mercoledì 29 febbraio 2012

Berlusconi è composto

 «Ringrazio e faccio i più sinceri complimenti al bravissimo carabiniere che in val di Susa ha dimostrato la differenza tra chi fa sempre il proprio dovere per il bene comune e chi sa solo insultare, l'abisso esistente tra chi ama l'Italia e ha il senso dello Stato e chi invece usa le invettive e la piazza per seminare odio e violenza». Lo dice in una nota Silvio Berlusconi. «Bene ha fatto il comandante dell'Arma, generale Gallitelli, a premiare la professionalità e la compostezza di quel militare con un encomio solenne. Una volta di più - conclude l'ex presidente del Consiglio - lo Stato ha fatto lo Stato: in quel carabiniere abbiamo ritrovato l'Italia migliore, in cui ci riconosciamo».

Berlusconi che si riconosce nella compostezza (dandosi del “noi”, come il mago Otelma) è cosa talmente paradossale, come se Lady Gaga si riconoscesse in Orietta Berti, come se Veltroni si riconoscesse nella socialdemocrazia, come se Gasparri si riconoscesse nella Resistenza, come se Marchionne si riconoscesse nella Fiom... (si accettano altri come se).
Lui, Berlusconi, persona così a modino, composta (sembra una mummia nel sarcofago quando parla, infatti), che persino quando parlavano male di lui per televisione - e lui non c'era, era a casa, nel suo tinello - pigliava la cornetta per stare composto, contenersi, sì carco di professionalità politica, roba da encomio ufficiale del padre guardiano di Santiago di Compostela.
Berlusconi è così composto che potremmo metterlo direttamente nel compost.
Il suo amore per l'Italia (era meglio se amava la Svizzera).
Il suo senso dello Stato (nel senso che lo Stato gli faceva senso).
La sua quieta propaganda televisiva per seminare cipria e cazzate...

Le cose vanno forse meglio

«Sì parlò mai nell'antichità, tra schiavi e padroni, o nel Medioevo, tra servi della gleba e baroni, di un  ugual diritto di tendere alla felicità? Non venne forse la tendenza alla felicità delle classi oppresse sacrificata senza riguardi e in “ossequio al diritto” a quella delle classi dominanti? Sì, e la cosa era immorale; ma ora questo ugual diritto viene riconosciuto. Riconosciuto a parole, dacché e finché la borghesia, nella sua lotta contro la feudalità e nella formazione della produzione capitalistica, era costretta a sopprimere tutti i privilegi di casta e quindi personali, e a introdurre l'uguaglianza giuridica delle persone, prima nel diritto privato, poi a poco a poco anche nel diritto pubblico. Ma la tendenza alla felicità si alimenta solo in piccolissima parte di diritti ideali, e per la maggior parte di mezzi materiali, e a questo riguardo la produzione capitalistica ha cura che la grande maggioranza delle persone uguali in diritto riceva solo lo stretto necessario per vivere. Essa dunque non rispetta l'uguale diritto della maggioranza di tendere alla felicità più di quanto lo rispettassero la schiavitù o la servitù della gleba, se pure lo rispetta, in generale. E le cose vanno forse meglio per quanto riguarda i mezzi spirituali della felicità, i mezzi dell'educazione intellettuale?».

Di tutto il brano di Friedrich Engels riportato (tratto da Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, 1886, Editori Riuniti, Roma 1969), che - mi sembra- dovrebbe essere mandato a mente da tutti gli umani che non sono capitalisti,  io vorrei limitarmi a rispondere alla domanda “finale”, che riscrivo:
«E le cose vanno forse meglio per quanto riguarda i mezzi spirituali della felicità, i mezzi dell'educazione intellettuale?»
Per quel che  mi riguarda, sì, anche se mi rendo conto che questo non basta, in fondo i mezzi spirituali sono le briciole che i padroni lasciano a noi che non abbiamo la vocazione, l'urgenza di essere loro servi o di emularli al punto di diventarlo anche noi, padroni. In fondo, dai tempi in cui Marx ed Engels scrivevano, il mondo è stato sufficientemente alfabetizzato, soprattutto la sua parte “occidentale”, che se uno vuole, almeno spiritualmente (leggi: seghe mentali), un po' di catene riesce a togliersele, riesce a godere, a essere felice fruitore della beltà, ovvero di quelle cose del pensiero per cui vale la pena vivere. Va bene, a casa non ho un Van Gogh, un Picasso o chi volete voi, ma posso comunque vederli. Va bene, nessun musicista mi compone variazioni, tuttavia le posso ascoltare; così come posso leggere Dante, vedere Amarcord, o altre cose che mi strappano alla disperazione. Certo, prima lo stomaco, un tetto, un po' di pelo, eccetera, tutto vero; ma poi, prendo un libro (anche Engels) o un post di qualche amica/o blogger e, anche se rasoterra, mi succede di volare.

martedì 28 febbraio 2012

Trasfusione di menti

Osservate la mujer di Malaga che guarda l'opera sottostante di Richard Prince.
Quella donna non sa che, in quel preciso momento, il mento riflesso nel vetro non è il suo ma quello del ritratto dell'artista americano. Non lasciatevi ingannare dai colori. La donna tornerà a casa con un riflesso di mento perso e uno guadagnato.

La solitudine delle opere seconde


D'altra parte è andata così: ho scritto un libro, ho spedito il manoscritto a qualche editore e uno grande ha deciso che poteva andare bene per la collana narratori contemporanei; così l'editor gli ha cambiato il titolo - ché il mio faceva era poco incisivo - e il libro è stato pubblicato; poi, un po' grazie al passaparola e a qualche buona critica, esso ha incontrato i favori del grande pubblico e ci sono state varie ristampe, vari riconoscimenti e premi prestigiosi, la traduzione in più di trenta lingue, la versione/riduzione cinematografica... E insomma, eccomi qui: scrittore professionista a tempo quasi pieno. In fondo, era chiaro che, dopo un successo simile, un editore mi avrebbe messo sotto contratto volendo i diritti del mio prossimo romanzo; romanzo che è quasi pronto, giusto una ritoccatina da parte di consumati esperti di lifting letterario e qualche anticipazione con letture pubbliche a teatro per saggiare gli umori e le impressioni del pubblico. (A proposito, ma chi diamine è che viene a teatro, magari pagando anche il biglietto, per ascoltarmi mentre leggo pagine di un libro che ancora deve uscire?).
Il nuovo libro, poi, appena sarà confezionato, sarà diffuso capillarmente in ogni libreria e supermercato con reparto libri, edicole e cartolerie, uffici postali e autogrill, di modo che le masse, stimolate da una notevole campagna pubblicitaria, se ne procurino copie e copie per leggere e regalare.
Le critiche letterarie, a questo punto, saranno del tutto superflue per sancire il successo che è prevedibile perché già programmato. Le critiche letterarie, anche le più malevole, anche quelle che dimostreranno implacabilmente la peculiare insussistenza del mio scrivere, non potranno far altro che essere rivoli che andranno a ingrossare la piena di vendite prevista; anzi, il povero critico che si permetterà di stroncare la mia seconda prova sarà tacciato facilmente di usare la critica come arma per mettersi in mostra, in quanto invidioso del mio successo, della mia popolarità.
Che vuoi fare, il gioco è questo e io ho avuto il merito e la fortuna di giocare da protagonista in questo meccanismo su cui si regge l'industria letteraria; e io sarò uno scrittore che andrà bene finché sarò capace di essere unto abbastanza da non incepparlo.

