sabato 31 marzo 2012

La mia consistenza antropologica


« E a questo proposito La prego di osservare una volta come la lingua convenzionale, quella colloquiale, è ormai del tutto svuotata di sostanza e consistenza antropologica. Le resta forse ancora una qualche autorità? La lingua ha forse ancora un qualche carattere dialogico in senso metafisico? Mi sembra che essa sia puro scarto e chiacchiere consunte. Tutto parla a vuoto. Il compito del parlare e della parola si è spostato, è diventato lingua da furfanti. Slang, argot, truffatori ammiccano con parole, si può anche dire che la lingua è divenuta puramente politica, né riesce più a toccare una qualche profondità umana. La gioventù non può parlare con la vecchiaia, là l'istinto qui l'esperienza e, quando il corpo non preme più, ecco la morale. Il religioso non può parlare più con l'uomo di mondo, colui al quale il dono della fede non è stato dato pensa in maniera piatta e lineare. La madre non può parlare con la figlia, poiché la figlia le nasconde i suoi piaceri e il suo pudore. L'artista non può parlare con il politico, questi è l'attuale, l'altro è acronico. Tutto è soltanto diceria, consistente inarcarsi di smanie, e dissimulazione, e ciance da poltrona – nel profondo, inquieto, è l'Altro, che ci ha fatto, ma che noi non vediamo. Ci nutriamo di autoincontri in ore brevi, ma chi incontra se stesso? Solo pochi, e poi isolati, – Rönne incontra se stesso – »

Gottfried Benn, Cervelli, Adelphi, Milano 1986 (traduzione a cura di Maria Fancelli).


Il blogger può dire di essere, come il dottor Rönne, tra quei «pochi, e poi isolati», che, autoincontrandosi, incontrano se stessi?
Inutile indulgere in false modestie: per quel che mi riguarda: sì. Ma non è che in questo trovi una gran soddisfazione. Più la trovo sentendo che questo autoincontro quotidiano - che spesso è un autoscontro - mi fa incontrare altri che tentano, come me, di autoincontrare se stessi. 
La scrittura bloggheristica come tentativo, spesso fallimentare, di fare della parola qualcosa di diverso dalla lingua di servizio che usiamo per comunicare convenzioni e «chiacchiere consunte»; una scrittura come spazio per «toccare una qualche profondità umana», che smuova l'animo inquieto di chi sente che le parole servono anche (e soprattutto) a dare forma al nostro essere
Le parole che diventano corpo (corpo che diventa parola).
Le parole sono ambasciatori particolari che portano in giro per la rete pene e gioie, in breve:  passioni dettate da ancora non so bene cosa... forse da amore (e altre passioni).


I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando
(Purg. XXIV)

Responsabilità indiretta


Nel 2008, non mi ricordo quando, in primavera sicuramente, andai a votare alle elezioni politiche. Votai il Partito Democratico, pur sapendo che non sarebbe servito a niente e, eziandio, sapendo che avrei perso (anche se non così di brutto). Votai Partito Democratico, sì, ma non mi ricordo certo chi abbia contribuito a far eleggere, come mio rappresentante, in Parlamento. Forse Rosi Bindi o Vannino Chiti (capirai che soddisfazioni), dacché ho votato in Toscana, basterebbe controllare, ma non ne ho voglia, soprattutto, non voglio scoprire che il mio voto abbia favorito l'elezione di un'uomo vergognoso come questo che, grazie all'intuito di Veltroni, venne candidato nelle liste del PD per contrastare la deriva leghista in Veneto.
Già, Veltroni, ch'io sappia, non s'è mai dispiaciuto pubblicamente di tale suo abbaglio politico e umano. Lo so, egli non può essere considerato responsabile se un suo candidato proposto, divenuto poi parlamentare, ha cambiato idea e parte politica e si comporta indegnamente e dice cose che non fanno altro che qualificarlo come essere spregevole. Tuttavia, Veltroni, che ogni tanto manda lettere ai quotidiani o lascia interviste o scrive libri, potrebbe affrontare questo tema della responsabilità indiretta e, magari nella trasmissione di Fazio, previo aver richiesto in prestito frustino e cilicio a una sua ex compagna di partito, frustarsi le palle in diretta e vergognarsi per lui.

Questa è la mia vita

Allargate lo schermo e perdete dieci minuti della vostra vita per guardare e ascoltare (oppure leggere) questo “estratto” godardiano.


Adesso ditemi se, come me, sentite di aver guadagnato qualcosa. (Non solo un po' di tosse... cof, cof... accidenti, com'erano forti quelle Gitanes senza filtro).

venerdì 30 marzo 2012

Scarpetta rossa la trionferà

Big Picture, what else?

La seconda rivoluzione di stocazzo

È da salutare con favore la visita di Tim Cook, ad di Apple, alla fabbrica cinese Foxxcon produttrice materiale di tutti gli apparecchi informatici dell'azienda americana con sede a Cupertino.
Indubbiamente, è un atto di riconoscenza e attenzione, seppur minimi, che vengono date ai lavoratori bellamente sfruttati in onore e gloria del capitale. Va reso merito, quindi, alla stampa americana che ha, come si suol dire - scusate lo stereotipo giornalistico - “puntato i riflettori” sulle condizioni schiavistiche che si celavano dietro la capacità produttiva di tale fabbrica.
L'inviato a New York di Repubblica, Angelo Aquaro, ne parla con entusiasmo, scrivendo che tale evento sarebbe da considerare come «la seconda Rivoluzione cinese». 
Confesso che non capisco il senso di questa sua affermazione. Può darsi che mi sfugga qualcosa e, per questo, riporto per prima cosa il paragrafo finale del suo articolo, dove si legge che Apple
ha promesso adesso di riportare in linea con la legge cinese gli orari di lavoro entro la prossima estate: nel 2013. Ma ha anche promesso di ricompensare il milione e passa di operai per le ore perdute. A spese di chi? Le multinazionali che vengono a operare qui devono farsi più carico dei nostri problemi: questa la ramanzina che il buon Cook si è sentito fare in questi giorni dai politici cinesi durante la visita. Come se gli occhi davanti a quell'orrore non li avessero chiusi anche loro. Le violazioni alla Foxconn erano così tante che adesso la fabbrica dovrà assumere decine di migliaia di lavoratori in più per rispettare le consegne di Apple, HP; Packard e Dell. Aumentando naturalmente le paghe. Che qui partivano da 1800 yuan: cioè quei 285 dollari al mese che erano molto al di sotto dei 2687 yuan pagati regolarmente nello Shenzen, dove ha sede la fabbrica principale. Insomma la seconda Rivoluzione Cinese sembra iniziata per davvero. E come la prima, la pagheremo - stavolta giustamente - davvero tutti.
Quale sarebbe stata la “prima” rivoluzione che tutti avremmo pagato? Quella di Mao, quella di Deng o il fatto che la Cina sia entrata nel 2001 a far parte dell'OMC? E poi, perché questa supposta “seconda rivoluzione” - che presumo sia dovuta al fatto che d'ora innanzi i lavoratori della Foxxcon saranno trattati più umanamente - dovremmo pagarla «davvero tutti» e «giustamente»? E come poi, pagando di più i prodotti Apple e affini? Ok, spenderemo volentieri cinquanta o cento, euro o dollari, in più per far star meglio gli operai cinesi. Ma questo sarebbe davvero “giusto”, anche a fronte di quanto in precedenza Aquaro scrive? Leggete qua
«Sono almeno una cinquantina le violazioni alla legge sul lavoro nella fabbrica che ha permesso alla Apple di sfornare i suoi apparecchi magici con la puntualità e la funzionalità che hanno regalato alla Mela margini di guadagno netto da capogiro: saliti dal 12 per cento del 2005 al 31 per cento dell'ultimo atto.»
Dove sia la «seconda rivoluzione» non so proprio. Chissà, forse quando Aquaro farà la distinzione tra capitalisti e non allora ne comincerà davvero una. Magari la terza, e internazionale.

