da un punto di vista economico che culturale, per carità, alla quale poi sono legato (pare che i miei avi siano di Bassano del Grappa). Ma 'io can! come pensa il PD di riuscire a togliere consenso alla Lega o a quel tipo democristianesimo di fondo? Imitandoli? Andando per le case e le piazze a dimostrare che no, non siamo comunisti di merda, siamo solo un povero partito che cerca consenso adeguandosi alla vostra mentalità?

Senza una rivoluzione culturale profonda, senza un modo diverso di vedere il mondo e la vita è bene che continuino a governare questa destra e questa lega: veder il naufragio dell'Italia sarà più dolce³.

¹Fernando Savater, Contro le patrie, Elèuthera, Milano 1999
²Dopo quasi vent'anni di presenza parlamentare non si può parlare legittimamente di casta leghista?
³Chi vota Lega per le ragioni esposte dal manifesto elettorale è un razzista. Il PD deve chiaramente operare per far cambiare idea all'elettore non per adeguare le proprie idee a tal politica razzista di merda.

mercoledì 14 aprile 2010

Giornata poco social

Stamani ho preso la mia twingo a metano e senza radio, ho guidato per circa quaranta minuti per andare al lavoro, e mi sono rotto i coglioni tutto il giorno.


(P.S. non è vero: i soliti piccoli piaceri ci sono sempre. In più un gradito regalo: una bottiglia magnum di Val d'Oca, Prosecco di Valdobbiadene).

Come bossi ligustri o acanti

Ho letto un'irata intervista rilasciata da Massimo Cacciari a Ettore Boffano (pubblicata su Repubblica di oggi) dove il filosofo-ex sindaco di Venezia si scaglia con virulenza contro la dirigenza del Partito Democratico, secondo lui sorda negli anni passati agli appelli suoi e di altri autorevoli intellettuali del centrosinistra sulla questione settentrionale.

Non entro nel merito, mi fa fatica e non me ne importa molto. Soffro in silenzio (si fa per dire). Quello che voglio dire è: che senso ha arrabbiarsi? Al Nord hanno votato in maggioranza la Lega? Se la tengano. Governerà bene, governerà male? Giudicheranno gli elettori. Se gli elettori hanno creduto al radicamento leghista, ai loro slogan, alla loro politica con la clava e la bava, quanto senso ha recuperarli emulando simili strategie? Cioè a dire: aldilà delle ragioni di un necessario e urgente rinnovamento della classe dirigente del PD, a mio avviso sarebbe massimamente sbagliato ricalcare i passi leghisti perché, come in tutte le cose, se uno alla fine deve scegliere preferirà sempre l'originale. Tanto più nel settentrione d'Italia ove la Sinistra è cronicamente minoritaria.
Ha vinto la Lega al Nord? E vaffanculo alla Lega Nord. Si governino, si insedino nei meandri del potere coi loro uomini radicati, come bossi ligustri o acanti. Il rischio paesino è alle porte. Spero solo non rompano troppi cocci, soprattutto costituzionali. E che ci lascino sempre la libertà di dire e di dirgli (a loro e a chi li vota) “ma và a dà via i ciapp!”.

Radicamenti

Da grande volevo fare lo scrittore di fantascienza
Una mia prova su Giornalettismo (fantascienza politologica).
Buona lettura, se vi va.

