venerdì 31 agosto 2012

Una ragazza è una donna

Segnalo l'editoriale di Davide Rondoni su Avvenire di oggi, ma non voglio mettermi a contestarlo nelle sue poetiche convinzioni cattoliche. Fosse stato per quello - e per la sua logica “tenuissima” - avrei fatto  volentieri a meno di segnalarlo; purtuttavia, c'è una frase, che non so come, che appena letta mi ha fatto scattare il nervo:
«Una ragazza che decide di abortire non lo fa perché convinta dalla scienza, ma dalla solitudine, dalla disperazione con cui ha imparato a guardare la vita.»
Ecco, se un giorno dovessi scrivere (o dire) una frase del genere, vi prego, sputatemi addosso. 
Lo so, magari Rondoni non ci ha fatto nemmeno caso; ma perché ha usato il termine ragazza anziché donna? Perché è una donna quella che decide, insieme al proprio compagno, di abortire l'embrione perché affetto da una malattia genetica di cui loro sono portatori sani; e se lo fanno è perché è stata la scienza medica (ginecologica) alla quale si sono affidati per evitare di avere un figlio inutilmente sofferente, nella speranza, invece, di averne in futuro un altro che non abbia a patire le determinazioni della natura. E se una donna abortisce per tali ragioni, non è affatto sola e disperata e incapace di guardare la vita. Tutto il contrario: proprio perché ha visto che la vita sofferente per una malattia genetica è una vita di merda, ha scelto sia per l'embrione che per sé, avendone - come la Corte Europea dimostra alla faccia della Legge 40 - pieno diritto.

Rassegnatevi un cazzo


«Rassegnatevi alla morte. E la morte e, insieme, la vita, vi saranno più dolci. Con la vita, ragionate così: s'io ti perdo, perdo una cosa che soltanto gli sciocchi tengono a serbare. Tu non sei che un soffio asservito a ogni influenza dell'aria che affligge a tutte l'ore la casa dove tu dimori. Sei soltanto lo zimbello della morte, dal momento che tutti i tuoi sforzi son tesi a fuggirla mentre la tua corsa verso di lei mai non s'arresta. Tu non sei nobile, ché tutte le comodità da te generate sono nutrite dalla bassezza. E certo non sei coraggiosa perché temi la lingua forcuta, tenera e insinuante d'un povero serpe. Il migliore riposo, per te, è il sonno, e questo tu lo provochi spesso. E non pertanto hai un eccessivo timore della morte, la quale è nulla più che sonno. E non sei te stessa, perché esisti in virtù di molte migliaia di granelli originati dalla polvere. Non sei felice, perché quel che non hai ti sforzi invano d'avere, e quel che già hai dimentichi di averlo. Non sei mai eguale a te stessa, perché la tua disposizione varia in modo strano a seconda della luna. Se tu sei ricca, sei povera, poiché simile a un asino la cui groppa s'incurva sotto il peso di lingotti d'oro, porti le tue pesanti ricchezze per lo spazio di un solo viaggio, e a scaricartele di dosso vien sempre infine la morte. Amici non ne hai, dal momento che le tue stesse viscere, che pure riconoscono in te chi le ha create, mera effusione come sono dei tuoi propri lombi, maledicono la gotta, la serpigine e il catarro perché non ti finiscono prima. Non hai né giovinezza né vecchiaia ma soltanto una specie di sonno pomeridiano nel quale tu sogni d'entrambe. Perché la tua beata giovinezza invecchia presto e méndica la carità che la vecchiaia tremante deve pur reclamare. E quando tu sei vecchia e ricca, non hai più né calore, né passioni, né membra sane, né bellezza alcuna, tale che le tue ricchezze possano recarti un qualche piacere. Che dunque ti resta che possa ancora chiamarsi “vita”? E in questa vita si annidano migliaia di morti. Eppure temiamo la morte che livella tutti questi scompensi!»

William Shakespare, Misura per misura, (1603), traduzione di Gabriele Baldini, Rizzoli, Milano 1961

A parlare qui è il Duca Vincentio travestito da frate a Claudio, un nobile condannato a morte per aver messo incinta la fidanzata. È chiaro che a Claudio girino i coglioni e che il Duca-Frate si affidi a una raffinata arte retorica per lenire tale giramento.
Ma quanto il rapporto tra vita e morte, fuor di misura per misura, è veramente quella roba che Shakespeare descrive sì mirabilmente? Certo la morte è una livella: ricchi e poveri ci passano, i poveri prima, foss'anche soltanto da un punto di vista numerico. Il problema, semmai, è se ancora oggi possiamo accettare di consolarci, come fa Shakespeare, del fatto che anche i ricchi muoiono. Anche questo qui, per esempio, con le sue scarpette azzurre, un giorno morirà.
Ora, Pinault è un billionario raffinato, padrone tra l'altro di Palazzo Grassi a Venezia (da cui foto), che si trastulla a fare il mecenate d'arte contemporanea, le più volte del cazzo: d'altronde, oggi, gli artisti per farsi scucire i soldi dal capitale, più che essere bravi, devono saper essere dei grandi intraprenditori per il culo.
Ma, per tornare a Shakespeare, si può dire di Pinault che la sua vita se «è ricca, [è per questo] povera, poiché simile a un asino la cui groppa s'incurva sotto il peso di lingotti d'oro, port[a] le [sue] pesanti ricchezze per lo spazio di un solo viaggio, e a [scaricargliele] di dosso vien sempre infine la morte»? Indico Pinault, ma potrei citare altri cento, mille, decine di migliaia forse (ma non di più, no, non di più) le cui ricchezze sono tali da sconfinare nell'assurdo. Vale a dire: nel presente periodo storico, quanto è umanamente tollerabile che esistano degli uomini talmente ricchi che, al confronto, gli aristocratici del tempo di Shakespeare erano degli straccioni - e questo persistendo sul pianeta la fame, la miseria, la depressione economica causata dalla disoccupazione, lo sfruttamento, pensioni da fame, eccetera? 
Finché la nostra mente accetterà questa abissale differenza tra coloro che sono veramente ricchi e coloro che veramente no, quanto potremo miseramente consolarci con le (ripeto, mirabili) parole di Shakespeare - il quale, almeno, non si perita di riservare pene oltremondane ai possessori di cotanta ricchezza?

Essere ricchi a dismisura è la più assoluta forma di parassitismo dell'umanità: finché non ci convinciamo di questo, applaudiamo il ricco e i suoi zelanti servi, compresi i suoi buffoni di corte (come Sting, per esempio: bisogna ricordarglielo al cantante inglese milionario che è stato a cantare per un magnate russo anch'egli ultra milionario). La concentrazione della ricchezza in poche mani è il vero inquinamento globale che ammorba l'aria ben più dell'effetto serra. 
Per questo, ritengo che uno dei prodromi di una possibile (e plausibile) rivoluzione, passi soprattutto attraverso uno scotimento delle coscienze: vedo un ricco passare su un tappeto rosso? Oddio il vomito. Vedo l'ennesimo inutile festival del cazzo e della fica di Venezia? Un bel clistere e via. Tappeti marroni, altro che rossi.

giovedì 30 agosto 2012

Il tessuto profondo


Nell'omelia che ha tenuto ieri a Genova durante le celebrazioni della Madonna della Guardia, il Cardinal Bagnasco ha detto:
«Quando per interessi economici, sull’uomo prevale il profitto, oppure, per ricerca di consenso, prevalgono visioni particolaristiche e distorte, le conseguenze sono devastanti e la società si sfalda. [...] Superando prospettive ideologiche, è necessario tenere ben saldo il legame con quei valori che fanno parte della nostra storia e ne costituiscono il tessuto profondo: tessuto che a qualcuno sembra talmente acquisito da non aver bisogno di attenzione e di presidio alcuno, e da altri è guardato con sospetto o insofferenza come se fosse un intralcio al progresso».
In questo brano, all'apparenza piatto e particolarmente brutto, Bagnasco condensa tutta la storia del Novecento - e il suo continuo in questo primo secolo del Duemila - vista e giudicata dal punto di vista della Chiesa Cattolica. 
In poche parole: Bagnasco si rivolge ai fedeli (e me li immagino i fedeli che ascoltandolo si dicono: «Ma che cazzo ci racconta il cardinale oggi? Io non ci ho capito un cazzo. Per favore, mi spieghi l'ultima frase sul tessuto? Siamo a Genova, mica a Prato o Biella») dicendo: 
“Guardate, dopo il fallimento dell'ideologia comunista (crollo del muro di Berlino e fine dell'URSS) e la crisi epocale del capitalismo, noi del Vaticano e i valori che rappresentiamo, siamo sempre qui, sulla breccia; anche se non abbiamo molti kmq di territorio, il nostro potere e la nostra influenza sulla politica sono sempre enormi, soprattutto in Italia, nonostante siano quasi due millenni che lo esercitiamo in maniera variegata sì, ma ininterrotta. Con tessuto profondo è da intendersi che, senza la cara benevolenza della Santa Madre Chiesa Cattolica, il gregge italico sarebbe nudo, come un infante appena nato e senza pannolino: in pratica, senza noi del Vaticano, voi italiani vi cagherete e piscerete addosso vicendevolmente nella perenne battaglia del proprio tornaconto. Ma se invece il conto lo fate tornare solo a noi, ecco che un accordo ve lo facciamo trovare, basta che voi cattolici, sia del PD che del PdL, tendiate a isolare politicamente coloro che si ostinano vederci come di ostacolo al progresso civile e morale della nazione. Ricordatevi dunque di noi, del nostro tessuto talare, l'unico in grado di nascondere il vostro destino di servi zelanti e fedeli. Baciate l'anello, su”.

