martedì 31 luglio 2012

Ho un debole per le quinte


Dal parlare di sport mi tengo volentieri alla larga, salvo in alcune occasioni. Questa: segnalare che Alex Grossini ha, da non molto, “aperto” un blog di “cose di sport”. 
Alex è un esperto sia di sport che di doping. Ci ha persino scritto un libro e leggerlo è stato un piacere.
Riguardo alla vicenda della nuotatrice cinese ha scritto questo post (ah, io sono favorevole al doping). 
A margine, aggiungo solo questa banale considerazione dettata dalle accuse degli Usa alla Cina di “giocare sporco”: alla fine del salmo, una volta che il medagliere sarà completato, nella vita di una nazione, cosa cambia avere una, dieci, cento, mille medaglie? Non voglio fare l'antisportivo e l'antitaliano, ma se Federica Pellegrini stasera avesse vinto anziché arrivare quinta, cosa sarebbe successo, sarebbe aumentato il Pil e sarebbe diminuita la disoccupazione?

Io vengo dopo il tg

Quando sono in vacanza perdo alcune abitudini. Per esempio quella di non guardare i telegiornali. Per esempio prima ho visto il TgUno. C'è quel conduttore che assomiglia a Christian De Sica che parla a bocca spalancata. Poi è stato affiancato da quell'altro che si occupa di sport che quando parla - sono cattivo - cerco di imitarne i movimenti della bocca (non ci posso fare niente, è più forte di me). Quello che mi stupisce è che i conduttori non parlano: urlano. Ma che cazzo urlano a fare che hanno il microfono non lo so. Per dire: nella scala del volume del televisore che va da zero a cinquanta, sono stato costretto a mettere il volume a tredici sennò mi tremolavano le orecchie.
Che impressione guardare il tg, non ero più abituato. Mi ha lasciato un senso incondizionato di vuoto, come se nel mondo non fosse successo niente. Dal minestrone delle dichiarazioni dei politici sulla legge elettorale, agli sfollati di Aleppo uno sta lì e sorbisce le cose come se non accadessero. La disoccupazione cresce? Monti è in Francia? La Pellegrini s'è fatta un tatuaggio con su scritto una cosa che non me la ricordo ma quando l'ho sentita manca poco rigetto? Non fa niente. Tutto sotto controllo. Il telegiornale è lì, fermo, immobile. Il conduttore urla, ma è rassicurante. Non è successo niente. Continuiamo a mangiare.
Tuttavia c'è stata una perla del tg di stasera che ancora brilla nella mia mente: la cerimonia del Ventaglio che si svolge annualmente al Senato. Le dichiarazioni del presidente Schifani hanno cesellato il servizio della giornalista Ida Peritore. (È una che vinse il concorso anni fa alla Rai Toscana, non so di dove ella sia, forse di Viterbo, Teramo, Isernia, non saprei, vinse il concorso, stette alcuni anni in sede a Firenze a condurre il tg regionale toscano poi il grande salto a fare quel mestiere sublime di notista politico dei telegiornali della Rai, ti imbelletti tutta se sei donna e porgi i microfoni ai politici e, se ti va bene, crei anche un salotto alla Anna come la si chiama di cognome non me lo ricordo, meno male la memoria perde pezzi di miseria umana)
Insomma la giornalista parlava e parlava con quella voce gracchia e sotto scorrevano le immagini della sala Koch, con Schifani che conferiva agli astanti tutti intenti ad ascoltarlo mentre diceva qualcosa sull'Euro, sulle regole, sulla sua esperienza toccante ed entusiasmante di uomo delle istituzioni e mentre premiava non so bene chi, ho riconosciuto solo quella giornalista di La 7, la Sardoni mi sembra, e perché lei sì e la Peritore no, la Peritore, dovevate vederla la Peritore com'era imbellettata, chissà in quale boutique di Roma vanno le giornaliste della Rai a comprare i loro tailleurini bianchi con camicetta a fiori, e chi le trucca per andare in onda quei dieci secondi per strada per far vedere la loro presenza video che sarà indennizzata. Che spettacolo, altro che le olimpiadi, proprio una goduria.

lunedì 30 luglio 2012

Propagare verità sociali dall'America

La foto non c'entra niente è che scrivere questo post mi ha fatto venire sonno
Sandro Brusco e Michele Boldrin di NoiseFromAmerica hanno pubblicato oggi un lunghissimo e interessante post sul perché il Partito Democratico non sia lo strumento migliore per fermare il declino italiano.
È gente esperta, da prendere con le pinze, quindi bisogna fare attenzione a pungolarli, c'è caso rizzino il pelo come gli istrici. Ma io ci provo, non del dettaglio perché il loro pezzo è estenuante. Evidenzio alcuni passaggi che mi gettano nello sconforto, non tanto perché non sono “liberista” come loro, quanto perché vorrei che loro precisassero certe cose e non le lasciassero nel vago delle soluzioni magiche che sembrerebbero alla nostra portata e invece no.
Premessa: non entro nel merito della loro critica al PD (il quale partito è il soggetto del loro post), ma solo su alcuni passaggi che mi lasciano interdetto.
Essi dicono
«la politica si fa, anzitutto, con la selezione delle classi dirigenti.»
Ma chi seleziona chi? Per esempio: loro, che sono competenti, dati i loro studi e ricerche, che sono dunque, dal loro punto di vista ben selezionati per rendere più efficiente questo sistema economico borghese, perché non entrano nell'agone e vanno a fare politica?*
Per lo meno Monti - loro caposcuola e maestro in un certo senso - seppur non giovanissimo, s'è sporcato le mani e, pur non risolvendo niente (anche a causa del fatto che deve governare con l'avallo di una maggioranza spuria), qualcosa fa, poco e male, ma fa. E lui è stato selezionato da cosa? Dalla Bocconi, dal Fondo Monetario internazionale, dalla Comunità Europea, dal Corriere della Sera? Chi seleziona chi? Come già mostrarono i greci, in democrazia la migliore selezione si avrebbe attraverso il sorteggio. Chi non è capace di governare come finora siamo stati governati?

Altra frase, conseguente a quella sopra,
«L'idea che la mobilità sociale sia frutto di mercati concorrenziali è da sempre completamente assente da quell'apparato teorico: non a caso molti di voi si scontrano quotidianamente con un muro tutte le volte che sostengono l'opportunità di rendere il mercato del lavoro meno rigido per permettere ai capaci di andare avanti e progredire economicamente facendo così progredire il paese con loro»
«Permettere ai capaci di andare avanti e progredire economicamente facendo così progredire il paese con loro». Trovo questa frase aberrante e quasi eugenetica. Trattasi di selezione della razza e, in Italia e non solo, tale selezione è già stata fatta. A dirlo è non un veterocomunista ma bensì un giuslavorista a loro concettualmente vicino: Pietro Ichino che titola un suo editoriale «Perché non è bene che il padre lasci il posto in azienda al figlio». 
Il problema è che tali economisti non hanno ancora capito che rendere il mercato di lavoro meno rigido varrà non tanto per selezionare i davvero meritevoli ai piani alti, ma per selezionare e sfoltire coloro che fanno un lavoro ai piani bassi in cui non ci vuole alcuna meritocrazia per farlo, lo fai e basta, perché non hai altre alternative alla fame. Lavorare otto ore alla catena di montaggio di qualsiasi attività è una rottura di palle che ti rende la vita flessibile abbastanza per dire ai vari Marchionne del mondo: «Vieni giù un po' testadicazzo, facciamo a cambio un semestre e poi vediamo se io non sono capace di fare schifo da un punto di vista del mercato come fai tu. Vieni, sii davvero flessibile».