Alé Viola


In piazza Santissima Annunziata
un'auto sfreccia come se fosse
il solo essere esistente.
Un autobus inzacchera
l'aria che respira la gente 
seduta sulla scalinata
dello Spedale dell'innocente -
nome comune singolare
dacché tutti colpevoli siamo
(tranne uno, due con l'Annunziata)
secondo il principio della caduta.
In piazza Santissima Annunziata
nessuna musa è venuta
a confortare nostra tribolazione.
Spicca il volo un piccione.
Una scolaresca fa colazione.
Due gitane tendono la mano
ricevendo non pane, ma guano.


A parte.
I versi e la foto sono profondamente discordi (vale a dire: non vi è, tra di essi, alcun nesso). Tutto è partito dai capelli della modella in oggetto. Ho pensato a cosa non penso mai: il calcio, la Fiorentina. Di poi - ma vabbè - solo per dire che stamani sono stato da quelle parti all'Archeologico.



lunedì 27 febbraio 2012

Incursioni poetiche



Non so se ieri qualcuno di voi ha avuto la ventura
di leggere un articolo della rubrica L'incursione su La Lettura
supplemento culturale settimanale del Corriere della sera
a firma del poeta laureato Davide Rondoni, che era
infuriato con altri suoi colleghi, soprattutto
con uno, il povero Valerio Magrelli, trattato come un brutto
esempio di facitore di poesia legalista-statalista,
dacché ha osato l'incauto scrivere «T'amo
pio Stato», per Rondoni così evocando il gramo
amore per i vari totalitarismi che la Storia
ha registrato nel corso del suo farsi senza, di Dio, la gloria.
Bene, se non l'avete letto e vi siete risparmiati
le solite invettive d'un rancoroso da' modi sgarbati,
avete purtroppo perso perle d'inarrivabile assurdità
che, leggendole, non sai se ridere o se avere pietà
verso colui che si lancia in simili, ardite proposizioni
che a leggerle si drizzano tutti i peli dei [rima zoppa].
Tuttavia, se posso permettermi uno psicologico giudizio
credo che tutto il livore di Rondoni sia dovuto al vizio
dell'invidia di non aver ancora nel suo repertorio
un videoclip come quello di Magrelli che, declamatorio,
sorvola la città seduto su un'altalena legata al cielo.
Ecco, a Rondoni fa rabbia che un poeta senza pelo
sul viso e senza ali nel cognome tanto abbia potuto
senza di un cardinale o di un vescovo l'aiuto.

P.S.
Se per curiosità voleste leggere l'articolo di Rondoni cliccate sull'immagine. Non sono riuscito a trovarla linkata sul sito del Corsera e quindi l 'ho scannerizzata.

Domande al Presidente Napolitano


Mi scusi Presidente, visto che ora i tassi son tornati bassi, visto che Berlusconi ha promesso che lui no, non si ripresenterà come candidato presidente del consiglio, visto questo e altro e una politica che non si sa bene a chi appartenga, ovvero si sa a chi appartiene, ma insomma, per farla breve, non sarebbe il caso, crede, di sciogliere le camere un po' prima, senza aspettare un anno e passa, così tanto per scuotere un po' le forze politiche tutte? Che ne dice? Monti va ancora bene? La Fornero pure? Scilipoti e Calearo parlamentari anche?

domenica 26 febbraio 2012

Mia sorella Umberta

Spariamo sulla croce verde? Spariamo sul sole delle Alpi? Spariamo:
«I giudici non sono ciechi e sordi, vivono anche loro il momento politico. Berlusconi è stato abile, pensavo che fosse condannato, invece i suoi voti sono determinanti per il governo. Magari non aveva commesso niente, come sosteneva lui, però vista da fuori è una brutta impressione». 
Al mio orecchio un “sarebbe stato” ci sarebbe stato meglio. 
Ma grammatica a parte:
Porcadellalegalombardadelnordellapadaniastronzadeltuocervellorintronato. Chi le ha votate in Parlamento tutte quelle leggi ad personam che hanno favorito la prescrizione pel Cavaliere? Mia sorella? Mia sorella!? Dov'è mia sorella Umberta, quella puzzona? Quella rincoglionita? Se la prendo gliene dico quattro, e le faccio capire che le sue sono dichiarazioni inaccettabili che mettono a repentaglio il buon nome della famiglia. Una famiglia al verde.

«E bramo di perir e cheggio aita»

Pace non trovo e non ò da far guerra,
e temo e spero; ed ardo e son un ghiaccio;
e volo sopra 'l cielo e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto 'l mondo abbraccio.

Tal m' à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
e non m'ancide Amore e non mi sferra,
né mi vuol vivo né mi trae d' impaccio.

Veggio senza occhi e non ò lingua e grido;
e bramo di perir e cheggio aita;
ed ò in odio me stesso ed amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita:
in questo stato son, [Lavoro]*, per voi.



Francesco Petrarca, Canzoniere, CXXXIV


*Donna
Mi sono permesso questa improvvida sostituzione pensando a queste due persone che si sono uccise, probabilmente a causa del lavoro.

I perché di un inchino


La convergenza degli opposti

Due punti di vista diametralmente opposti  ci dicono, in buona sostanza, la stessa cosa:
«La certezza è che saremo costretti a smantellare il nostro inefficiente welfare per motivi di bilancio pubblico, in un paese in cui la mistica del “fare sistema” significa soprattutto permettere alle oligarchie parassitarie di rinviare la resa dei conti con la storia a spese della classe media e dei lavoratori, ai quali viene quotidianamente spiegato che per molto, troppo tempo hanno “vissuto oltre i propri mezzi”. Voi siete padroni di crederlo, ovviamente. Ma quando vi viene detto, in questi momenti di alta pedagogia, che “dobbiamo fare come i tedeschi” sappiate che si tratta, se non di una pietosa bugia (spesso, come detto, interessata), perlomeno di una applicazione della famosa teoria keynesiana del lungo periodo. Quello in cui, se non propriamente morti, saremo certamente più poveri.» Phastidio.
***
«I padroni di schiavi e i loro attaché presso i centri di decisione politica, hanno ben chiara la situazione e la fase in atto. Il capitale in questo genere di democrazia può tutto, il singolo proletario, illuso della titolarità del potere attraverso il voto, può solo sperare di cavarsela in qualche modo. La parola d’ordine è fare dell’Europa una zona franca per il profitto come le altre, come in Cina o in India e Brasile. Ma non tutta l’Europa è uguale e non tutti i paesi in essa hanno lo stesso peso. La linea di tendenza complessiva è comunque quella di creare un “nuovo” modello sociale nel quadro della competizione capitalistica mondiale. In questo senso vanno interpretate le dichiarazioni del personale politico e tecnico europeo e italiano quando, sia pure con sfumature diverse, allude al welfare europeo come a un sistema sociale superato, così come quando assume la decisione di abbandonare al proprio destino le aziende che in passato hanno “tutelato bene l’italianità” ma impedito “la distruzione creatrice schumpeteriana”.» Olympe de Gouges.
Devo essere sincero: mi piacerebbe che, alle prossime elezioni, ci fossero due nuovi partiti: uno veramente liberale; e uno veramente comunista. Perché le strade sono due, o l'una o l'altra, ma percorse sino in fondo, fino alla meta. Chi voterei io? Ho un anno per pensarci, e sono ancora indietro con le letture marxiste.