mercoledì 29 agosto 2012

Uragano Italia

Nessun angelo vi salverà
In Italia non arrivano mai dei seri uragani che spazzano via, non le cose, le case, gli alberi e i cartelli stradali: ma i politici, tutti, una bella tromba d'aria e via.
Ma se una volta accadesse, si resterebbe soli, quiete dopo il cicaleccio, il rubamazzo e, dall'alto, elicotteri che inquadrano alla deriva migliaia di facce da culo esauste, arrendevoli, destinate a scomparire.
E rimarremmo noi, che la politica non la facciamo - oddio mi tocca occuparmi di urbanistica (mi ritorna il torcicollo). 
Già lo vedo il popolo chiamare come un sol uomo un sol uomo, ma chi? Tutti siamo chiamati in causa, i palazzi del potere sono un po' allagati ma non fa niente, chiamiamo i pompieri, pomperanno.
Faremmo peggio o faremmo meglio di quanto finora è stato fatto? Comunque faremmo, certo che per fare per esempio come fa ora questo governo (che è di fuori come le tegole), basta avere il diploma professionale di congegnatore meccanico, o di segretaria d'azienda, o perfino di terza media basta, cazzo se basta. Prendi il Balduzzi: non ha altro da fare che pensare a un possibile ricorso alla corte europea per far contenta la Tanta Sede. Uzzi uzzi sento odor di calcestruzzi.
Ma dicevo dell'uragano che ha spazzato via tutto il contenuto del Parlamento (Senato e Camera), dei Consigli Regionali, Provinciali e Comunali. Cosa resta? Il Quirinale, per rappresentanza. A chi lo darà l'incarico? A uno esterno, come ora, nominato in extremis senatore avvita. 
Stay tuned come dice quel citrullo di Beppe Cazzo (che comunque ha i testi arcimigliori di quelli di Benigni. È da pensione Benigni, qualcuno glielo dica, possibile coi soldi che ha faccia lo spilorcio per non pagarsi uno bravo che glieli scriva? Non sono sul mercato, tifo Formamentis, anche s'è comasco conosce le lingue, toscano compreso).

Il becolino

Giorgio Caproni, Il seme del piangere, 1952-1958 in Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1999

martedì 28 agosto 2012

In questo particolare momento

Robert MAPPLETHORPELisa Lyon, 1982


In questo particolare momento di esistenza raggrumata in cui tutto intorno è quiete e silenzio, respiro calmo e sogno, ascolto i miei pensieri susseguirsi come rumori di un'orchestra che s'accorda prima di un concerto. E sale la tensione, l'aspettativa del pubblico per la mia prova più grande: nascere, no, volevo dire morire. 
È questa attesa della morte che ci rende vivi, morte che in fondo è come nascere, succede una volta sola nella vita di nascere o di morire. Non ci sono seconde opportunità e a me questa cosa mi fa venire il torcicollo. Parlo di questo in una giornata di un cielo così azzurro che in Inghilterra s'impiccherebbero per averlo, un sole così giustamente caldo che se ci pensi ti fa venire un'erezione tanto è eccitante sentire il suo calore sulla pelle. Parlo di questo, in questo fine pomeriggio, in cui cerco di catturare a più non posso vissutezze, anche se poi queste si trasformano in misere rappresentazioni, in piccoli ricordi che muovono il simpatico dando luogo al riso o al pianto, dipende dalla loro potenza.
E se mi prendesse un colpo? Se ci restassi secco qui e ora, se domani mi trovassi disteso bello lungo in ospedale, intubato perché una vena ha deciso di rompersi e non farmi affluire il sangue al cervello? Il sangue al cazzo, quello affluisce sempre, e se smettesse forse non sarebbe male, sarebbe un'altra vita, forse meno religiosa e più spirituale, vocalizzerei come un cerbiatto, chissà.
Ma cosa dico, cosa, perché lo dico, perché?
Vi vedo tutti adesso qui davanti a questo capezzale, perché probabilmente il blog è un capezzale, un luogo in cui ogni giorno si fa una specie di unzione dissacrante, per resistere e vivere moltiplicati nella dimensione cerebrale. Qui m'immergo, come un palombaro, per reperirmi, e tornare fuori di me a respirare.

lunedì 27 agosto 2012

Piove letteratura

Oggi mi ero programmato di fare letteratura; poi, invece, la letteratura mi è piovuta addosso, come uno scroscio temporalesco, una Beatrice che ti visita e ti dice: «Sei pronto ad assumermi come tua badante?». «Per condurmi dove?», le ho risposto. Sono, sì, nel mezzo del cammino eccetera, e perfino nei pressi di una selva, ma non è oscura, no, i miei vizi non sono capitali, e se lo fossero sarebbero senza tema catalogabili nel capitolo vita. 
Ci provo a vivere, pur restando pressoché fermo. Ma quest'estate, complice una primavera in cui pensavo di essere rapito da una musa che si è poi rivelata essere una Lancia (accidenti Marchionne, sono più intelligente di te eppure non riesco ad avere una casa vista lago Lemano, due o tre passaporti, e quattrocento conti correnti, vaffanculo), ovvero finita produzione, cassa integrazione, amor che nulla amato eccetera, insomma, sopravvissuto alla primavera, eccoti un'estate di incontri, di corpi esposti, di sole che ti scalda la pelle e io che mi sento insolitamente nei miei panni, che accarezzo il mio corpo come non era mai successo, che mi sdraio su prati e letti da diporto, e che, insomma, assumo quella minima presunzione di sentirmi padrone del mio io, di poter disporre di me come se mi appartenessi - cose che forse succedono appunto nel mezzo del cammino di nostra vita.
Ma ora ho da esiliarmi: più che da Firenze da un'Italia puttana, preferibilmente, dalla maggioranza degli abitanti che la compongono, non faccio nomi, non importa, ognuno tenda a escludersi e il gioco è fatto. La politica non mi appassiona, forse perché mi ci vorrebbe una Serracchiani per farle da portaborse a Strasburgo per quanto resta del suo mandato (o anche all'ex sindaco di Firenze Dominici, che omo, che carriera, m'è toccato votarlo e gli darei volentieri un capaccione, e anche a Sassoli quello che faceva il telegiornalista, cazzo ha fatto anche lui lassù in Europa? Qualcosa di più o di meno di Tajani?). Europa puttana, altro che Italia e Firenze messe insieme, e quegli stronzi dei tedeschi, vedrai come rintuzzeranno il collo, tripponi della madonna, cacatori a scoppio ritardato.
Eppure io mi ricordo una tedesca, tanto giovane e tanto gentile, certamente onesta, avevo sui diciotto e lei di meno, una vacanza semi parrocchiale tra le valli austriache, io le piacqui e lei mi basciò la bocca tutta tremante, a me tremava qualcos'altro, glielo proposi, ma lei s'impaurì, era vergine e io pure, e quel bischero del mio compagno di camera che entrò sul più bello che aveva sonno, vai a cagare te e il sonno. Si chiamava Jutta (la tedesca, non il compagno di camera), chissà se lei si ricorda di me, come io di lei, ora, che saprei come fare, ora che saprei anche dire al mio compagno di camera «Sei un fascista, un piduista, certamente un rompicoglioni».