Altro passaggio ancora, questo:
«Le privatizzazioni vennero fatte, è inutile nasconderlo, sotto la spinta dell'urgenza di far cassa per fronteggiare una situazione assai critica del debito pubblico. Vennero infatti subite perché, mentre la motivazione era far cassa, l'impulso intellettuale veniva dall'esterno dei partiti che sono poi confluiti nel PD: era il prodotto di alcuni "tecnici" prestati alla politica, il cui nome non crediamo serva fare. Il futuro PD subì le privatizzazioni, non le gestì né le fece proprie. Non ci fu, infatti, alcuna spinta convinta alla liberalizzazione di quelle industrie perché non c'era la capacità di intendere a cosa serviva privatizzare e in che senso liberalizzare, ossia rendere concorrenziali i mercati, possa servire per generare crescita economica e mobilità sociale (il fatto che la destra lo capisse anche meno non è una scusante).»
Non amo generalizzare, ma così a colpo d'occhio non credo affatto che liberalizzare significhi rendere concorrenziali i mercati. Né tantomeno le liberalizzazioni consentano mobilità sociale. Se infatti si guardano le liberalizzazioni effettuate e quanti nella società ne abbiano tratto beneficio tanto da essersi mossi socialmente, il quadro appare molto sconfortante. E non solo in Italia.

Inoltre:
«La cultura del gruppo dirigente [del PD] è pessima ed è andata deteriorandosi, ma alla fine, come ci insegnava il tizio di Treviri, la cultura è parte della sovrastruttura. Se il PD comunque rappresentasse le forze sane e produttive del paese, la mediocrità del suo gruppo dirigente farebbe relativamente pochi danni. E qui è dove veramente ti chiediamo di pensare e riflettere. Chi e cosa rappresenta, oggi, la sinistra italiana? Cerca una risposta onesta ed evita che l'amore per vecchie bandiere offuschi l'analisi. Mettiamola cosi': secondo te, ideologie e cretinate sovrastrutturali a parte, chi produce più valore aggiunto in Italia? I gruppi sociali che il PD rappresenta con le sue proposte politiche ATTUALI o il resto? Lo sappiamo, questa domanda è un po' un colpo basso, ma è importante.»
Ribadisco: io non sono affatto l'avvocato d'ufficio del PD, ci mancherebbe. Ma scrivere «se il PD rappresentasse le forze sane del paese» presuppone che:
a) esistano forze sane, e se uno lo sa che esistono, male non sarebbe stato specificarle;
b) le presunte forze sane che non votano PD o non votano - e passi - o votano qualcun altro. Chi? La Lega, il Pdl, Beppe Grillo? E votando tali partiti o movimenti sarebbero forze sane?
E poi: «chi produce valore aggiunto»? Sarebbe stato d'uopo che i due esperti lo avessero specificato, anche se è facile intuire chi: la piccola e media industria, le partite iva, gli autonomi. Gli operai no. I dipendenti pubblici, peste li colga. Vero, tante storture lo stato italiano ha consentito e consente e fanno bene i nostri a specificarlo ogni volta. Ma, come altre volte mi pare di aver scritto, essi pensano davvero che se l'Italia avesse un grado di onestà e civiltà pubblica pari a un paese scandinavo le cose economicamente andrebbero meglio? Lo so, fa rabbia anche a me che ci siano dei tromboni di stato che prendono uno sproposito di stipendio e non si sa perché ma continuano a prenderlo. Ma chi avrà mai la forza politica di abbassare lo stipendio dei boiardi di Stato?
Infine: il valore aggiunto. Se Brusco e Boldrin avessero letto davvero il tizio di Treviri farebbero meno gli spiritosi e direbbero chi veramente aggiunge valore alla produzione. Ma qui lascio il testimone a chi è più esperto di me, Olympe de Gouges, per esempio.

*Ah, sì pare che stiano creando un movimento... ma allora, anziché sul PD, si concentrino su di sé.

Povere tope

*
Vedremo cosa succederà contro queste simpatiche ragazze punk, se verranno condannate a una pena detentiva o se, invece, saranno solo "multate". Intanto sono in carcere preventivo dal febbraio scorso e questo la dice lunga sulle loro speranze di cavarsela con poco. Putin tiene molto all'alleanza con la chiesa ortodossa e quindi la vedo dura.

domenica 29 luglio 2012

Una scrittura semplice



A me sembra che quando la scrittura è scorrevole si legga meglio e uno sia più invogliato a leggere, a seguire quello che uno scrive. Certo, questo non vuol dire farla semplice, perché mica è tanto facile scrivere semplice e, allo stesso tempo, dire cose sensate o insensate che abbiano un qualche interesse e non siano delle frasine del cazzo alla Bruno Vespa o alla Silvia Avallone (c'è un perché in questo accostamento). Insomma, scrivere semplice non vuol affatto essere una descrizione delle acque calde del mondo, piuttosto delle acque carsiche, ma mi fermo se no metaforizzo troppo e qualcuno potrebbe anche legittimamente dirmi “la stai facendo complicata”. Infatti – e per la verità non so nemmeno bene perché ho impancato questo discorso, manco fossi un'autorità. Mah, è che oggi, dopopranzo, dato che ero stanco per una lunga passeggiata mattutina in montagna, mi sono buttato sul divano e, nel dormiveglia, mi sono venute in mente queste considerazioni post-prandiali sulla scrittura semplice che ho buttato giù alla bell'e meglio su un taccuino che avevo a portata di mano. Cioè, mi sono reso conto che quando scrivo in uno stato di dormiveglia, la scrittura è più fluida e scorrevole, vale a dire meno frenata dalle interpunzioni del pensiero. Scrivo, insomma, come se fosse un prolungamento del sogno, di più: come se fosse pensiero-sogno a raccontarsi da solo così come si presenta alla mente senza tante intermediazioni. Il sogno – sappiamo tutti – pur riunendo in sé molteplici aspetti, è la migliore delle narrazioni, dacché riesce a concatenare tutte le storie che produce anche quando queste appartengono a piani d'«irrealtà» diversi. Tutti quando sogniamo abbiamo l'impressione di vivere dentro una storia, anche assurda, che si racconta da sola tutto d'un fiato.

L'importante, per me, è far scorrere la penna sul foglio senza inceppamenti e interruzioni. Naturalmente la scrittura, da chiara e leggibile, diventa via via incomprensibile e, molte volte (succede), che non capisca niente di quello che ho scritto, ma sono sicuro che se lo capissi, sotto sotto ci troverei un racconto di Cheever.
A tal proposito, mi ricordo che, nel paese dove abito, c'era un signore, un vero intellettuale coi guanti bianchi e il bastone di metallo, cappello e sigaretta perenne, che era uscito di manicomio grazie a Basaglia, anche se in manicomio si era laureato in sociologia delle comunicazioni (non è vero, ma per me era come se fosse così). Bene, tale signore* – che ebbe il suo momento di gloria negli anni novanta al Maurizio Costanzo Show dove fu protagonista indiscusso di due serate – soleva portare con sé, a tracolla dell'elegante vestito, un borsa capiente, contenente intere risme di fogli formato A4. Egli passava intere mattine e interi pomeriggi al tavolino di un bar, tirava fuori dalla borsa tali fogli, prendeva la biro e cominciava a produrre una sorta di scrittura ondulatoria, tipo i fusilli della Garofalo, da margine a margine. Lui scriveva ore e ore, senza fine, come il moto perpetuo delle onde del mare.
Un giorno, dato che eravamo diventati confidenti – o meglio: lui, vedendo in me un suo possibile discepolo, mi confidò cosa andava scrivendo: «Niente, come il pensiero in fondo è niente. Tutti i pensieri umani sono niente, sia quelli espressi che gli inespressi. È il gesto che conta, il gesto ondulatorio, il nostro particolare battito d'ali, che, nel mio caso, è altamente improduttivo e antiutilitarista. Come vedi, le mie sono antimemorie: di me non sarà ricordato nulla. Non c'è nulla da interpretare, da decifrare in quello che scrivo. E poi, per non rischiare di essere frainteso anche del nulla che scrivo, dopo averlo scritto, come vedi, strappo e butto via tutto. Hanno messo in piazza, davanti alla casa di riposo, dei simpatici contenitori gialli per la carta da riciclare. Gialli, come la maglia gialla che avevo il giorno in cui i miei genitori mi accompagnarono in manicomio».