Fuochi della fede

Tra poco devo uscire per preparare il barbecue. Carne alla brace, oggi, a pranzo.
A casa ho due Bibbie di Gerusalemme, identiche, quelle con la copertina rossa e la scritta dorata (una me la comprai io per studiare, l'altra me la regalarono). Mi chiedo: se ne usassi una per accendere il fuoco, cosa dite, avrei una ritorsione diplomatica da parte della diocesi?

sabato 25 febbraio 2012

Il pus amore


«Ma se supponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come rapporto umano, tu puoi scambiare amore solo contro amore, fiducia solo contro fiducia ecc. Se vuoi godere dell'arte, devi essere un uomo colto in fatto di arte; se vuoi esercitare un'influenza su altri uomini, devi essere un uomo attivo realmente stimolante e trascinante altri uomini. Ogni tuo rapporto con gli uomini – con la natura – dev'essere un'espressione determinata, corrispondente all'oggetto da te voluto, della tua reale vita individuale. Quando tu ami senza provocare amore, cioè quando il tuo amore come amore non produce amore reciproco, e attraverso la tua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura». Karl Marx*
Ho misurato la mia impotenza oggi pomeriggio quando sono passato da lei senza avvisarla, ho suonato, mi ha detto che vuoi, chi ti cerca, ti prego fammi salire, le ho chiesto, e lei, guarda che ho fretta, stavo proprio per uscire, ma solo cinque minuti, ho insistito, e lei, forse perché sa che se dico cinque minuti cinque minuti sono, allora mi ha aperto, si stava preparando effettivamente, mi voltava la schiena e continuava a disegnare il contorno occhi e le sopracciglia, indifferente, sempre bella, eccitante, sentivo in me crescere rabbia e desiderio ma non osavo spingere me stesso in quella direzione che ci avrebbe portato allo scontro, preferivo tenermi il groppo in gola, piangere dopo, battere i pugni sul cruscotto dopo, non ora, non potevo, rischiavo di farle del male dalla rabbia che sentivo, lei, che era stata mia e che ora invece non voleva nel modo più assoluto essere mia, si rifiutava, non mi considerava, faceva finta che non ci fossimo mai amati, ero superato, sorpassato, non più desiderato, voluto, ma il mio, invece, il desiderio era lo stesso, il volere idem, e non capivo perché, perché in me non era cambiato niente e, invece, in lei, sì, mi aiuti ad agganciare questa collana per favore, ma è quella collana di onice nero che ti regalai io e tu la metti per uscire con, senti smettila, non mi parlare con questo tono, non ti fare del male a pensare certe cose, lasciami in pace, non ti ho chiamato, di ho detto di non venire più a trovarmi, te l'avevo detto, non sono più la tua ragazza, sono libera di fare quello che voglio, non voglio catene, lasciami, che cosa fai, ma sei scemo, fermo, mi fai male, scusami, sì, è che – ed esco dalla sua camera, lei continua a infamarmi, a dirmi di andarmene e non tornare mai più, e capisco in quell'istante che l'unico bastardo modo che avrei per vincere questa rabbia sarebbe di farle del male, di sopprimere la sua felicità e di farmi del male, ma l'amore è uno scambio, se si blocca in un punto è perduto, se si ferma la sua circolazione non lo ritrovi, e io non voglio bloccare l'amore che sento, voglio che esca, cambi direzione, trovi un'altra manifestazione di vita.

*Non saprei dire dove si trova questo bel brano di Marx; io l'ho estratto da un breve saggio di Erich Fromm, Il contributo di Karl Marx alla conoscenza dell'uomo, in AA.VV., Marx vivo, Mondadori, Milano 1969, ma Fromm lo riporta senza indicarne la fonte. La sacra famiglia? Boh.

Pensami nella mia camera ingombra del mio niente

Dice: ti cullo il bambino perché
anch'io sono un bambino - ma è assurdo.
Non può avere la voce uno che non è qui
né braccia né potrei volendo cullarlo a mia volta.
Pure il bambino vero tace se resto in ascolto
della sua finta voce nella mia finta pace.
Pure gli posso far dire ogni parola che voglio:
mio amore quanto errore e dolore ci divide
quanto futuro senza futuro si spalanca.
Vuole mettere ordine vuole che mi riposi.


Gli posso far pensare ogni pensiero che voglio:
lei pensa che io penso - mi penserà.
Pensami nella mia camera ingombra del mio niente.
Pensami nel mio niente carico di tutto.
Di me diranno che ho visioni che sono magra.
Di me diranno abbia cura della salute.
Ma tace il bambino vero se resto in ascolto.
Tace se resto in ascolto il tic-tac dell'orologio.
Mi ha detto non avere paura non è quello il tempo vero
non guardare non toccare le vene sulle tue mani.


Giovanni Giudici, Autobiologia, Mondadori, Milano 1969* [tale componimento è il secondo di una sezione interna alla raccolta dal titolo La Bovary c'est moi]


Sarebbe interessante sperimentare un incontro tra due persone, più o meno sconosciute, più o meno coetanee, più o meno uomo e donna, in un bar con sala non troppo frequentata, un caffè e una minerale, magari qualche cioccolatino, avendo premesso che, poniamo nella mezz'ora dell'incontro, le due persone restino zitte una ventina di minuti, solo guardarsi, anche da vicino, le vene delle mani per esempio.
Venti minuti di silenzio. 
Certo, l'uno/a non ha l'obbligo di guardare in continuazione l'altra/o, si può guardare anche fuori, la gente che passa, il barista che prepara caffè e cappuccini. Venti minuti così e poi, senza nessuna ragione apparente, parlare ciascuno 5 minuti di fila, a turno, di quello che è stato pensato nei precedenti venti minuti, qualsiasi cosa, forse allora occorre un taccuino dove prendere nota, non sia mai dimenticare cose importanti.
M'è venuto in mente questo pensando a quando càpita di salire su mezzi pubblici non troppo affollati, in cui ci si siede e ci si trova davanti a persone con le quali si scambiano tranquilli sguardi, magari abbozzando sorrisi che, però, restano lì, sospesi a mezz'aria, senza nessun costrutto. Se andassimo oltre questi convenevoli tra umani ed entrassimo, eccentricamente, subito in contatto, parlando non di politica, ma di desideri, di cosa veramente in quel momento ci piacerebbe fare, ammesso e non concesso di sapere cosa si vorrebbe fare, cose non incresciose, non necessariamente legate alla sfera sessuale, anche se - sono consapevole - molti di noi potrebbero ricadere facilmente su quella, va bene, ma dando per buono che nessuno, parlandone, abbia la pretesa che l'altro sia costretto ad esaudire tali desideri, a dare credito a certe fantasie.
Chissà, forse potrebbe venir fuori un: «Ho voglia di andare a raccogliere un tramonto insieme a lei» e sentirsi rispondere di sì; quindi - dopo aver cercato il punto giusto - disporsi seduti con il guardo rivolto all'orizzonte, silenti, in attesa di catturare l'ultimo raggio, sperando che sia verde.

