lunedì 31 dicembre 2012

Poesia dell'ultimo dell'anno...

...1975, ad Andrea Zanzotto

Come nel buio si ritrae lento,
Andrea, questo anno già da sé diviso.
Ora nel vischio del suo fiele intriso
starà così per sempre dunque spento.

Ma quel che in noi di anno in anno è deriso
o incompiuto o deforme non lamento:
se uno è vinto e un altro è stato ucciso,
uno ha durato contro lo sgomento.

Qui stiamo a udire la sentenza. E non
ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.
A uno a uno siamo in noi giù volti.

Quanto sei bella, giglio di Saron,
Gerusalemme che ci avrai raccolti.
Quanto lucente la tua inesistenza.

Franco Fortini, Paesaggio con serpente, Poesie 1973-1983, Einaudi, Torino 1984

Non mi ricordo se questo sonetto l'ho già qui riportato. Non importa, è talmente bello che, anche fosse, repetita iuvant.
Rileggere, ripetere a voce bassa versi di poesie che ci piacciono non sarà mai sufficiente perché diventino sostanza del nostro linguaggio. Ma forse è bene anche così, è bene che l'ambiente memetico sia inquinato dalle canzonette alla moda, o da altro tipo di slogan (politico, pubblicitario...), altrimenti, forse, le poesie ci starebbero sulle palle come le canzoni (la maggior parte delle, con nobili eccezioni, chiaro).
Nella convenzione che fa sì che gli anni passino e si festeggi l'arrivo di quelli nuovi, convenzione che da tempo faccio fatica a rispettare comme il faut, lancio un piccolo augurio: per ogni ritornello di canzone di un Jovanotti o di un Tiziano Ferro o di uno Zucchero o di un chi volete voi che mi entra in testa per inquinamento ambientale, io possa medicare la mente con dieci poesie di rilievo prese dopo i pasti principali.
Buona fine dell'anno.
End of the Year
E buon principio 2013

Cedere se stessi alle forze repressive

via; il Panopticon è qui.
«La sublimazione richiede un alto grado di autonomia e di comprensione, essendo una mediazione tra il conscio e l'inconscio, tra processi primari e processi secondari, tra l'intelletto e l'istinto, tra la rinuncia e la ribellione. Nelle sue forme più compiute come nell'opera artistica, la sublimazione diventa il potere cognitivo che sconfigge le forze repressive nel mentre cede ad esse.
Alla luce della funzione cognitiva di questa forma di sublimazione, la desublimazione che si sparge con tanta rapidità nella società industriale avanzata rivela la sua funzione veramente conformista. Codesta liberazione di sessualità (e di aggressività) libera gli impulsi istintuali da gran parte dell'infelicità e dello scontento che riflettono il potere repressivo dell'universo di soddisfazioni stabilito. Esiste certo una diffusa infelicità; e la coscienza felice è piuttosto precaria, crosta sottile che copre paura, frustrazione e disgusto. Tale infelicità si presta facilmente ad essere mobilitata per fini politici; senza spazio per uno sviluppo consapevole, essa può divenire una riserva d'energia istintuale disponibile per la rinascita di un modo di vivere e di morire di tipo fascista».

Herbert Marcuse, L'uomo a una dimensione, Parte prima, Capitolo tre, Einaudi, Torino 1967 (traduzione di Luciano Gallino e Tilde Giani Gallino).

