venerdì 31 dicembre 2010

Buona festa



Com'era il paesaggio intorno alla sua capanna?

Mentre Darjeeling è a non so quante migliaia di metri di altezza – un paesaggio alpino quindi – Rishikesh è in riva al Gange; ma qui il Gange è piuttosto piccolo: a volte cinquanta metri, e poi duecento, di colpo; a volte è strettissimo: venti metri, dieci metri, era la giungla, la foresta. Ai miei tempi non c'era nulla, solo delle capanne e un piccolo tempio indù. Non si vedeva mai nessuno. Nella foresta le capanne erano sparse su due o tre chilometri, a duecento metri una dall'altra, a volte centocinquanta metri o cinquanta. Da lì si saliva verso Lakshmanjula, la prima tappa del mio pellegrinaggio, per così dire. Lassù la montagna è abbastanza alta. C'era una serie di grotte e in quelle grotte venivano dei religiosi, dei contemplativi, degli asceti, degli yogi.

E lei come aveva scelto il suo guru?

Era Swami Shivanananda, ma a quell'epoca era sconosciuto, non aveva pubblicato nulla (in seguito ha pubblicato circa trecento volumi...). Prima di diventare Swami Shivanananda era stato medico, aveva una famiglia, conosceva benissimo la medicina europea avendola praticata, credo, a Rangoon. E poi un bel giorno aveva abbandonato tutto. Ha abbandonato gli abiti europei ed è venuto, a piedi, da Madras a Rishikesh. Ha impiegato quasi un anno a percorrere il tragitto. È un uomo che mi interesava perché, dal canto suo, aveva una formazione occidentale. […] Era un uomo che conosceva bene la cultura indiana e che poteva comunicarla a un occidentale. Non era un erudito, tuttavia aveva un'esperienza himalayana piuttosto lunga: conosceva gli esercizi dello yoga, le tecniche della meditazione ed era medico: di conseguenza capiva bene i nostri problemi. È quindi lui che mi ha fatto un po' da guida nelle pratiche di respirazione, di meditazione, di contemplazione. Tutte cose che sapevo a memoria, in quanto non solo avevo ben studiato i testi e i commentari, ma anche sentito altri saddhu e contemplativi a Calcutta, nella casa di Dasgupta e a Santiniketan, dove avevo incontrato Tagore: si aveva sempre occasione di incontrare qualcuno che aveva già praticato un certo metodo di meditazione. Conoscevo quindi un po' più a fondo quel che c'è nei libri, ma non avevo mai provato.

Mircea Eliade, La prova del labirinto, intervista con Claude-Henri Rocquet, Jaca Book, Milano 1980, traduzione Massimo Giacometti.

E se andassimo tutti (no, tutti no: alcuni) in India, in qualche India possibile, (anche se abbiamo il doppio, quasi, degli anni che aveva Eliade quando partì da Bucarest negli anni Trenta dello scorso secolo), oppure in un angolo di India del mondo e ce ne fottessimo di queste ricorrenze, di questi riassunti, di questi falsi sguardi di prospettiva, di questi messaggi presidenziali di fine anno, degli auspici, degli aruspici, e via liberi, liberi e soli nel bosco, o nella giungla, in una grotta, o in cima a un colle, l'aria fina, l'ebbrezza di vedere accanto la volpe con un pollo in bocca, ma... sono io il pollo catturato, mangiato, ehi, servo a qualcosa, sono fuori dello schema previsto dall'allevamento nel quale tutti (no, tutti no: alcuni) siamo costretti. Prendiamo in mano secoli, millenni di cultura prodotta da mani e volti che ci assomigliano. Diventiamo schiavi solo del libero pensiero, disponiamoci «a ricevere qualsiasi rivelazione per il tramite della cultura... ad apprendere e a risvegliarci alla vita [mediante] lo spirito dei libri» (ibidem).

La battaglia degli Ignazî

Il Presidente della Repubblica Brasiliana, Ignacio Lula da Silva, ha negato l'estradizione di Cesare Battisti. Scrive Le Monde a proposito della reazione italiana:

«Quant au ministre de la défense, Ignazio La Ruzza, il juge "injuste et gravement offensante" la décision du président brésilien. "Les pires prévisions se sont avérées", mais le pays "tentera absolument tout" pour obtenir l'extradition de Cesare Battisti, a-t-il affirmé. L'Italie a également annoncé qu'elle rappelait pour consultation son ambassadeur au Brésil».

giovedì 30 dicembre 2010

Il qualunquismo del Comandante Ernesto

«È così che alla fine siamo condannati a questo necessario, disperato, qualunquismo. Agli italiani non sta restando altro. Disperato perché frutto dell'attesa vana che finalmente da dove può e deve, cioè dalla politica, venga una parola di verità sul nostro oggi e sul nostro ieri. Una parola che non ci esorti - e a che cosa poi? A credere in un ennesimo partito, in un'ennesima combinazione governativa? - ma che ci sfidi: ricordandoci gli errori che abbiamo tutti commesso, i sacrifici che sono ora necessari, le speranze che ancora possiamo avere. Per l'Italia è forse iniziata una corsa contro il tempo, ma non è affatto sicuro che ce ne resti ancora molto».

Generalizziamo. È così facile, benefico, disintossicante. Uno si alza di umor nero e prende a schiaffi il rotolo della carta igienica, si fa linguaccia allo specchio, sbadiglia come l'orso Yoghi. Fa molto figo generalizzare, è un sentimento simile alla soddisfazione maschile di orinare a zampillo in uno stagno, in un fiume, in un lago, nel mare. La memoria dell'acqua conserva il nostro contributo genetico così come i preparati omeopatici conservano la memoria dei principi attivi. Paragone calzante? Non lo so, so solo che se uno, come Galli Della Loggia, addiviene ad un «disperato qualunquismo» dovrebbe avere l'onestà intellettuale di riconoscere il proprio fallimento come editorialista (opinion-maker) del più (ehm ehm) autorevole quotidiano d'Italia, in quanto non è riuscito a educare né la classe dirigente né la società civile italiane nonostante egli, coi suoi sermoni laici, abbia orinato, a zampillo, da svariati anni nelle acque dell'opinione pubblica italiana.