domenica 26 agosto 2012

Il potere ha sempre a che fare con il sacro

Massimo Firpo sulla prima pagina della Domenica de Il Sole 24 Ore odierno, presenta la raccolta di saggi dello storico professor Paolo Prodi (Storia moderna o genesi della modernità?, in uscita il 30 c.m. presso Il Mulino), con un articolo dal titolo «Quanto è cristiana la modernità?».
È una presentazione favorevole quella di Firpo, anche perché egli non manca di criticare alcune tesi dello stesso Prodi. Purtroppo, a quanto mi risulta, tale articolo non è ancora reperibile in rete¹. 
Io vorrei velocemente meditare su un passaggio del libro di Prodi che Firpo riporta, questo:
«Il potere ha sempre a che fare con il sacro e la grandezza dell'Occidente è consistita soprattutto nel recintare il sacro, non nell'espellerlo come un demone».
Innanzitutto bisognerebbe verificare se Prodi abbia ricavato questa tesi anche e soprattutto dal pensiero di René Girard. Poi, bisognerebbe chiedergli: 
  • cosa intende Prodi con la parola sacro
  • chi è che definisce il sacro? Il potere (religioso, politico)? 
  • se è sempre il potere a definire il sacro e, quindi, a recintarlo, è per questo che sono sempre i vari Caifa (o Caiafa) del mondo a decidere cosa può stare dentro il recinto e cosa no?
  • ogni potere ha necessità di un recinto (confine) che preveda un dentro e un fuori: ed è qui che sorge la profonda contraddizione tra la vocazione universale cristiana e il suo radicamento in un particolare territorio, o sbaglio?
  • ma in buona sostanza: perché ancora oggi il potere deve sempre avere a che fare con il sacro? Appunto perché il sacro è materia che può essere maneggiata soltanto da sacerdoti o da personale di «alto livello»²?
  • ma non è poi questa, in fondo, la debolezza assoluta dell'Occidente, ovvero che il potere abbia, ancora oggi, sempre a che fare con il sacro? Ogni tentativo di resistenza alla desacralizzazione del mondo cozza contro l'assunto numero uno della modernità: «Dio è morto e noi l'abbiamo ucciso»³. Siamo soli in questo cazzo di pianeta a decidere del nostro destino, fenomeni naturali sul groppone a parte. E se l'Europa non lo capisce presto accelererà il suo ineluttabile tramonto.

¹Se lo sarà domani lo linkerò.
²Fabrizio Cicchitto il magnifico.
³Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

sabato 25 agosto 2012

Déjà-vu


Io ho visto questo disco in casa quand'ero piccolo. Lo aveva portato mio fratello. 
Oggi i fratelli maggiori quali dischi portano in casa affinché i minori, magari per caso, li mettano sul piatto e li facciano andare?
Io mi ricordo di questo disco (anche di altri), ma di questo in particolare, la copertina con quella foto in bianco e nero ingiallito, sembrava una foto dei miei nonni ai primi del Novecento, e Crosby assomigliava a mio nonno giovane, coi baffi e senza cappello.
Mah. E che dire del passaggio vertiginoso da 2'20" a 2'50" circa? Se qualche autore oggi lo esprimesse ne farebbe un refrain sì stucchevole, e invece sta lì, perla rara, nel mezzo di un brano che non si lascia catturare.

Nessuno crea per difetto

«Perché Dio ha creato il mondo, dato che poteva trovare appagamento nella propria infinita bontà? La risposta è pienamente soddisfacente: nessuno crea per difetto, ma, al contrario, per eccesso. Il creatore sovrabbonda
Michel Serres, L'ermafrodito: Sarrasine scultore, Bollati Boringhieri, Torino 1989, (ed. orig. Paris, 1987, traduzione di M. Marchetti).

- Buon pomeriggio Dio
- Buon pome che?
- Riggio
- Ah, voi umani abitate il giorno, composto di varie parti. Io no, me ne ero dimenticato.
- Non abiti il tempo?
- Secondo te?
- Non è cortese rispondere con una domanda a una domanda.
- Ascolta, io sono Dio, e della cortesia - a volte - me ne strafotto.
- Beh, secondo me abiti il tempo.
- E per rispondere così melensamente c'era bisogno di darmi dello scortese?
- Non me la sentivo, avevo paura di sbagliare.
- E ci mancherebbe altro: chi non avrebbe paura di sbagliare davanti a Dio?
- Qualcuno c'è.
- Indicamelo.
- Si dice il peccato ma non il peccatore.
- Vaffanculo, te e il politicamente corretto. Proprio oggi che avevo voglia di schiaffeggiare qualcuno.
- Dio, via. Non c'è mica bisogno che te lo dica io chi sarebbe da schiaffeggiare. E poi, chissà, i miei parametri non sono uguali ai tuoi. O meglio. I parametri dei potenziali schiaffeggiabili sarebbero diversi, e quindi potresti anche chiedere loro consiglio, i quali schiaffeggerebbero me.
- Che diamine di discorsi ritorti all'uncinetto.
- Ho mangiato pane e uva.
- E ti sei fatto fatto furbo e loico.
- Mi sono fatto anche una sega, per quello.
- Con l'uva?
- No, pregando (vedi un post di ieri).
- Ah, sì. È un esercizio propizio il masturbarsi pregando. Fa entrare in contatto col trascendente.
- Sì, vero. Ma l'orgasmo è immanentissimo.
- Tu lo credi, dato che lo sperimenti. Io, che sono Dio, per esempio, quando mi masturbo, creo universi. Voi al massimo racconti, preghiere, editoriali (per restare in campo scritturale, ma i campi masturbativi sono molteplici).
- Per questo, come dice Serres, tu crei per eccesso, mai per difetto. 
- È evidente: io, Dio, non mi faccio mancare niente: creo mediante il mio superfluo, mica scemo.
- Però, il fatto che tu, Signore, dica che i mondi li crei mediante un atto masturbatorio (di eiaculazione universale), è molto più nobile che se, mettiamo, ci avessi detto che li scorreggiassi o ruttassi, come potrebbe succedere dopo una grande abbuffata (e bevuta).
- Sono un Dio parco, non porco.
- Quanti altri mondi hai in serbo Signore?
- Che ne so? Ho perso il conto. Li sforno, li spruzzo nel cielo e mi diverto a vedere i vostri tentativi di scoprirli. L'universo è un pozzo senza fondo.
- Cui bono?
- Cui che?
- Bono.
- Vox populi, vox dei.
- Sei in vena oggi, Signore. Ma dimmi, ti senti appagato della tua infinita bontà?
- No. E infatti mi masturbo ancora come un ragazzino. Per smettere mi ci vorrebbe, forse, una dea all'altezza, bella giunonica. Ma da quando voi monoteisti avete prevalso con la vostra concezione del dio unico del menga, mi tocca toccarmi da solo. Ogni tanto sorvolo l'Olimpo, ma che vuoi, le belle dee sono tutte scomparse. C'è la Madonna, porella, ma non ho proprio voglia di fare un altro figlio. Non abbia a venir fuori un altro rivoluzionario che viene mal interpretato e diventa roba buona per i papi. Basta figlioli. Meglio una sega, appunto.
- Dio!
- Ti saluto, vado a bermi un tè ai confini della Via Lattea.
- Tè nero o tè verde, con lo zucchero o senza?
- Secondo te?
- Secondo Ceronetti, tè verde senza zucchero.
- Già, i Pensieri del tè (Adelphi). Ecco, prendili, e vai a fare due passi. Ti saluto.
- Sì, farò così. Alla prossima, Signore.

Il mio cielo, la mia anima




Secondo me in carcere lo hanno costretto a vedere Qualunquemente: a occhi forzatamente aperti (e nelle cuffie Sandro Giacobbe)

venerdì 24 agosto 2012

Pregare schifo

L'amico Andrea Zanni s'incazza su fb contro questa preghiera
Era tempo che non leggevo Langone.
Era tempo che non sputavo sullo schermo.

Poi, dopo aver pulito alla bell'e meglio, ho pensato che appena avrò un cento-duecento euro da spendere, andrò da una prostituta nigeriana, o da un trans amazzone, o da tutti e due, e con loro dalla mamma del Langone a suonarle il campanello di casa per domandarle se potrà dire un rosario insieme a noi affinché Maria Vergine Madre di Dio mandi qualche essere umano a far annusare al figlio Camillo il profumo dei genitali che più aggradano la sua storta libido di un uomo infame.