Stasera cercavo qualcosa per capire la mia condizione esistenziale e ho trovato il brano sopra di Marcuse che mi è entrato come una sublimazione non dico dove.
Io sono un sublimatore straordinario, lo sento. Sono nato per questo. Sublimavo quando poppavo, così come sublimavo quando ho scoperto che, toccandomi, mi provocavo piacere. Forse l'ho già detta questa cosa, ma io ho un ricordo abbastanza precoce della mia masturbazione. Anche a scuola, alle elementari, quando c'era un compito che non andava, mi ricordo come stringevo le gambe e frizionavo il pennino senza uno scopo immaginativo preciso se non quello di arrivare al dunque e rilassarmi e risolvere i problemi sulla compravendita, o sul peso lordo peso netto tara.
Stringo, ché non posso sintetizzare un'autobiografia in un post. Stringo (non le gambe, ora no, credetemi) per dire solo che bloggare è per me pura sublimazione, proprio perché qui compio un ordinario atto di mediazione «tra il conscio e l'inconscio, tra processi primari e processi secondari, tra l'intelletto e l'istinto, tra la rinuncia e la ribellione». E come il mio io bambino si rilassava dopo quei piccoli orgasmini senza costrutto, così io ora mi rilasso e tengo a bada la tigre assenza nella gabbia della mia sublimazione. Il maestro (l'autorità, il potere) non si accorge di niente, o fa finta; l'importante è che io non rompa troppo le palle e faccia il mio dovere di bravo cittadino.
Come oggi, per esempio: sono stato alle parlamentarie del PD e con due euro ho votato due donne. Sono stato bravo, vero? 

domenica 30 dicembre 2012

Le fave siamo noi (nessuno si senta escluso)

Intervallo

Che differenza c'è tra Rosi Bindi, che ha partecipato e vinto alle primarie del Partito Democratico nella circoscrizione di Reggio Calabria, e Maria Stella Gelmini, che andò a fare l'esame di Stato per la professione di avvocato presso la Corte d'Appello reggina, una decina d'anni or sono?

sabato 29 dicembre 2012

Preferisco Don Ciccio


Non lo conosco se non attraverso i titoli di cronaca delle vicende giudiziarie di cui è stato protagonista come magistrato; ma non l'ho mai ascoltato né letto, quindi non posso giudicarlo né per quanto riguarda il suo precedente lavoro, né sulla sua presente condizione di candidato al Parlamento (candidato premier un cazzo, l'Italia continua a essere una repubblica parlamentare). 
Ciò nonostante, penso che quanto è scritto su Sollevazione descriva con molta pertinenza il personaggio:
«Questa mattina il Pubblico ministero palermitano ha ufficialmente presentato se stesso come capolista e candidato premier della lista degli arancioni, più precisamente nominata «Rivoluzione civile INGROIA». Colpisce il suo nome scritto in grande, in perfetto stile berlusconian-seconda-prepubblica. Il simbolo esprime, in perfetta coerenza, la disarmante insignificanza programmatica, del nomignolo della lista. Colpisce ciò che ha detto in conferenza stampa. C'è tutto il succo del personaggio: un pubblico ministero, uno zelante civil servant (per dirla elegante come Monti dice di se stesso) di questo Stato, ossessionato dalla caccia ai mafiosi e ai malviventi. Risuonando le parole di D'Alema, lui vuole un "paese normale"»
E tanto mi basta per continuare ad ignorarlo.

Preferisco il commissario Ingravallo.

Un sogno, era solo un sogno

via Personal Message
Ogni tanto vanno raccontati, i sogni, non per cercarne una spiegazione, ma solo per ricordare come, a volte, la mente, durante la condizione del sogno, produca cose insensate (o dal senso recondito).