Cambio di stagione


Ah che sole, che cielo, che temperatura mite, che svolta, che cambio di passo, le Azzorre, ci pensi, hanno spedito il loro Anticiclone, e subito si rifiorisce - mica vero, qualcuno deprime, per esempio io ieri, camminando con un cappotto pesante che mi faceva più caldo in mano che addosso, mentre vedevo turisti sbracciati, allucertolati, baldanzosi, come a dimostrare che loro potevano avere garantita una perfetta traspirazione ascellare, mentre io no, io sentivo il mio odore crescere, io, che avevo un appuntamento nella Sala delle Cariatidi, a Palazzo Reale, all'inaugurazione della mostra «Schiapparelli and Prada, Impossible Conversation», io non sapevo come fare, in più mi scappava urgentemente da orinare, soprattutto dopo aver visto una colata indecente di sicura pipì scorrere lungo le scale di linoleum del sottopasso (forse sarebbe stato meglio fossi stato ubriaco, forse, senza fissa dimora, forse, senza un soldo, forse, e fottermene e pisciare lì sul posto, anch'io).
Ma invece...

Poteva essere l'incipit di un racconto di sicuro insuccesso in cui l'io narrante arrivava a toccare il culo, contemporaneamente, a Miuccia Prada e ad Anna Wintour. Mi sono fermato. Devo preparare il ragù; non ho la servitù io, per fortuna.

venerdì 24 febbraio 2012

Tv sputacchiera


Pochi minuti fa ho visto uno scorcio del tg di Mentana, nel momento in cui ha mandato in onda il servizio sulla «frase estrema» che Lucia Annunziata ha detto ieri nella trasmissione di Santoro. A fine servizio, Mentana ha commentato, più o meno, che in fondo l'Annunziata voleva soltanto difendere il diritto di ognuno di poter esprimere la propria opinione e che, se si tira in ballo lo sterminio, non è che tutte le volte ci si debba scandalizzare, e che certe categorie (gli omosessuali) si “dovrebbero laicizzare” - e io, in quel preciso momento, mi sono sentito crescere di botto la saliva in bocca e sono dovuto correre in bagno per sputare; avessi avuto il vecchio schermo con il vetro avrei sputato, ma non volevo mescolare altri liquidi ai cristalli per colpa di quel beccafico di Mentana che, secondo me, ha detto - di rinterzo - una cazzata più estrema dell'Annunziata stessa.
Possibile che una consumata giornalista professionista come l'Annunziata non sappia controllare il proprio eloquio? Vorrei vedere, se davvero qualcuno dicesse che «gli omosessuali vanno mandati nei campi di sterminio», chi s'ergerebbe a difesa della libertà d'espressione. Forse lo stesso che mi autorizzerebbe, dipoi, a sputarle in un occhio, levandole prima gli occhiali, esimio Mentana.

Segnalazioni metalmeccaniche

Una straordinaria intervista di Massimo Mucchetti a Sergio Marchionne, oggi, sul Corriere della Sera.
Per chi è interessato a tali vicende, che in fondo non sono solo automobilistiche, ne consiglio vivamente la lettura. 

Olympe ne fa qui un'analisi condivisibile.

...
Aggiunta a margine di questo passaggio:
In Brasile, Serbia, Usa la Fiat trova diversi ma sempre rilevanti aiuti da parte degli Stati. Che cosa si attende dal governo italiano? «Mi attendo soprattutto che non dia altri incentivi alle rottamazioni. È vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti»
Fossi stato accanto a Mucchetti gli avrei suggerito di domandare:
Dottor Marchionne non si spiega mai perché sette (adesso quasi otto) italiani su dieci hanno preferito e preferiscono auto straniere?

Rottamare i manager

Mentre Monti viaggia in Lancia, ma Lancia oramai vecchiotte, la Fiat, invece di rifare una Lancia che riesca a contrastare il dominio delle Audi, pensa di incentivare a lungo termine chi, gli operai? i clienti? No, incentiva i topi manager certamente subordinando l'incentivo alle performance individuali che costoro dovranno raggiungere riuscendo a vendere (e che altro sennò?) gli autoveicoli che la Fiat produce.
È giusto trattare bene i quadri se questi riusciranno nel loro scopo. Ma è necessario così tanto?
Inoltre, se uno guarda al successo incontrastato dell'Audi, viene da pensare: ma come mai non incentivarono massicciamente Walter Da Silva, uno dei più brillanti e geniali designer italiani, nato in casa Fiat, arrivato ai vertici della stessa restituendo dignità alla Alfa Romeo, e poi fatto partire, nel 1999, verso casa Volkswagen e dove adesso è il Capo del Centro Stile supervisionando tutti i modelli dei 7 marchi del Gruppo automobilistico tedesco?
Per lui non ci furono incentivi all'epoca. Come non ce ne furono per Ghidella, e - obiettivamente - se uno lascia partire i vari Steve Jobs del settore, hai voglia a fare marketing... 

giovedì 23 febbraio 2012

Una domanda di galateo bloggheristico

Ogni tanto, un amico lettore mi rende omaggio segnalando i miei post su Ok Notizie, un portale molto seguito dalla rete, ove vengono radunati post vari di vari blogger sugli argomenti caldi della giornata.
Io me ne accorgo perché, grazie alla nuova interfaccia della piattaforma Blogger, per ogni singolo post viene segnalato il numero di visualizzazioni. Bene, quando vedo superare 60-70 visualizzazioni mi dico che, forse, qualcuno ha linkato il mio post ed esso viene visitato da lettori non abituali.
Per esempio, nel caso del post precedente sulla dichiarazione della Marcegaglia, al momento posso “vantare” 900 e passa visualizzazioni. Cazzo!, disse la marchesa.
Inutile mi nasconda in una falsa modestia, perché avere lettori mi fa piacere, ovvero m'importa che qualcuno s'imbatta nel mio blog e legga. La scrittura bloggeristica è scrittura pubblica, altrimenti mi limiterei a scrivere per me pagine da tenere in qualche cassetto o dentro la cartella documenti del mio pc.

Tuttavia, tale successo - in termini di visite - di un singolo post, porta con sé la possibilità di avere alcuni commenti, soprattutto anonimi, di disarmante miseria intellettiva (a volte persino offensivi, ma questo sarebbe il meno) verso i quali non so come comportarmi, se rispondere, se cestinare (di solito non cestino,  il vero spam ci pensa blogger stesso a cestinarlo), oppure se ignorare del tutto.