Che lo scrivere, dunque, semplice o complicato, significante o insignificante che sia, sia niente? Non lo so di preciso, anche se no, credo di no. Nello spazio di vita concesso, il pensiero che trapela dalla scrittura (e non solo da essa) a volte dona carezze e meraviglia. E del mio scrivere cosa spero che sia, visto che, spudoratamente, lo pubblico e non lo strappo gettandolo nei cassonetti della riciclata? Mi accontenterei assomigliasse a un gesto, al battito d'ali di chi ama volare rasoterra. 

*Tale signore si chiamava Pasquale Spadi. Forse qualcuno lo ricorda davvero al Maurizio Costanzo Show.
Update. Lo Spadi, dopo l'effimero successo ottenuto da Costanzo, pubblicò questo. Qui altra citazione.

sabato 28 luglio 2012

Sapone d'Aleppo


Nella gara di tiro al ribelle pare che l'esercito regolare siriano stia vincendo molte medaglie. 
Povera Aleppo, una città così pulita, profumata di alloro, massacrata da colpi di arma pesante (e la popolazione nel mezzo, chissà quante pene, quanto dolore, quanta paura).
Buone notizie, intanto, per i due italiani dipendenti dell'Ansaldo, rapiti alcuni giorni fa: sono stati liberati dalle truppe regolari, ma la vicenda è ancora «tinta di giallo» (che espressione di merda). Insomma, ancora non si sa bene a chi delle parti contendenti avessero offerto le loro “consulenze energetiche”.

Infine, una curiosità: da molti decenni la Siria è nelle mani della famiglia Assad. Come ogni regime autocratico che si rispetti, anche il regime siriano ha speso molti soldi per l'esercito (armamenti compresi). E ne ha spesi così tanti che uno si chiede: ma dove li ha presi, dato che la Siria non è una nazione ricca di risorse minerarie (o altro)? Come ha, insomma, finanziato il suo potere e il suo esercito la famiglia Assad? Col sapone? E, marginalmente: come mai i mercati non vanno a rompere le palle ad Assad per il debito? Perché fare debito per i cannoni ha un suo ritorno?

Giardino con vista


Sono arrivato nell'amena località delle vacanze. Se qualcuno riconosce quel "dente" e me ne dice il nome prima che vada all'ufficio turismo, non mi fa che piacere. Intanto leggo godendo del sole gli ultimi rai. 

venerdì 27 luglio 2012

Le speranze di un portavoce

*
Nutro il fondato sospetto che stanotte Angelino Alfano sognerà una cella del carcere de l'Aia.

Non voglio essere un'anima in pena

Altra poesia. Scovata stamani in rete, qui. È della famosa antropologa Margaret Mead. M'è sembrata bella, ma non avevo testa di tradurla. L'ha fatto Francesca de iCalamari, secondo me mirabilmente.


Non voglio essere un’anima in pena
Che insegue le tue orme appena
Superano il punto dove mi hai lasciata
in piedi in mezzo all’erba alta,

Fai la tua strada, sentiti libera
Non ho bisogno di sapere dove vai
Non mi consuma la febbre d’essere certa
Che tu sia andata dove avrei voluto io,

Quelli che racchiudono il futuro tra
Due muri di pietre ben disposte
Tracciano sentieri spettrali per sé
Tristi percorsi per ossa polverose.

Quindi puoi andare senza alcun rimpianto
Via da questa terra conosciuta
Lasciando il tuo bacio sui miei capelli
E tutto il futuro nelle tue mani.


That I not be a restless ghost
Who haunts your footsteps as they pass
Beyond the point where you have left
Me standing in the new sprung grass,

You must be free to take a path
Whose end I feel no need to know,
No irking fever to be sure
You went where I would have you go,

Those who would fence the future in
Between two walls of well-laid stones
But lay a ghost walk for themselves,
A dreary walk for dusty bones.

So you can go without regret
Away from this familiar land,
Leaving your kiss upon my hair
And all the future in your hands.


Mutazioni

È RIDICOLO CREDERE

che gli uomini di domani
possano essere uomini,
ridicolo pensare
che la scimmia sperasse
di camminare un giorno
su due zampe

è ridicolo
ipotecare il tempo
e lo è altrettanto
immaginare un tempo
suddiviso in più tempi

e più che mai
supporre che qualcosa
esista
fuori dell'esistibile,
il solo che si guarda
dall'esistere.

Eugenio Montale, Satura, 1962-1970

A parte l'errore relativo alla scimmia (nel senso che il genere homo e il genere simia, i quali appartengono all'ordine dei primati, condividono sì un antenato in comune, ma dal quale, poi, hanno seguito linee evolutive diverse), la poesia di Montale (il cui titolo è quello in stampato maiuscolo e non il titolo del post, che ho scritto - arbitrariamente - io), che stamani ho riscoperto a caso aprendo Satura (ci sono mattine che accompagno il caffè con Montale), mi fa venire in mente quanto segue.

1.
Noi umani (nella fattispecie: europei) che da alcuni anni ci dibattiamo con questa crisi economica scatenata dalle ondulazioni fameliche dei mercati, ci siamo resi conto o no che per uscirne (ammesso e non concesso che si voglia uscirne) occorre pensare qualcosa di diverso e non rattoppare questo sistema? Leggendo la doppia intervista a due economisti di opposta scuola (A. De Nicola e L. Gallino) fatta da Fabio Chiusi per l'Espresso dal titolo «Capitalismo: cosa ne facciamo?» la migliore risposta, da un punto di vista evolutivo, la offre un commentatore:
Più che "cosa ne facciamo" del Capitalismo direi che la domanda è: cosa siamo disposti a farci fare oltre a quello che ci ha già fatto?
Ecco.
In attesa che il capitalismo arrivi all'osso (ancora un po' di polpa sociale c'è da sbranare), quanto sono disposti gli umani a farsi sbranare dal sotto-genere umano dei capitalisti?

2.
Avvenire, oggi, pubblica un'intervista al paleoantropologo di fama internazionale Ian Tattersall, dal titolo «E l'evoluzione si piegò al nostro volere».
Pur diffidando dei titoli di Avvenire, mi sono detto che, forse, qualche spunto di riflessione per piegare il capitalismo in favore di tutto il genere umano, la si può trovare. Macché, niente. Di tutto si parla tranne che di questo (ovviamente, tra l'altro). Però, è interessante notare come l'intervistatore, Luigi Dell'Aglio, cerchi di piegare le domande per il verso creazionista, nonostante, inevitabilmente, qualsiasi serio antropologo, anche a essere cortese e non ostile al creazionismo, non può prestare il fianco.
Leggiamo insieme alcune domande:
Professor Tattersall, l’emergere dell’uomo con la sua natura dal corso dell’evoluzione è considerato un evento unico, ma ora alcuni fisici negano che l’arrivo della specie umana sia una svolta impetuosa che cambia radicalmente l’avventura della vita sul pianeta. Perché questo principio viene contestato?
Ora, a parte il fatto che mi sembra abbastanza pacifico considerare ogni emersione vitale un evento unico, sia essa vegetale o animale, non capisco come si possano fare delle generalizzazioni così spudorate. Innanzitutto: «alcuni fisici», chi? E poi, non mi sembra uno scandalo negare il fatto che la specie umana sia «una svolta impetuosa», giacché non sappiamo, non potremo mai sapere, cosa sarebbe accaduto nel caso essa non fosse emersa quale altro tipo di svolta potremmo avere avuto. A dircelo è lo stesso criterio adottato da coloro che vorrebbero torcere il principio antropico al servizio del creazionismo. Lo fa lo stesso Dell'Aglio che, successivamente, fa questa domanda
"L’universo aspettava l’uomo", dicono molti astrofisici sottolineando la quantità di condizioni favorevoli e di complesse attitudini grazie alle quali la specie umana ha potuto insediarsi sulla Terra. Alla luce di tutto questo, si potrebbe usare il concetto di "principio antropico" anche in paleoantropologia?
Da «alcuni fisici» (delle merde, in pratica) qui si passa a «molti astrofisici» (dei geni in odor di nobel); l'importante è comunque non fare il nome di alcuno, tante volte arrivino telefonate in redazione.