martedì 13 aprile 2010

La lettaratura esiste

Il mio è un giudizio parziale e poco autorevole. Ma credo che la fortuna di leggere Formamentis (1, 2) dà conferma che la letteratura italiana ha ancora qualcosa da dire. Ossia: questa è letteratura. Il resto, quello edito freneticamente alla ricerca best-seller, lo conosco poco per dire cosa sia. Ovverosia: Formamentis è gratis ed è una fortuna che scriva così, anche sotto minaccia... (almeno che qualche agente letterario sagace della Spectre non faccia come il Barcellona con Messi: lo sequestri qualche mese, lo levi dalle beghe della piccola e media e impresa, gli dia qualche ormone della crescita, e gli permatta di diventar la Pulce delle patrie lettere: 30 € a tomo col 20% di sconto su Ibs). Voi direte: ma perché non leggi questo e quello che son tanto bravi che conviene? A me non conviene stare in libreria un'ora e mezzo per sfogliare in piedi o scomodamente seduto libri in cima alle classifiche. Comprare non li compro. Regalare non me li regalano. In biblioteca di fronte ad altri prestiti che m'attendono perdono qualsiasi prestigio. Dovrei essere pagato per leggere le novità letterarie italiane. Allora m'accontento. E godo perché, ripeto, Formamentis è un fuoriclasse che leggerei volentieri anche pagando il biglietto. E poi sono convinto: un giorno le antologie letterarie post-gelminiane conterrano di sicuro dei suoi brani. E se non lo faranno, il mondo sarà finito. La religione avrà vinto.

La tela della fede

Dato che sono un suo lettore, stasera voglio spingermi in una riflessione collaterale da lui provocata (e provocata anche da una breve - sarcastica - discussione in merito avuta con qualche mia collega oggi, ove si parlava di un pullman organizzato da una parrocchia del mio habitat lavorativo per andare a vedere il sudario di Cristo).
Bene, io penso che, aldilà del fatto stesso che la Sindone sia un falso (lo è) o meno, cosa ne viene al fedele da adorare tal sudario-feticcio? Ti perdona l'aborto? Cos'altro ti dà? Salva posti di lavoro a Mirafiori? Estendo la cosa: quand'anche una madonnina votiva di periferia pianga sangue, o tutte le altre tipologie di miracolo pagano manifestantesi nel passato, nel presente e nel futuro fossero reali manifestazioni del divino, che tipo di divino è stato, è e sarà quello che si è manifestato, manifesta e manifesterà così alla cazzo di budda? E cosa ne viene all'umanità da tali fenomeni paranormali se non ulteriore ingabbiamento nella prigione mentale della fede, della superstizione, dell'idolatria? Lo so, i miei sono discorsi inutili, infedeli, come di uno che la sa lunga. No, invece. Io non la so affatto lunga. Io so solo che chi appiccica volontariamente la propria vita a una collosa fede rimane invischiato nella tela di quella religione; e chi non comincia a dubitare e a dibattersi resta in essa intrappolato finché i ragni della casta sacerdotale non cominciano a nutrirsi della sua mente, della sua carne.

lunedì 12 aprile 2010

Nei tempi oscuri

Non si dirà: quando il noce si scuoteva nel vento.
ma: quando l'imbianchino calpestava i lavoratori.
Non si dirà: quando il bambino faceva saltare il ciottolo piatto sulla rapida del fiume
ma: quando si preparavano le grandi guerre.
Non si dirà: quando la donna entrò nella stanza
ma: quando le grandi potenze si allearono contro i lavoratori.
Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri
ma: perché i loro poeti hanno taciuto?

Bertolt Brecht, Poesie 1933-1938, Einaudi, Torino.

Tempo fa Malvino lamentava che molti fighissimi tacessero di fronte alle vicende vaticane. Non me dolgo più di tanto. Soprattutto perché, dal mio piccolo orizzonte, mi pare che i miei fichissimi amici linkati (vedi elenco sulla sinistra) non tacciano sugli eventi, più o meno di rilievo, che accadono nel mondo; e per questo, in questi tempi oscuri, non saranno accusati di silenzio.

Assonanze

Il Papa perfetto. Lunga vita al Papa.

domenica 11 aprile 2010

Lo spettro dell'amore si aggira in tutta Europa

Eccone un altro che pare voglia scendere in campo: «Continuerò a dedicare i migliori anni della mia vita alla nazione che amo ed è finalmente arrivato per tutti il momento di servire la Catalogna». Lo spettro berlusconiano si aggira per l'Europa nonostante i distinguo, a quanto pare (con qualche lieve inflessione da sorcino). Ma che amore questa nazione, questa patria, questo suolo natìo, questa terra, ah che amore. Ma perché non si dedicano al giardinaggio?

E tutto perché Messi mette (o Metti messe) la palla in rete.