Sembra la sera del martedì grasso e sono a cena in un elegante ristorante. Nessuno è in maschera, tranne i bambini (non molti, ci sono anche le mie figlie). Le quattro grandi tavolate si vanno riempendo. Domando al ristoratore quanti coperti sono previsti, lui mi dice una cinquantina. Tra gli adulti si nota una netta prevalenza femminile, ma questo è normale: sia a casa, sia al lavoro, io sono in minoranza. Le donne cicaleggiano. Alcune escono per fumare, ma non molte. I pochi uomini presenti iniziano a parlare di quanti ristoranti e/o locali Briatore ha in giro per il mondo (inciso: su twitter, per ragioni antropologiche, ho followato @BriatoreFlavio perché - pur essendo Crozza, quando lo imita, superlativo - l'originale fa molto più piangere/ridere/sbalordire e spiega molte cose sullo stato mentale della nazione), a me scappa di andare in bagno.
Al ritorno, il gestore invita tutti ad accomodarsi, ché stanno per essere serviti gli antipasti.
Alle spalle del mio posto a tavola c'è un'ampia vetrata. Fuori, pur essendo ora di cena, è ancora giorno, strano fenomeno per la stagione, ma questo lo dico ora mica l'ho pensato mentre l'ho sognato. Iniziamo tutti a mangiare, io mi tuffo sul crostone di cavolo nero su crema di ceci. Di scorcio, dalla vetrata, vedo veloce transitare un centauro in giacca e cravatta (la parte umana) e uno splendido color baio con la coda nera corvina (parte equina). Accidenti che travestimento, mi dico, ma non sono sicuro sia tale.
Non faccio in tempo a meravigliarmi che, all'ingresso, si presenta un uomo che tiene per la briglia un dromedario; data l'altezza, il quadrupede non riesce a entrare dalla porta e rimane metà fuori. Il signore è venuto a chiedere elemosina, infatti porge il cappello affinché possiamo dargli qualche spicciolo. Il dromedario sembra affamato e una signora, che se lo trova vicino, gli porge un crostino nero di fegatini di pollo; il dromedario sembra apprezzare ma, dopo aver ruminato un po', sputa con forza tale crostino, anzi lo vomita aggiungendovi tutta la sua bile. Un puzzo nauseabondo si diffonde per tutta la sala. Il proprietario del dromedario si affretta ad uscire.
Io mi sveglio, vado in bagno e mi affretto ad aprire la finestra. 
Via a camminare, ora.

venerdì 28 dicembre 2012

Nella scrittura c'è la nicotina?

LJP
Tramite Giulio Mozzi ho letto, di Giorgio Fontana, un intervento sul tema dello Smettere di scrivere.
È un po' lungo, ma meritevole di essere letto, dato che ci sono buone riflessioni intorno alla necessità (o meno) dello scrivere. Un buon esempio:
se l’impulso a rompere il silenzio della pagina bianca comincia da un qualche bisogno dell’ego, credo che la scrittura nella sua forma più compiuta sia una sistematica distruzione delle ragioni dell’ego. Non si scrive allo scopo di affermare sé stessi in qualunque modo  per mostrare il proprio libro agli amici, per avere una recensione, per ottenere la patente di “scrittore”  ma allo scopo contrario di uscire da sé stessi. Di staccare un oggetto da sé.
Purtroppo, però, forse perché l'intervento è stato scritto per essere letto in pubblico, il testo contiene passi meno buoni. Esempio:
Di fronte allo strapotere della parola, queste sono isole salde che corteggiano il silenzio  e che guardandolo fisso negli occhi ne rimangono stregate.
Le “isole salde”, sono gli scrittori (Rimbaud, Salinger, Henri Roth, Jimenez) famosi anche per aver smesso di scrivere. Cosa non mi piace della frase? Primo: un'isola “salda” che cazz'è? Secondo: avete mai visto un'isola corteggiare qualcosa, oltre le navi coi comandanti citrulli che fan loro l'inchino? Terzo: avete mai visto isole con occhi che guardano fisso altri occhi?

Sono uggioso, lo so. Ma anche perfido: io, per esempio, spero di avere coscienza, la stessa di ora, di smettere di scrivere nel momento in cui cominciassi a usare similitudini o modi di dire di uso quotidian-giornalistico senza rendermi conto di farlo, ovvero se le usassi senza mostrarne bruttezza e fallacia.

Per farla breve: se fossi l'«editore meraviglioso» di Giorgio Fontana, e leggessi frasi tipo «come un attaccante quarantenne che appende le scarpe al chiodo», oppure, «ma vorrei davvero spezzare una lancia in favore delle ragioni...», oppure ancora, poco più avanti, «contro il cinismo imperante che governa il mondo della parola pubblicata», gliela darei io, a Giorgio Fontana, l'occasione di smettere di scrivere.