L'impudenza creazionista, tuttavia, permea tutte le domande. In particolare, per ultimo, vorrei segnalare questa riportando anche la risposta di Tattersall che, secondo me - anche se non ho le prove - è stata tradotta capziosamente.

Nella disputa sull’origine della specie umana sembra ora accentuarsi e ora attenuarsi la spinta a invalidare la teoria dell’evoluzione. Tra gli antropologi credenti si fa notare che l’uomo non è la negazione dell’evoluzione. Al contrario, l’uomo "è la freccia dell’evoluzione, come diceva Teilhard de Chardin…».
«Teilhard era certamente nel giusto quando vedeva gli umani come un prodotto del processo evolutivo. Ma erano un unico prodotto di quel processo. Con alcune specialissime caratteristiche, soprattutto di tipo cognitivo». 

Io sospetto che, per non dare troppo risalto alla stroncatura del pensiero spirituale ma non scientifico di Teilhard de Chardin, l'intervistatore abbia omesso l'avverbio “soltanto” in questo punto: «ma erano [soltanto] un unico prodotto di quel processo», oppure, meglio: «ma erano unicamente un prodotto di quel processo». Ma, ripeto, il mio è un sospetto.
Tuttavia, rammentare ancora il pensiero di Teilhard de Chardin, - ha smesso persino Ravasi di citarlo, per intendersi - è cosa veramente insulsa; come scrisse Peter Medawar relativamente al Fenomeno uomo, (l'opera forse più famosa del teologo-gesuita), «Si può scusare l'autore per la sua malafede solo se si pensa che, prima di ingannare gli altri, si sia dato gran cura di ingannare se stesso»*

*Citazione presa da R. Dawkins, L'illusione di Dio, Mondadori, Milano 2007 pag. 156

giovedì 26 luglio 2012

Il pelo nell'Amaca


Anch'io, come Serra, sono un «patetico moralista» in questo caso. Ma non tanto contro i biechi protagonisti di questo «prestito infruttuoso», bensì contro coloro i quali saranno pronti, alle prossime elezioni, a votare il partito che candiderà Berlusconi e Dell'Utri (contro questi ultimi due sarei tanto più volentieri giacobino che moralista).
Detto questo, non sono d'accordo con Serra quando scrive che il denaro «è la misura del lavoro, del sudore e del talento, di quanto ognuno di noi sa e può fare per rendersi utile alla società». In primo luogo perché è un pensiero classista che permette, alla classe dominante, di nascondere lo scandalo delle disparità sociali dietro il paravento del merito, giacché col solo lavoro sono in pochi, pochissimi ad avere restituito per intero il valore del loro sforzo, ovvero a diventare ricchi - e di costoro gran parte andranno, col loro sudore e il loro talento, a far crescere e a proteggere (nelle più svariate forme di servilismo) il denaro di coloro che sono ricchi senza aver mai lavorato, anzi: quest'ultimi sono ricchi proprio perché sfruttano appieno il lavoro altrui; in secondo luogo, trovo l'affermazione di Serra velatamente autocelebrativa: non nego che egli sia un ottimo editorialista (uno dei migliori, senza dubbio) e che il riconoscimento economico che ne deriva sia ben guadagnato; tuttavia, egli riconoscerà che anche per quanto riguarda la sua categoria, la selezione basata sul lavoro, sul talento e sul sudore è veramente limitata, basta vedere due dati: il familismo (figli, nipoti, parenti di vario grado di giornalisti diventano facilmente giornalisti); l'inamovibilità: una volta raggiunta la posizione di privilegio, anche se col tempo qualcuno si arrugginisce, questi continua a occupare la sua posizione nonostante numerosi talenti sudati alle spalle meritino di più.

Comunque, nonostante tutta questa mia tirata che va a cercare il pelo ne L'amaca, lo scandalo del prestito dei due «asociali» resta, enorme, anche qualora risultasse (come risulterà) legalmente lecito.
Va ricordato, però, che se invece di farsi prendere dall'onda dell'emergenza spread dello scorso dicembre (o novembre e chi si ricorda più) e di eleggere il governo Monti, se si andava a votare c'erano più speranze di vedere Berlusconi spacciato politicamente. Anche questa storia del semipresidenzialismo col cazzo che sarebbe stata approvata dalla peggiore legislatura della repubblica. Eppure era così facile da capire: bastava volere l'esatto contrario di quello che volevano coloro che avevano governato fino ad allora. E invece hanno votato allo stesso modo di Cicchitto, Gasparri e Quagliarello (e smetto, che mi cresce la salivazione).

Una raccomandazione


Via fb ho saputo che Federica Sgaggio s'è “liberata” da 
«la prigione del [suo] posto di lavoro, del luogo dove per anni hanno invano tentato di far[la] sentire impotente».
Non la conosco abbastanza intimamente per sapere cosa abbia in mente, quali progetti, ambizioni, cose da fare avrà. Ma so una cosa e la dico/scrivo, per quel che vale: se fossi il direttore di la Repubblica (e dico la Repubblica di proposito) io una scrittrice-giornalista professionista come la Sgaggio farei carte false per averla come firma costante del mio giornale, altro che riprendersi la Concita due palle De Gregorio, tanto brava per carità, ma con uno spessore intellettuale pari a uno spillo di fronte alla colonna portante del pensiero di Federica.
Leggasi questo post di alcuni giorni fa e poi venitemi a dire se.
Ma la Repubblica è pur sempre un giornale dell'establishment e figuriamoci se un De Benedetti si concede il lusso di un pensiero zanzara che punge anche le icone sacre del politicamente corretto. Però sarebbe bello che una voce così, con una - lasciatemela dire per una volta questo schifo di parola - professionalità del genere, trovasse una ampia platea di lettori come, in fondo, la Repubblica garantisce. 