Una simpatica testa di cazzo

Presidente Napolitano, La prego, controlli gli aggettivi.

Ovunque andrete, sarete perseguitati

Per settembre, in previsione della visita in Gran Bretagna di Benedetto XVI, consiglio il Vaticano di non assoldare avvocati suggeriti da Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor: potrebbero non bastare a impedire l'arresto del Papa.

sabato 10 aprile 2010

Il ridicolo tra noi



«Ma quasi sempre gli esseri umani sono ridicoli, e quasi sempre le opere d'arte sono ridicole, diceva Reger, e lei¹ può risparmiarsi la fatica di ridicolizzarli e ridurli a caricature. Quasi tutti gli esseri umani sono comunque incapaci di ridurre le cose a caricature, essi osservano tutto fino in fondo con la loro aria terribilmente seria, diceva, e non sono neppure sfiorati dall'idea di una caricatura, diceva. Vanno a un'udienza papale, diceva, e prendono sul serio il Papa e l'udienza, vita natural durante; è ridicolo, la storia dei papi è piena zeppa di caricature, diceva. Certo che San Pietro è grande, diceva, ma non si può dire che non sia ridicola. Provi a entrare in San Pietro e a sbarazzarsi completamente delle centinaia e delle migliaia e dei milioni di menzogne storiche del cattolicesimo, e vedrà che senza dover aspettare a lungo tutta San Pietro si trasformerà per lei in una cosa ridicola. Provi a recarsi a un'udienza privata e ad aspettare il Papa, e vedrà che ancora prima che arrivi, il Papa le sembrerà ridicolo, e in effetti è proprio ridicolo quando si presenta nel candore kitsch del suo abito di pura seta. Ovunque in Vaticano lei volga lo sguardo, tutto è ridicolo; purché lei si sia sbarazzato delle menzogne storiche del cattolicesimo e della piccineria universale del cattolicesimo, diceva Reger. Vede, il Papa cattolico se ne sta seduto come un burattino giramondo, imbellettato e impantofolato sotto la sua campana di vetro antiproiettile, circondato da burattini di rango superiore e inferiore imbellettati e impantofolati e il tutto è ridicolo, disgustosamente ridicolo».

Thomas Bernhard, Antichi maestri, Adelphi, Milano 1992 (pag. 79-80)

¹Reger, il protagonista del libro, parla all'io narrante dello scrittore. Reger è un vecchio signore, esperto di arte (un critico?) che passa seduto intere giornate nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna, guardando il celebre Ritratto di uomo dalla barba bianca di Tintoretto.

venerdì 9 aprile 2010

Soffione boracifero



Non che me ne importi più di tanto: anzi, in fondo sarebbe meglio lui che tanti altri ricconi di peggior estrazione (tipo: oligarchi russi o principi sauditi per esempio o altri magnati immeritevoli... mi piacerebbero invece un Jobs, o un Page, o un Brin...); tuttavia, di passata, mi chiedo: come mai tutte le volte che Berlusconi prova a comprare casa in Toscana, e arriva lì lì per fare il compromesso, poi alla fine si ritira e non compra nulla? Maremma maiala lo so io perché, e lo so io...
Se davvero Berlusconi pigliasse residenza in Toscana, sarebbe costretto a fare a meno di una centrale nucleare francese, dacché tutte le volte che vi soggiornerebbe, la maggioranza dei toscani dai mòccoli* accenderebbe l'aria trasformando la regione in un enorme, blasfemo, soffione boracifero.


*Relativo alla terza accezione.

giovedì 8 aprile 2010

Guardie stagliate contro il cielo



Non ci avevo mai pensato. Gli anni erano passati.
Molti anni. Avevo tante altre cose
di cui preoccuparmi. Oggi stavo sulla sedia del dentista
quando entrò la sua nuova assistente
che finse di non riconoscermi per niente
mentre diligentemente aprivo la bocca.

La stringevo tra i cespugli dell'argine
e volevo che sciogliesse il reggiseno.
Il cielo si oscurava, e tuonava
quando alla fine lo fece, tanto che il primo
gocciolone bagnò uno dei suoi capezzoli bruni.