Vaffanculo, zingara

 "Non si può neanche pensare a 100 mila euro al giorno. Sono cifre scandalose. E' una vergogna". Iva Zanicchi, europarlamentare del Pdl, commenta così la sentenza depositata in Tribunale a Milano sulla causa di separazione fra Silvio Berlusconi e l'ex moglie Veronica Lario che dall'ex premier riceverà 3 milioni di euro al mese. "Questa - aggiunge Iva Zanicchi - è una sentenza punitiva e in questo momento preelettorale rappresenta un attacco a Berlusconi". "E' ovvio pensare a tutti quelli che lavorano 8 ore al giorno e portano a casa mille euro al mese, ma è la verità - prosegue -. Io sono benestante ma molti altri no e queste cifre sono un'offesa, una coltellata al cuore delle tante persone che arrancano".
Una considerazione veloce a margine di quanto dichiara Iva Zanicchi: è più una vergogna che Miriam Raffaella Bartolini in arte Veronica Lario percepirà tre milioni di euro al mese (lordi, quasi la metà saranno tassati a norma di legge, come dice l'avvocato Bernardini De Pace), o che il suo separato coniuge  possa darglieli?
Faccio questa considerazione perché nell'immaginario collettivo, anche di coloro che non voteranno Berlusconi, ha preso il sopravvento il meme di “Veronica Lario è una pappona”. E invece non è così, è tanto difficile da capire? Se Berlusconi avesse un potenziale economico minore, la sua separata moglie avrebbe potuto pretendere (e ottenere) meno.

E chi lavora otto ore al giorno e porta a casa mille euro al mese non deve cadere nella trappola mentale del pensiero popolare che la Zanicchi propone. La vergogna è che un essere umano, sfruttando il lavoro altrui (nel caso classico del capitalista - a cui s'aggiunge, nel caso di Berlusconi, lo sfruttamento sistematico dello Stato a vantaggio dei propri interessi, ivi compreso il monopolio della pubblicità televisiva), si appropri del plusvalore che il lavoratore produce - e, si badi bene, nella società borghese, sia il profitto che la separazione sono regolati a norma di legge.
Dunque, signora europarlamentare Zanicchi Iva, «la coltellata al cuore delle tante che persone che arrancano» da chi è scagliata? Da coloro che, in un modo o in un altro, come lei in fondo e la signora Veronica Lario, mungono la mucca pazza del capitale, o invece da coloro che le fanno arrancare perché le sfruttano togliendogli il dovuto?

P.S.
Se invece di stare attento ai desiderata vaticani, Berlusconi, insieme alla depenalizzazione del falso in bilancio, alla prescrizione e a tante altre leggi ad personam, avesse fatto approvare anche la legge sul divorzio breve che, chissà, forse comportava anche una diversa e più favorevole - per lui - ripartizione degli alimenti...

Con lei

Con lei era difficile. Ma non rimpiangere
il giugno lontano, la parola cuore,
i denti come perle duri sul bacio inesperto,
la mano timorosa, il contemplato pudore.

A ripensarci, lei era poco più d'una sciocca,
oggi diresti che la mette giù dura,
e molto meno ti chiede colei che ripete:
cinquemila in albergo e in macchina due, con la bocca.

Giovanni Giudici, La vita in versi, Mondadori, Milano 1965.

P.S.
Non badate alla data di pubblicazione e non pensate all'inflazione, né alla “vecchia” lira; i versi finali sono molto corrispondenti alla realtà: il ragioner Spinelli, infatti, ne sa qualcosa.

giovedì 27 dicembre 2012

Tenet insanabile multos scribendi cacoethes

«Il satirico lavora su un campione ristretto (sufficit una domus), sull'emblematico, sul fiore malato, sull'arco di un Giorno; il mondo, il male di un secolo, entità metafisiche, perdono la satira, o la modificano tanto da renderne invisibile il segno, la punta. La visione della distruttività umana all'opera in cielo e in terra, nuda, ignobile, non spreme neppure indignatio. Troppa materia da satira sconfigge la satira: l'aveva già osservato, non ricordo dove, Flaiano.
Forse, a dirmi satirico trovo una giustificazione a questo scribendi cacoethes (Sat. 7, 52) [Ceronetti lo traduce con “cancro della scrittura”, anche se, forse, è meglio rendere con “desiderio insaziabile di scrivere” vedi qui]. Mi pare che solo il satirico si giustifichi ancora, tra gli scrittori, meno pervertito nel linguaggio, più vicino a Dio per la sofferenza. Solo il satirico, senza rinunciare per sé all'ideale e alle vivendi causae (né indurre a rinunciarvi nessuno) è sufficientemente preparato a entrare in nirvana, dopo aver perfettamente capito l'inutilità dello sforzo di riformare il genere umano. […]
La satira, gonfia di uomo, ne è ingorda, poi si torce per la necessità di evacuarlo, di purgarsene, culmina in riti di purificazione: sulpura cum taedis et si foret umida laurus (Sat. 2, 158, trad. di Ceronetti: «Bramose di fuoco e zolfo le vedo, d'umido alloro per purificarsi»).