giovedì 29 marzo 2012

Per Giove


- Buonasera Dio
- Buonasera figliolo.
- Se fossi donna, Dio, mi chiameresti "figliola"?
- Non fare l'uggioso, fammi domande serie che non ho tempo stasera.
- Dio che non ha tempo. Non me la conti giusta.
- Non fare lo spiritoso che riattacco.
- Dio permaloso.
- Guarda bellino, chi pensi di essere? Chi ha chiamato?
- Io
- Appunto, sii gentile e sensato sennò vai a rompere altrove.
- (Contrito) Hai ragione, Signore. Ho preso troppe confidenze.
- Perdonato. Dimmi, cosa vuoi sapere?
- Solite fisime teologiche. Stasera ho buttato uno sguardo al cielo con il galileoscopio e, se non sbaglio, m'è parso di vedere Giove, ma posso sbagliarmi.
- Beh, di solito Giove è facile da vedere. Ma dimmi, cosa c'entra Giove con la teologia?
- Così. Ti faccio subito la domanda: nell'economia celeste (la tua economia divina, intendo) conta più Giove o il Papa (o il Rabbino capo di Gerusalemme, o il Patriarca di Mosca, o l'Imam Khamanei,o il Mago Otelma, ecc.)?
- Mah, Giove è un gigante gassoso che sta lì buono buono da miliardi di anni senza pretendere di essere mio rappresentante; coloro che hai citato, invece, sono proclamati o si autoproclamano come miei portavoce. Contenti loro.
- E quindi il Papa e i suoi omologhi sono meno importanti di Giove, per te.
- Non ho detto questo: ho detto che Giove, anche se è grosso, gira intorno al Sole e sta zitto. Coloro che tu hai citato, invece, anche se sono piccoli, girano anch'essi giocoforza intorno al Sole, ma parlano, predicano, pretendono che quello dicono sia la Verità.
- Ma perché Signore, visto che sei il creatore, non hai reso abitabili più pianeti del nostro sistema, e non solo, in modo da destinarne uno per ogni fede, per ogni ideologia? 
- Primo: non sono un Creatore, sono una vostra creatura (della mente). Secondo: non sono un leghista, mi piace la circolazione delle persone e delle idee.
- E dunque Giove perché esiste? Perché esistiamo noi e il Papa?
- Per farti fare queste domande del cazzo a tarda sera.
- Buonanotte Dio.
- Buonanotte.

Sono io quella ragazza

via
Sarò monotono, ma a me convincono molto i post di Olympe. Mi provocano, mi mettono in subbuglio, agitano il mio quieto vivere in attesa della catastrofe, mi caricano di responsabilità, mi stimolano perché offrono una rivisitazione delle mie deboli idee politiche di sinistra. Soprattutto: offrono nuova luce al pensiero di Marx, operando, sullo stesso, quello che provocò la sintesi moderna sulla teoria darwiniana dell'evoluzione (se l'ho sparata grossa ditemelo).
Marx era (è) stato espulso dalla politica, gettato in un angolo del pensiero, citato solo a mezzavoce, relegato nella prassi comunista datasi nella storia, fallendo. Avevano (hanno) vinto le società capitaliste, America in testa, e la storia sembrava finita - come disse quel pensatore finito di cui non ricordo il nome - e che tutti saremmo diventati, presto o tardi, dei benestanti borghesi tipo famiglia americana. Purtroppo questa storia non è andata a buon fine, soprattutto in Europa e in tante altre parti del mondo. Noi benestanti piccolo borghesi cominciamo a sentire il peso della recessione, e cresce la paura di diventare poveri*.
Quindi, non essendo uno, come molti spero in fondo, facile preda dei movimenti crudeli e imbecilli della storia (pensando all'Italia**: da Mussolini a Berlusconi e Lega Nord, con tutte le differenze del caso), e non confidando molto nella bontà del partito democratico o di altri movimenti riformisti che, riforma riforma, alla fine, non riformano mai un cazzo, leggendo passi come questo
Oggi, diversamente che un secolo fa, ci troviamo concretamente nella possibilità di agire su tutto il globo in tempo reale, di poter far convergere l’imponente sviluppo delle forze produttive, della scienza e della tecnica in un progetto sociale alternativo alla prigione dell’economia capitalistica che ha come unico scopo la valorizzazione del capitale e la mera e tribolata riproduzione di masse enormi di salariati ridotti in schiavitù. È oggi nella realtà delle cose la possibilità di una società e un’economia di tipo completamente nuovi, dove l’essere umano e la natura non siano solo materiale da sfruttare, soggiogare e violentare.
mi sento, appunto, provocato, chiamato in causa, e mi chiedo cosa posso fare io, a cominciare da ora, per favorire «la possibilità di una società e un'economia di tipo completamente nuovi».
E mi sento fermo, bloccato, mi vedo solo a camminare tra i boschi senza una meta precisa, solo, pensando che questa idea, questa possibilità, potrebbe realizzarsi nel modo migliore soltanto a patto che nessuno gli dia il patrocinio, nessuno se ne impossessi, e non ci siano i padri della rivoluzione. 
Non so come spiegare, ma nutro, nonostante le speranze, forti sospetti sulla natura umana.
Voglio dire, per esempio, ed è vero che le circostanze storiche hanno determinato un socialismo reale soltanto attraverso la dittatura, ma per esempio Fidel Castro, ora, che senso ha che tenga in prigione chi non la pensa come lui? In buona sostanza, spero in una nuova società e una nuova economia ma non a fronte di campi di rieducazione. Certo, chi ha il potere ora non lo cederà a gratis e troppi soldi e bombe e pallottole ha di riserva prima di cedere il passo.
E quindi? Quindi cammino, la sola che so fare, tra i boschi soprattutto.

*Non amo fare discorsi populisti: ma io, dieci anni fa, mai avrei pensato che, con un lavoro a tempo indeterminato, avrei avuto un potere d'acquisto e di consumo inferiore a quello che avevo da lavoratore a tempo determinato.
**Quello che dispiace, in Italia soprattutto, è di non averci provato a essere un paese normale, ad avere insomma uno stato che funziona sul modello di qualsiasi nazione europea dove la criminalità organizzata e la corruzione non dilagano, la Chiesa non esercita un potere enorme d'influenza e la legge sembra essere più uguale per tutti. Cioè a dire: se l'Italia intera fosse un Trentino Alto Adige staremmo tutti meglio senza pensare troppo alla rivoluzione?

Il collezionista

*
Ho qualche soldo messo da parte. Una vita di lavoro. In fondo, ho fatto tanti sacrifici, soprattutto per gli amici (degli amici). I soldi, insomma, me lo sono guadagnati, non ho rubato niente a nessuno. E ho avuto sempre il pallino della cultura, in particolar modo dei documenti storici. Così, vado in giro per l'Italia e per l'Europa alla ricerca di quello che offrono le case d'asta o altri soggetti, magari in modalità privata. Oggi ho comprato questa roba da Bolaffi. Nella speranza che, almeno questi, siano documenti originali.