Era più bello di quel che faceva ora alla mia bocca.
Mentre mi contorcevo, e aspettavo una strizzatina d'occhio,
mi colse uno scoppio di risa al ricordo di noi due
che ci abbottoniamo, che corriamo fradici
sotto la prigione con le guardie armate
che nelle torri si stagliano contro il cielo.

Charles Simic, Hotel Insonnia, Adelphi, Milano 2002

Mikhail Khodorkovskij



Da sempre - da quando cioè è stato arrestato e condotto in una novella Kolyma, e da quanto le notizie, poche notizie, hanno fatto sapere - sono convinto che quest'uomo sia stato accusato ingiustamente. E il dramma per lui è che in Russia non c'è più un regime comunista dal quale sperare di essere esiliati su pressione dell'opinione pubblica internazionale.
Mi auguro che presto Mikhail Khodorkovskij venga liberato, anche solo per permettergli di raccontare liberamente la sua versione dei fatti.

Qui ho trovato alcune sue Lettere dal carcere

Farsi odiare per farsi amare

Giornalettismo ha pubblicato questo mio articolo “evangelico” (si fa per dire).
Buona lettura, se vi va.

mercoledì 7 aprile 2010

La parola come maschera del pensiero

«Fu Talleyrand che disse: “La parola serve non a rivelare ma a mascherare il pensiero”.
Vattelappesca quello che intendeva dire con questa frase, visto che parola gli serviva a mascherare il pensiero. Comunque, la massima riassume i canoni della politica di quel grande, rimasti poi tradizionali nella diplomazia, il cui studio fu sempre di dire il contrario della verità.
Voi direte che, una volta scoperto il sistema, esso perde ogni efficacia poiché basterà interpretare a rovescio le parole dei diplomatici. È quello che penso anch'io. Non capisco perché i diplomatici si ostinino a dire il contrario della verità, quando tutti sanno benissimo che bisogna intendere l'opposto di quello che dicono».

Achille Campanile, Vite degli uomini illustri, Rizzoli, Milano 1975

La memoria e la mano

È un piccolo passo, piccolo, ma importante. Ricordare e ammettere (sia pure parzialmente) le responsabilità fa sempre bene alla storia. Ricordare però non serve a niente, esimio Vladimir Putin, se la memoria poi non blocca la mano pronta a commettere crimini analoghi. Ciò che a Katyn viene ricordato, a Grosny viene dimenticato.

martedì 6 aprile 2010

Toro seduto

«Il teologo Yeshuotl sollevò gli occhi e disse a Monsieur Godeau: “Se volete davvero regolare la vostra vita e giudicare la storia, dovrete almeno sapere come Dio passa le sue giornate. Egli si è riservato in cielo un certo luogo, di quattro cubiti per lato, e lì studia il Talmud durante le prime tre ore del giorno. Dalla quarta alla settima ora, Dio siede e giudica il mondo. Ma, poiché vede che il mondo è colpevole, si alza dal seggio della Giustizia e va a sedersi sul trono della Misericordia. Durante la terza parte del giorno, Egli è lì seduto e nutre il mondo, dal rinoceronte alle pulci. Durante la quarta parte del giorno, Dio è seduto e gioca con il Leviatano”».

Roberto Calasso, La rovina di Kash, Adelphi, Milano 1983

Questo Dio qui descritto ricorda da vicino l'attuale pontificato. Ma non tanto per la sua Giustizia, per la sua Misericordia, per la sua Carità; quanto per il suo “giocare” con il Leviatano.


lunedì 5 aprile 2010

«L'assurda pretesa di aver ragione»

a Malvino, con amarezza.

«Molti anni fa Giulio Bollati mi aveva raccontato che una volta un taxi su cui si trovava era passato con il rosso e un'auto, in transito con il verde, aveva strombazzato; al che il taxista sbottò: “Se ne approfitta perché ha ragione”. Bollati mi aveva detto di avere imparato più da quella frase che dalla sua libera docenza; era un paradosso ma fino a un certo punto. Perché lo stesso argomento l'ho ritrovato nel grande pensatore conservatore Joseph de Maistre, per esempio quando sostiene che i Protestanti sono inferiori ai Cattolici perché coltivano “l'assurda pretesa di aver ragione”».