Infine sarei curioso di sapere cosa intende esattamente Galli Della Loggia quando dice che dalla politica bisogna aspettarsi «parole di verità» non che ci esortino (noi cittadini), ma che ci sfidino a riconoscerci equanimente responsabili dello sfascio politico-sociale d'Italia. Vale a dire, egli crede che sia sufficiente che gli attuali politici riconoscano la gravità della situazione e che se ne sentano responsabili come e quanto più di noi per infondere speranza e per far sì che essi acquistino l'autorevolezza per richiedere “sacrifici” alla cittadinanza...?
Insomma, esimio professor Ernesto, non la si fa nemmeno questa volta la rivoluzione vero?

mercoledì 29 dicembre 2010

Quando l'istante


Cînd s-ar orpi secunda

Păianjenul visării parc.ar sui cu frică
Şi ar călca, per firul nădejdilor întins,
Care-şi destramă vîrful, per cît i se ridică
Un căpătiîi în haos, de-o stea de unde-i prins.

Singurătatea-n zale mi-a străjuit cavoul
Ales pentru odihna rănitului oştean
Şi i-a cules auzul catifelat ecoul
Cu şase foi, al frunzei căzute din castan.

De mult păzeşte cripta şi treapta ce scoboară
Dar vremea, nentreruptă de morţi şi crăci uscate,
Prin mîinile tăcerii, de ceară, se strecoară
Ca un fuio de pulberi şi brume deslînate.

Intercalate-n ritmul unìcului viu vers
Ar mai simţi cadenţa, de-a pururi ascultată
De valuri şi de zodii, egale-n pasul mers,
Cînd s-ar opri secunda şi inima să bată?
Quando l'istante...

Forse il ragno del sogno rampica con paura
salendo lungo il filo delle speranze teso,
che dissolve sua cima – a tanto s'è innalzato
l'un dei capi nel caos – da stella a cui è appeso.

La solitudine in armi ha vegliato la tomba
scelta per il riposo del guerriero ferito
e ha raccolto l'udito suo vellutato l'eco
a sei petali di foglia caduta dal castagno.

Da molto veglia la cripta e il gradino che scende,
ma il tempo, non fermato da morti e rami secchi,
s'insinua tra le mani di cera del silenzio
come biocco di polveri e brume sfilacciate.

Intercalati al ritmo del solo verso vivo
udrebbero ancor la cadenza, in eterno ascoltata,
di onde e costellazionei, che van con passo uguale,
l'istante e il cuore quando cessassero di battere?

Tudor Arghezi, Accordi di parole, Poesie 1927-1967, Einaudi, Torino 1972 (traduzione di Marco Cugno)

Un anno di scuse

«Alcune passeranno alla storia, altre resteranno solo negli annali del gossip e dello sport, ma l'anno che sta finendo ha sicuramente segnato la vita di molti personaggi pubblici che si sono trovati a dover chiedere scusa per le proprie azioni o per l'istituzione che rappresentano.Dalle richieste di perdono per molti personaggi pubblici. Dalle scuse del Papa sulla pedofilia alle parole del premier inglese sulla strage della Bloody Sunday, dal mea culpa di Tiger Woods alle assunzioni di responsabilità di Cassano e Morgan, una retrospettiva sulle scuse degli ultimi 12 mesi» Vedi qui

Sono in tanti, in molti, forse in troppi quest'anno a chiedere scusa... scusa, scusa, scusa una sega.
Un detto popolare dice: non si levano gli occhi alla gente e poi si va a medicarne i buchi
Per qualcuno, poi, insomma chiedere scusa pubblicamente lo trovo davvero eccessivo.
Comunque, via, un po' di cenere in capo meglio di niente (anche se, per qualcuno, consiglierei il rito dell'Ashura). 
Tuttavia, qualcuno manca all'appello. Io non ho detto niente ma voi sapete bene a chi mi riferisco.

Al di sopra del Po


«Ci sono milioni di persone al di sopra del Po che ne hanno piene le scatole e che sono pronte a battersi per ottenere la libertà». Umberto Bossi.
Ora, io mi chiedo, se per caso ci fossero milioni di persone che al di sotto del Po avessero anche loro le scatole piene e fossero pronte a battersi per la libertà, vorrei sapere la libertà da chi? Da quelli che abitano al di sopra? Ma se sono questi che, secondo Bossi, non hanno la libertà! Ma chi l'ha presa questa libertà? O meglio: dove si trova? Al di sopra o al di sotto del Po?
La libertà era in Arno, ma c'è stata la piena ed è sfociata nel Tirreno; dipoi forti correnti settentrionali l'hanno trascinata verso sud. Pare si sia arenata a Lampedusa, in un Centro di Prima Accoglienza. Dato che essa è necessariamente senza documenti, ci sono forti probabilità che le forze dell'ordine non la riconoscano e la scambino per una Clandestina. 

martedì 28 dicembre 2010

You broke it, you fix it

In un mio post precedente, criticando un editoriale di Avvenire, elogiavo il colpo di mano di Barack Obama «di inserire in sordina l'idea del testamento biologico per tutti nella sua riforma sanitaria». Speriamo che ce la faccia, d'accordo. Ma altresì speriamo che il Presidente degli USA non ce la faccia, o meglio, non se la senta di promulgare quel bastardo decreto presidenziale del suo predecessore relativo ai prigionieri a priori di Guantanamo. Ovvero, speriamo che la forza di Obama sia sufficiente per correggere la stortura del Diritto (internazionale) che vede degli individui privati della loro libertà senza essere stati giudicati, ma solo perché sospettati di essere potenziali terroristi.
In potenza siamo tutti capaci di male.
In potenza siamo eziandio tutti capaci di bene.
Conciossiacosaché chiudete Guantanamo.

Postille al Nuovo Manuale di Poesia 4 e 5..

4 If a man conceives of a poem,
   he shall have one less child.

5 If a man conceives of two poem,
   he shall have two children less.
4 Se un uomo concepisce una poesia,
   avrà un figlio in meno.