Il pensiero è il feto dell'azione

«Al principio era il Pensiero? o al principio era la Azione? Il pensiero è il feto dell'Azione o piuttosto l'azione ormai giovane. Non introduciamo un terzo termine, il Verbo: perché il Verbo non è che il Pensiero percepito, sia da colui che esso abita, sia dai passanti dell'esteriorizzato. Ma notiamolo tuttavia: perché fatto il Verbo il Pensiero è irrigidito in uno dei suoi attimi, ha una forma - in quanto percepito - dunque non è più embrione - embrione dell'azione. - Bisogna che al principio l'Azione sia, per lo svolgersi degli atti del presente e del passato. Essa era, è, sarà nei minuti della durata, mediante l'indefinito discontinuo. - Al principio il Pensiero non era, perché È fuori del tempo: esso secerne il tempo con la sua testa, il suo cuore e i suoi piedi di Passato, di Presente e di Futuro. È in sé e per sé, e scende verso la morte scendendo verso la Durata.»  
Alfred Jarry, Essere e vivere, Adelphi, Milano 1969 (traduzione a cura di C. Rugafiori e H.J. Maxwell)
Ci pensavo oggi a tutto questo. Mica vero. È un pensiero scorretto il mio. Analisi: oggi cosa ho pensato? Diverse cose, come tutti. Ne ricordo una, scaturita dopo una conversazione sul mercato immobiliare con dei colleghi immobili.
Gli immobili sono fermi. Ma anche i prezzi. O meglio scendono pochino pochino. Gli interessi dei mutui, invece, sono alti. Dici: cento metri quadrati in condominio ti costano più di trent'anni di galera di mutuo. Sì, ma sono cose fuori del tempo, il mutuo, la casa, il Passato, il Presente, il Futuro. Mi sovviene Malvino di qualche mese fa che scrisse qualcosa di ineccepibile sul perché in Italia esista una siffatta politica immobiliare, che abbia spinto la maggioranza della popolazione a sacrificarsi per la casa - per impiccarli economicamente e politicamente e dar loro l'illusione di essere proprietari. 
«La rincorsa al modello della casa di proprietà ha portato una gran parte degli italiani alla dipendenza dal blocco di potere bancario, con quanto ne deriva sul piano del condizionamento della vita economica, sociale e politica.»
Piccoli proprietari siamo noi. Dei padroni delle nostre mura. Di cemento che tende a sgretolarsi. Occorre concepire un pensiero. Oppure - forse meglio - trovare qualcuno che ne abbia concepito uno al riguardo. Comunque la pensiate, ammesso che non siate in quell'un per cento della popolazione che pensa come Piero Ottone, penso che Marx ed Engels abbiano pensato e scritto le cose giuste in un capitolo del Manifesto del Partito Comunista, dal titolo Proletari e comunisti. Ne riporto un estratto, usufruendo, per comodità, della traduzione (datata) che offre Wikipedia:

Rimproverano, a noi comunisti, di volere abolire la proprietà personale acquistata col lavoro, la proprietà che è garanzia di tutte le libertà, dell’attività e dell’indipendenza.
Per proprietà acquistata col lavoro intendono la proprietà del contadino, del piccolo borghese, anteriore alla proprietà borghese? questa noi non abbiamo ad abolirla; il progresso dell’industria l’ha di già abolita, o è dietro ad abolirla.
Oppure vogliono parlare della proprietà privata, della proprietà borghese moderna?
Ma come il proletario col suo lavoro gode della proprietà? In nessun modo; esso crea il capitale, cioè la proprietà, che sfrutta il lavoro salariato, e che non può accrescersi, che a condizione di creare del nuovo lavoro salariato, affine di sfruttarlo ancora.
Nella sua forma presente, la proprietà si muove tra i due termini in antinomia tra loro: capitale e lavoro salariato. Esaminiamo le due parti di questo antagonismo.
Essere capitalista significa non soltanto occupare una posizione personale, ma ancora una posizione sociale nel sistema della produzione. Il capitale è un prodotto collettivo; esso non può essere messo in movimento che con gli sforzi combinati di una massa d’individui: in ultimo luogo esso esige per il suo funzionamento gli sforzi combinati di tutti gl’individui della società.
Arriviamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario, cioè la somma dei mezzi d’esistenza, di cui l’operaio ha bisogno per vivere da operaio. Per conseguenza ciò che l’operaio salariato s’appropria colla sua attività, è giusto ciò che gli è necessario a mantenere la sua esistenza. Noi non vogliamo in alcun, modo, abolire quest’appropriazione personale dei prodotti del lavoro indispensabile al mantenimento dell’esistenza quest’appropriazione non lascia dietro di sé alcun profitto netto, che dia del potere sul lavoro degli altri. Ciò che noi vogliamo è, sopprimere le miserie di quest’appropriazione, che fanno sì che l’operaio non vive, che per accrescere il capitale, e nei limiti voluti dagl’interessi della classe dominante.
Nella società borghese, il lavoro vivente non è che un mezzo d’accrescere il lavoro accumulato. Nella società comunista, il lavoro accumulato non sarà che un mezzo di allargare e di abbellire l’esistenza dei lavoratori.
Nella società borghese, il passato domina il presente; nella società comunista, è il presente che dominerà il passato. Nella società borghese, il capitale è indipendente e personale, mentre l’individuo, che agisce, è dipendente e privo di personalità.
Ed è l’abolizione di un simile stato di cose che la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà. In questo essa non ha torto. Poiché si tratta effettivamente dell’abolizione dell’individualità, dell’indipendenza, e della libertà borghese.
Per libertà, nelle condizioni attuali della produzione borghese, s’intende la libertà del commercio, il libero scambio.
Ma abolite il traffico, e voi abolirete nel medesimo tempo il traffico libero.
Del resto, tutte le belle frasi sul libero scambio, come pure tutte le furfanterie liberali dei nostri borghesi, non hanno un senso che per opposizione al commercio impedito, al borghese asservito del medio evo; esse non ne hanno alcuno, allorché si tratta dell’abolizione del traffico, dell’abolizione dei rapporti della produzione borghese e della borghesia stessa.
Voi siete spaventati perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale, la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri. Ed è precisamente perché essa non esiste per nove decimi, che esiste per voi..
Voi ci rimproverate dunque, di volere abolire una proprietà, che non può costituirsi senza privare l’immensa maggioranza della società d’oggi proprietà.
In una parola, voi ci accusate di volere abolire la vostra proprietà. Diffatti è ben questa la nostra intenzione.
Dal momento che il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in moneta, in proprietà fondiaria, in potere sociale capace di essere monopolizzato; cioè dal momento che la proprietà può più essere convertita in proprietà borghese, voi vi affrettate di dichiarare che l’individualità è soppressa.
Voi confessate dunque, che allorché parlate dell’individuo, voi non intendete parlare che del borghese. E questo individuo, è vero, noi vogliamo sopprimerlo.*
Il comunismo non toglie a nessuno potere d’appropriarsi la sua parte dei prodotti sociali, esso non toglie che il potere di assoggettare coll’aiuto di quest’appropriazione, il lavoro degli altri.
Voi pretendete ancora che coll’abolizione della proprietà privata, cesserebbe ogni attività, che una poltroneria generale s’impadronirebbe del mondo. Se ciò fosse possibile sarebbe molto tempo che la società borghese sarebbe morta di pigrizia, poiché coloro che lavorano non guadagnano, e coloro che guadagnano non lavorano. Tutta l’obbiezione si riduce a questa tautologia: che non vi è lavoro salariato, dove non è capitale.
Le accuse mosse contro il sistema comunista di produzione e d’appropriazione dei prodotti materiali, sono state mosse egualmente contro la produzione e l’appropriazione intellettuale. Come per il borghese, l’abolizione della proprietà di classe è l’abolizione d’ogni proprietà, così l’abolizione della coltura intellettuale di classe è l’abolizione d’ogni coltura intellettuale.
La coltura di cui esso deplora la perdita, significa per l’immensa maggioranza la maniera di divenire macchina.
Ma cessate di criticarci, finché giudicherete l’abolizione della proprietà privata secondo le vostre nozioni borghesi di libertà, di coltura, di diritto, ecc. Le vostre idee sono esse stesse i prodotti dei rapporti della produzione e della proprietà borghese, come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe eretta in legge, e come questa volontà, è essa stessa creata dalle condizioni materiali della vita della classe vostra.
Il concetto interessato che vi fa vedere nei vostri rapporti di produzione e di proprietà non dei rapporti transitorii nel progresso della produzione, ma delle leggi eterne di natura e di ragione, questo concetto illusorio, voi lo divideste con tutte le classi un tempo regnanti, ed oggi scomparse. Ciò che concepite per la proprietà antica, ciò che intendete per la proprietà feudale, non comprendete per la proprietà borghese.