Oh cari stimatissimi lettori abituali, blogger voi medesimi, solitamente cosa fate o fareste nel caso in cui?

mercoledì 22 febbraio 2012

I mal di pancia degli imprenditori

Prima di fare quello che faccio, ho avuto diversi impieghi nel settore pubblico e in quello privato. E posso dire, forte della mia debole esperienza di lavoratore, che esistono differenze tra i due ambiti. Eccome se esistono.
Per esempio: nel settore pubblico non hai un padrone sopra di te. Sì, hai un responsabile, un dirigente, ma è sempre qualcuno che, nei confronti della Amministrazione, è dipendente come te.
Questa è la differenza fondamentale. Ce ne sono altre, chiaro, ma non è importante ora qui rammentarle. Mi basta questa differenza per ricordare un episodio.
Ero giovane, sui diciotto diciannove, e andai una stagione a lavorare presso una cartotecnica. Un lavoro quasi a catena, una rottura di coglioni inenarrabile. Era il turno pomeridiano, dalle 13 alle 21, otto ore di fila, mica cazzi. Ogni tanto si andava in bagno, si fumava una sigaretta, un panino e poi giù a fare rulli di carta da pacchi, a impacchettare e inscatolare tali rulli e, infine, a mettere in ordine le scatole sui pancali. Io e un mio coetaneo eravamo in fondo a questa catena. Un giorno, mentre stavamo compiendo il nostro dovere, arriva il padrone, ci chiama da una parte e ci parla:
«Allora ragazzi, voi sapete che quando si va in bagno, dopo, alla fine, si tira lo sciacquone».
Io e il mio coetaneo ci guardammo basiti: cosa diamine voleva dire il padrone? Egli proseguì:
«Bene, volevo solo dirvi che lo scopino si usa nel momento in cui uno tira l'acqua e non a secco, sennò dopo ci rimane tutta la merda appiccicata e non va via bene. È già il secondo che cambio da quando siete a lavorare qui».
Ero giovane e mi prese a ridere, anche se era meglio se mi prendeva un dolor di corpo e mi fossi messo a farla lì, davanti a chi si permetteva discorsi simili...
Questo episodio m'è tornato in mente quando, ieri, ho sentito Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, dichiarare:
«Vorremmo avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri e quelli che non fanno il loro lavoro».
E mi è venuta in mente perché, come lei, potrei tranquillamente generalizzare, fare di tutta l'erba un fascio e dire:
«Vorremmo avere imprenditori che non proteggono gli scopini del cesso, imprenditori meno ladri di vita e di plusvalore».

Giovanardi!


Viaggiando verso Modena.

A parte.
Sia chiaro, io non mi faccio il french alle unghie.

martedì 21 febbraio 2012

L'utero non è tuo e lo gestiamo noi


Tramite “mamma” Ocasapiens apprendo che in Virgina (U.S.A.) accadono queste cose votate a maggioranza. Mi domando se la Roccella e la Binetti (tanto per prendere due campionesse di bioetica) potranno prendere spunto per qualche proposta di legge analoga da portare in Parlamento.
E poi (immagino): chissà come starà esultando G. Ferrara; magari, stasera, si appunterà sulla giacca la spilla dello stato federato americano.
Nella parte inferiore dello stemma compare il motto latino Sic semper tyrannis ("Così sempre ai tiranni"), attribuito a Bruto, che l'avrebbe pronunciato durante l'assassinio di Gaio Giulio Cesare. All'interno di esso, invece, è raffigurata una donna abbigliata alla maniera delle Amazzoni, personificazione della virtù e dello stato della Virginia, ai cui piedi giace un uomo prostrato a terra, che rappresenta la tirannia e che tiene nella mano sinistra una catena e in quella destra una frusta.
Il despota in questione è, questa volta, l'utero: è troppo tempo, oramai, che nella società occidentale tiranneggia la Virtù della donna. Sia schiacciato, dunque, dacché esso non è proprietà individuale, ma collettiva, e coloro che ce l'hanno e che vogliono abortire (o vorrebbero avere il diritto di poterlo fare) è bene se lo mettano in testa Anzi: nella vagina.

lunedì 20 febbraio 2012

«You can’t change the world if you don’t believe it’s changeable»

Non a caso, prima, parlavo della morte.
Come si vede dalla copertina, tal libro è stato incartato per essere messo in frigorifero, in attesa di tempi migliori. In fondo, i gradualisti esponenziali hanno questo di bello: vedono che, in prospettiva, un sempre maggior numero di persone potrà vivere una buona vita. Quello che non vedono è l'accrescimento enorme di benessere e ricchezza da parte di chi ricco è già. 
via
Ma possibile che questi futurologi non si chiedano: per ottenere il benessere di un miliardo di persone quanto superbenessere i ricchi devono accumulare? In altri termini: quanto devono ingozzarsi i papponi del mondo affinché cadano dalle loro tavole imbandite briciole sufficienti per tutti?

«Uno spettro s'aggira per l'Europa»

Volevo postare qualcosa prima di andare a cena, dopo una giornata di lavoro intenso, le solite fisime come di chi si sente perduto se non ha lasciato la propria impronta di pensieri nella rete. Anche perché, tornando a casa, guidando non piano, ho cercato qualcosa in fondo al cuore, e ho pensato alla morte, sì, al fatto che anche un blogger, a volte, potrebbe morire, anche se non va a fare reportage in Siria come Jonathan Littell, quello delle Benevole - e zac chi ne se accorge se un blogger dovesse morire? Qualche amico, ma mica può egli scrivere al posto tuo che sei morto. E mettiamo il caso che uno avesse ancora dei conti in sospeso, un racconto ammezzato, un cinquecento poesie in folio da pubblicare per il piacere di quattrocento aficionados del suddetto estinto? Ma poi ho pensato che no, io non è che senta la morte vicina, ciò la sento ma la penso sempre rimandata, ovvero mi dico: - E che cazzo, visto che son nato voglio campare una novantina d'anni, in qualche modo, e magari battere sulla tastiera con le dita artritiche e la goccia al naso. 
Il pensiero poi è corso a Mauro Gasparini. Non è che lo conoscessi più di tanto, non eravamo nemmeno "amici" su facebook, solo che è morto, zac, appena di mezza età, e lui che era uno scrittore pacifico e satirico, credo uno dei fondatori di Spinoza, poi trasferitosi su Zabajone; e mi ricordo che ogni tanto commentavo da lui e una volta, mi pare, lui da me, ma non vorrei sbagliarmi. E quando son venuto a sapere ch'è morto ci sono rimasto male. Ed è morto e solo Mantellini se n'è accorto dei blogger famosi, di quelli di peso che possono cambiare le virgole della rete. Questa vita ingrata riserva sorprese. Ora, non che se uno muore sta a pensare a quanti poi lo piangono, gli importa sega, vero, almeno io la penso così, più che altro pensa, ma, suicidio a parte, potrei morire quando ho più voglia, quando mi gira di più che così a babbo morto senza il tempo di dire ahi mi sta pensiero?
Il discorso è lungo. La vita passa. La cena è pronta. L'informazione vince l'entropia. Per cui Massaro scrivi così resti. E più resti e più avanzi. E più avanzi e più scarti. Qualcuno che raccoglie sempre si troverà. Molta gente, ancora, dorme coi fogli di quotidiani come coperte nelle stazioni ferroviarie. Ma ora che ci penso, le pagine scritte sui monitor di compùteri vari non sono utili manco per quello.