5 Se un uomo concepisce due poesie,
   avrà due figli in meno¹.

La poesia è antievolutiva. Poesia e masturbazione (mentale e non) hanno sempre fatto il paio. La poesia trattiene, non semina, eiacula parole/memi non geni, diffonde solo l'ombra della cosa, non la cosa stessa. La poesia, infatti, è nata quando l'uomo disgiunse l'oggetto dalla sua rappresentazione; ovvero quando l'uomo cominciò a sospettare che il Verbo, più che il Principio, fosse solo una conseguenza di un corpo poco adatto alla specializzazione.
La poesia è anticommerciale, in essa non puoi scrivere In God We Trust dacché cosa ci compri con una poesia, cosa vuoi investire con dei versi... un bacio, una carezza, una mano che ti prende il polso e ti dice sei messo male, uomo?
Concepire una poesia è porsi fuori della carne: esposizione di se stessi alle catene di un mattatoio. Ciondolanti, i poeti decifrano a testa in giù i segni dei tempi. Chi scrive poesia non soffre di vertigini. I poeti annusano il mondo ma non marcano il territorio: pensano che il seno o il torso (a seconda dei gusti) siano le navicelle che consentono al corpo di lanciarsi nello spazio interlunare, là dove eros e agape sono ricongiunti. 
Infine: conoscete per caso un poeta che sia figlio di un poeta? I poeti non appartengono alla categoria dei notai e dei farmacisti... sono strutturalmente vocati alla liberalizzazione delle anime.
¹Mark Strand, The New Poetry Handbook, da Il futuro non è più quello di una volta, Minimum Fax, Roma 2006, traduzione di Damiano Abeni

Avere un'idea individualista

«Obama ha mostrato una volta ancora di avere un’idea individualista e disinvolta del diritto all’assistenza, con una scelta sostanziale e procedurale che lascia esterrefatti».


Questa frase di Francesco Ognibene su Avvenire di oggi potrebbe suonare come un bel complimento se fosse isolata dal contesto in cui è stata detta.
Ma noi sappiamo bene che l'individualismo, su certi temi, non può essere sostenuto, come insegnano anche gli inzuppatori pomeridiani ai tea party del conservatorismo guerrafondaio americano. Posso essere individualista nel fare che cazzo mi pare in vari settori della mia vita (consumismo sfrenato, sfruttamento del prossimo, uso delle armi, caccia e pesca indiscriminate), ma se si tratta di essere informato per decidere cosa fare quando l'esistenza comincia a tribolare no, su questo terreno l'individualismo non deve mettere piede, Dio non vuole, peccato tremendo, solo il magistero ecclesiastico può pronunciarsi, per carità, all'ovile all'ovile, non siamo padroni del nostro destino.

(È chiaro comunque che Avvenire attacca la politica di Obama affinché la politica italiana intenda: chiunque in futuro si azzarderà a proporre una legge sul testamento biologico sappia in anticipo che i Corvi Rossi vorranno il suo scalpo).

lunedì 27 dicembre 2010

Mikhail Khodorkovskij 2.

Ripeto una cosa già detta in passato: se ci fosse ancora il regime sovietico, Mikhail Khodorkovskij avrebbe avuta una speranza in più di essere liberato, o anche solo di essere esiliato, o ancora più semplicemente ascoltato dalla opinione pubblica internazionale - e forse anche case editrici come la Mondadori avrebbero fatto carte false per pubblicare le sue lettere, le sue memorie. E invece no, invece, come ha detto Vladimir Putin prima che la sentenza fosse emessa «il ladro deve rimanere in galera».

Se Khodorkovskij si fosse comprato una squadra di calcio, anche estera (tipo il Chelsea... Abramovich insegna), invece d'intestardirsi con quei giochi sporchi della democrazia e delle libertà individuali, allora sarebbe in panciolle nel suo panfilo alla ricerca delle estati del mondo.

P.S.
Meno male che i Moratti operano in Italia.
Speriamo che le pressioni anglo-americane servano a qualcosa.

Spurghi giornalistici


Quando un giornalista usa il suo spazio in colonna per spargere bottino¹ e lanciarlo addosso a qualcuno, è giusto che vi sia un secondo giornalista che espurghi il malcapitato e spruzzi il bottino raccolto sulla faccia adatta alla concimazione del primo giornalista (nella speranza che questo lo ammutolisca per un po').

¹Naturalmente, nella seconda accezione.

Corpi nel pomeriggio

«Il mio miraggio di sconfiggere l'ostilità dei corpi, del suo corpo, non certo del mio, del suo corpo al mio, di conquistare il distacco dei corpi, del mio corpo, non certo del suo, del mio corpo dal suo, di approdare, insomma, a un armistizio tra i nostri corpi, la fine della ripulsa e dell'avidità, origini di ogni male, ostacolo, impedimento, proibizione a contare uno con l'altro, uno per l'altro, uno dell'altro. Lottare con le parole è duro, una nuova goccia di sudore mi si stacca dal mento, questo foglio è costellato di erosioni, quasi ci avessi pianto sopra. Abbandono la biro, mi alzo, attraverso le imposte guardo la vampa, il giallo pomeridiano che corrompe il paesaggio troppo conosciuto».

Oreste Del Buono, I peggiori anni della nostra vita, Einaudi, Torino 1971

If

domenica 26 dicembre 2010

Postille al Nuovo Manuale di Poesia 2 e 3.

2 If a man lives with a poem
   he shall die lonely.

3 If a man lives with two poems,
   he shall be unfaithful to one¹.
2 Se un uomo vive insieme a una poesia,
   morirà solo.

3 Se un uomo vive insieme a due poesie,
   ne tradirà una.


Allora, un dato è certo: vivere con la poesia è problematico – solitudine, tradimenti...
Vivere con una sola poesia è credere che esista una sola scrittura, un solo salmo. Sacralizzare una poesia significa fare un feticcio, un idolo della stessa. Una sola poesia è clausura mentale, dacché o una poesia ci spinge verso un'altra poesia (parola chiama parola) oppure a se stessa ci lega (relega), diventando versetto satanico, preghiera, rituale. Chiusi nel cerchio, soli, poveri uomini con in mano solo un libro sacro davanti al quale inginocchiarsi.
Vivere con due (o più) poesie comporta il tradimento di una (o di molte); ma in realtà non è tradimento ma collegamento. La poesia ci rimanda nelle braccia di un'altra poesia e così via fino all'ultima poesia che sarà scritta su questo pianeta. Il guaio è che le poesie sono un po' gelose, vogliono la nostra esclusività, tutte a sgomitarsi nello spazio memetico del nostro cervello. Ma l'essere umano che tradisce una poesia, in realtà la diffonde seminando parole. Cantami o diva del Pelide Achille eccetera.

¹¹Mark Strand, The New Poetry Handbook, da Il futuro non è più quello di una volta, Minimum Fax, Roma 2006, traduzione di Damiano Abeni

Uno sguardo sull'Europa

Per favore, politici d'Europa, non c'è nessuno di voi che si prenda la briga di affacciarsi a un balcone di qualsivoglia Palazzo Chigi europeo, per leggere questo discorso e per dire queste cose che mi sembrano molto più significative di quanto dice il Papa al mondo? Anche per Capodanno va bene.