* Confesso che questo è l'unico punto in cui non mi trovo d'accordo con gli autori. Questo "sopprimerlo" m'inquieta - forse su tale termine si sono appoggiati i dittatori del proletariato. Credo, tuttavia, che con sopprimere qui s'intende la mentalità borghese che tende a far credere che il suo pensiero, la sua azione siano l'unico Verbo, l'unica Legge, l'unico Potere possibile.

mercoledì 28 marzo 2012

Berlusconi va in campagna

Dato che mi scrive in prima persona (seppur con invio automatico a tutti gli iscritti alla newsletter di forzasilvio.it), e visto che me lo chiede cortesemente, faccio conoscere il sito del libro - ma il libro no, dato che col cazzo che lo compro.


Luca,
da ieri è in libreria, "Come Berlusconi ha cambiato le campagne elettorali in Italia".L'abbiamo voluto far uscire il 27 marzo, per ricordare i diciotto anni dalla prima vittoria elettorale. 

Non si tratta di una sterile commemorazione, ma di uno strumento di consapevolezza e di lavoro.
Consapevolezza perchè il libro fa capire il modo di comunicare di Berlusconi e spazza via con dati e ragionevolezza i giudizi faziosi dei nostri avversari, i quali sono stati così "abili" da imporre il loro modo di vedere e di raccontare la nostra storia. 
Strumento di lavoro perchè passa in rassegna e commenta tutti gli strumenti di comunicazione usati da Berlusconi nelle sue campagne elettorali. E' un manuale di comunicazione politica utile per tutti coloro che fanno politica, che fa comprendere un nuovo modo di comunicare, che mette i cittadini (non i partiti) al centro.
Il sito del libro è questo: www.campagneberlusconi.it . La pagina facebook è https://www.facebook.com/campagneberlusconi .Falli conoscere e fai conoscere il libro. Senza consapevolezza delle nostre radici non possiamo avere futuro. Aiutiamoci a renderle sempre più forti. E' bene per tutti....Nelle prossime settimane seguiranno altre iniziative di approfondimento della nostra storia e di comprensione delle scelte attuali. Come sempre noi di Forzasilvio.it saremo i primi a esserne informati e a poterli condividere.
Grazie e buona giornata!

on. Antonio Palmieri, responsabile internet PDL


E se me lo regalasse - il libro, intendo? Sì, se Silvio in persona inviasse, non solo a me, ma a milioni di cittadini questo suo volume che pretende di renderci consapevoli delle nostre radici per non smarrire il nostro futuro di fan di Silvio? Certo, se riflettiamo un attimo sulle radici associate al nome Berlusconi, automaticamente il pensiero corre alla storia del suo cuoio capelluto, ai dolorosi trattamenti subiti (volutamente), alla ridicola bandana, eccetera. Sempre radici sono, della nostra storia.
Tuttavia, il libro spero di riceverlo in omaggio perché sono davvero curioso sul come Berlusconi possa, mettendosi nei panni di un netturbino, spazzare via «con dati e ragionevolezza i giudizi faziosi» dei suoi avversari, me compreso, anche se sono un avversario sui generis, in quanto non ho mai convinto nessuno a vergognarsi per avergli creduto.

martedì 27 marzo 2012

Il discorso è nell'ordine delle leggi


« Il desiderio dice: “Non vorrei dover io stesso entrare in quest'ordine fortuito del discorso; non vorrei aver a che fare con esso in ciò che ha di tagliente e di decisivo; vorrei che fosse tutt'intorno a me come una trasparenza calma, profonda, indefinitamente aperta, in cui gli altri rispondessero alla mia attesa e in cui le verità, ad una ad una, si alzassero; non avrei che da lasciarmi portare, in esso e con esso, come un relitto felice”. E l'istituzione risponde: “Non devi aver timore di cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è nell'ordine delle leggi; che da tempo si vigila sulla sua apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo disarma; e che, se gli capita d'avere un qualche potere, lo detiene in grazia nostra, e nostra soltanto”. »

Michel Foucault, L'ordine del discorso, Einaudi, Torino 1972 (traduzione di Alessandro Fontana. Ed. orig. Paris, 1970).

Io non ho avuto timore: ho cominciato. Ho iniziato, cioè, a parlare, voglio dire a scrivere pubblicamente esponendo quella parte mia di corpo che più volentieri espongo: la mente, bella o brutta che sia, nuda, non tatuata, se non dalle costanti citazioni che sottopongo per dar sostegno ai miei pensieri deboli, insicuri, timorosi di uscire dal seminato, dalla semantica e mi fermo, prendo fiato... Io quando parlo, quando scrivo – vorrei che si capisca bene, che non mi si fraintendesse – parlo o scrivo con la netta sensazione di non essere io a parlare, ma un discorso che abita dentro me, anche se non so bene definire come questo discorso abbia preso possesso della mia mente. Parlo e scrivo come se fossi in trance, e dopo non mi sento tanto autorizzato a rivendicarne la proprietà (intellettuale). Io (ma forse non soltanto io, forse tutti), quando parlo, quando scrivo, sono parlato, sono scritto; lì per lì mi sembra di essere l'artefice, ma è un illusione: basta poco per accorgersi che il linguaggio è come l'aria, soltanto più inquinata e controllata dalla propaganda del potere. Il potere impone un discorso, anche quello che lo contesta, purché il linguaggio che lo compone stia dentro il sistema, un po' come le ipotesi ad hoc stavano dentro il sistema tolemaico. Poi, d'improvviso, venne Copernico (e con lui Galileo e Keplero) e le stelle e i pianeti furono raccontati in altro modo... ma questo è un altro discorso, ci porterebbe lontano, fuori tema, fuori me.
Insomma, sono abitato dal discorso che la società impone, non ne esco, non ne so uscire, perché tutto quanto il linguaggio che è là fuori non mi appartiene, non riesco a immaginarne un altro di discorso, un nuovo paradigma, una nuova tessitura di parole che scardini il potere in senso generale ma anche quello spicciolo della lingua che si parla tutti i giorni con i propri simili, sempre in bilico tra il silenzio e la finzione. Voglio dire: oggi sono stato “costretto” a partecipare a un gioco in cui dovevo dire, età, passione e cibo che mi piace di più. Colei che conduceva il gioco ha detto: «Ho x anni, mi piace il mare e la vela, e come piatto la pasta con pesce e verdure».
Altri hanno detto la loro. Poi, inaspettatamente, ho dovuto dire anch'io: «Ho x anni, mi piace scrivere e leggere, e il pan di ramerino». Bene, quel mio discorso è stato parzialmente il mio discorso, perché è stato un discorso controllato, non vero in toto dunque, perché trattenuto. Io non potevo certo dire, come seconda cosa: «Mi piacciono le tue tette», rivolgendomi a colei che conduceva il gioco. E non ho potuto perché io non sono Copernico (né Galileo, né Keplero). Però, ora che ci penso, sarebbe stata una rivoluzione.