domenica 19 febbraio 2012

Trading Earth



Essere poveri in ispirito e in soldoni significa anche questo: non sapere che il mondo è alla mercé di questo tipo di entità. Leggere l'articolo e rimanere basiti. Avvertire un senso di vertigine. Esistono gli alieni e noi non lo sapevamo. 
E poi i cittadini se la prendono coi governi. Come volete che nel pianeta ci sia spazio per sette miliardi di persone, quando 12 amministratori delegati controllano mille miliardi di dollari di materie prime?
Ripetiamo ancora: materie prime, in percentuali enormi, che nemmeno uno Stato da solo potrebbe  competere/concorrere con tali società.
Ferro, stagno, zinco, nickel, alluminio, rame, oro, carbone, petrolio, cereali, tè, caffè, cacao, carne, soia... tutte cose loro. Alla criminalità organizzata restano solo le droghe e le armi di contrabbando.


Appuntamento con una "figa"

Trovo molto divertenti i post di Spora. Anche questo
Io rido, sì, ma avverto, eziandio, un leggero scoramento nel fatto che donne intelligenti, emancipate, pienamente consapevoli del loro potere di attrazione, per riuscire nell'imbrocco dovrebbero sottostare a tutta quella serie di precetti. 
Lo so, conta molto come ci si presenta, e la fisicità è la prima cosa che - reciprocamente, maschi e femmine - notiamo. Ma se tale fisicità deve risultare, come di fatto presso Spora risulta, una preparazione come per entrare in uno studio televisivo per fare la comparsa di se stessi, allora no, allora si sente la finzione, il trucco, la messa in scena. Si recita a soggetto, ma il soggetto che recita non siamo noi, ma l'immigine che di noi vorremmo che l'altro scambi per il nostro essere.
Ora, so di non essere un tipo mondano, ovvero sono schivo al gioco balordo degli incontri e degli inviti  (sono stato a lezione da Kavafis) e, quindi, non ho molta autorità in merito; tuttavia - nutro il fondato sospetto -, se dovessi mai essere quell'uno a cui si concede appuntamento, e subodorassi che quell'una avesse fatto tutte quelle “storie” per presentarsi a me davanti, sento che preferirei - più che andarci a letto - giocarci a tombola.

sabato 18 febbraio 2012

L'intelligenza come qualità inferiore


«I suoi giovani invitati sono belli, escono dalle università di famiglia, dai loro club, intelligenti per censo (conoscono l'esatto valore della vita), ammorbiditi da un'esistenza di bagni, di aria aperta, di sport costosi, di vacanze inaccessibili. Non si può non ammirarli, come risultato genetico. Non hanno niente da dirmi, ma io non ho verso di loro nemmeno il disprezzo o l'odio di classe, che reputo inutile. In un senso strutturale sono il prodotto di una civiltà raffinata, affrancati dalla nostra morale. Nessuno di costoro vuol scrivere o dipingere: hanno chi lo fa per loro; ma se volessero, i loro libri avrebbero immediato successo mondano, i loro quadri anche. Ma non vogliono: considerano l'intelligenza una qualità inferiore, quando non è applicata freddamente al potere e alla vita». Ennio Flaiano, Il gioco e il massacro, Rizzoli, 1970, pag. 203
Adesso capisco perfettamente perché non siamo capaci, noi intelligenti, di fare o di provare a fare la rivoluzione. Perché ci sentiamo superiori, strutturalmente superiori, a certa gente. Non riusciamo a odiare, né a disprezzare tali ospiti, eternamente giovani, ricchi, belli, in piena salute e coloriti come la sugna. Non siamo cattivi abbastanza. A noi, i lumi, ci hanno reso teneri, ci fanno camminare sulla superficie delle cose con l'essenziale o quasi, noi che non abbiamo licenze universitarie di facoltà di prestigio; noi che consideriamo l'intelligenza una qualità superiore, non possiamo prendere le armi e dare di matto come Amleto, cercando vendetta e giustizia, sconquassando le regole tenui che i nostri padri ci hanno donato dopo aver fatto alla guerra. Siamo malati di costituzione, noi occidentali, liberali e pacifici dentro. Ci trovassimo davanti un banchiere bancarottiere, piuttosto che mettergli due dita negli occhi, gli offriremmo da bere. Perché siamo educati e moralmente irreprensibili. Di noi, quando moriremo, tutto si potrà dire ma non ch'è morta una testadicazzo, oppure un fottutissimo pezzo di merda che ha affamato il mondo per pensare al suo cazzo di tornaconto. No, di noi si ricorderà in particolare la nostra gentilezza, il nostro savoir faire, il nostro preferir prendere in giro se stessi che gli altri. Paste di uomini e di donne che sanno, sotto sotto, di essere dalla parte giusta e che temono più di essere colti in fallo che fallare.
Il problema, però, è che una volta esercitato il nostro senso critico, ci accorgiamo che la nostra superiorità è come una pistola caricata a salve che non spaventa gli invitati al banchetto del potere nemmeno quando esplode, poiché essi sanno benissimo che le nostre parole non possono ferirli.
Ed essi continuano a godere alla facciaccia nostra, povero popolo che per stare bene ha smesso di rodere, di rosicare, di minare le fondamenta stesse del potere che si fondano sul rispetto. Ma rispetto per chi?
Ecco, questo è quello che resta del mondo dopo che lor signori hanno favorito: prendete e mangiatene tutti, restano briciole.

Religion is like a Penis


Religion is like a Penis
It’s fine to have one.
It’s fine to be proud of it.
But please don’t whip it out in public and start waving it around.
And PLEASE don’t try to shove it down children’s throat.

Vorrei dedicare questi famosi versi (che si trovano in giro per la rete; io l'ho scoperti qui oggi) a Plantu, vignettista satirico di Le Monde.
Proviamo a tradurli? Sì.
La religione è come una fava.
È ganzo averne una.
È giusto esserne orgogliosi.
Ma per favore no, non la tirate fuori in pubblico
e non sventolatela come fosse una bandiera;
ma soprattutto, per favore!, non provate a spingerla giù
per la gola dei bambini. 
 

La nobiltà dei suini. L'ignominia degli umani

D'inverno, in campagna, col freddo intenso e le mani che gelano, si ammazzano spesso i maiali, li si eviscerano, li si sezionano, se ne fanno prosciutti e salami, salsicce e finocchione, rigatini e capacce, sambudelli e buristi, eccetera.

D'inverno, a Crans Montana o a Saint Moritz, col freddo intenso e le mani che gelano, non crepano punti maiali...

Il mio Sanremo 3

Marc Chagall, The Poet Reclining 1915 Tate Gallery, London, United Kingdom, Oil on cardboard, 78 x 77 cm
L'utilità sociale del poeta ovvero le sue dimissioni.