«L’Europe souhaitable est une Europe où les croyances religieuses et philosophiques sont un droit pour tous mais le devoir de personne, et encore moins une obligation générale de la société en tant qu’ensemble. Un espace politique radical et par conséquent laïc – ce qui ne veut pas dire antireligieux – où les lois civiles sont au-dessus de n’importe quelle considération fidéiste, ethnique ou culturelle et où il y a une distinction claire entre ce que certains considèrent comme un péché et ce que nous devons tous juger comme un délit»Fernando Savater
«L'Europa desiderabile è un'Europa dove le credenze religiose e filosofiche sono un diritto per tutti ma il dovere di nessuno, e ancora meno un'obbligo generale della società nel suo insieme. [Un'Europa che è] uno spazio politico radicale e di conseguenza laico – che non vuol dire antireligioso – dove le leggi civili solo al di sopra di qualsivoglia opinione fideistica, etnica o culturale e dove vi sia una distinzione chiara e netta tra ciò che alcuni considerano come peccato e quello che tutti noi dobbiamo giudicare come un delitto».

sabato 25 dicembre 2010

Malati d'onde

Nel silenzio dei giornali (e nel moscio aggiornamento dei lor siti) forza blogger tirale fuori tu le notizie, creale, inventa un accadimento, uno tsunami che scompigli un pensionato a Lamporecchio, qualcosa di strano tipo: «Attentato alla dignità delle istituzioni. Stamani al Bambin Gesù, il presidente del Senato è stato accolto nel reparto di traumatologia da un gruppetto di giovani pazienti convalescenti al grido:Schifani fatti i cazzi tuoi”».
Ragazzi, passa il Natale e non succede nulla: Berlusconi è sempre vivo, Casini forse glielo appoggia (al governo), il Pd è sempre morto, Bossi rutta il panettone in porchetta, il Papa invita i politici italiani ad agire per il bene comune e poi invita se stesso e la Chiesa che dirige ad agire per il proprio bene (privato).
Dite che non ho meglio da fare che stare davanti al televisore? Ci fosse Televacca.

Postille al Nuovo Manuale di Poesia 1.

If a man understands a poem,
he shall have troubles¹.
Se un uomo capisce una poesia,
avrà dei problemi.


Infatti. Capire una poesia è pregiudicarsi ineluttabilmente il Ministero della Cultura, è pregiudicarsi un posto in un qualsivoglia consiglio di amministrazione, è pregiudicarsi qualsiasi adesione a club, partito, movimento. 
La comprensione poetica e l'esercizio del potere non vanno d'accordo. Nel caso che ci vadano succedono rivoluzioni, incendi, scombussolamenti alla prassi, preghiere che rotolano, lingue che leccano mani invece di dire parole servili. 
Capire la poesia è un trauma, dolce trauma (altro che fine della legislatura): l'uomo, la donna tornano bambini e si riavvezzano al seno del mondo. Poppare poesia, nutrimento della mente e del cuore.

¹Mark Strand, The New Poetry Handbook, da Il futuro non è più quello di una volta, Minimum Fax, Roma 2006, traduzione di Damiano Abeni

Ich bin von Kopf bis Fuss auf Liebe eingestellt


Ich bin von kopf bis Fuss auf Liebe eingestellt (Falling in Love Again)-words & music by Friederich Hollaender from Richard Bock on Vimeo.

Luminaria (racconto di Natale)

Raul era arrivato affannato all'appuntamento. Varie traversie si erano frapposte tra lui e il luogo dove lei lo stava aspettando. Per niente al mondo avrebbe voluto tardare, ma aveva sbagliato a calcolare il tempo che gli sarebbe occorso per compiere alcune commissioni personali: l'acquisto di un chilo di clementine affogliate, di tre mele ruggine, di due banane; la riconsegna di un libro in biblioteca; la spedizione di un calendario coi disegni di Eleuteri Serpieri a un amico lontano.
La successiva corsa che fece dall'ufficio postale alla sua auto fu, per lui, estremamente faticosa: le mani ingombre di fagotti di frutta e di nuovi libri presi in prestito, i piedi costretti in un paio di scarpe di cuoio non troppo comode, un abbigliamento un po' troppo pesante per l'inconsueta mitezza dicembrina – tutto questo lo fece sudare e accrebbe in lui il timore di presentarsi malconcio all'appuntamento.
Mara lo aspettava a bordo della sua auto nell'affollato parcheggio del cimitero, uno dei pochi ancora non a pagamento, ma relativamente vicino al centro. Il ritardo fu minimo, insignificante, pienamente giustificabile. Tuttavia lei mise subito il muso e si tacque. Dopo avergli lanciato un'occhiata rapida e sprezzante, lei volse lo sguardo in un qualsiasi punto dell'universo che non fosse lui.
Il silenzio imbarazzante fu spezzato soltanto dal rumore di vari veicoli, fastidiosi squarci di bieche e putride marmitte, ronzii di api piaggio, tremori cupi dei tir, giganteschi gracchi di autobus. Ancora silenzio tra loro. Il viso di lei sempre piegato verso ognidove fuorché il suo – mandibola di marmo. «Oh, se solo tu fossi davvero una statua, adesso almeno ti potrei parlare, sfiorare» si diceva tra sé Raul cercando di bloccare un piccolo rutto e un singhiozzo: la digestione andava avanti anche se aveva voglia di piangere e, per non farlo, continuò a pensare a quale tattica intraprendere per reclamare l'attenzione di quegli implacabili occhi. Mara era ancora più bella quando assumeva quell'aria altera: il suo seno conosceva in quei momenti d'immobilità e d'indifferenza il massimo di floridezza: sembrava esplodere sotto quella fine, aderente maglia avorio mistolana dal collo tondo e leggermente allargato – paradiso delle mani di lui in quei momenti interdetto.
Raul sapeva che ogni suo possibile tentativo retorico, che qualsiasi parola avesse detto, essa si sarebbe franta contro la teca di vetro inscalfibile che la custodiva. Era inutile insistere, lei non avrebbe parlato, non ora, non subito almeno. Allora Raul scese di macchina ed entrò nel cimitero. Si fece il segno della croce senza nemmeno pensarci, come un riflesso condizionato (tuttavia allo Spirito Santo si guardò intorno per controllare che nessuno lo vedesse). Non sapeva nemmeno bene perché era entrato, ma visto che c'era avanzò per andare a trovare i nonni. Lanciò un rapido sguardo all'irregolarità delle tombe italiane, sulla bruttura sfarzosa di certe lapidi, sullo squallore delle foto a colori dei defunti.
Cosa importa stare a spiegare che lei lo voleva lasciare, dire che Mara nel suo nuovo impiego aveva stretto una relazione “particolare” col figlio del principale, il principalino, con la sua potente attrattiva socio-economica e la garanzia di un futuro (uhi uhi il futuro) meno incerto, più garantito. «Oh, che miseria queste connotazioni sociali! Peggio ancora le connotazioni morali! Cosa sono queste intromissioni» – pensava Raul dopo aver detto, sottovoce, il requiem æterna ai nonni e ritornando verso di lei.
Il piazzale del cimitero, rammentò, fu il luogo ove si appartarono per la prima volta. Gli sarebbe piaciuto andarla a trovare lei al cimitero, ora, sottoterra. Salutarla, accarezzare il suo volto bello da lui colto in una foto in uno dei giorni della loro prima primavera, portarle finalmente dei crisantemi (fiori ingiustamente riservati ai morti), parlarle nel silenzio dei giorni come questi dove poche persone frequentano i cimiteri. Saperla lì sarebbe stata per lui una consolazione. Ma per andare a riposare in pace ella avrebbe dovuto morire e il pensiero della sua morte era solo una rapida immaginazione su un possibile scenario. Tuttavia, mai e poi mai aveva desiderato che morisse; prefigurava solo cosa la morte di lei avrebbe comportato; ma faceva così in fretta ad immaginarlo che non era possibile costruire scenari che gli rendessero l'ipotesi della sua morte appetibile.