Maurizio Ferraris, "Rossi [Paolo] contro sciamani e sciatori", Domenica del Sole 24 Ore, 4 aprile 2010

In un commento a questo post malviniano, Formamentis scriveva: «La ragione è esausta». Sì, la ragione è stanca di questa continua derisione, di questo incessante menefreghismo. La ragione la pigliano sempre i più bischeri (o coglioni). A dominare il mondo è qualcosa d'altro che la ragione. La ragione non ce la fa a prender le redini del potere perché la ragione dubita, s'inceppa, medita... Mi fermo ché sono appannato. Non vorrei sragionare (o vorrei che il sonno - mio - della ragione portasse consiglio per scrivere qualcosa di più sensato in merito).

Si deduce un cosmo, quando si deduce un autore

«In forza di quanto precede, se non si può dedurre un testo da un autore - anche se è più che legittimo, e verificabile sperimentalmente, un certo sistema di attese, e magari un certo calcolo previsionale: dato il mio io, ci si può aspettare un certo tipo di titolo, per esempio - si può benissimo, anzi si deve, dedurre un autore dal testo. L'importante è che il pensiero, così correttamente orientandosi, seguendo una giusta corrente deduttiva, non corra subito alla prima robinsonata che gli capita. Considero, per me, definitivamente acquisita la lezione di Lucien Goldmann, intorno al gruppo sociale come vero autore e produttore testuale e ideologico. Detto questo, si può dire, e forse si deve dire, che il primo problema che un testo pone, appena posto il testo, è un problema attributivo. L'importante è non scambiare questo solenne problema con la ricerca minimale di un'etichetta nominale semplice, di un timbro anagrafico, anche se, in via sbrigativa, l'insegnante che apre un'indagine in classe, per sapere chi abbia mai scritto con il gesso, sopra la lavagna, una proposizione irriguardosa o indecente, può innalzarsi al grado di attante paradigmatica, in simile procedimento. Perché ormai lo sappiamo pure che, risolta l'indagine, designato il reo, è per la nota sul diario o sul registro, è per l'espulsione da comminarsi eventualmente, che tutto questo basta e avanza. Ma poi c'è la famiglia, precisamente, e i cattivi compagni, e la storia intiera dello sciagurato alunno, e il consiglio dei genitori, e i rappresentanti di classe, e il signor preside, e l'assistente sociale. Si deduce un cosmo, quando si deduce un autore. È questa folla di persone che sono le veraci figure di un'attribuzione in senso forte. Ed è questa che ho in testa, appunto».

Edoardo Sanguineti, La missione del critico, Marietti, Genova, 1987 (pag. 206)

domenica 4 aprile 2010

Pasqua 3.

Allora, siccome mi faceva fatica scriverlo tutto in inglese, il poema 1929 di Auden l'ho trovato qua e ri-pubblicato nel mio blog di scorta. Tuttavia, sono obbligato a pubblicare qui la traduzione dell'ultima strofa, la IV. Da questa il titolo del post. Buona lettura.

È tempo per la distruzione dell'errore.
Le sedie vengono riportate dal giardino,
la conversazione estiva s'arrestava sulla costa selvaggi
prima dei temporali, dopo gli ospiti e gli uccelli;
nei sanatori si ride sempre meno,
meno certi della cura; e il rumoroso pazzo
ora sprofonda in una terribile calma.
I bambini che cadono lo sanno, i bambini,
mentre giocano sul mucchio fumante di alcali
o presso il campo da foot-ball inondato lo sanno -
questo è il giorno del drago, del divoratore:
ordini sono dati al nemico per un tempo
con sotterranea proliferazione della muffa,
con il costante bisbiglio e la domanda casuale,
di frequentare l'avvelenato nella sua casa evitata,
di distruggere l'efflorescenza della carne,
il gioco intricato della mente, d'imporre
la conformità con l'osso ortodosso.