lunedì 26 marzo 2012

Prolusioni inclinate

«Un’altra tesi è emersa nelle ultime settimane, la legittimazione dell’infanticidio, assurdamente presentata in riviste scientifiche internazionali: in sé qualcosa di aberrante, se non addirittura di mostruoso. Per questi studiosi, di origine italiana, quello che secondo loro si può fare sul feto, ossia l’aborto, sarebbe possibile anche sul bambino appena nato. E perché anche non successivamente? Così, in breve, dall’interruzione volontaria della gravidanza, di cui è ineluttabilmente vittima un bambino che deve ancora nascere, si passerebbe all’eutanasia di questi una volta nato.»
Attacca così il punto 6  della Prolusione (dal titolo «Piano inclinato” e dialogolaici-cattolici») che il Cardinal Bagnasco ha tenuto alla sessione primaverile del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana.
Sull'argomento sopra esposto, rimando pari pari a quanto scritto, encomiabilmente, da Luigi Castaldi.
Ma Bagnasco continua, passando dal tema dell'aborto a quello dell'eutanasia, con una piroetta degna d'una ballerina di danza acrobatica:
«A proposito infine di eutanasia, va registrata purtroppo un’altra tesi preoccupante, nel frattempo apparsa pure in sede scientifica internazionale: la nutrizione e l’idratazione dovrebbero essere sospese a tutti i pazienti in stato vegetativo permanente, salvo che non ci sia l’evidenza di una volontà esplicita del soggetto gravemente ammalato. Siamo cioè all’inaccettabile rovesciamento della prospettiva di quanto in Italia prevede il disegno di legge che, approvato alla Camera, attende l’auspicabile sì del Senato.»
Non ho voglia/tempo di fare una ricerca su dove possa essere apparso «in sede scientifica internazionale» tale tesi. Mi basta, però, il modo in cui Bagnasco ne accenna per credere che di “scientifico” tale tesi abbia poco. L'obiettivo del cardinale è far credere al gregge che, qualora venisse approvata una legge liberale e laica che concedesse piena facoltà di decisione a ogni individuo di scegliere cosa fare in caso di stato vegetativo permanente (vale a dire: se continuare a essere forzatamente tenuto in vita oppure no), questo provocherebbe una indiscriminata sospensione della nutrizione e dell'idratazione anche nei soggetti che non hanno esplicitato alcuna scelta, o peggio ancora, che non hanno lasciato scritto niente per scaramanzia o altro motivo, se vogliono, nel caso, essere mantenuti artificialmente in vita. Questo modo di ragionare mi sembra alquanto disonesto e irrispettoso nei confronti e degli stessi laici coi quali si vorrebbe dialogare, e dei fedeli stessi, in quanto si fa loro credere le medesime cose di coloro che argomentavano - un tempo - che con la legge che permetteva (regolamentava) l'interruzione volontaria di gravidanza, tutte le donne avrebbero abortito; o di coloro che paventavano che con la legge sul divorzio, tutte le coppie avrebbero divorziato (conosco mie coetanee che, all'epoca bambine, spaventate dalla campagna democristiana in merito, correvano tra le gambe dei genitori implorando che non si lasciassero).
Prosegue, Bagnasco, dipoi:
«Non è vero che si è esaurita la stagione del confronto laici-cattolici, come qualcuno ciclicamente obietta; piuttosto è vero che in questa ricerca si gioca la più alta avventura della coscienza umana. Non ci sono vite non degne: che si tratti di bambini down, o disabili gravi, o malati psichici di difficile gestione, o malati terminali. Non esistono ragioni economiche per sopprimere o abbandonare una vita malata. Sarebbe la barbarie. Quando nel dibattito pubblico arriva l’eco di discussioni – sperando che solo di queste si tratti – che avverrebbero in taluni nosocomi del nostro Paese dove, per esigenze di budget, si vorrebbero rifiutare cure costose a beneficio di chi non ha più realistiche prospettive di vita, è il momento della massima all’erta, quello in cui stanno indebolendosi i presidi dell’umano, e si capisce che cosa vale in concreto la vita di ciascuno di noi. Nessun accanimento – possiamo convenirne –, ma neppure sentenze sbrigative, negligenti, o rinunciatarie in partenza.»
Con il suo tono pacato, il cardinal Bagnasco detta la linea del dialogo: ex cattedra. Egli dà per scontato che solo tra i laici alberghino coloro che pensano si debbano eliminare «bambini down, disabili gravi, o malati psichici di difficile gestione» per ragioni di budget (e non solo). Insomma: gli stronzi e le testedicazzo favorevoli all'eugenetica per motivi primieramente economici sono tutte da una parte, la laica. Se dessimo valore a tali sottintesi, sarebbe facile replicare che i defloratori di imberbi creature sono tutti chierici; ciò nonostante, giammai ci permetteremo di fare simili considerazioni. Piuttosto: quando scrive e pronuncia la parola budget, a Bagnasco non viene mai in mente il budget che la Chiesa riceve tramite lo straordinario meccanismo dell'otto per mille e, altresì, quanto budget valgono tutti gli immobili che dovrebbero pagare l'ici (o l'imu) e invece sono esentati?

Infine, chiedo soccorso: non so come leggere l'ultima frase del paragrafo, Nessun accanimento – possiamo convenirne –, ma neppure sentenze sbrigative, negligenti, o rinunciatarie in partenza»)se in senso positivo o negativo, se posso, cioè, permettermi l'arbitrio di leggervi un segnale di distensione e di riconoscimento del diritto di ognuno (non solo il Papa) di rifiutare un accanimento terapeutico; oppure se, invece, se tale proposizione va letta come monito al legislatore affinché stia attento a non lasciare falle che possano far impugnare la legge di fronte alla corte costituzionale (vedi il caso Englaro).