Diversamente interprete

«I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo».Karl Marx, Undicesima Tesi su Feuerbach, 1845
Come per i filosofi, lo stesso vale per i blogger. 
Trasformare il mondo, scuotere la storia. 
Prima di trasformare qualcosa, bisogna essere in grado di:
a) sapere cosa trasformare;
b) essere in grado di trasformarlo;
c) avere un'idea precisa di quello che verrà a trasformazione avvenuta.
Ma per agire bene conta soprattutto la consapevolezza. Il sapere che fare, dopo aver scandagliato molteplici risoluzioni. E poi, oltre al sapere, essere convinti della necessità di quel che sarà intrapreso.
Per agire contano molto la rabbia e il bisogno
Ma quando è dettata dalla rabbia e/o dal bisogno, la rivoluzione non viene bene.
Quando è vissuta come un secondo lavoro, la rivoluzione viene peggio (vedi gli ultimi comunisti combattenti uccisori di giuslavoristi indifesi).

Insomma, i porci dei neoliberisti non ci hanno rotto il culo abbastanza. Preferiamo le incertezze di questo sistema da figli di puttana (il capitalismo) che ci strappa, a poco a poco, i nostri peli del culo a batuffoli, che le certezze del Sol dell'avvenire. Come mai? Tutta colpa del socialismo reale, dei bolscevichi, e via discorrendo? Cos'è che impedisce alle nostre menti di immaginare una rivoluzione possibile?
Il nostro corpo, in primis, così disabituato alla rivoluzione. Il nostro corpo, così bisognoso di attenzione. Questa trappola che ci troviamo addosso anche a rivoluzione compiuta. Il corpo (imperfetto corpo) come trappola dei desideri.

E allora? Non so, allora non so. Continuo a fare l'ermeneuta.

venerdì 17 febbraio 2012

Autoanalisi: assioma n. 2


Grazie a Marcoz, che mi ha regalato questa vignetta. Il testo è stato scritto su ispirazione a un suo commento al precedente assioma.
Se qualcuno avesse idee per i successivi, sarei (credo saremmo) ben lieto (-i) di accoglierli e pubblicarli.

Orizzonti improbabili

 Franco Fontana, Puglia, 1978 (via)
Lo so ch'è febbraio e che dunque quest'orizzonte non è possibile là fuori. Che importa. Qui conta osservare, conta mietere sole, soprattutto quando l'inverno è nel pieno delle sue forze.
Mi domando spesso se coloro che abitano in zone delle Terra dove non esistono stagioni, abbiano gli stessi umori esistenziali degli abitanti le zone temperate. E mi domando, altresì, perché io mi domandi certe cose. Sovente resto senza risposta, ma va bene così.

Autoanalisi: assioma n. 1


giovedì 16 febbraio 2012

Il mio Sanremo 2

Una certa
Coscienza
con molta
dissonanza

Entomologia per dilettanti


Ehm, credo saremmo in molti a dichiarare di avercelo come uno spillo.

Caro Silvio mi scrive

Pomeriggio di sole. Ero qui che mi godevo, un po' ingenuamente, la ritrovata considerazione europea, quando vedo, nella scheda accanto, arrivare un nuovo messaggio nella mia gmail.
È il caro Silvio che mi scrive

Luca,
ho la coscienza di aver servito in questi anni con tutte le mie forze il mio Pae­se, e ne sono ripagato con un accani­mento da parte di alcuni magistrati di Milano che non ha eguali nella storia. 

Se non avesse eguali nella storia, ci vorrebbe una S maiuscola.

Si vuole di­struggere fino in fondo la mia immagine di uomo, di imprenditore e di politico. 

Immagine di uomo? Detta così sembra che i giudici milanesi gli vogliano grattar via la crosta di cerone permanente che lo contraddistingue da qualche lustro.

Solo io posso sapere quanto male ho subito e continuo a subire per ave­re scelto la strada dell’impegno politico.

E dàgli con l'egocentrismo. Se solo te puoi sapere, allora che ce lo racconti a fare se non possiamo patire le tue stesse pene?

Al termine di una vita di lavoro indefesso sia nel­la mia professione di imprenditore e in seguito nell’impegno politico, sono trattato peggio di un delinquente, con accuse che non trovano corri­spondenza nei fatti e che sono state smentite nel corso del processo dibattimentale.

Attenzione, attenzione: Berlusconi ha scritto: «Al termine di una vita di lavoro indefesso». Sta parlando, chiaramente, della sua vita. Al termine. No, non tanto perché si senta vicino alla sua fine naturale, bensì quanto - lo dice esplicitamente - si ritiene di essere giunto al termine della sua vita lavorativa, quindi è in pensione, Berlusconi pensionato, vacanze, riposo, e meno rompimento di coglioni suo e nostro? Vorrei crederlo. 

La decisione di impegnarmi nella vita pubbli­ca, cercando di trasformare e di cambiare l’Italia, non mi è stata mai perdonata da tutti quei poteri che si sono visti insidiati nei loro interessi e nelle loro ambizioni.

Ancora con questa tiritera sui poteri. I poteri ce li hanno sempre quegli altri, lui non ce l'ha mai avuto il potere, povero impotente che non è altro.

Quello che più mi amareggia in questo momen­to è di constatare fino a che punto la giustizia può essere piegata a pregiudizi di carattere politico e ideologico.
Ripeto: solo chi malauguratamente ha la sven­tura di entrare nel tunnel della mala giustizia può immaginare l’incubo che si sperimenta, la soffe­renza che si prova a finire nell’ingranaggio disu­mano di una giustizia che sembra non rispondere più alle leggi, ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento liberale, alle prove e ai fatti che emergono nel corso dello stesso procedimento.

Eh già, paura eh? Sei uscito dal tunnel del divertimento, dell'orgia di potere e ora tremi? L'importante è farsi trovare all'estero il giorno della sentenza definitiva.

La coscienza che ho di questa situazione, e la vi­cinanza della mia famiglia e di quanti mi vogliono bene e mi conoscono, mi dà la forza di continuare la battaglia per il riconoscimento pieno della mia totale estraneità a quanto mi viene addebitato.
Spero ancora che giudici integerrimi e devoti uni­camente alla legge e alla verità, decidano in piena coscienza e nel pieno rispetto della realtà dei fatti.

Pover'uomo, è stato abbandonato dai fatti. Non c'è più trippa per fatti farsi, infatti.