Tu con cui passeggio piacevolmente, che tocco
o attendo come chi è certo del proprio bene
noi sappiamo questo, sappiamo che l'amore
richiede più dell'ammirativa eccitazione dell'unione,
più del brusco autoconfidente addio,
del calcagno sull'estrema lama dell'erba,
della fiducia di sé della radice cadente,
richiede la morte, la morte del grano, la nostra morte,
la morte della vecchia brigata; li vuol lasciare
nella tetra vallata dove non ci si fa un amico,
la vecchia brigata da dimenticarsi in primavera,
la ruvida sgualdrina e il maestro di equitazione
irrigiditi sotto terra; profondo nel chiaro lago
lo sposo in panciolle, bello, là.

Wystan Hugh Auden, Opere poetiche, (Traduzione di Aurora Ciliberti), Lerici, Roma 1969

1929 W.H. Auden

Avevo pubblicato tutto il poema di Auden.
Poi, per motivi di spazio, ho deciso di metterlo qui, nel mio blog di scorta.

Pasqua 2.

«[...] ho citato il fisico Paul Davies il quale proclama che la capacità riflessiva della mente umana non può essere “un dettaglio banale, un sottoprodotto secondario di forze prive di mente e scopo” e ho suggerito che il fatto di essere un prodotto collaterale di forze prive di mente e di scopo non la priverebbe di importanza. Ho anche sostenuto che Darwin ha fatto vedere come, in effetti, ogni cosa importante è proprio un prodotto siffatto. Spinoza chiamava l'essere supremo Dio o Natura (Deus sive Natura), esprimendo in tal modo una sorta di panteismo. Si sono avute molte varietà di panteismo, ma di norma non riescono a spiegare in modo convincente in che modo Dio è distribuito in tutta la natura. [...] Darwin offre una spiegazione: è nella distribuzione del Progetto in tutta la natura, che genera, nell'albero della vita, una creazione assolutamente unica e insostituibile, uno schema di fondo reale nelle immisurabili estensioni dello spazio dei progetti che non si potrebbe mai riprodurre esattamente nei suoi numerosi dettagli*. Che cos'è il lavoro progettuale? È quel meraviglioso connubio di caso e necessità, che si realizza in migliaia di miliardi di luoghi nello stesso momento, a un migliaio di miliardi di livelli differenti. Quale miracolo ne è stato la causa? Nessun miracolo. È semplicemente capitato che accadesse, a tempo debito. Si potrebbe persino dire, in un certo senso, che l'albero della vita si è creato da solo. Non in un unico fiotto istantaneo e miracoloso, ma con un'estrema lentezza, nel corso di miliardi di anni.
Questo albero della vita è un Dio che si potrebbe adorare? Pregare? Temere? Probabilmente no. Tuttavia, ha effettivamente creato l'edera e il cielo blu [...] L'albero della vita non è perfetto né infinito nello spazio o nel tempo, ma è reale, e se non è l'Essere di cui non si può immaginare nulla di più grande di sant'Anselmo, è senz'altro un essere più grande di qualsiasi cosa chiunque tra noi potrà mai concepire a un livello di dettaglio degno dei suoi dettagli. È qualcosa di sacro? Sì, rispondiamo Nietzsche e io. Non potrei rivolgergli una preghiera, ma ne posso affermare la magnificienza. Questo mondo è sacro».

Daniel C. Dennett, L'idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 1997

P.S.
Non sono talmente esperto da dare una mia risposta al prof. Massimo Piattelli Palmarini. Tuttavia, mi chiedo se egli abbia letto questo passaggio dennettiano; giacché se così fosse, alla seguente domanda di Angelo Aquaro [vedi qui]
«E che cosa cambia quando spostiamo la selezione naturale dal piedistallo?» non credo che avrebbe così risposto:
«Si reintroducono le scienze sociali: la filosofia, la filosofia del diritto, dell' estetica. Si reintroducono quei grandi temi che per fortuna non sono mai morti».