Riflussi post-prandiali

L'esperimento di astinenza dai social network di Fabio Chiusi non sa di una sega nulla. Io l'avevo visto ieri e l'avevo ignorato, giacché - mi sono detto - leggere di uno che di proposito si astiene dal presenziare i social network per poi parlarne, mi sembra una cosa talmente vacua, come se uno ingrassasse apposta per poi scrivere un libro su come si dimagrisce. Poi ho visto che Mantellini lo linka come se fosse chissà cosa e allora questa partita di giro provincialistica metainternettiana mi ha fatto esprimere la mia acida opinione. Ora sto meglio, come dopo un piccolo rutto.

All'uomo niente sarebbe più utile dell'uomo

«All'uomo dunque niente è più utile dell'uomo; gli uomini cioè non possono desiderare niente di più efficace alla loro conservazione di questo: che tutti convengano in tutte le cose in modo che le menti e i corpi di tutti vengano quasi a comporre una sola mente e un solo corpo, e che tutti insieme, per quanto possono, si sforzino di conservare il loro essere, e che tutti insieme desiderino per sé l'utile comune. Da tutto ciò segue che gli uomini che si governano con la ragione, cioè gli uomini che ricercano il proprio utile sotto la guida della ragione, non appetiscono per sé niente che non desiderino gli altri uomini, e che perciò essi sono giusti, fedeli, onesti.»
Bento De Spinoza, Etica, 1677, Parte IV, Prop. 18, Scolio. Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1959, traduzione di Sossio Giametta.

Che tutti convengano in tutte le cose in modo che le menti e i corpi, i corpi e le menti, di tutti, di tutti gli umani vengano a comporre una sola mente e un solo corpo, un solo corpo e una sola mente, e che tutti insieme, tutti insieme, per quanto possono, per quanto possiamo, si sforzino, ci sforziamo, di conservare il nostro cazzo di essere, e che tutti insieme desideriamo per noi l'utile comune, cioè l'utile di tutti, nessuno escluso. Da ciò dovrebbe seguire che finalmente la ragione prenderebbe le nostre redini, perché ricercheremmo il nostro utile sotto la sua guida, non appetendo per noi niente di più e niente di meno dagli altri uomini e dalle altre donne - e perciò stesso saremmo per una buona volta giusti, fedeli, onesti.

Spinoza sotto questo cielo eterno
i colori non sono di paradiso:
sulla maggior parte dei visi
si legge il libro dell'inferno.

All'uomo niente è più dannoso dell'uomo, poiché la ragione non è strumento condiviso. 
La ragione è usata massimamente affinché pochi uomini sfruttino la moltitudine, senza prendere in considerazione nemmeno per un momento l'ipotesi che questa è la più grande, inequivocabile ingiustizia del mondo. 
La ragione regala letizia a pochi a scapito di tristezza per molti. 
La ragione è lo scettro del potere: sua prima forza. 
La ragione è ancora maledettamente antidemocratica, espulsiva e non inclusiva - e i corpi subiscono questo rifiuto, la mente è ai margini. 
La ragione è sempre puntuale: siamo noi uomini ad essere in ritardo. 
La ragione come guida della nostra storia: c'è ancora da preoccuparsi.

giovedì 23 agosto 2012

Tangente

Cody Bratt
Sono contrario a ogni dittatura, anche a quella del tempo che diventa fuoco e toglie visibilità e respiro. Per questo - oramai da alcuni giorni - mi alzo e spero nelle nuvole, inutilmente.
La distesa dell'alba è scura, il cuore nero, la vita avanza. Se questo grigio si protraesse al resto del giorno, si potrebbe convincersi che oggi i pensieri si faranno freschi - carezzevole brezza che spazza via dalla mente l'ansietà. 
A volte ho la fortuna di poter dare all'occhio della mente una grande esposizione per cogliere variazioni impercettibili anche dentro l'immobilità. Mi diventano sufficienti pochi vissuti per abitare dentro una storia. Nel viverli, tutto sembra in disordine, confuso, inutile, ineluttabilmente destinato all'erosione, alla fatiscenza. Poi, in prospettiva, ecco che invece l'insieme acquisisce forma: qualcosa resta a offrirmi l'illusione che ci sia un senso e a farmi sentire tangente all'universo. 
Sfioramenti, insomma, quanto basta per non cadere preda dell'insignificanza.

mercoledì 22 agosto 2012

Un lacerante editoriale


Via Appia, bar, colazione, caffè e pastina e Il Messaggero sul tavolo. Leggo un editoriale di Luigi Manconi sui tormentoni musicali dell'estate. Egli si lamenta che non ci sono più i tormentoni del tempo che fu, definendone alcuni attualmente in voga come "laceranti".
Ecco, io - appena letto tale aggettivo - non ho potuto non leggere il resto dell'articolo senza che la voce e la prosa chioccia del Manconi stesso lacerassero orecchie e stomaco.
- Cameriere, anche un diger seltz per favore.

Roma


L'è bella.

lunedì 20 agosto 2012

Il Cane e la Volpe

«Può Dio creare una volpe che non possa essere catturata da nessun altro animale? Necessariamente sì, altrimenti non sarebbe onnipotente. Può Dio creare un cane che cattura tutto ciò che insegue? Necessariamente sì, perché Dio deve potere ciò che non è contraddittorio. E se ora questo cane viene messo sulla traccia di quella volpe? Non occorre una fantasia rigogliosa per delinearsi la formula della sottigliezza della soluzione: un Dio la cui onniscienza avesse antiveduto il dilemma di un mondo nel quale compaiono questa volpe e questo cane, poteva organizzare il mondo in modo che questo cane non si imbatterebbe mai in quella volpe».
Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, Il Mulino, Bologna 1991 (traduzione di Bruno Argenton, pag. 185

In riferimento alla storiella di Apollodoro sopra rielaborata, scolasticamente, da Blumenberg, sembra che il fenomeno dell'evasione in Italia sia ordito da un dio onnisciente che non fa imbattere mai lo Stato-Cane sulle tracce dell'Evasore-Volpe.
D'accordo, non li chiameranno più furbi gli evasori alla Rai (corretto sarebbe stronzi, ma lasciamo pure scegliere il termine più opportuno alle redazioni dei tele e radio giornali) - e un cambiamento culturale (linguistico in primo luogo) è d'uopo. In fondo, passare da un presidente del consiglio che giustifica l'evasione, a un altro che - invece - la ritiene inaccettabile, mi sembra un bel progresso.
Tuttavia, quanto è sicuro il presidente Monti che questo ulteriore contribuito, nel considerare l'evasore una persona moralmente riprovevole, aiuterà lo Stato-Cane a catturare gli Evasori-Volpe?
Le azioni dimostrative iniziate lo scorso inverno a Cortina e poi proseguite in altre località, sono state soltanto propaganda che, nel caso, ha reso chi evade più prudente ed accorto.
Di caccia non me ne intendo, ma io non credo che i cacciatori annuncino a mezzo stampa alle prede che l'indomani saranno tutte cacciate e perseguite. Se c'è un modo per farle nascondere o fuggire, questo è il migliore. La caccia all'evasione, insomma, va condotta nel silenzio più assoluto. Quello che conta è il risultato vero, non quello strombazzato per far contento il popolo.

domenica 19 agosto 2012

L'orgoglio lusingato di un uomo che ha dato poco e in cambio ricevuto così tanto


C'è una una lunga articolessa culturale su La Lettura del Corsera odierno scritta da Alessandro Piperno, ultimo vincitore del Premio Strega. Egli s'occupa di Kafka e delle sue disposizioni all'amico Max Brod di bruciare tutte le sue opere. 
Con tale articolo Piperno si candida ufficialmente a diventare il successore di Pietro Citati. Con una prosa e con delle metafore più melense, d'accordo, ma con il piglio simile di uno che la sa lunga senza spiegarci perché la sappia - e ci tiene a farlo sapere. Ma quanto lunga egli la sa?
Non entro nel merito dell'argomento trattato, non ne ho le competenze (se le ho sono simili a quelle di Piperno), anche se - credo, forse a ragione - che se uno si legge la voce Wikipedia trae maggior profitto e gusto. Nondimeno vorrei commentare un paio di brani.
Il primo:
«Kafka, come ogni grande modernista, ha un’idea romantica dell’arte. La sua allergia al filisteismo non è meno patologica di quella di Mallarmé. E, a proposito di romantici, perché Balzac inventò la tecnica del «ritorno dei personaggi» se non affinché la sua Commedia non avesse mai fine? In fondo la stessa Recherche era costruita per accompagnare il suo autore fino alla morte. Chi conosce la necessità di vivere dentro ai libri che scrive sa quanto doloroso sia che essi acquistino una forma definitiva e, come figli ingrati, se ne vadano in giro per il mondo a far danni, con i loro piedi piatti ed i loro denti storti.»
In questo capoverso Piperno dà prova della sua sussistenza bignamica: oltre a rammentarci il modernismo, il romanticismo, il filisteismo, cita, nell'ordine, Kafka, Mallarmé, Balzac, Proust (la sua Recherce) e se stesso. 
- Se stesso? No, dài, non sembra.
- Eppure ti dico che è così: a chi vuoi si riferisca, infatti, se non a se stesso, in questa frase “chi conosce la necessità di vivere dentro ai libri che scrive...”? Lui-même, chi altri sennò? E poi, visto che s'accorge d'averla fatta grossa, paragonare il suo procedere di narratore a dei sacri numi, schernisce fintamente e melensamente i suoi libri dicendo che sono “figli ingrati” che se ne vanno “in giro per il mondo a far danni, con i loro piedi piatti ed i loro denti storti”.
- Cammini sui sassi a piedi scalzi e si metta l'apparecchio: è meglio.