Preghiamo per lui.

mercoledì 15 febbraio 2012

Siamo nati per vivere. Sarebbe meglio per godere

Durante il giorno, andando in bagno per i soliti, comuni a tutti, bisogni fisiologici, ho pensato spesso alla sparata di Celentano sui giornali cattolici Avvenire e Famiglia Cristiana. Ho pensato, cioè, a come si potrebbe commentare un giudizio del genere, se prendere le difese dell'uno o degli altri, insomma, di valutare un po' la cosa.
Sono addivenuto a ciò (mi sono lavato le mani, scrivo).
Celentano potrebbe aver ragione nel dimandar chiusura di sunnominata stampa cattolica e proprio in virtù delle accuse che egli lancia, queste:
«Quello che non sopporto è che [Avvenire e Famiglia cristiana] non parlano mai della cosa più importante e cioè del motivo per cui siamo nati. Quel motivo nel quale è insito il cammino verso il traguardo che segna non la fine dell'esistenza, ma l'inizio di una nuova vita. Preti e frati non parlano mai del Paradiso come se l'uomo fosse nato soltanto per morire ma non è così. Siamo nati per vivere. Preti, siete obbligati a parlare del Paradiso se no vuol dire che abbiamo solo questa vita».
Celentano potrebbe aver ragione, dicevo, ma ce l'ha soltanto nella premessa, non nella conclusione, dacché i preti non possono, anche volendo, parlar di paradiso, ovvero potrebbero, però dovrebbero parlarne un po' come ne parlano quei predicatori invasati ammericani, o nelle madrasse dove s'insegna lo jihad -  e questo  (i preti cattolici lo sanno) non troverebbe più tanto ascolto nella nostra Italia postmoderna. 
L'aldilà è stato spinto via dal nostro immaginario di vivi, e il paradiso preferiremmo viverlo qui in terra, almeno per un po'. Per questo, per accontentare Celentano, l'unico modo serio e concreto che avrebbero tali testate sarebbe di trasformarsi in riviste in cui s'illustrano tecniche del godimento hic et nunc, alternative alla missionaria, aceto balsamico per condire i nostri organi sessuali, qualche goccia di piacere, brani di letteratura intensa, musica sacra e profana degna, panorami, colori, mani che s'intrecciano, sorrisi, culi, una bella pastasciutta fumante quando hai fame, un pinot noir, un bacio, il piacere dello stare insieme, una tetta, una luna...
Queste cose Famiglia Cristiana e Avvenire non possono descriverle perché hanno da pensare ad altro, a come educare il gregge, confonderlo, distrarlo, soprattutto dedicarsi a quello che devono o non devono fare, obbligatoriamente, coi loro organi riproduttivi e il loro dolore. 
Una Corradi, un Rondoni, un Don Sciortino cosa vuoi che dicano se non affidarsi a delle promesse incerte di un predicatore che, forse, fu fatto risorgere politicamente, per togliersi di torno i suoi seguaci che potevano ribellarsi al potere costituito? Chiamo a soccorso Freeman. Leggiamo:
«Interessante il ruolo di Caiafa nella risurrezione. Fu, in sostanza, l'artefice della crocifissione. Difficile, quindi, che abbia improvvisamente perso qualsiasi interesse per il movimento di Gesù. Del resto, il racconto di Matteo secondo cui i sacerdoti assunsero direttamente il controllo del sepolcro fornisce l'avallo delle Scritture al loro probabile coinvolgimento. Caiafa ha ormai mostrato ai Romani di non essere tollerante con i disordini; d'altra parte teme di perdere l'appoggio dei suoi correligionari se sparge altro sangue. Restare un'autorità credibile sia agli occhi dei Romani sia dei giudei richiedeva un accorto bilanciamento. Un'idea intelligente poteva essere tarpare le ali a qualsiasi movimento emergente in memoria di Gesù rispedendone i seguaci a casa.
Rimuovere il corpo, accertarsi che il sepolcro restasse scoperchiato e vuoto, diffondere il messaggio, servendosi di “un giovane”, che Gesù sarebbe riapparso in Galilea poteva essere una soluzione del problema senza ulteriori brutalità né spargimenti di sangue. Se il piano avesse funzionato, i discepoli, traumatizzati, sarebbero semplicemente usciti dalla sua giurisdizione per ricadere sotto quella di Erode Antipa. Una volta che avessero sgombrato il campo per Caiafa sarebbe diventato del tutto indifferente che continuassero o meno a credere in Gesù. Per lui, il punto più interessante era si trovassero nell'impossibilità materiale di causare disordini a Gerusalemme, rovinando il suo prestigio agli occhi dei Romani. Inoltre, il destino del corpo di Gesù non sarebbe interessato a nessuno finché i discepoli fossero stati convinti della sua successiva comparsa sotto qualche forma in Galilea. Per i sacerdoti era importante sottolineare che Gesù non era più fisicamente presente, bensì “risuscitato”, altrimenti si sarebbe continuato a mormorare che il suo corpo doveva trovarsi da qualche parte a Gerusalemme. C'era il precedente di Elia»*.

*Charles Freeman, Il cristianesimo primitivo, Einaudi, Torino 2010 (traduzione di Piero Arlorio, pag. 43).

Il mio Sanremo

Una delle ragioni che decretano il successo delle canzonette è il fatto che esse vengano ripetute un numero imprecisato di volte dai vari media (tv, radio, youtube) e che infestino i memi della popolazione che, volontariamente o distrattamente, subisce tal tipo d'inquinamento acustico.
In Italia, Sanremo, è uno dei luoghi deputati della spazzatura sonora, da sempre.
Nulla da dire. Se fossi capace di produrre simili rifiuti e mi prendessero, ci andrei anch'io sul palco dell'Ariston a eseguirli dal vivo con l'aiuto dell'orchestra. Io, invece, non avendo doti musicali, mi sono sempre limitato a produrre un altro genere di “rifiuto”, molto più riciclabile e meno invasivo, certo, perfettamente organico, che piace molto agli scarabei stercorari (un saluto al mio amico Gregor).
A tal proposito, dato che è la settimana deputata al festival e che tale evento, volente o nolente, occupa le menti di milioni di italiani, mi permetto, con somma presunzione, di riproporre qui alcuni miei piccoli rifiuti in forma di versi, che la mente mia ha conservato e che estrae dalla memoria bloggeristica. Son versi giovanili, del giovanil errore, e quindi chiedo venia. Qualcuno li avrà già letti, ma erano tempi in cui le visite a questo blog erano limitate. Insomma, senza farla tanto lunga: di qui a domenica, una volta al giorno, riproporrò alcune mie poesie d'amor perdute e ritrovate.
Si comincia. Allego il link al titolo:
Bisogno d'ali
Versi molto sdolcinati, scritti ai tempi delle cabine telefoniche. Siate clementi.

martedì 14 febbraio 2012

San Valentina

*

Cuori a soqquadro

Marc Chagall, Three and a Half (1911)
Una donna guarda un dipinto di Chagall: è una donna che sta per innamorarsi o è innamorata di già. Lo si vede da come porta quel cappello comodo, da come i capelli scendono sulla schiena noncuranti, da come prende appunti quietamente, e dai colori. Una donna pronta per entrare in scena, per giocare e leggere le sue carte, per rimettere la testa a posto alla madame seduta e restituire pace a colui che, disidentificato, cerca luce fuori della stanza.

- Prego si accomodi, gradisce qualcosa da bere?
- Sì, grazie. Un karkadè caldo, temperatura sangue.
- Benissimo. Miele di acacia o birnel per dolcificare?
- Qualsiasi cosa va bene, anche un bacio, per riflettere.
- Ho solo baci ripieni di lacrime.
- Non chiedo di meglio: amo l'agrodolce.
- Le faccio preparare una camera per dopo?
- Non importa, dormirò seduta appoggiando la testa sopra il tavolo.
- Il tavolo pende.
- Sarò il suo equilibrio.