E così m'è venuta in mente questa cosa - e tenete presente che Federica non ne sa niente e potrebbe potenzialmente anche non essere interessata a.

mercoledì 25 luglio 2012

Eros, Agape, Estate

Sono stato a un convegno oggi, un convegno su Eros e Agape. C'erano molti interessanti relatori, me compreso, che tra un discorso e un altro gettavano baci all'auditorio che non si sentiva offeso da tanta sfacciataggine. Nessuno che ci ha preso a pesci in faccia, noi blogger periferici siamo persone a modo, quando si relaziona ci si mette l'anima, mica discorsi. Io, poi, che sono un tipo scaltro, ho tirato fuori dalla ventiquattrore tutta una serie di poesie d'amore di poeti scozzesi, di quelli che vanno in giro senza mutande per intenderci, quando devono esprimere in versi i loro sentimenti. Addirittura una biondina tutta fighetta, che avevo notato prima ma lei no me, perché era tutta intenta a sbaciucchiare il suo fidanzatino figo con i caratteri cinesi tatuati sull'avambraccio sinistro e non so se anche sul destro ma immagino di sì - insomma appena ho finito di pronunciare l'ultimo verso di una poesia che parlava della stagione degli amori dei salmoni affumicati, ella mi si è gettata ai piedi facendomi quasi perdere l'equilibrio e meno male il servizio d'ordine l'ha portata via di peso, l'invasata, nemmeno le avessi praticato l'ipnosi alla Lucas Casella (Giucas, lo ricordo, ho fatto apposta).
Ma il momento clou è stato quando un'attrice famosa - che si era camuffata tra il pubblico talmente bene che nessuno se ne ricordava più il nome - ha alzato la mano e ha chiesto di poter relazionare anche lei sulle sue relazioni d'amore avute durante la sua lunga carriera. «Sì, se ci mostri le tette» ha urlato una voce dal fondo del pubblico. Lei non ci ha pensato due volte, ma noi ci siamo tutti voltati che siamo gente perbene.
Lei continuava e non parlava: urlava ché nessuno se la filava. A quel punto c'è stato un fuggi fuggi generale accompagnato da mugugni e imprecazioni. Un collega accanto a me, che si è fatto addirittura quattrocento chilometri per venire a questo convegno, ha iniziato a inveire contro l'organizzazione perché Monsignor Ravasi ha dato forfait all'ultimo momento. Al suo posto è intervenuto padre Raniero Cantalamessa, il quale, seppur pacato e forbito, non ha lo stesso spessore erudito del Ravasi. E noi senza aver fatto un frullato di citazioni non si torna a casa sazi intellettualmente.
Il convegno è terminato con un aperitivo a base di latte e menta, ma a me non piace né il latte né la menta. Ho salutato con discrezione quei pochi (e poche) che erano a tiro e me ne sono andato di pedina, alla ricerca di un vicino supermercato. Riempito il carrello di quello che mi serviva mi sono presentato alla cassa dove, in testata, c'era un piccolo frigo con dentro delle Red Bull. Io non ho mai bevuto una Red Bull perché mi sta sul cazzo quell'austriaco del cazzo e perché a leggere gli ingredienti mi piglia il panico. Comunque, dato che un amico mi ha detto che lui la beve, mi sono risoluto a provarla. Per curiosità alla cassiera ho domandato se lei sapeva dirmi se lei l'aveva provata e se era buona. Lei mi ha fatto una faccia schifata, dicendomi addirittura che, se qualcuno la beve a lei vicino, ne sente l'odore e ne prova disgusto. 
- Siccome volevo invitarla a cena stasera, sarà meglio che non la prendo questa schifezza.
Lei mi ha sorriso, ma ha voluto il bancomat lo stesso - e non è venuta a cena.

Nonno, il mio, avrebbe bestemmiato

*
«Una personalizzazione che nasce dall'anima e finisce per arrivare al “vestito”, all'aspetto esteriore. Ci tengo a precisare che grazie al servizio Tailor Made, il cliente non è più limitato a scegliere tra poche opzioni. Con il supporto del Centro Stile può per la prima volta essere veramente propositivo e creare un esemplare unico, che lo rappresenti al 100%.»
Io sono una persona tranquilla, tendenzialmente non incline alla violenza, solo a volte qualche scatto di nervi, un vaffanculo, un urlo, una porcadellamadonna ecco, Lapo, l'ho detta, colpa tua colpa tua colpa tuttissima tua.

martedì 24 luglio 2012

Eppure sarebbe tanto facile spezzarla

*
Lo so, lo so: la mia è una proposta ingenua, dettata solo da una reazione a caldo di fronte a certa testardaggine teutonica ma mi va di scriverla lo stesso: tedeschi a parte che, d'altronde, comprano roba da loro prodotta, perché gli altri popoli europei che si sentono, diciamo così, vessati dalla cocciutaggine politico-economica della Merkel, non decidono di boicottare i prodotti tedeschi, a cominciare dalle automobili? Soprattutto gli italiani che, e va bene, se comprano tedesco, è anche per fare dispetto a quel troiaio della dirigenza Fiat, non è l'ora cominciassero a capire che per ogni Audi o Bmw o cazzo di Mercedes comprate la Germania cresce e l'Italia diminuisce
Ah già, non mi ricordavo che tipo di paese è l'Italia.

Vi sfido a credere

Elena Molinari affronta per Avvenire «un viaggio nei cantieri della nuova evangelizzazione» americani.
Il titolo dell'articolo, intanto, mi sembra inappropriato, anche alla luce dei drammatici eventi accaduti a Denver dove uno psicopatico ha colpito al cuore (o in altre parti del corpo) numerose persone, che potevano pure, potenzialmente, anche essere egoiste, certo, ma potevano pure essere religiose. Ma entriamo nel dettaglio:
È il Paese industrializzato più devoto al mondo, dove l’80% della popolazione si definisce religiosa e quasi due terzi prega regolarmente e si considera «socialmente tradizionalista». Eppure in questo stesso Paese, gli Stati Uniti d’America, vigono le regole più permissive del mondo sull’aborto e sulla procreazione assistita. Esiste ancora la pena di morte. E la ricerca sugli embrioni è assolutamente permessa.
Anche la vendita di armi è permessa, comunque.
Boutade a parte relative al titolo dell'articolo, a mio avviso sarebbe stato più corretto specificare l'occhiello («Sfida di credere»), anche se Avvenire non lascia scampo circa quale religione credere. Ma insomma io avrei scritto: La sfida di credere secondo il Magistero della Dottrina Cattolica perché, negli Usa, la cattolica è una fede tra le tante possibili. Importante e influente, certo, ma non l'unica a proclamare verità trascendenti e ad avere un peso sul potere politico (sinora protetto nella sua laicità grazie al rispetto della Costituzione dei padri fondatori). Gli americani non regolano le leggi dello stato federale sui principi di alcuna morale religiosa. E questo non impedisce loro di essere un popolo credente e di rivolgesi a Dio a seconda di ciascuna tradizione. Come ebbe a dichiarare Eisenhower:
«Il nostro governo non ha senso se non si fonda su una credenza religiosa profondamente vissuta e non importa quale sia»*.
Quale sia, appunto, anche cattolica, perché no, ma non necessariamente quella.
Ma torniamo all'articolo.
È su queste contraddizioni che si concentra lo sforzo di evangelizzazione che i pastori cattolici americani vogliono intensificare a partire da ottobre. Perché, come ha scritto Benedetto XVI nella lettera apostolica con la quale ha indetto l’Anno della fede, «il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti». Negli Usa questo significa aiutare i cattolici a contrastare la storica, ma sempre più forte, tendenza all’individualismo estremo, spesso narcisista, che difende a spada tratta i propri diritti senza fermarsi a riflettere sulle loro implicazioni morali o sulle conseguenze per il bene comune. «L’egoismo selvaggio è diventato una malattia nazionale», ammetteva di recente persino il New York Times – un quotidiano a sua volta liberal – nella pagina dei commenti. Per una volta, i vescovi cattolici sono d’accordo. Ma, a differenza della stampa laica, i presuli sanno come rispondere a chi cataloga fra le libertà individuali inviolabili il diritto di abortire, di creare embrioni destinati alla morte, di non pagare le tasse, di permettere ai gay di sposarsi e agli studenti di vendere i loro gameti anonimamente e ripetutamente. Con un richiamo missionario al messaggio del Vangelo nella sua purezza. Senza compromessi.
Da un punto di vista altruistico è legittimo che Elena Molinari decida, nella sua vita, di non abortire, di non dare in omaggio eventuali suoi embrioni, di pagare le tasse, di non sposarsi con una donna e, se studente, di non vendere i suoi gameti «anonimamente e ripetutamente». In molti, infatti, anche se non credono, non sono così selvaggiamente egoisti da imporle scelte che andrebbero a cozzare contro la sua morale - che, tra l'altro, è una morale che i cattolici hanno arbitrariamente ricavato dal Vangelo e ritengono per vera e indiscutibile soltanto perché ha l'imprimatur della infallibilità papale. Dov'è scritto nel Vangelo che, per es. gli studenti non possono vendere i loro gameti? Comunque, nulla vieta ai cattolici americani (e non solo) di testimoniare con le proprie azioni che si può vivere anche senza compiere quelle che, secondo loro, sembrano essere la peste della nostra contemporaneità: «l'individualismo estremo, spesso narcisista, che difende a spada tratta i propri diritti senza fermarsi a riflettere sulle loro implicazioni morali o sulle conseguenze per il bene comune». Avete capito bene: la crisi economica e finanziaria determinata dal capitalismo è un piccolo peto al confronto.