Il secondo, che è l'epilogo dell'articolo:
«Chissà, forse tutta questa celebrità avrebbe giovato all’umore e alla salute, di certo al portafoglio. Probabilmente Kafka avrebbe capito prima di qualsiasi altro che anche il successo è una questione burocratica, ma sempre meglio che essere processati senza ragione. Qualcosa però mi dice che avrebbe trovato esasperante — e in qualche misura perfino umiliante — l’idea che tutta quella gente mettesse il naso in ciò che lui aveva scritto con tanta cura.»
Quanto scritto sopra denota una sfacciataggine inaudita: Piperno, facendosi scudo di Kafka, ci informa goffamente che il suo umore, la sua salute e il suo portafoglio hanno tratto giovamento dalla vittoria dello Strega - anche se tale successo è stato una formalità burocratica e non certo un'attestazione delle sue qualità letterarie. Chissà perché qualcosa mi dice che egli sia profondamente gratificato dal fatto che tutta quella gente (i giurati, e non solo) abbiano messo il naso in ciò che lui ha scritto con tanta abnegazione.

I'm Englishman in Costa Smeralda

Chissà, forse un giorno, da rockstar in pensione, anche le Pussy Riot* saranno invitate in Sardegna a tenere un concerto privato per il compleanno di qualche magnate russo. Sempre che tutta la merda del mondo non abbia, enorme tsunami, allagato le più amene località in riva al mare d'Europa.

Giornalisticamente addolora molto il fatto che il massacro degli operai in Sudafrica non abbia avuto una copertura mediatica pari al caso Pussy Riot*. Forse perché quello che è accaduto è lo scenario terribile che si prospetterà alle nostre forze dell'ordine quando la rabbia (ecco la merda che dicevo, quella buona) invaderà le strade e le piazze delle città d'Europa? Spareranno ad alzo zero contro i loro fratelli? Fino a quando saranno sufficienti i black bloc per giustificare la reazione?

Per tornare a Sting: di primo acchito, anch'io ho avuto un moto di indignazione che uno come lui si abbassi a certi livelli. Ma poi mi dico che, tutto sommato, qualche milionata di euro presa così ai russians non è malaccio, chissà, egli la potrebbe persino dare in beneficenza per farsi bello agli occhi del pubblico di Fabio Fazio, il prossimo inverno, alla prossima presentazione di rincover suonate col piffero.
Voglio dire: fino a che punto siamo disposti a non farci comprare? E se il mio prezzo è più basso di quello di Sting questo vuol dire che sono moralmente peggiore (più fragile) di lui?

*Segnalo questo post di Federica Sgaggio sulla vicenda.

sabato 18 agosto 2012

Il linguaggio vivente nel ritmo del respiro

«Nello scritto l'interiorità va perduta [...] Nel mutare dei tempi e dei luoghi i segni di scrittura non hanno più la capacità di rievocare tutto ciò di cui sono stati caricati e che per natura potrebbero trattenere, mentre quanto essi lasciano cadere per necessità è quello che più conta, il linguaggio vivente nel ritmo del respiro, radicato in cose animate, assieme al suo riflesso sui volti degli interlocutori». Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969, pag. 200
Io ho sempre provato, invece, a non perdere l'interiorità attraverso la scrittura. Tentativi, i miei, probabilmente fallimentari; però mi sono impegnato (e impegno) nel cercare di tirare fuori dal mio piccolo ego quello che pare avere dentro: schiuma, segatura, briciole, letame, cerume, tabacco d'un tempo e ora più, lamponi, marroni, lacrime e baci a raffica e tracce madreperlacee di coloro che hanno accolto il mio lui (Moravia©). Poca roba, dunque, ancora da catalogare comme il faut, ci vuole una vita per queste cose, e il mestiere del blogger consiste forse in questo (rileggere ora nuovamente il brano di Colli, bello vero?), vale a dire tentare di scrivere un «linguaggio vivente nel ritmo del respiro, radicato in cose animate, assieme al suo riflesso sui volti degli interlocutori».
Che la tenuta di un blog si abbia ha quando lo scrivente detto blogger avverte (certo presuntuosamente) un riflesso di quello che scrive sui volti dei suoi interlocutori? Può essere.
Vero è che, delle volte, a fine scrittura post, un certo sorriso mi prende, come se fossi riuscito davvero a comunicare qualcosa che avevo a cuore o a culo, qualcosa che insomma avevo dentro. L'interiorità quindi sembra così non andare del tutto perduta. Qualcosa resta, anche se poco, del transito di un io affaticato in cerca di compimento.

venerdì 17 agosto 2012

Pas de problème

Oggi uso questo spazio per dire che sono confuso, balbettante, farfugliante tutta una serie di vissuti da fermo che non riesco bene a catalogare. Sono giorni in cui la riflessione lascia spazio alla conversazione, e tutto intorno è pieno di visite, di amici, di gente, mica grandi cose, io sto fermo, per esempio questo pomeriggio, me ne stavo tranquillo a leggiucchiare, ed ecco piombarmi in casa due parigini a chiedermi se potevo prestar loro la connessione internet e anche il computer per vedere su google maps la strada migliore per tornare a casa, poiché il loro navigatore dell'auto si è rotto. Io dico, ok, pas de problème, fate pure, anzi vi aiuto, vi stampo se volete il rendiconto, e poi così, a offrire un chinotto, due chiacchere post convenevoli, e scoprire che lui è un batterista professionista e lei una giornalista in pianta stabile de Le Canard Enchaîne e così si parla del più e del meno e del fatto che tale settimanale satirico è veramente indipendente che non fa capo a nessun gruppo editoriale e che le sole vendite settimanali più gli abbonamenti gli fanno avere soldi in cassa sufficienti per non rendere conto a nessun padrone. Bravi.
Poi, mentre eravamo lì a confrontare, io e la giornalista, stampa italiana e francese, ecco che il suo compagno, il batterista, che navigava col suo iPhone, ci mostra questo trailer, dicendo che, appena torna a Parigi, vuole andare a vedere il film.