*Grassetto mio

Pasqua 1.

1929
It was Easter as I walked in the public gardens,
Hearing the frogs exhaling from the pond,
Watching traffic of magnificent cloud
Moving without anxiety on open sky—
Season when lovers and writers find
An altering speech for altering things,
An emphasis on new names, on the arm
A fresh hand with fresh power.
But thinking so I came at once
Where solitary man sat weeping on a bench,
Hanging his head down, with his mouth distorted
Helpless and ugly as an embryo chicken.

Camminavo a Pasqua lungo i giardini pubblici
ascoltando le rane esalare dallo stagno,
osservando il variare d'una magnifica nuvola
che si moveva senz'ansia nel cielo aperto -
la stagione in cui amanti e scrittori trovano
un discorso che muta per cose in mutamento,
un'enfasi sui nomi nuovi, sul braccio
una mano fresca con un fresco potere.
A questo pensando venni improvvisamente
dove un uomo solo piangeva su una panchina,
la testa abbandonata, la bocca distorta,
brutto e indifeso come un pulcino in embrione.



Questa la prima strofa di uno dei più considerevoli poemi del Novecento.


Wystan Hugh Auden, Opere poetiche, (Traduzione di Aurora Ciliberti), Lerici, Roma 1969

sabato 3 aprile 2010

Sabato santo


«Ogni tentativo di riportare alla sua natura il sentimento cristiano della vita, va a scapito del principio di autorità. La Chiesa riformata insegna.
Il cristianesimo è un fatto umano, soltanto umano. Il più umano dei sentimenti. Opera da uomo a uomo. Si muove sul piano orizzontale. È un sentimento che ogni uomo ispira agli altri uomini, ogni uomo trae dagli altri uomini. (L'allargamento, cui io tendo con tutto l'animo, del sentimento cristiano della vita, porterà alla cristiana comunione con le creature e le cose di là dall'uomo: animali, piante, minerali; e con le particelle che compongono le creature e le cose; fino alle cellule e agli atomi; e di là dalle cellule e dagli atomi; e allora solamente sarà raggiunto il pieno, profondo sentimento cristiano della vita). Il cristianesimo, questo fatto ‘umano’, lasciatelo a noi uomini. Mutando la sua naturale posizione, e dalla posizione orizzontale rizzandolo alla (verticale) posizione dell'autorità, non solo si altera la sua natura, ma si isterilisce assieme le sue fonti di fecondità, si fiacca la sua energia. Cristianesimo è continuazione di noi stessi nella umana collettività e in tutto ciò che è. Cristianesimo è associazione dei singoli egoismi. Il nostro proprio egoismo nell'egoismo altrui, e l'altrui nel nostro. È la nostra propria energia di vita messa in comune con l'altrui. È la fusione di tutte le umane energie di vita, e sarà la fusione delle energie umane e non umane. Gelatina ineffabile, nella quale come caschi, caschi bene. Vogliamo pensare, fratelli della comune gelatina, vogliamo pensare alla fisica atomica come alla ‘scientifica’ riprova del sentimento cristiano della vita? Vogliamo salutare qui la fine di una mostruosa soluzione di continuità? Vogliamo celebrare la fusione di materia e spirito, anima e corpo, fisico e metafisico?
Prima di Cristo, questa energia era chiamata Eros nella lingua di Platone, e salutata con le parole di Lucrezio nell'alma Venere. Cristo approfondì questa energia e il sentimento che la esprime, allargò il repertorio dei comuni interessi umani svegliando il voluttuoso sentimento della pietà e quello più voluttuoso ancora della carità, rese anche più ‘umano’ questo più umano dei sentimenti. Il quale, perché così umano appunto, non regge a quanto umano non è, non regge soprattutto all'autorità unica e accentratrice - questo arresto, questa paralisi, questo punto. E ancor meno regge al riflesso metafisico dell'autorità: Dio. Ateo è il cristianesimo. E se ateo io sono, tale non per ragionamento io sono, ma perché cristiano».

Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, (voce: Europa), Adelphi, Milano 1977