Uscì dal cimitero. Lei era entrata nella vecchia utilitaria di lui: era tempo che non accadeva questo, da quando, circa un anno prima, lei si era comprata una nuova autovettura. Da quel momento ella ebbe come un rifiuto nel salire in quell'auto che considerava miserabile. Eppure, le ricordava lui, era proprio il luogo dove avevano consumato il loro primo amore.
Raul salì in macchina. Il silenzio e l'immobilità di Mara perduravano. Lo specchietto retrovisore era tutto girato verso di lei. Imbruniva. Lui allungò una mano sulla coscia di lei. Lei allungò uno schiaffo sulla guancia di lui. Lui allungò il braccio intorno al collo di lei. Lei allungò il collo e addentò la mano di lui. Lui bestemmiò, quindi accese il motore e partì. Solo quando raggiunsero il viale del centro illuminato, egli s'accorse che la sua mano destra sanguinava. Bestemmiò in silenzio contro se stesso. Era gonfio di rabbia, i denti serrati, i nervi come corda di violino; ma non disse una parola.
«Io non capisco come tu faccia: io non so proprio perché non reagisci, perché non mi picchi. Io, col mio primo fidanzato, poco prima che ci lasciassimo, ci davamo certe legnate, certe botte, che si tornava a casa tumefatti di lividi ed escoriazioni. Tu invece ti fai sanguinare la mano, ma non reagisci. Io voglio che tu mi picchi», disse lei.
Egli seppe allora di aver ragione, seppe che sarebbe stato sconfitto. Uscì dall'auto, da solo, e si perse nel fiume di gente del corso cittadino. Le luminarie natalizie si moltiplicavano sotto le lenti delle sue lacrime.

venerdì 24 dicembre 2010

Al successore anonimo


Tremo[n]tino

C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno gli capitò di parlare con il re e gli disse: -Ho una figliola che sa filare l'oro dalla paglia-. Al re, cui piaceva l'oro, la cosa piacque, e ordinò che la figlia del mugnaio fosse condotta innanzi a lui. La condusse in una stanza piena di paglia, le diede il filatoio e l'aspo e disse: -Se in tutta la notte, fino all'alba, non fai di questa paglia oro filato, dovrai morire-. Poi la porta fu chiusa ed ella rimase sola. La povera figlia del mugnaio se ne stava là senza sapere come salvarsi, poiché‚ non aveva la minima idea di come filare l'oro dalla paglia; la sua paura crebbe tanto che finì col mettersi a piangere. D'un tratto la porta si aprì ed entrò un omino che disse: -Buona sera, madamigella mugnaia, perché‚ piangi tanto?-. -Ah- rispose la fanciulla -devo filare l'oro dalla paglia e non sono capace!- Disse l'omino: -Che cosa mi dai, se te la filo io?-. -La mia collana- rispose la fanciulla. L'omino prese la collana, sedette davanti alla rotella e frr, frr, frr tirò il filo tre volte e il fuso era pieno. Poi ne introdusse un altro e frr, frr, frr, tirò il filo tre volte e anche il secondo fuso era pieno; andò avanti così fino al mattino: ed ecco tutta la paglia era filata e tutti i fusi erano pieni d'oro. Quando il re andò a vedere, si meravigliò e ne fu molto soddisfatto, ma il suo cuore divenne ancora più avido. Così fece condurre la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande, piena di paglia, che anche questa volta doveva essere filata in una notte, se aveva cara la vita. La fanciulla non sapeva a che santo votarsi e piangeva; ma all'improvviso si aprì la porta e l'omino entrò dicendo: -Cosa mi dai se ti filo l'oro dalla paglia?-. -L'anello che ho al dito- rispose la fanciulla. L'omino prese l'anello, la ruota cominciò a ronzare e al mattino tutta la paglia si era mutata in oro splendente. A quella vista il re andò in visibilio ma, non ancora sazio, fece condurre la figlia del mugnaio in una terza stanza ancora più grande delle precedenti, piena di paglia, e disse: -Dovrai filare anche questa paglia entro stanotte; se ci riesci sarai la mia sposa-. Infatti egli pensava che da nessun'altra parte avrebbe trovato una donna tanto ricca. Quando la fanciulla fu sola, ritornò per la terza volta l'omino e disse: -Che cosa mi dai se ti filo la paglia anche questa volta?-. -Non ho più nulla- rispose la fanciulla. -Allora promettimi- disse l'omino -quando sarai regina, di darmi il tuo primo bambino.- "Chissà come andrà a finire!" pensò la figlia del mugnaio e, del resto, messa alle strette, non sapeva che altro fare, perciò accordò la sua promessa all'omino che, anche questa volta, le filò l'oro dalla paglia. Quando al mattino venne il re e trovò che tutto era stato fatto secondo i suoi desideri, la sposò; e la bella mugnaia divenne regina. Dopo un anno diede alla luce un bel maschietto e non si ricordava neanche più dell'omino, quando questi le entrò d'un tratto nella stanza a reclamare ciò che gli era stato promesso. La regina inorridì e gli offrì tutte le ricchezze del regno, purché‚ le lasciasse il bambino; ma l'omino disse: -No, qualcosa di vivo mi è più caro di tutti i tesori del mondo-. Allora la regina incominciò a piangere e a lamentarsi, tanto che l'omino s'impietosì e disse: -Ti lascio tre giorni di tempo: se riesci a scoprire come mi chiamo, potrai tenerti il bambino-. La regina passò la notte cercando di ricordare tutti i nomi che mai avesse udito, inviò un messo nelle sue terre a domandare in lungo e in largo, quali altri nomi si potevano trovare. Il giorno seguente, quando venne l'omino, ella cominciò con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e disse tutta una lunga sfilza di nomi, ma ogni volta l'omino diceva: -Non mi chiamo così-. Il secondo giorno, ella mandò a chiedere come si chiamasse la gente nei dintorni e propose all'omino i nomi più insoliti e strani quali: Latte di gallina, Coscia di montone, Osso di balena. Ma egli rispondeva sempre: -Non mi chiamo così-. Il terzo giorno tornò il messo e raccontò: -Nuovi nomi non sono riuscito a trovarne, ma ai piedi di un gran monte, alla svolta del bosco, dove la volpe e la lepre si dicono buona notte, vidi una casetta; e davanti alla casetta ardeva un fuoco intorno al quale ballava un omino quanto mai buffo, che gridava, saltellando su di una sola gamba:-Fare oggi il pane, la birra domani, la miglior cosa per me che sarà? Avere il figlio del re dopodomani! Mi chiamo Tremo[n]tino, questo è il bello! Nessun risponderà all'indovinello!"-. All'udire queste parole, la regina si rallegrò e poco dopo quando l'omino entrò e le disse: -Allora, regina, come mi chiamo?- ella da principio domandò: -Ti chiami Corrado?-. -No.- -Ti chiami Enrico?- -No.- -Ti chiami forse Tremo[n]tino?- -Te l'ha detto il diavolo, te l'ha detto il diavolo!- gridò l'omino; e per la rabbia pestò in terra il piede destro con tanta forza, che sprofondò fino alla cintola; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sinistro e si squarciò.
FINE