domenica 25 marzo 2012

Chi vive come me non muore

Ad Antonio Tabucchi, una requie.
«Mi sembra una sorta di mancanza di igiene, questa inerte permanenza della mia vita uguale e identica nella quale giaccio, rimasta come polvere o sporcizia sulla superficie del non cambiare mai.
Così come laviamo il nostro corpo dovremmo lavare il destino, cambiare vita come cambiamo biancheria: non per provvedere al sostentamento della nostra vita, come col cibo e col sonno, ma per quell'estraneo rispetto per noi stessi che giustamente si chiama pulizia.
C'è gente per la quale la mancanza di pulizia non è una disposizione della volontà ma un'alzata di spalle dell'intelligenza. E ci sono anche persone per le quali lo squallore e l'uniformità della vita non sono una forma di volontà o un naturale adeguamento a ciò che non volevano, ma una cancellazione della comprensione di se stessi, un'ironia automatica della conoscenza.
Ci sono persone sporche che detestano la loro sporcizia ma non se ne allontanano per quell'attrazione dell'abisso grazie al quale chi è terrorizzato non si allontana dal pericolo. Esistono persone sporche di destino, come me, che non si allontanano dalla trivialità quotidiana per il medesimo fascino che provano per la propria impotenza. Sono uccelli ammaliati dall'assenza di un serpente; mosche che volano cieche sui rami fino ad arrivare alla portata della lingua vischiosa del camaleonte.
Così porto a spasso lentamente la mia consapevole inconsapevolezza sul mio ramo d'albero dell'abitudine. Così porto a spasso il mio destino che avanza senza che io avanzi; e il mio tempo che procede senza che io proceda. E niente mi salva dalla monotonia, se non questi brevi commenti che tesso intorno a lei. Mi basta che la mia cella abbia delle vetrate dietro le grate, e scrivo sui vetri, sulla polvere del necessario, il mio nome in lettere maiuscole, la firma quotidiana del mio contratto con la morte.
Con la morte? No, nemmeno con la morte. Chi vive come me non muore: finisce, appassisce, cessa di vegetare. Il luogo dove egli fu resta senza che egli vi sia, la strada dove camminò resta senza che egli vi sia visto, la casa dove abitò è occupata da non-lui. È tutto e lo chiamano nulla; ma questa tragedia della negazione non può essere recitata neppure fra gli applausi, perché non sappiamo di sicuro se essa è nulla, noi, vegetali della verità come della vita, polvere depositata sull'esterno e sull'interno dei vetri, nipoti del Destino e figliastri di Dio che sposò la Notte Eterna quando essa restò vedeva del Caos che ci ha creati.»

Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli, Milano 1986, pag. 125-6, traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi.

Nell'86, ancora quasi vergine di letteratura e non solo, comprai questo libro perché lessi buone critiche e io non conoscevo ancora Pessoa e i suoi eteronimi, né tanto meno Tabucchi, nome che lessi per la prima volta in tale libro, insieme a quello della moglie (seppi poi che Maria José era sua moglie). Ci credete che io questo libro non l'ho ancora letto tutto? Lo leggo a sorsi, come un whisky d'annata fortissimo che ti apre lo coronarie, che ti sbatte in faccia una scrittura e un pensiero che ti attraversa e ti s'infila nelle vene. Non commettete l'errore di leggerlo a mezzavoce, con le labbra che si muovono e pronunciano piano parola per parola: rischiate di prendere una sbronza, cadere per terra, spaccarvi i denti sullo stipite della porta. Pessoa fa male, è radioattivo, bisogna farne un uso distante e dimenticarlo, sennò ti paralizza, ti impedisce di scrivere, di essere uno dei tanti nomi che compongono il libro dell'inquietudine.

Di Tabucchi ho un bel ricordo del Pereira. Un cattivissimo ricordo ho del film che ne fece Faenza nonostante uno straordinario Mastroianni. Così come mi ricordo che vedere i libri di Tabucchi in bella mostra nelle vetrine delle librerie francofone mi dava un certo orgoglio patrio, molto più di quello che mi dà vedere altri (non fo nomi) – ma questo è un altro discorso.

Scherza coi santi


La Lettura, supplemento domenicale culturale del Corriere della sera, offre oggi un articolo di Edoardo Camurri, «La guerra santa degli atei», che fa felice di essere, noi italiani, degli emarginati culturali, degli inascoltati e, quindi, illeggibili polemisti che nessuno si prende la briga di considerare e discutere (salvo rarissime eccezioni, beninteso). Ma la colpa, sia chiaro, non è di Camurri, bensì del direttore editoriale de La Lettura che avrebbe il dovere di leggere prima di pubblicare siffatti, riprovevoli, articoli. Peccato che non sia online perché merita leggerlo per capire di cosa sto parlando. Per rimediare, cercherò di riportare alcuni stralci scannerizzati.
clicca per ingrandir
Allora, secondo Camurri, Dawkins sarebbe intollerante perché «ha ribattuto inorridito» a de Botton che sarebbe preferibile raccogliere fondi per altri scopi (come l'insegnamento), anziché costruire un tempio. Ora, se al ribattere (rispondere, replicare, obiettare) corrispondesse sempre l'essere intollerante, beh, credo che nessuno si salverebbe da tale accusa. Lo stesso Camurri, infatti, con un tono che si pretende ironico, ma che sta all'ironia come Massimo Boldi sta a Woody Allen, appare un divertito censore di queste bagatelle in campo ateo. Bagatelle che non sono certo quel tipo di contese che lui e altri neocon e teocon (loro sì intolleranti) pretendono che siano.
«Gli atei radicali hanno reagito con incredibile violenza: insulti e minacce di morte» scrive Camurri, riportando solo la divertente offesa di P.Z. Myers, ma nessuna minaccia di morte, giacché nessun intellettuale ateo, radicale o non, ha minacciato di morte alcuno, tanto meno de Botton. Se così fosse, Camurri aveva il dovere di riportare la fonte precisa della minaccia*. Ma non ha potuto farlo, dato che, tra gli atei, nemmeno tra i più agguerriti, si nasconde la stessa intolleranza e la stessa malafede di un ayatollah o di un reverendo fondamentalista americano.

Dopo questo tentativo mal riuscito di mostrare una contesa aleatoria e insussistente, Camurri dà sfoggio del suo nozionismo sulla materia con un piccolo, succinto, bignamino sui protagonisti che compongono la galassia atea.**
c.s.
D'obbligo è stato citare il suo mentore ufficiale, Gianni Vattimo, in compagnia di uno che ateo non è (Vito Mancuso). Ma a parte ciò, la cosa che più merita leggere è il finalino da pointe assassine di Camurri, il quale prima rammenta un episodio polemico tra la femminista Watson e lo stesso Dawkins di cui sarebbe stato necessario riportare almeno una fonte (un link) per capire come sono andate le cose; e, poi, scrive quella spettacolare frase su Dio, ad effetto boomerang come non mai, perché la sua è una battuta così arguta da essere divinamente ridicola. Già. Il ridicolo... 
Tutto l'articolo di Camurri è permeato da una spiritosaggine mal posta e inopportuna che andrebbe presa a esempio nelle scuole di giornalismo per distinguere chi è veramente un giornalista d'informazione culturale (quali che siano le sue opinioni in merito agli argomenti trattati) e chi invece no... come Camurri***, il quale occupa per grazia ricevuta (da chi?) uno spazio che nuoce a La Lettura stessa.


*Mi sembra pacifico che per minaccia di morte debba intendersi un vero e proprio editto e non un commento minaccioso, magari di un lettore che augura a qualcuno di morire. In fondo - ricordate? - anche Sgarbi al Maurizio Costanzo Show cercò di farsi notare al grande pubblico augurando la morte a Federico Zeri. Eppure nessuno lo arrestò.
**Tra l'altro, in testata, v'è un grafico ove viene appunto mostrata tale Galassia.
***Anche se è stato anche un personaggio televisivo, e pur essendo, per formazione, un filosofo, io non so quali galloni abbia conquistato sul campo Camurri per meritarsi il privilegio di tale spazio. Inoltre, visto che tratta un argomento particolare come l'ateismo, sarebbe stato opportuno ch'egli avesse detto come la pensa lui circa la credenza o meno in Dio;  noi, così, possiamo soltanto presumere che sia un pensatore debole o un neocon alla cazzo di Rocca (Christian).

sabato 24 marzo 2012

Il tornaconto

Quando vedo certe pubblicità piazzate in bella vista su certi giornali (on line) mi sembra ci sia qualcosa che non torna; ma forse sono soltanto io che non torno, dato che non sono mai partito.