Anch'io. Magari a Parigi.

giovedì 16 agosto 2012

Esprit du conte


Ho trovato un quaderno elegante sul quale, dal 1993 al 1995, scrissi cose che oggi potrebbero assomigliare a dei post.
La cosa particolare da segnalare è che, al quel tempo, pensavo che un giorno, prima o poi, avrei scritto un libro di racconti o un romanzo. E siccome non mi veniva mai in mente una storia precisa, provavo a inventare delle trame.
Ad esempio:

29 giugno 1994
Idea per un racconto.
Personaggi: un uomo e una donna.
La donna è estremamente bella, ma visibile solo dal protagonista.
Convivono insieme, ma tutti ritengono che egli abiti da solo nel suo appartamento. Anche i suoi familiari, che abitano lontano, non credono vera la sua relazione, dato che nonostante numerosi loro inviti alla “coppia”, egli si è sempre presentato da solo.
Solo una vecchia zia gli crede, ma ha l'alzheimer.
Insomma, il protagonista non può dimostrare ad alcuno che egli ha la fortuna di vivere insieme a una donna bellissima, disponibilissima e gentilissima, che si prende costantemente cura di lui, che lo ama e lo stima.
Ben presto egli incorre in una forte crisi depressiva che lo costringe all'analisi presso il gabinetto di salute mentale della locale azienda sanitaria. Ivi incontra una dottoressa che...
Ma donde viene la protagonista invisibile? Dalla televisione, o meglio: dal televisore. Una sera, mentre lui guardava un film, durante una pausa pubblicitaria e, in particolare, durante una reclame, si vede la nostra protagonista che sponsorizza un prodotto famoso; nel mentre, ella esce dal televisore come se saltasse da una finestra per andare incontro al nostro uomo.
Chi è quest'uomo? Cosa fa nella vita?
È un impiegato statale, lavora alla prefettura. Si è trasferito in un capoluogo di provincia lontano dalla sua regione d'origine dopo aver vinto, appunto, un concorso pubblico.
La sera, prima di addormentarsi, ha l'abitudine di guardarsi un film, quale che sia, di quelli che i palinsesti propongono.
Ambiente: un capoluogo di provincia.
Alcuni elementi di contorno: una collega dall'alito ripugnante che gli fa il filo. Il calpestio fastidioso dei coinquilini del piano di sopra. Un concerto da camera all'aperto e un improvviso acquazzone durante il quale, per l'unica volta, si vede la sagoma della protagonista rivestita della giacca di lui che la copre per non bagnarsi. Sogni vari. Una palestra, la corsa del mattino. Un'ortolana procace che lui tenta di convincere ad andare in vacanza con lui. Un lago, un cane, un'ape piaggio che gli spruzza tutte le mattine addosso lo scarico nauseabondo di olio e benzina bruciati insieme (quanto fanno schifo ancora le api piaggio, le motoseghe – tutti i motori a due tempi insomma).
Trovare un buon incipit, via.

Combinazioni storiche

Casualità.
Leggevo di Assange e ho subito pensato a Pinochet e a come si peritò il governo inglese per rimpatriarlo in Cile senza che fosse giustamente estradato in Spagna.
Poi, per curiosità, sono andato a vedere anche la voce di Baltazar Garzón e ho scoperto che il giudice spagnolo, dal 25 luglio scorso, ha assunto la difesa legale di Assange.
Dati i precedenti, temo per Assange che sarà estradato in Svezia e, da lì, negli Stati Uniti d'America: in fondo, è sospettato solo di qualche abuso sessuale e diffusione pubblica di documenti diplomatici riservati, mica di tortura, sevizie varie e assassinio politico.

A ciascuno il suo tesoretto


Uno svizzero: «Data la vostra situazione politica, economica e sociale, noi svizzeri ci domandiamo spesso come mai voi italiani non fate una rivoluzione».
Un italiano: «È perché portiamo i soldi in Svizzera».

mercoledì 15 agosto 2012

Bozze di ferragosto


Succede spesso a noi umani
di guardarci le mani
di abbassarle poi lungo
certi fianchi
quando abbiamo certi fianchi
a disposizione
della nostra stanchezza
della nostra disperazione.

Siamo esseri ormai stanchi
del nostro stanco guardare.
A mani che non sanno parlare
corrispondono mani che
non sanno toccare.

***

Allora, alcuni giorni fa, camminando in una vecchia strada boschiva, ho incontrato un formidabile abbraccio di querce (vedi foto). La sera stessa, rivedendolo, ho scritto i versi sopra riportati. Li ho lasciati lì sospesi, in bozza, alcuni giorni. Non sono riuscito a proseguirli. Forse perché le due strofe parlano al noi e, nei versi soprattutto, parlare al noi è sconveniente.
Il punto è che non riesco precipitarci l'io là dentro; forse perché sarebbe senza paracadute?

***

Seduto mi guardo tra petto ed ascella
al caldo aspettando un refolo dalla finestra
e scendo e controllo se nella cella
dell'ombelico ci possa stare un'esca.

Dalla vita dei pantaloni esce un'etichetta:
è doppia, coi consigli su come lavare stirare;
c'è la taglia e la marca e la cosiddetta
provenienza: made in Tagikistan, un affare.

Ho i pantaloni tagiki e volentieri penso
alla bella tagika che me li ha cuciti
cosa faccia ora che per lei è notte tarda.

E chissà se lei si chieda dove sia finito
il frutto del suo lavoro: cercare un senso
dentro la globalizzazione bastarda.


***

Madre de dios che brutto sonetto. Lo presento lo stesso per premiare lo sforzo meditativo di un ferragosto sicuramente più faticoso di quello del ministro dell'interno, anche se io non ero in servizio di stato. Madonna Manganelli come è abbronzato, come si vede nella foto in cui egli è accanto al ministro Cancellieri. Ché sia stato in servizio a Lampedusa? 
A proposito di Lampedusa... recupero altra bozza, un dialogo con Dio.


***

- Buonasera Dio
- Buonasera.
- Come stai?
- Come Baglioni a Lampedusa: palle all'aria.
- Ma Dio, hai le palle?
- Sotto sotto sei tu che lo credi, dato che ti rivolgi a me come fossi un essere di sesso maschile.
- In un certo senso è connaturata in me l'idea che tu sia un Padre.
- Prova a pensare il contrario, pensa se al posto delle palle avessi le tette.
- Sarebbe bello. Ma, dopo, come ti dovrei chiamare Dia?
- Macché Dia e Dia, mica ho intenzione di fare tante indagini sul narcotraffico.
- E come allora? Signora Dea? Signora Lea? O Signora Lia?
- Non inflazionare Baglioni. Signora, basta e avanza.

[Segue, forse.]

La stessa sete

Negli angoli della tua bocca vidi scriversi una frase intera, in corsivo, bello, classico, di quelli che i maestri e le maestre sanno ancora scrivere alla lavagna col gesso. La frase non so bene cosa dicesse, una specie di addio. Ti venivano facili gli addii, infatti. Tu non eri predisposta a rinchiuderti nel silenzio, o almeno: il tuo silenzio specificava benissimo cosa sottintendeva. Bastava un sorriso, con un angolo delle labbra diversamente inclinato, per capire che tu avevi in animo un superamento. Fosti brava, lo ricordo, e veloce. Non mi desti nemmeno il tempo di anestetizzarmi con un sorriso diverso dal tuo, magari più morbido e meno spigoloso, più accogliente e meno severo. Un colpo deciso - il silenzio divenne parola che rifiutava le mie parole che volevano tanto descriverti per catturare gli struggimenti che la vita raramente riserva.
Mi porto il tuo corpo nel cuore, tutto. I suoi movimenti. Se fossi un orologiaio saprei costruirne un meccanismo perfetto per sapere in quale ora del giorno darmi piacere. Ogni respiro con te aveva sapore. E la mente cercava di catturare ciò che non le era, non le è riservato. 
Mi desti tanto, in poco tempo. Io quel tempo lo volevo fermo; ma non ero e non sono, ripeto, un orologiaio che sa, in qualche modo, catturarlo dentro una regola.
Una sera, mi ricordo, poche sere prima del tuo taglio finale, mi regalasti la gioia di bermi. 
Da allora ho sempre ricercato la stessa sete.

martedì 14 agosto 2012

«Perché gli schiaffi di Dio appiccicano al muro tutti»


Quando tutto apparterrà a pochi, e questi pochi saranno fratelli, gli umani si distingueranno chiaramente in padroni e in servitori. Coloro cospicui che serviranno, con i loro talenti e le loro competenze, i padroni, saranno lautamente ricompensati e condurranno una vita luminosa, irraggiata e foraggiata da un sole che non sarà mai loro.
Il resto dei servitori si contenterà dei posti di second'ordine, delle ferie comandate, di un lavoro da bile e una pensione che diventerà un miraggio. 
Poi ci sono i disadattati, da tenere sotto controllo, farli sfogare ogni tanto in manifestazioni apposite, per spaccare due vetrine e un autoblindo, magari per ferire un poliziotto e giustificare così, dipoi, in quali mani deve stare la forza. 
Questo è il nostro mondo e la sua prospettiva di qui a qualche decennio.
Non ho io certo ricette rivoluzionarie. Constato. Solo una cosa: non mi si rompano le palle fra qualche mese sull'importanza di andare a votare.
Purtroppo, ancora, vale di più una preghiera del Papa.
A quale Dio?
Un dio assente - e stranamente, per una settimana almeno, sul sotto fondo musicale gaberiano, vorrei provare io a essere Dio.

lunedì 13 agosto 2012

S'ha da essere uguali...

... non solo in principio e alla fine, ma anche nel mezzo.