giovedì 23 dicembre 2010

Pazza idea

Leggo questo (fonte):

«Armati ed armamenti nel 2011 ci costeranno 3.453 milioni di euro (+8,4 per cento rispetto al 2010, l'1,7 per cento del Pil!). Globalmente, le spese per la Difesa (ovvero il costo del personale – spesso in esubero – e del mantenimento di inutili obsoleti sistemi d'arma) nell'anno che verrà raggiungeranno la venerabile cifra di 24 miliardi di euro».

Penso. Se un Paese, uno qualsiasi, il nostro per esempio, l'Italia, avesse uno scatto di intelligenza, di sapienza e dicesse: 
- Fatte salve le forze dell'ordine che garantiscono la tutela del cittadino e della legge, dall'anno nuovo saranno smantellati del tutto i corpi di armata militare che non hanno più senso di essere tanto chi ci attacca? E se qualcuno si prendesse la briga di attaccarci chiameremo eserciti mercenari di paesi amici (tipo Usa) che saranno ben lieti di proteggerci, basta pagarli anche la metà di quanto spendiamo ora. Infatti, poniamo che se ci disarmassimo, arrivi subito un dittatorello alla Gheddafi che gli prendesse la voglia d'invaderci e che noi, al momento del suo attacco, non avessimo la benché minima traccia di aeronautica, o di marina, o di fanteria o altro tipo di corpo militare... che succederebbe? Ma che cazzo! Hanno difeso il Kuwait difenderanno pure la nostra penisola tanto carina e piena di storia. Non abbiamo il petrolio? Ma abbiamo un patrimonio artistico di valore universale!
Perché non proviamo a dare uno storico contributo al pianeta tale da esserne fieri? Pensiamoci: Italia prima nazione al mondo a rinunciare a parte del proprio esercito in modo consapevole. Che dite? I militari tenteranno un colpo di stato? Ma no, basta dire loro che saranno pagati o riconvertiti. O ricollocati all'estero (Guardie Svizzere comprese). E tutti i mezzi militari? Li vendiamo a buon prezzo ai paesi amici (esempio: cedesi cacciatorpediniere ancora in garanzia). 


Beh, io credo fermamente che se davvero un Paese intelligente dicesse e, poi, facesse questo si troverebbe tra le mani una ricchezza e una prosperità inaspettate.

Il ri-morso

La partenza: di madreperla su mano
una traccia, un respiro, un divano
un principio di secondamano
un incedere che ha poco di umano

L'attesa: è qui che il tempo disperdo
è qui che avverto il peccato
di non capire che ciò che perdo
è qualcosa che non mi sarà ridato

Il momento: adesso non perseverare
col dubbio che stressa la vita
respira l'altrove oltremare
addenta la panna montata su dita.

mercoledì 22 dicembre 2010

Uno sguardo disincantato che scopre il Visibile

Tutto può essere, anche che accada a me quello che accadde a Newmann 120 anni fa. Ne parla Marina Corradi, sulle orme di quanto ha detto Benedetto XVI in vista del Natale di quest'anno. Ma perché accada occorre desiderarlo o, invece, quando accade, accade anche senza volerlo, desiderarlo?
Io, alcuni anni fa, ero in una posizione simile a quella di quei molti di cui parla la Corradi, una situazione simile a quella di Newnann.

Newman, prima di convertirsi, era uno che credeva ciò in cui crede “la media degli uomini”, dice il Papa. Dio? Sì, può darsi. Il Dio di molti, credenti e perfino praticanti: ipotesi immateriale, disincarnata. Come un dubbio sospeso, inerte, sulla nostra vita. Dio? Forse, speriamo. Intanto, la realtà autentica è ciò che si tocca: per primo il nostro corpo, impellente nei bisogni. E poi tutto ciò che può essere desiderabile: amore, denaro, sesso, potere e perfino il sapere intellettuale, che forse non si tocca, ma comunque si misura e si usa.