Capisco che Mediolanum stia cercando nuovi clienti e che quindi reclamizzi un suo prodotto su varie piattaforme editoriali per raggiungere tale obiettivo. Ma non capisco come Berlusconi possa (tramite Ennio Doris, ok), dopo i famosi 560 milioni di euro per la nota vicenda del Lodo Mondadori, dare altri soldi al suo rivale par excellence.

Benvenuto cimitero

Stamani - sono sincero -
ho portato mia zia al cimitero.
Mentre lei cura lapidi e tombe
io mi seggo e leggo le incombenze
della cronaca politica
Stesse sequenze, stessa mimica.
Ma stamani - è vero -
leggere della riforma del lavoro
del ddl firmato Monti e Fornero
seduto sul muretto del cimitero
è stato come sentire il corifeo
dire:
  • Di ciò che dici, o re, siamo sgomenti;
  • ma sin che giunga quei che vide, spera!
E io, Edipo accecato da un Cristo
in ferro battuto mai prima visto
ho pensato all'Italia, alla sua forma
allo spirito del popolo che dorme
sepolto nel piccolo cabotaggio
dei propri tristi interessi.
E dico:
  • È questa appunto la speranza sola
  • che mi rimane: attendere il pastore
per il salvataggio degli stessi.

Il cimitero è quel luogo benvenuto
dove non si fanno tanti discorsi a cazzo.
Sia nuda terra o muro, tutto è muto
e nessuno che viene qui è tanto pazzo
da credere nella crescita.

Cresce casomai l'erba nutrita
dai ricordi di chi fu in vita.
Un trifoglio spunta tra i sassi
di mio padre che sorride. Lo colgo
come una promessa.

venerdì 23 marzo 2012

Una prospettiva di crescita

governo.it

Helmut Newton, Bergstrom, au dessus de Paris, 1976 

Corrispondere alla realtà

Dice Benedetto XVI in viaggio verso Cuba:
«È evidente che al giorno d'oggi l'ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà e così non può costituire una società [...] devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo. Questo processo richiede pazienza e decisione e vogliamo aiutarlo con spirito di dialogo per evitare traumi».
Non ha tutti i torti. È vero che l'ideologia, meglio: la prassi marxista datasi nella storia non corrisponde, non solo con la realtà, ma altresì con l'ideologia marxista stessa. È, inoltre, altrettanto vero che andrebbero trovati «nuovi modelli» di società, dato che - anche il Papa se ne dev'essere accorto - l'ideologia e la prassi capitalista sta mandando a puttane la pace sociale nei paesi in cui il cattolicesimo ha ancora un peso politico e religioso enorme.
Ma come fare a trovare questi nuovi modelli? «Con pazienza e in modo costruttivo [...] per evitare i traumi». Quali traumi? 
Il Papa non è un bischero. Capisce benissimo che l'allargamento a dismisura della forbice che divide i ricchi e i poveri porterà, prima o poi, allo scontro, alla rivoluzione. Quindi prende le misure, chiede pacatezza, riformismo paziente sì, ma deciso che tenga la gente buona, sottomessa, sempre pronta a inginocchiarsi cospargendosi il capo di cenere davanti al rullo compressore delle Potenze e dei Principati. L'importante è che lo status quo rimanga inalterato per garantire alla Chiesa ancora tutto il suo potere d'influenza e d'intervento nella vita politica dei vari paesi a maggioranza cattolica (mungere un po' di vacche a Cesare, dopotutto, ha il suo buon tornaconto).
I traumi da evitare, quindi, è presto detto quali siano: quelli della rivoluzione, del diffondersi repentino nella popolazione mondiale di un sentimento di rivolta contro una realtà che corrisponde soltanto alle esigenze dei padroni. 
Ed è in questo tempo di crisi, forse, che l'ideologia marxista, evitando accuratamente le derive dittatoriali e gli spiriti di vendetta che non fanno altro che invertire la dinamica (di hegeliana memoria) schiavo-padrone, potrebbe - contrariamente a quanto pensa Benedetto XVI - trovare una sua effettiva corrispondenza con la realtà, ovvero diventare l'unica realtà alla quale credere per riuscire, finalmente, a diventare uomini e donne liberi e, fraternamente, uniti.

giovedì 22 marzo 2012

Emma è una squinzia

E così, tra un mesetto, Giorgio Squinzi (patron della Mapei) s'insedierà al posto di Emma Marcegaglia come presidente di confindustria. Ha battuto “sul filo di lana” Alberto Bombassei (patron di Brembo), candidato sul quale puntava molto Marchionne per tornare a fare da padrone nel sindacato dei padroni.

Personalmente, avrei preferito un secondo mandato per l'Emma, donna belloccia, alla quale ho mandato diverse lettere d'amore che hanno avuto, si vede, poco esito. Chissà se ora butterà un occhio sulla corrispondenza di un blogger proletario in vena di salti di classe, così perché mi piacerebbe sviaggiare per l'Italia in elicottero per aiutarla nei suoi briefing e debriefing, ovvero senza fare un cazzo e stare palle all'aria da mane a sera.

Ma lasciamo la Emma nazionale al suo destino di abbronzata perenne (bacino sulla guancia sinistra, mentre le scenderà una lacrima il 19 aprile) e pensiamo allo Squinzi. 
Prima cosa: se fossi stato io il padrone della Mapei, prima di andare in giro con un cognome così, ne avrei comprato uno un po' più opportuno. Lo so, non siamo responsabili dei cognomi che portiamo, ma insomma, un nome e/o cognome d'arte quando ci vogliono ci vogliono; d'Annunzio non sarebbe stato il Vate se si fosse ostinato a chiamarsi Rapagnetta.
Seconda cosa (e ultima): da un punto di vista della “crescita” è indubbio che la produzione di cemento sia di miglior auspicio della produzione di sistemi frenanti, checché ne dica Marchionne; infatti, dopo la polvere bianca, quella grigia è la polvere più usata dalla criminalità organizzata, industria - quest'ultima - che non minaccia certo di trasferire all'estero la produzione.

«La furbizia serve per difendersi, l’intelligenza per andare all’attacco»


A volte mi domando se ce la farò mai a pensare “bene” di me tanto quanto lui pensa bene di se stesso.
Credo di no, ma non importa, non lo ritengo un obiettivo; o se - sotto pelle - lo fosse, non riterrei giusto sbandierarlo - ma forse, questo, è un retaggio della mia educazione moderatamente cattolica.

Comunque sia, Aldo Busi è davvero un diabolus. Secondo me buono - almeno in occasioni come queste in cui dà il meglio di sé.