Ora, siccome io sono uno che, quando ha tempo, si ferma volentieri a riflettere (specchio, specchio delle mie brame), ho riflettuto, penso bene, e sono addivenuto a queste conclusioni. Primo: pur non capendo cazzo c'entri il pagamento delle tasse con l'aborto, il matrimonio gay, gli embrioni e la fecondazione assistita, va detto che se non paghi le tasse in America t'arrestano e sei considerato un verme. Secondo: non so l'America, ma il pianeta nel suo insieme, comincia a faticare a portarci, noi umani. Vale a dire: di tanti problemi che assillano il mondo, quello demografico è uno dei maggiori, ma per le ragioni contrarie a quelle di cui si preoccupa la Molinari. L'aborto è un diritto e non è certo un sistema di controllo demografico, soprattutto in America (lo è in Cina, credo). Terzo: non conosco nel dettaglio se esistano o meno le pratiche di creare embrioni destinati alla morte o di vendere gameti, ma questo, anche se fosse (e sarà), cosa impedisce in sé alla gente di credere, di avere fede in Dio? Da una parte i peccatori e dall'altra i puri di cuore - e di culo, così Dio saprà riconoscere i suoi.
Prosegue la Molinari
Negli Stati Uniti l’esperimento della Chiesa "liberal" è fallito. Ogni denominazione – episcopaliana, metodista, luterana e presbiteriana – che abbia provato ad adattarsi ai valori della società contemporanea ha assistito a un crollo delle presenze e delle vocazioni. All’interno della Chiesa cattolica, gli ordini più progressisti non sono riusciti a generare le vocazioni necessarie a sostenersi. E poiché il cattolicesimo liberal non ha ispirato una nuova generazione di suore e frati, gli ospedali cattolici stanno passando nelle mani di amministratori più interessati ai profitti che alla carità.
Il cattolicesimo liberal ha provocato un crollo delle vocazioni di suore e di frati? Mmmh... non credo. Credo più probabile causa il benessere. Forse, coi tempi bui che ci aspettano, per mangiare un piatto di minestra e avere un tetto, qualche vestizione in più la vedremo (magari restando nudi sotto veste, belli pronti). 
E dunque? Che s'ha fare un nuovo Concilio? Un Vaticano III dove si torna a mettere bei paletti e ad accendere bei roghi? No, sarà sufficiente
«Abbracciare l’insegnamento di una fede militante – spiega l’arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa, il cardinaleTimothy Dolan – abbandonare la presunzione che i cattolici conoscano la ricchezza e le implicazioni della loro fede e ammettere che non la conoscono. Prenderci cura con amore del nostro gregge che si è fatto più cinico, più indifferente». Questo insegnamento dovrà dunque comprendere forti riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa nei confronti dei più bisognosi (dei quali ampie fazioni politiche di destra tendono a dimenticarsi) e alla sacralità della vita (che ampie fazioni di sinistra considerano troppo rigida).
Ecco, bravi, provate a convincere i cattolici americani a diventare democristiani, c'è caso venga fuori una bella lobby che troverà il sostegno dei Democratici. Quelli italiani, per intendersi.

*cit. estratta in D.C. Dennet, Rompere l'incantesimo, Cortina, Milano 2007

lunedì 23 luglio 2012

I have been happiest when the folks watching me


Ho trovato questa foto qui e mi piace parecchio parecchio.

Come forfora

A Melusina (li ho trovati, poi)
Vago.
Ho la polvere al naso.
Starnuto
e non parlo, sto muto
a ripensare quel lungolago
dove insieme per mano
camminavamo
con quell'ansia nel cuore
quelle nuvole nere laggiù
che fanno nere le Alpi
e il mio cuore.

La memoria si blocca
non rende il sapore
in bocca
dei momenti di gioia
vissuti - ché la vita di ora
si offende.
Quei momenti lontani
in cui credevamo da umani
che fosse per sempre.

Prova
a stringerlo ora questo sempre
questa polvere al naso
questa voglia di urlare.

Esco.
Per fortuna c'è un bosco
che bene conosco
a pochi isolati: è fresco.
Il vento disperde la voce
il mio urlo si perde
nessuno mi sente
se piango se rido se faccio
il deficiente.
E quel lungolago
dove camminavamo
ritorna ora presente:
gli stessi colori
di temporale imminente.

Rabbia
che la vita sia gabbia
che non esistano archivi
fatti di pelle e di sangue
dove ritrovare noi stessi
quelle scaglie di noi che vivi
eravamo e che ora
ci scrolliamo di dosso
come forfora.

Un invito

Giulio Mozzi ha voglia di fare un libro. La voglia di fare questo libro gli è venuta leggendo altri libri. Il titolo del libro da fare è Ricordi d'infanzia. 
Ogni scrivente di lingua italiana può partecipare seguendo queste indicazioni.
Io ho partecipato stamani inviando un mio ricordo d'infanzia che, spero, diventi uno dei tanti «ricordi di una sola persona dall'infanzia enorme, smisurata, infinita».

Partecipate numerosi (se vi va).

Meglio Marzullo

«Sia il verso sardonico di Zeichen sia quello respirante di Anedda hanno uno statuto retorico debole: non sono insomma l'architrave del loro pensiero poetico. Da parte sua, Giampiero Neri [...] passa francamente alla prosa, seppure di rara icasticità e di chiara disposizione strofica».
Paolo Fabbroni, «Che si vede dietro lo “Specchio”», Domenica de Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2012.

Questo estratto, che si trova nella pagina Poesia del suddetto inserto culturale, mostra bene perché i libri di poesia di autori contemporanei hanno vendite così esigue. Infatti, ce lo vedete voi qualcuno che ama leggere poesia entrare in una libreria e dirigersi verso lo scaffale apposito tenendo conto delle indicazioni del recensore? 

- Mi scusi, cercavo il verso sardonico di Zeichen.
- No, guardi, ha sbagliato. Le guide turistiche della Sardegna si trovano vicino all'ingresso.

- Mi aiuta a cercare per favore il verso respirante di Anedda?
- Non credo sia qui: la meditazione yoga è al piano superiore.

- Bisogno di aiuto?
- Sì, cercavo la rara icasticità e la chiara disposizione strofica di Neri.
- Uhm, credo che dovremo ordinarlo: di solito non teniamo libri di medicina specialistica in scaffale.