Credevo sì a qualcosa: educato a un blando cattolicesimo, coi sacramenti sulle spalle (persino quello del matrimonio, cazzo), scarso frequentatore da sempre, spiritualmente vicino a certo biblismo ceronettiano, trovo in un prete la voglia di rifrequentare una certa fraternità, ma soprattutto trovo in René Girard un modo per avvicinarmi, diciamo razionalmente, alla Scrittura Giudaico-Cristiana.

Delle tesi girardiane sono sempre convinto. Non sono convinto che sia necessario credere alla divinità di Gesù per accettarle. Non importa. Non c'è niente di sovrannaturale. La Resurrezione può anche essere simbolica e avere la stessa funzione. Quello che conta sono le parole e gli atti, compresa la Crocifissione, che determinano lo svelamento delle dinamiche del meccanismo vittimario che incatena gli uomini a una società che ha bisogno di capri espiatori per funzionare. Stop.

Ma dicevo, a me la luce – se di luce si tratta – me l'ha data un'altra idea pericolosa; idea questa che, di contro, rende superfluo Dio anche all'inizio della presunta creazione. Anzi, lo rende inutile e molto meglio per lui perché sennò ci sarebbero da chiedergli troppe cose... Quest'idea l'ha formulata Darwin. Indietro non si torna (perlomeno: io non voglio tornare). Mediante Darwin e i suoi “divulgatori” moderni mi sono convinto che il Dio creatore non è necessario. Credere questo mi porterà dove? All'inferno? Nell'asticella tra l'ateismo e fede in Dio, mi colloco in una posizione fortemente agnostica, ma non per pavidità; il punto è che non posso dirmi totalmente ateo dacché di Dio ho una qualche idea (ci parlo persino a volte, vedi i miei Dialoghi sulla fede); ma è un'idea-meme quella che mi porto dietro, quella che mi vive dentro; io penso a un Signore con la barba che ogni tanto parla dall'alto dei cieli con un brontolio simile a quello della pancia. Dio lo immagino, insomma, alla mia maniera, e per me esiste, come esistono Pinocchio e Don Chisciotte; solo Lui è più famoso, importante e, soprattutto, più invadente.
Io sarei favorevole a che ognuno si creasse il proprio Dio personale, un Signore (interlocutore) immaginario sospeso tra terra e cielo con il quale dirimere questioni metafisiche e non. Certo non sono favorevole al ritorno del politeismo, anzi: non vorrei nascessero ulteriori religioni, giacché quelle che ci sono, sono già sufficienti per rompere i santissimi. Ciò nonostante vedrei di buonocchio che ogni individuo che ha una qualche idea di Dio in testa, la conservasse così, come fosse un ammennicolo: un dio centrino della tavola, o bambola gonfiabile per i propri bisogni spirituali.

Cosa succede un giorno a Newman? Improvvisamente, dice il Papa, «riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili».

È questo «improvvisamente» che mi ha dato sempre da pensare. La fede ti arriva tra capo e collo anche se uno in quel momento pensa ad altro? O è proprio il pensare costante alla fede che, all'improvviso, te la fa venire, o te la “scappare” come la pipì?

Immaginiamoci: un giorno un uomo, fino ad allora simile a tutti, vede che la realtà autentica è un’altra. Le cose, forse ora gli sembrano apparenze. Scorge, dietro di loro, mai viste prima, altre colonne originarie, portanti: il Creatore e la creatura l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. In un istante un’altra realtà gli si palesa, «più reale degli oggetti afferrabili». Come un’epifania: l’istante in cui Dio si mostra, sovrano, e dice: Io sono. Una grazia (a lungo domandata). «Svolta copernicana, che cambia la forma fondamentale della vita».

Ecco, finalmente le parole del Papa mi rassicurano. La fede è qualcosa che riguarda solo chi ha intenzione di diventare fedele sulla base di un preciso canone religioso, non c'è verso. Se ti arriva una fede addosso, te ne arriva sempre una strutturata. Una fede diversa non vale.
E poi, sentire un Papa parlare di «svolta copernicana» fa un po' ridere no? Chissà quanti papi dovranno passare prima di sentirne uno parlare di «svolta darwiniana»... 

Agenzia incontri

Davide Rondoni, alla fine del suo editoriale di oggi su Avvenire dal titolo «È l'incontro che cambia», scrive:


«Tra il fumo e i titoloni e in mezzo a segni inquietanti noi vediamo che l’Italia ha forte voglia di incontri: imprevedibili, faticosi, anche, ma segnati da desiderio di costruzione. Gli incontri che fanno la bellezza dell’Italia e dell’esser uomini. Tutti, ragazzi e no, devono decidere se stare dalla parte della bellezza o della sterilità»


Sinceramente, non capisco l'opposizione bellezza-sterilità. Poi mi ricordo che Rondoni scrive sul giornale dei vescovi. E, malignamente, capisco che - sotto sotto - egli probabilmente invochi l'«incontro» come modalità per l'aumento della natalità in Italia. Sin qui tutto bene, ognuno predica ciò che vuole, consciamente o inconsciamente. Tuttavia avrebbe dovuto aggiungere una postilla. Questa:
E mi raccomando, ragazzi (e no): senza guanto.

Da Vinci Carpet

Per dire una cosa come quella che ha detto ieri sera il giornalista Alessio Vinci, conduttore di Matrix, qual è il vostro prezzo? Tremila, diecimila, centomila, un milione di euro di contratto annui? Io medesimo, se ricevessi – ipotizziamo – un'offerta cospicua per dire una cosa del genere cosa farei? Avrei la forza di rinunciarvi? La mia convinzione, anzi: la mia avversione a Berlusconi ha un prezzo o no? E se ce l'ha, quanto sarà mai? Tremila, diecimila... un milione di euro?