Indietro non si torna

Riguardo alla riforma del mercato del lavoro ho poco altro da aggiungere a quanto dice Olympe.
Tuttavia, io sono ancora malato di riformismo, credo che qualcosa di buono, di liberale e socialista insieme potrebbe essere fatto (non sputatemi addosso, mi nutro di contraddizioni); penso, insomma, che le ragioni dei sindacati, in particolare della Cgil, siano fondate, e che il governo dovrebbe quindi pensarci bene prima di varare un riforma che fa sorridere solo il padronato.
Detto questo, faccio una considerazione a margine, prendendo spunto da una frase dell'amico Scorfano
«E mi sembra che in futuro, quando verremo giudicati dalle generazioni a venire, verremo giudicati proprio sulla base di questa scelta che oggi stiamo facendo o lasciando fare.»
La nostra classe politica e dirigente, governo in testa con la sua azione, ci sta dicendo che i nostri padri (ovvero, la precedente classe dirigente, i precedenti politici e governanti) hanno fottuto il nostro futuro, dacché le loro politiche sociali, ottenute a debito, ci hanno condotto sul lastrico; per uscire dalla crisi - dicono - si deve porre rimedio attuando dolorose riforme: vedi la già approvata riforma delle pensioni e la prossima riforma del mercato del lavoro. 
Benissimo. Anzi: malissimo. Il loro ragionamento è: facciamo tutto questo per salvare l'Italia e le future generazioni. Ok, ci credo, per un minuto solo, voglio provare a crederci. Ma in questo minuto mi chiedo: se tra qualche anno la situazione economica tornasse florida, ci fosse una ripresa della produzione industriale, ci fossero meno sprechi in tutti i settori, e che insomma le casse dello stato, magicamente, tornassero piene di “utili”, ecco domando velocemente (il minuto sta per scadere): tali “utili” saranno restituiti socialmente ed equamente a tutti i cittadini? Si potrà rifare una nuova riforma delle pensioni migliorativa rispetto all'attuale (non chiedo le pensioni baby, sia chiaro)? Si potrà prevedere in quel caso una riforma del lavoro che faccia questa volta sorridere i lavoratori anziché i padroni? In buona sostanza: se davvero (ancora qualche secondo) salva-Italia e cresci-Italia funzionassero e portassero copiosi frutti, si potrebbe dipoi tornare indietro e far sorridere quella classe sociale che si sente maggiormente colpita dall'azione di questo governo?
Il minuto è scaduto e mi rendo conto benissimo che le mie domande sono solo ingenue e mal poste. Non torneremo indietro, no, nemmeno se alle prossime elezioni vincesse il centrosinistra, con Vendola al 15% e una maggioranza schiacciante come quella precedentemente avuta dal Pdl e dalla Lega Nord. Basta vedere ora cosa sta accadendo con la ripugnante riforma della scuola firmata Gelmini: nonostante i disastri provocati, indietro non si torna nemmeno con quella. 
Quindi niente, inutile sperare di sacrificarsi ora per godere poi. Bisognerebbe ci insegnassero a godere di questo nostro sacrificio adesso e non poi, giacché il fatto che esso sarà gradito dal dio mercato a noi umani dei bassifondi non va bene, ci va di traverso... e forse questo è un bene, che la rabbia monti. Già, che rabbia Monti. 

mercoledì 21 marzo 2012

La primavera è una finzione

Oggi è la giornata mondiale della poesia,
capito Benedetta, amica fornaia
che mi tagli mezzo pane fresco
e mi sorridi mentre ti fo gli auguri?

La signora prima che hai servito
era bella, capelli sciolti e biondi
pareva lei la primavera con quel culo
fasciato dentro pantaloni stretti.

Che piacere toccarlo in quel momento
se dietro quel sorriso ci fosse stato
un informato consenso al toccamento.
Ho evitato discussioni, pagato il pegno

e poi sono di corsa uscito guardando
se con questo caldo già le rondini
fossero arrivate. No, non ancora, solo
africani che manutengono le viti dei signori

marchese e marchesi frescoribaldi
che sulle pagine dei giornali la domenica [vedi foto in basso]
dicono che grazie alla cura della famiglia
producono vino d'oro - come se fossero loro

coloro che da mane a sera sotto sole o no
aggiustano i filari, spargono concimi, tagliano
foglie e tralci. No, non sono loro non
ci credete, non gli credete, date retta non

gli date consenso, anzi, se li vedete
sorridenti ai bordi delle strade e li
riconoscete, fategli un pernacchio forte
che rimbombi nella splendida vallata

che, ingiustamente, dicono gli appartenga.
Anche la Chiesa dice che fu Costantino
a darle il diritto di possedimento. Tutti così
indietro a risalire all'atto che suggella

la proprietà. Tuttavia, se valesse davvero
questo discorso, allora tutti avremmo diritto
di risalire indietro nel tempo: e scopriremmo
che tutto è di tutti, anche se abbiamo ereditato

solo la fatica di vivere, e poca gioia sottratta
o elemosinata, come se fosse un lusso
unire al respiro il sorriso e lo stomaco pieno
di sapore buono di pane fresco.

Dunque è primavera: pazienza.
Anche questa volta la vita ricomincia
lo vedi dai fiori dei pochi mandorli qui
intorno, dal primo assalto di formiche.

È primavera, ma non vi preoccupate.
Non datele credito se non vi piace
troppo questo fulgore, fate finta
di niente, dite: la primavera non esiste.

Dite: esisto io, finché dura, e duro resto
come il burro a invidiare la quercia
e un sasso con la forma del mio viso
in cui mi specchio inutilmente. 





martedì 20 marzo 2012

Il contesto

Via Astime, vengo a sapere di questa provvidenziale mozione bipartisan. Provvidenziale? Sì, perché oggi ho scoperto questo fermo immagine di George Carlin - con un testo estratto da un suo irresistibile monologo - e volevo postarlo, sì, ma mi mancava il contesto. L'ho trovato


Valori in uso



I attended school and I liked the place –
grass and little locust-leaf shadows like lace.

Writing was discussed. They said, « We create
values in the process of living, daren't await

their historic progress ». Be abstract
and you'll wish you'd been specific; it's a fact.

What was I studying? Values in use,
« judged on their own ground ». Am I still abstruse?

Walking along, a student said offhand,
« “Relevant” and “plausible” were words I understand ».

A pleasing statement, anonymous friend.
Certainly the means must not defeat the end.

***

Frequentavo la scuola, e il posto mi piaceva –
erba e ombre di piccole robinie, come fosse una trina.

Il tema era lo scrivere. Dicevano: « I valori
li creiamo vivendo. È inutile aspettare

il loro progresso nella storia ». Se cadi nell'astratto,
rimpiangi di non essere concreto: questo è un fatto.

E che cosa studiavo? I valori in uso,
« da giudicare sul loro terreno ». Sono ancora astrusa?

Uno studente, nel passarmi accanto, diceva:
« “Rilevante” e “plausibile” erano parole che capisco ».

Bella dichiarazione, amico anonimo.
È certo che i mezzi non devono tradire il loro fine.

Marianne Moore, O to be a dragon, [1959], in Le poesie, Adelphi, Milano 1991, a cura di Lina Angioletti e Gilberto Forti.

Quali sono i miei valori in uso (o d'uso)? Quali sono le merci (che consumo, che uso) senza le quali sentirei che la mia vita non sarebbe degna di essere vissuta? Non so rispondere d'acchito, dovrei pensarci, al momento direi: un compùtero personale avente una connessione internet, dato che, adesso, sto usando tale valore. Mi sbaglio? Cioè: sto prendendo una cantonata sulla reale entità dei miei valori d'uso? Se ora stessi facendo merenda, per esempio un tè e un pan di ramerino, sarebbero quelli i miei valori d'uso
So soltanto che siamo dentro una società sì complessa che senza soldi non puoi fare un cazzo. Senza denaro siamo pesci fuor d'acqua, a dibattersi a margini della strada o delle stazioni, a rompere le palle ai passanti che vanno in cerca di valori. Tutto dipende, maledettamente, dalla quantità di denaro presente nel proprio portafoglio (o nei propri conti bancari o depositi in cassette di sicurezze, svizzere preferibilmente). Non mi sono mai posto il problema prima e forse sto sbagliando a pormelo: ma perché un mezzo, quale dovrebbe essere il denaro, ha tradito il suo fine, diventando esso stesso un fine
Ma soprattutto: se avessi un conticino da x milioni di euro presso qualsivoglia istituto bancario (non necessariamente lo IOR), mi porrei tali quesiti rilevanti e plausibili? No.