Si badi che il linguaggio del Fabbroni (che non so chi sia, forse è pure un prof. ordinario di filologia romanza o di letteratura contemporanea) è di prassi in quasi tutte le recensioni, soprattutto in quelle che parlano di due, tre, quattro (o più) libri di poesia insieme.
Tali recensioni - se non è stato capito, è bene ripeterlo - fanno bene, economicamente, solo a chi le scrive. A proposito: qualcuno sa dirmi quanto paga Il Sole per questi articoli? Quanti €? Un migliaio? Non venitemi a dire che rosico, perché io tanto non scrivo per la Domenica del Sole e loro sì, chissene, non ho certe ambizioni di scrittura obbligata. Il punto è che peggio di una recensione letteraria di questo tipo c'è solo la recensione musicale di Christian Rocca (che ha una rubrica marginale - oramai è sotto contratto dai tempi del Riotta, che vo' fa' - chiamata Gommalacca); a proposito, conoscete mica qualcuno che è entrato in un negozio di dischi è ha comprato l'ultimo cd di... (non lo so chi, mica lo leggo Rocca).

domenica 22 luglio 2012

«Quanto è bello il mio nome»

da la Lettura, Corriere della sera di oggi.
«Quando sento che Mohamed è il nome proprio più frequente nella regione parigina mi allarmo...»
dichiara Alain Finkielkraut, senza precisare che, se ciò accade, è solo per il fatto che nella regione parigina è la comunità musulmana a essere più prolifica di altre, ivi compresa la laica francese. 
Ma il problema non è tanto quanti cittadini francesi si chiamano e chiameranno Mohamed, ma quanti di essi si emanciperanno dalla loro fede, così come tanti Jean, Pierre, Mathieu, Joseph, Daniel, Paul, e persino Alain si sono, col tempo (secoli), emancipati. Certo l'Islam è una religione tenace che nell'Occidente gioca un ruolo di outsider dell'establishment politico e religioso, e per questo, forse, ha tanta presa nelle menti dei giovani che sono in cerca di ideali precisi che spingono all'azione. E allora vedi che le ragioni di fondo che perpetuano il conflitto stanno altrove? Le banlieu piene di Mohamed che s'incazzano accadono perché chiude la Peugeot e sono senza uno straccio di futuro, e non perché la patria degli illuministi ha svelato gli inganni della religione, di qualsiasi religione.

Troppo Dante


Ieri, nella sezione R2 di Repubblica c'era un'intervista di Franco Marcoaldi a Vittorio Sermonti e un servizio sullo spettacolo TuttoDante di Roberto Benigni. Da ciò è venuto fuori quanto segue.

Per un italofono è normale “conoscere” Dante Alighieri nella propria vita. Per la maggioranza assoluta, la scuola è il luogo deputato dove si fanno le presentazioni. Poi continuano a frequentarlo soltanto gli appassionati e gli studiosi. Sporadicamente, qualcuno lo ritroverà per strada o in una piazza affollata, raccontato e letto, o recitato, o cantato da qualcuno che lo sa ripetere a memoria.

Io Dante a scuola sì, ma poco, ma non per colpa dei professori, no. Per colpa mia e stop. Poi, verso la fine degli anni 80, scopersi la meraviglia della Commedia grazie alla mediazione di Vittorio Sermonti (con la supervisione di Gianfranco Contini).
Seguivo appassionatamente l'emissione di ogni canto dell'Inferno, registrandone alcuni. La qualità era balorda, il segnale di Radio Tre a volte, a causa del tempo, sfrigolava. Così, per avere tutte le puntate scrissi alla Rai che mi rispose, più o meno, così: «Ci invii novantamilalire con un bonifico bancario e noi le inviamo tutto l'Inferno in audiocassetta» (Purgatorio e Paradiso dovevano ancora essere registrati). Così feci, e ancora ce l'ho l'Inferno da qualche parte.
Sermonti, quindi, per me è stato ed è un mediatore straordinario che mi ha consentito e consente di avvicinarmi e di restare vicino all'universo dantesco. Mi ricordo, forse erano i primi anni 90, che su Rai Tre c'era una trasmissione culturale che andava in onda sul tardi (mi pare la conducesse Augias, ma non ne sono sicuro). Una sera era ospite Sermonti e, a sorpresa, comparì Benigni. Questi, prima di recitare il Quinto dell'Inferno, omaggiò Sermonti stesso per il suo lavoro di lettura commento dell'intera Commedia. Il pubblico plaudì l'interpretazione benignana, e anche Sermonti, il quale sottolineò come l'arte interpretativa di Benigni s'inseriva nel filone trobadorico dei cantori di strada. Benigni fu bravo, effettivamente, lo è tuttora, a volte quando recita Dante. Bravo sì, ma Sermonti è un'altra cosa perché, appunto, non recita, non solfeggia Dante: lo legge, lo dice, lo detta – e ogni parola che la sua voce fona manifesta tutto il suo pieno significato, grazie alla perizia del suo commento che precede la lettura. Soprattutto: Sermonti è bravo perché dà voce a Dante e non a se stesso – e questo, a mio avviso, è il limite principale di Benigni nel dire Dante.

Beninteso: a Benigni io voglio bene, a volte mi fa anche ridere*, anche se è diventato troppo istituzionale per riuscire a sputtanare qualcosa o qualcuno. Avendo accettato di buon grado il ruolo di buffone della repubblica, Benigni ha perso la capacità di graffiare la carne del potere, di fargli male, appunto; i suoi sono solo dei piccoli buffetti, dei pizzicotti che rinvigoriscono culi flaccidi, trippe arrotolate, fiche tatuate, ecc.
Inoltre, non si può dire Dante mediante uno spettacolo organizzato da Luigi Presta. No, perdio, no. E poi, quando vedi certa gente** tra il pubblico, uno come Benigni come fa a far finta di nulla? Meglio dire Dante da soli in mezzo a un campo di girasoli. Come faccio io per esempio, e senza far pagare il biglietto. Ai girasoli, s'intende.

Qualche volta sì, Luigi, dài.
** Vedasi foto dalla 13 alla 20. Si prega di non sputare.

Buona domenica, rivoluzione

Karl Marx, Il Capitale, edizione Einaudi (NUE, 1975)
Prima di leggere qualsiasi editoriale domenicale sulla crisi economica e finanziaria e sulla produttività, ho preso questo salvastomaco (nella fattispecie, salvacervello) e, pur trattandosi, almeno mi sembra, di cose pacifiche, scontate, di buon senso, non mi sembra che siano penetrate a sufficienza nelle nostre testoline intontite dall'ovattato mondo consumistico che ci è stato servito per il nostro bene proletario. Il punto è che non voglio risvegliarmi e una mattina sentire la faccia di culo di un ministro del bilancio dichiarare impunemente: «Ehi, ragazzi la ciccia è finita: sbranatevi». Vaffanculo, ma io sbrano te. 
Son proprio curioso di vedere quali effetti produrrà il salvataggio delle banche in rapporto a quello di una fabbrica o di una miniera. Stanno selezionando la specie e non ce ne rendiamo conto abbastanza. Amara consolazione: quando saranno rimasti soltanto i pescecani, la catena alimentare sarà interrotta e creperanno anche loro.
Perché esiste un noi ed esiste un loro, e se conflitto deve essere almeno si sappia chi sono i nostri nemici.

sabato 21 luglio 2012

Infondati sospetti

*
Secondo me sono stati gli anarco-insurrezionalisti.

(Che bellezza, chissà a chi vendevano armi i nostri compatrioti: agli insorti contro il regime di Assad o al regime stesso? Misteri. Citofonare al nostro Presidente del Consiglio, casomai fosse informato sui fatti).