Vengo subito al dunque.
Secondo me, chi sostiene Berlusconi è o da lui pagato (in modo diretto o indiretto) o è... lasciamo perdere. Delle due l'una (o entrambe). Questo l'ho sempre pensato, sin dal primo momento, sin da prima del momento, dai terribili anni di preparazione allo sfacelo.
Ciò che irrita in uno come Alessio Vinci è che lui dica (e forse pensi) questo senza avvertire, nel dirlo, che la sua dignità professionale viene meno; altri giornalisti, più guitti, la camuffano col tremolaccio vampiresco, o con la pertinacia di fedeli cani da guardia, o anche con la supposta (sostantivo) imparzialità; altri ancora mascherano il loro servilismo con l'alibi di uno spudorato elitarismo, oppure con la Fede da mezzani oramai rotti a tutto. Per ogni giornalista al soldo berlusconiano abbiamo una tipologia diversa di leccaculismo: ognuno col proprio stile, con la propria intelligenza, cerca di essere parte attiva di una solida Maginot persuasiva che, tuttavia, è di facile aggiramento o (meglio ancora) scavalcamento con un rapido balzo dell'intelletto. Un colpo d'occhio sprezzante basta per constatare che questi tristi e ridicoli figuri in trincea tribolano e si coprono ogni volta di ridicolo, e non si rendono nemmeno più conto di essere sprofondati nell'irreparabile.

Esistono, a onor del vero, anche coloro i quali si rifugiano in quella pavida zona franca della neutralità; essi sono, pure loro, parte in causa della farsa politico-persuasiva berlusconiana. Per superare questa tipologia di giornalisti basta un minimo esercizio retorico, dato che i cosiddetti appartenenti alla terza via, i rinterzisti – pessimi giocatori di biliardo all'italiana che finiscono sempre in buca – hanno una capacità persuasiva così insussistente che ancora non sono riusciti, dopo quasi vent'anni di tentativi, a convincere gli italiani a dare fiducia quella tanto cara forza del centro che sarebbe, secondo loro, l'unico modo per tranquillizzare gli animi e, soprattutto, l'establishment finanziario e i buoni salotti del nostro paese arrabbiato.

Io, con un tenue moto di ottimismo, penso spesso al dopo; perché ci sarà un dopo Berlusconi, vero? Penso al dopo e a come possano questi tipi giornalistici à la Vinci “riconvertirsi” e riguardagnare credibilità, dacché questi non hanno alibi, davvero, non hanno giustificazioni. Tutta la merda berlusconiana è fuori dal vaso e non vederla e non fare nulla per arginarla è complicità nello spargimento di aria mefitica, di miasmi putridi per la mente italica già devastata, nottetempo, dalla fogna a cielo aperto della sua storia complicata.

martedì 21 dicembre 2010

Massime della mia vita

«Se Lei vuole ascoltare le massime della mia vita, sarebbero le seguenti: Primo: Conosci la situazione. Secondo: Tieni conto dei tuoi difetti, parti dalle tue risorse, non dalle tue parole d'ordine. Terzo: Non completare la tua personalità, ma le singole opere tue. Soffia il mondo come vetro, come fiato da un cannello: il colpo con cui liberi ogni cosa: i vasi, le urne, le lèkythoi – questo colpo è tuo ed è quello che decide. Quarto: Il destino interviene soltanto per le mediocrità, ciò che sta più in alto conduce la propria esistenza per conto suo. Quinto: Se qualcuno ti rinfaccia estetismo e formalismo, guardalo con interesse: è l'uomo delle caverne, in lui parla il senso estetico delle sue clave e del suo perizoma. Sesto: Prendi ogni tanto del bromo, che calma l'encefalo e le irregolarità degli affetti. Settimo: Ancora una volta: Conosci la situazione»

Gottfried Benn, Pietra, verso, flauto, Adelphi, Milano 1990 (a cura di Gilberto Forti).

lunedì 20 dicembre 2010

O anime terremotate

AnsaldoMa lei non ha l'impressione che oggi per lo Stato ci sia il rischio di rinchiudersi nel Palazzo, finendo per estraniarsi dalle esigenze dei cittadini?
BAGNASCO: Questa crisi non è semplicemente politica, ma culturale, anzi spirituale. Occorre ricostruire l'ethos profondo del popolo che è la "spina dorsale" senza la quale lo Stato non sta in piedi. L'anima della nostra gente, che nasce dal Vangelo, è stata "terremotata" dal relativismo e dal consumismo.


Questa crisi non è semplicemente politica, ma culturale, anzi spirituale...
Crisi, krisis, Krino, separo, decido... taglio netto, sono io che comando, lo spirito è mio, nostro, non vi appartiene, noi siamo i soli autorizzati a poterlo trattare, a poterne parlare. Lo spirito non soffia più, si è insufflato tutto dentro le nostre stanze segrete, dentro i nostri sotterranei, per questo solo noi siamo in grado di «ricostruire l'ethos profondo del popolo che è la “spina dorsale” senza la quale lo Stato non sta in piedi». Lo Stato senza spirito religioso non sta in piedi, levatevelo dalla testa, lavatevelo dalla faccia, sparisca lo spirito, che non soffia più dove vuole e non potete sentirne la voce, la voce noi l'abbiamo tacciata di insignificanza, di follia. Venite gente, nostra gente, vi possediamo, nascete mica dal Vangelo, dato che noi siamo i sepolcri imbiancati sui quali il Vangelo si regge, si legge, non vorrete mica leggere e reggere il Vangelo da soli, non potete, non siete autorizzati, la parola di Dio è la nostra parola... e infatti la vostra anima (non la nostra) è stata “terremotata” dal relativismo e dal consumismo. Noi non siano stati terremotati, siamo rimasti in piedi. E chi ci butta giù?, le hai viste le colonne di San Pietro, Dan Brown e i Maya a noi ci fanno una pipa, noi siamo lo schiaffo della storia, finché resistiamo daremo voce al Vangelo in modo che esso non divenga qualcosa di troppo rivoluzionario per le menti bambine degli umani che ancora non sanno mica capire, mica possono farlo sennò si sarebbero tutti già ri-volati contro le Potenze e i Principati. Noi siamo gli unici in grado di depotenziare il Vangelo, in grado di devitalizzarlo, di attenuarne la forza centrifuga. Noi siamo incrollabili, assoluti (contrari di relativi), noi non siamo divorati dal demone del consumismo dato che noi consumiano le vite, le menti degli altri. Attaccati al potere e alla forza, facciamo credere che siamo i più prossimi alla debolezza e alla povertà. I poveri sono il nostro combustibile. E considerando la quantità di poveri sparsa per il mondo, noi e le altre agenzie private di Dio in terra, siamo a posto riguardo a riserve energetiche, per i prossimi secoli a venire. La mente ha ancora troppo bisogno di farsi condizionare da ciò che non esiste per sopportare ciò che esiste e fa male.