Ieri, su La Domenica de Il Sole 24 Ore, c'era una pagina contenente due articoli molto interessanti;
uno di Carlo Rovelli, dal titolo «E se Rousseau avesse avuto ragione?», in cui viene presentata una recente ricerca di Ken Flannety e Joyce Marcus (un archeologo e un antropologo), i quali sostengono una tesi che sarebbe stata, appunto, condivisa dallo stesso Rousseau, ovvero che la diseguaglianza sociale è una creazione relativamente recente nel genere umano, comparsa dopo l'invenzione e lo sviluppo dell'agricoltura; l'altro articolo è di Gilberto Corbellini, «Ma l'uguaglianza è per pochi», in cui egli offre uno lucido spunto sul quale, a mio avviso, occorre riflettere. Lo riporto
Difendere sul piano teorico un punto di vista politico vuol dire, spesso, sostenere o che esiste una sorta di posizione originaria o naturale che ci rende portati verso una tra alcune opzioni alternative; ovvero che è possibile convenire razionalmente che una tra tali opzioni è la migliore. Per esempio, ci si schiera per il primato della libertà individuale o per quello dell'eguaglianza, perché si può pensare d'aver scoperto o di poter provare che per natura saremmo o egoisti o cooperativi, o individualisti o egualitari, eccetera. In realtà, queste giustificazioni sono sempre a posteriori, e le conclusioni sono condizionate dal tipo di ideologia somministrata con l'educazione e la cultura, oltre che ovviamente da tratti innati della persona. 
Spero di ritornarci sopra, ma per il momento mi basta sottolineare che l'esempio offerto da Corbellini è riduttivo, in quanto ritengo che proprio la libertà individuale si possa affermare soltanto partendo da un principio di uguaglianza. L'evoluzione umana, intesa sopratutto come evoluzione culturale, non ha che pochi millenni di storia - pochi in rapporto all'evoluzione biologica, d'accordo, ma già sufficienti per farci vedere che il nostro mondo, l'Occidentale intendo, è un mondo che ha consentito sì all'umanità di compiere enormi progressi, ma non è che debba per questo essere considerato un modello intoccabile e irreversibile soltanto perché gli altri modelli sinora sperimentati sono stati peggiori, giacché questo favorisce ineluttabilmente lo status quo delle classi dominanti (ovvero degli individui che sono, di fatto, più uguali degli altri).
Queste sere, un cugino musicista, discretamente famoso sopratutto Oltralpe (è quello sulla destra nel breve video), mi ha detto - e non so quanto attendibilmente - che, gli pare Hitler, dicesse «il n'y a solidarité qui parmi les riches», ovvero soltanto i ricchi sono solidali (uguali) tra loro.
Noi poveri, o mezzi poveri, abbiamo ancora da lottare col nostro risentimento, che ci fa mettere le dita negli occhi reciprocamente, senza prendere travi per sfondare la vista dei veri disuguali.

domenica 12 agosto 2012

Bianco come la luna


Ho sentito dire, senza leggere nulla in merito, che è in voga della specie di letteratura erotica. Mi sono chiesto se sarei capace, io, di scrivere un racconto erotico. Forse, chissà. Ma non è questo il punto. Il punto è che tale vociferare sull'argomento ha suscitato una domanda, questa: qual è stata la prima volta che, in vita mia, ho avuto l'impressione di vivere qualcosa di erotico, che provocò in me una parvenza di eccitazione?
Veloce riavvolgimento di nastro biografico. Mi vedo bambino, piccolo, ma piccolo veramente, età dell'asilo. Il ricordo non è legato alle fidanzatine di quelle che si faceva finta, già a quattro/cinque anni, di essere fidanzati con la complicità scherzosa delle maestre.
Oh, Luca e Lorenza stanno sempre a giocare insieme, guardateli bellini, si fanno le carezze.
No, il primo ricordo erotico non appartiene a questa roba qui. Risale a qualcos'altro.
Una volta i medici prescrivevano sovente delle iniezioni. E quando ero piccolo le iniezioni nel sedere non tutti le sapevano fare. C'erano delle rare infermiere di paese, oppure qualche sparuto dilettante allo sbaraglio. Mia madre e mio padre le sapevano fare, pare imparando sui loro stessi culi e su quelli di parenti e vicini di casa. Una vicina di casa, appunto, esattamente non mi ricordo chi, ma una signora sui quarant'anni, un giorno venne da mia madre a farsi fare una puntura. Mia madre e la signora erano sedute in cucina a parlare mentre aspettavano che la siringa di vetro e l'ago si sterilizzassero. Mi ricordo ancora il gorgoglio di tali strumenti messi a cuocere, nel loro pentolino, sul gas. Io ero piccolo, dicevo, e gironzolavo per casa e la mia età non era ritenuta a rischio, quindi la signora, quando la siringa fu pronta, come se niente fosse, si alzò la gonna, si abbassò le mutande, si piegò lievemente sul tavolo di cucina e mia madre, dopo aver strofinato sul bersaglio un batuffolo di cotone imbevuto di alcol, zac, un colpo secco e deciso, un'iniezione accurata, estrazione, ancora strofinamento sul punto colpito, il tempo di dire, “ecco fatto”, e la signora si ricompose subito, ringraziò sentitamente, e arrivederci.
Beh, io mi ricordo ancora quel culo, bello, grande, morbido, bianco come la luna, e quelle mutande a mezza coscia. Fu un lampo, sì, ma ancora m'illumina.

Un gesto naturale



Seconda e terza pagina di Repubblica. Intervista a Grilli. Foto grande del ministro dell'Economia e, in piccolo, quella del Presidente del Consiglio Monti. Entrambi mani giunte e dita incrociate. Entrambi sollevano l'indice (o tutti e due, come Grilli) al centro della bocca. Chissà perché l'indice. Forse perché il medio puzza?

sabato 11 agosto 2012

Il profumo del pane integrale

«Ciò che sarà, come potremo esprimerlo,
quale parola potrà mai difendere
la felicità dell'uomo - che profuma
di pane integrale - se le regole
destinate ai nipoti futuri
restano ignote alla lingua dei poeti?
Non ce l'hanno insegnato. Non sappiamo come
Libertà e Necessità far coincidere.»

Czesław Miłosz, Trattato poetico, (1957) Adelphi, Milano 2011 (traduzione di Valeria Rossella).

Normalmente compro pane bianco, ma stamani ho visto sul bancone della forneria della coop un mezzo pane scuro, ho domandato, mi hanno detto «fatto con la farina integrale macinata a pietra», ma sai che, lo prendo, me lo incarti, grazie, ecco casa, prendo il burro (lo uso con il pane il burro non avendo una Maria Schneider alla portata) ed ecco qua, che buono questo pane, che sapore, che profumo, sono felice? No, sono contento, ecco, e pensavo alla sécheresse quest'anno quanto grano in meno e quante bocche in più pianeta avrai da sfamare, cosa importa, qua in Occidente i mercati ci lasceranno sopravvivere mica come in India o in Bangladesh, dove le regole destinate ai nipoti futuri sono: prendetevi a brani, o sennò andate dai buzzurri come quel trippone di Tata, a schiere, sbranatelo vivo come le tigri del Bengala, non abbiate paura, scapperà in elicottero ma la Jaguar sarà vostra. 
- Accidenti che poeta rivoluzionario! mandare gli altri a lottare per conto proprio mentre tu comodo te ne vai mangiando pane e burro.
- È che non me l'hanno insegnata i miei padri la rivoluzione. Mi hanno fatto crescere nella bambagia, mi hanno offerto studi e la speranza di vivere a debito. I miei padri mi hanno detto sempre di stare calmo che tutto si sistema, che una guerra bastarda come quella ultima europea mai più, mai più accadrà, come scrivere poesia dopo Auschwitz, come mangiare pane e burro dopo Auschwitz, come pretendere di essere felici dopo Auschwitz, come far coincidere Libertà e Necessità dopo Auschwitz. Adorno! Adorno! Quanto vorrei dirti “lèvati di torno!” Non posso:

«L’impressione che, dopo Auschwitz, si ribella ad ogni affermazione di positività dell’esistenza come una consolazione a poco prezzo, ingiustizia nei confronti delle vittime, la resistenza contro la possibilità di spremere dal loro destino un qualche senso per quanto esiguo, ha un suo momento oggettivo dopo eventi che ridicolizzano la costruzione di un senso dell’immanenza, irraggiato dalla trascendenza posta affermativamente. Una tale costruzione affermò la negatività assoluta e collaborò ideologicamente alla sua persistenza, che comunque è realmente implicita nel principio della società esistente fino alla sua autodistruzione. Il terremoto di Lisbona, fu sufficiente per guarire Voltaire dalla teodicea leibniziana, e la catastrofe ancora comprensibile della prima natura fu minima confrontata con la seconda, sociale, che si sottrae all’immaginazione umana, preparando l’inferno reale sulla base della malvagità umana. La capacità alla metafisica è paralizzata perché ciò che è successo ha mandato a pezzi la base dell’unificabilità del pensiero speculativo metafisico con l’esperienza. Ancora una volta trionfa, indicibilmente, il motivo dialettico del rovesciarsi della quantità in qualità. La morte, con l’assassinio burocratico di milioni di persone, è diventata qualcosa che non era mai stata tanto da temere. Non c’è piú alcuna possibilità che essa entri nella vita vissuta dei singoli come un qualcosa che concordi con il suo corso. L’individuo viene spossessato dell’ultima e piú misera cosa che gli era rimasta. Poiché nei campi di concentramento non moriva piú l’individuo, ma l’esemplare, il morire deve attaccarsi anche a quelli sfuggiti a tale misura. Il genocidio è l’integrazione assoluta che si prepara ovunque, dove uomini vengono omogeneizzati, “scafati” – come si dice in gergo militare – finché li si estirpa letteralmente, deviazioni dal concetto della loro completa nullità.» Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino, 1975, pagg. 326-327

Tutto d'un fiato, Adorno, rileggendoti quattrocento metri a piedi, in compagnia di frasche amiche.
«Ancora una volta trionfa, indicibilmente, il motivo dialettico del rovesciarsi della quantità sulla qualità».
Cos'è la quantità? Il denaro.
Cos'è la qualità? La vita.
Bestie che siamo noi occidentali: dopo (forse, terribilmente forse) essersi liberati dal giogo del trascendente (papaccio ladro permettendo) ci siamo incatenati a una nostra immanentissima invenzione: money (it's a gas).
Come stanno i mercati, il petrolio, l'inflazione, la disoccupazione, l'inquinamento, la criminalità (micro e macro), cosa passa insomma sotto l'atmosfera, in questa aureola di vita che s'assottiglia sulle nostre testedicazzo?
Basta, jazz mentale finito. Il pane che profuma è ancora alla mia portata. Per oggi va bene così.

venerdì 10 agosto 2012

Il corpo è un rivelatore

a Seated Shaman with Snake Hair, Diquis 600-900 CE of Volcanic stone 15 inches tall
Il sospetto del Viagra preso da alcuni atleti per migliorare le loro prestazioni sportive mostra, una volta di più, la necessità di una legalizzazione (liberalizzazione) del doping.
Criminalizzare chi ne fa uso è da sciocchi. Di più: se il doping fosse legale e aperto a tutti, questo consentirebbe di fornire dati che potrebbero tornare utili anche alla ricerca medica e quindi portare beneficio a tutto il genere umano.
Qui Alex spiega ottimamente le ragioni del perché, in sé, il doping non sia un male.

Madonna non è una ex puttana

I Love MDNA
«Ogni ex prostituta cerca di dare lezioni di morale quando invecchia. In particolare quando si trova in tournée all'estero». Con queste parole il vice premier russo Dmitry Rogozin, su Twitter, ha risposto all'appello lanciato nel corso di un concerto a Mosca dalla cantante Madonna a favore del rilascio delle tre musiciste del gruppo punk femminista Pussy Riot, sotto processo per 'vandalismo religioso'.[via]

È più offensivo dire a una donna ch'è invecchiata o dirle che è una ex prostituta? E dirle tutte e due le cose insieme è gravemente lesivo della sua dignità?
O forse Madonna si sentirà più offesa dal fatto che il vice-premier russo l'abbia accusata di voler fare la morale a qualcuno?
Misteri. Sicuramente, se le autorità russe fossero più raffinate, avrebbero proposto a Madonna un concerto in un famoso teatro per poterla poi fischiare e contestare sonoramente durante la sua esibizione (come pare sia accaduto all'Olympia de Paris, anche se non è colpa dei socialisti al governo). 
Penso che questo avrebbe danneggiato l'immagine della cantante molto più certi di attacchi verbali che, anzi, la fanno diventare una specie di eroina della libertà - e questo fa tanto bene al suo business.

E poi un discorso marginale. 
Ho visto l'ultimo video di Madonna, quello girato a Firenze e nella campagna del Mugello. Lo so che è puerile esprimere giudizi su ciò, ma lasciatemi essere puerile: fa veramente schifo. I personaggi interpreti, ivi compresa la protagonista, emanano una simpatia da voltastomaco. La narrazione è talmente insulsa e penosa, la scenografia ributtante. E pensare che la canzone invita la gente a rilassarsi e a divertirsi: io l'ho visto e ascoltato e, da tempo, non ho mai avuto così voglia di stressarmi e di annoiarmi insieme.

giovedì 9 agosto 2012

Vendesi immobili di prestigio

Stamani, mentre ero in auto al parcheggio ad aspettare, ho preso il kindle e mi sono messo a leggere Carver. Subito dopo un signore ha parcheggiato la sua auto accanto alla mia e si è messo a leggere un giornale (credo quel cesso de La Nazione). Eravamo entrambi all'ombra dei tigli della piazza coi finestrini aperti. A un certo punto tale signore ha preso a imprecare e a bestemmiare contro il governo e i partiti sudicioni, dicendo che gliela darebbe lui la spending review: una bella bomba in Parlamento e bam! ecco fatta la revisione della spesa.
Poi è sceso dall'auto e, chiudendo lo sportello, ha rivolto lo sguardo verso me domandandomi: «Perché non è vero che sono tutti dei ladri sudicioni?».
Io, che come ho detto leggevo di Carver un breve racconto (“Mio”, tratto da Principianti, Einaudi), in cui due coniugi si contendono il figlioletto a tal punto da... ucciderlo, ho abbozzato un mezzo sorriso di assenso, così, per evitare ogni polemica.

Poi, oggi pomeriggio, nell'apprendere che il governo ha in mente sul serio di aggredire il debito, leggo questo
Il Wall Street Journal ha rivelato l'istituzione di un fondo per la cessione di circa 350 immobili di pregio, che potrebbero portare nel 2013 a dismissioni per circa 4-5 miliardi. Una cifra impegnativa in una fase difficile del mercato immobiliare.
E mi viene in mente che i mercati potrebbero fare al caso dell'arrabbiato signore senza spargimento di sangue. Infatti, se essi comprassero particolari immobili di pregio, quali per esempio Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama, con il personale di servizio ivi incluso, compreso quello con una sola legislatura o un solo incarico sul groppone, si potrebbe ottenere un buon risultato senza tanti botti né spargimento di sangue. O no?

P.S.
Io intanto telefono a quel “puzzone” di Bernard Arnault, quello della LVHM, perché col francese me la sbroglio meglio che con l'arabo, il russo, il cinese e financo l'inglese. Agli altri ci pensate voi, vero?

Se ci provo


I MAY, I MIGHT, I MUST


If you will tell me why the fen
appears impassable, I then
will tell you why I think that I
can get across it if I try.
         POSSO, POTREI, DEVO


        Se mi direte perché la palude
        appare insuperabile,
        allora vi dirò perché io credo
        di poterla passare se ci provo.

Marianne Moore, O to be a dragon, 1959, in Poesie, Adelphi, Milano 1991 (a cura di L. Angioletti e G. Forti).

La storia è questa, i poteri sono questi, gli uomini che subiscono storia e poteri sono vittime in primo luogo dei confini della loro immaginazione.
Restiamo prigionieri della palude. Tutto intorno a noi cospira a farci credere che di qui non si esca: queste sono le istruzioni mondo, chi più vi si adatta più raggiunge quello pseudo stato di felicità e gratificazione. L'importante, però, è non grattare sotto il gratta e vinci fortunato della vita per non scoprire che il mio miele è il risultato di altrui deiezioni.
Felice Occidente che ti pasci ancora nelle tue incerte sicurezze. Goditi queste estati torride che ancora regalano momenti di riposo. Osserva la sera il cielo che ti attraversa, la miriade di stelle, spera in qualche cadente per esprimere un sano desiderio. Tienti pronto, abbine uno, non ti lasciar sfuggire l'occasione. Chi ti abita può soltanto dirti il perché della palude e il perché appare insuperabile.