Pagine produttive



Carlo M. Cipolla, Storia economica dell'Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna 1990

Editoriali sterili

Quanto mi piacciono gli editoriali di De Bortoli. Scrive, scrive e poi non dice un cazzo. Ma è normale in fondo: cosa vuoi aspettarti dal direttore del Corriere della Sera, la rivoluzione
Tra tanti pensierini in paragrafo che avrebbe potuto scrivere anche mia zia ottantaduenne (se avesse avuto la pensione di un Lamberto Dini, beninteso) vorrei soffermarmi su questo:
I compiti a casa, bene o male, sono stati fatti, il pareggio di bilancio è a portata di mano, anzi c'è un avanzo primario atteso per il 2012, al netto degli interessi, pari al 3,6% del Pil. L'approvazione del fiscal compact , le regole sul bilancio pubblico, è stato un atto politico importante. Sull'efficacia delle riforme si può discutere, ma ci sono e daranno i loro frutti: quando non si sa. I tagli alla spesa sono ancora timidi, ma la strada è giusta. Che cosa manca, allora? La crescita, certo. Che si crea non spendendo di più, ma con una maggiore produttività. È innegabile che con spread così elevati, e per troppo tempo, ogni sacrificio risulterà vano e poche aziende reggeranno la concorrenza di chi paga, in Germania ma non solo, il denaro quattro volte di meno. E, dunque, una terapia antidebito (al 123%) è indifferibile, ma di complessa attuazione. Al di là delle smentite, non è esclusa una manovra correttiva, di soli tagli, si spera. La leva fiscale è largamente in eccesso e ha uno sgradevole effetto depressivo.
Analizziamolo in certi passaggi:
«I compiti a casa, bene o male, sono stati fatti». Bene o male? Come bene o male? O bene, o male, ce lo dica suvvia esimio direttore, non si sottragga a un giudizio esplicito, perlomeno riferendosi al suo stipendio, al suo potere di acquisto, al sua futura pensione.
«Sull'efficacia delle riforme si può discutere». Discutiamone: per esempio sul fatto che esse «daranno i loro frutti», anche se «quando non si sa». E che cazzo, disse la marchesa, così son buoni tutti a far le previsioni. Per il momento i frutti che scaturiranno dalle riforme sono delle pie illusioni, dato che il governo Monti è un fico sterile che inganna con le sue riforme-foglie di fico (anche se purtroppo il popolo non ha lo stesso potere di Gesù di farlo seccare l'indomani). Il Governo Monti non è il governo adatto per queste stagioni: ci voleva un governo politico, fortemente politico, di una sinistra coi fondamentali al posto giusto - e quando questo errore storico verrà a galla Napolitano sarà senatore a vita a girellare con la sua bella pensione, che - per carità - nessuno gliela tolga, tanto uno più uno meno.
«I tagli alla spesa sono timidi, ma la strada è giusta». Per continuare a essere timidi come lei signor direttore?
«Che cosa manca, allora? La crescita, certo, che si crea non spendendo di più, ma con una maggiore produttività». Ora, a parte il fatto che io, quando sento parlare di produttività, metto mano al mio pistolo (per sentire se è ancora abbastanza produttivo, se è sensibile alla crescita, ecc.), penso fortemente che coloro che dicono o scrivono sovente tale parola lo facciano a sproposito. Infatti, basta andare a vedere quale sia il suo significato, per esempio alla voce di Wikipedia, per capire che la produttività non riguarda soltanto la produzione, ma anche il consumo. Infatti 
Gli indici di produttività possono essere visti sotto due aspetti: la produzione e il consumo.
Bene, quindi non si può invocare la produttività soltanto dal lato dell'impresa senza guardare quello del consumatore. Ma chi è il consumatore in fondo se non la vittima sacrificata sull'altare della produttività? Le nostre aziende italiane sono altamente produttive: delocalizzazioni e ristrutturazioni (prepensionamenti, cassa integrazione, licenziamenti) le hanno rese efficienti al massimo: con quali risultati? Che il consumo è decresciuto perché dietro a ogni consumatore c'è in qualche modo un lavoratore che se ha la certezza del proprio lavoro e uno stipendio adeguato al costo della vita consuma e rende florida la produttività della nazione; se invece il consumatore ha lo stipendio fermo da anni nonostante l'inflazione galoppi o se, peggio, è un cassintegrato o, peggio ancora, un disoccupato, come cazzo fa a essere produttivo? Se la compri lei un'automobile nuova signor Direttore, anzi: ne compri due, tre, quattro Fiat nuove, così per dare una mano, con il suo consumo, alla produzione.
Infine, lei spera che se manovra correttiva ci sarà, sarà solo fatta di “tagli”. Io comincerei dagli editoriali tipo i suoi, e dai post come i miei, che sto qui a friggere una specie di livore altamente improduttivo. 
Andrò a fare due passi, sarà meglio: c'è più soddisfazione sputare nella natura anziché qui. Chissà che non trovi dei versi visto che i funghi non li so trovare.

Quasi ironico

Sfogliando Repubblica in piedi, appoggiato a dei titubanti portici di paese, in una posa da perfetto e scafato intellettuale di provincia, arrivando alla sezione culturale di R2, e trovandomi di fronte tre pagine dedicate al prossimo matrimonio di Michele Placido con una donna più giovane di tre decenni, della qual cosa profondamente me ne sbatterei le palle in terra, proprio davanti al portone dell'estetista portandole via lavoro, ma lasciamo perdere, mantengo u pelu, insomma, in tali pagine che m'affretto a girare scorgo, riportata in grassetto accanto a una foto dell'attore, la seguente sua dichiarazione:
«Federica è la compagna della mia vita. Il padreterno si è divertito a mandarmela in modo quasi ironico nel momento della mia vecchiaia. E allora? Perché rifiutare un dono del genere?»
Ecco, lì per lì mi sono sentito spaesato, meno male c'era la colonna. Di poi, ho alzato gli occhi al cielo, ho pronunciato: padreterno, e ho pensato: “Curioso che il padre di Federica Vincenti si chiami Eterno”.
Sono stato quasi ironico, vero?

venerdì 20 luglio 2012

Idea: ti spacco la Musa.

È anche grazie a modelli insulsi come la Musa e l'Idea (stessa auto, ma con due marchi in apparenza diversi) che i costruttori automobilistici stranieri hanno potuto ampliare la loro quota di mercato in Italia. Ora che i vertici aziendali hanno deciso di non produrle più, zac, cassa integrazione a zero ore per duemilaseicento lavoratori. Fino a quando? Fino alla fine del 2013. Nell'attesa si spera che l'Italia e l'Europa escano dalla crisi, che la classe media sia invogliata a comprare di nuovo auto medie, qualcuna anche di casa Fiat; infatti, la casa automobilistica di Detroit sta preparando modelli all'avanguardia: automobili che con un litro percorreranno duecento chilometri, dal motore ibrido metà a scoppio e metà ritardato.
Meno male John Elkann è stato, insieme a Mario Monti, uno dei pochi italiani presenti al vertice dei grandi guru dei media e dell'high tech. Anche se è uno ammanicato, in un primo momento è stato lecito domandarsi cosa cazzo c'entrasse John a tale vertice. È bastato pochi giorni per capirlo: egli è un Presidente che ha un innato spirito imprenditoriale, capace di risollevare le sorti di una industria in crisi, rivoluzionando il concetto di mobilità: dei lavoratori.

Cervelli all'estero

via Internazionale
Secondo me non sarebbe insensato proporre alla camorra di delocalizzare. Ne soffrirà un po' la manodopera locale, ma vuoi mettere le prospettive di sviluppo per l'organizzazione? Gestire i rifiuti di un miliardo e passa di persone, sai che manna.

Illuminazioni pubblicitarie

Mantellini osserva alcune cose relative alla pubblicità di un prodotto per l'homepage di un quotidiano online, in questo caso Il Post, ma poteva benissimo essere anche la Repubblica o il Corsera.
Mantellini commenta tre schermate: la prima
«Se i pubblicitari del Maggiolino fossero persone illuminate farebbero questa pubblicità in background.»
La seconda
«Se i pubblicitari del Maggiolino fossero persone un po’ meno illuminate ma più furbe la farebbero così.»
Infine
«Se i pubblicitari del Maggiolino fossero esattamente come sono la farebbero così.»
Tutte giuste queste considerazioni. C'è solo un errore, mi sembra, abbastanza grave: non sono i pubblicitari ad autorizzare la pubblicazione di tale pubblicità, ma il direttore responsabile. In questo caso Luca Sofri, illuminato o meno che sia.