Guido Ceronetti, “Tra satirici”, introduzione a: Giovenale, Satire, Einaudi, Torino 1971 (ed. 1983), a cura di G.C.

Ora che dalle parti del Vaticano hanno detto che preferiscono coloro che salgono a quelli che scendono (senza dire, però, che prima, chi scendeva, gli andava bene lo stesso, anche se era patente che il loro scendere equivaleva a far sprofondare l'Italia nel bottino), Berlusconi, dopo aver fatto passare a cresima la fidanzata, ha fissato in fretta e furia le sue terze nozze, ché la Chiesa, si sa, ha in uggia chi convive in stato di concubinaggio. Chi sarà il testimone di cazzo di nozze? La figlia Barbara, primogenita del secondo letto, già laureata in filosofia presso l'Università San Raffaele con una tesi su Amartya Sen, dopo aver concubinato un anno e mezzo con un calciatore dipendente del padre - da poco quest'ultimo ceduto in Brasile perché, anche se abile cunnilinguista, la conversazione a tavola languiva - durante il pranzo di Natale è stata l'unica a fare il muso al padre perché avere come matrigna una coetanea scatena una naturale reazione di giramento delle ovaie per stabilire se il proprio genitore è ancora sano di mente, oppure no. Tuttavia ella, insieme agli altri quattro fratelli (due del primo matrimonio e altri due, come lei, del secondo), dopo aver controllato in cassaforte il testamento paterno, si è subito sentita sollevata, la vita è bella, di maschi aitanti, non certo ultrasettantenni, ne può disporre a iosa, per la serenità famigliare ritrovata ha aperto uno champagne riserva da ventimila euro, paga il papà.

E se Berlusconi, con una mossa suicida, se ne sbattesse le palle del Vaticano - come, d'altronde, privatamente ha sempre fatto - e diventasse, per l'ultima (si spera) sua occasione elettorale, un liberale duro e puro, contro il Papa e la Chiesa tutta? Se mandasse affanculo il Quagliarello, la Roccella, il Sacconi, il Formigoni, eccetera, e tentasse questo bluff?
Ora, si dà il caso che io non lo voterei ugualmente, dato lo schifo e l'impellente mia personalissima necessità di evacuarlo; però sarei il primo ad apprezzarne la mossa azzardata e geniale. 
Come si comporterà invece? Boh, soldi ne ha a balle per finanziare una parolina buona d'Oltretevere, don Gelmini non basta più.
Certo che se Berlusconi prendesse quanto si auspica (ma il suo interesse è chiaro: entrare in Parlamento con un peso determinante la formazione del prossimo governo, al fine di continuare a proteggersi i suoi interessi privatissimi), sarebbe un passo avanti verso un'auspicabile rivoluzione illiberale: ovvero la rivolta (non oso dire la rivoluzione). 

Un commentatore anonimo, a un mio precedente post di riposta agli auguri che l'onorevole Silvio Berlusconi, tramite la sua newsletter automatica, mi ha inviato, ravvisa che sarebbe necessario scagliare frecce anche sul montiano Monti, nuovo primo attore alla prossima farsa delle elezioni politiche. Beh,  il commentatore ha ragione, ma - è un limite mio - ancora non riesco a scagliare punte parole o parole punte contro l'attuale presidente del consiglio dei ministri dimissionario. Non riesco perché contro Monti non mi parte la satira, bensì una narrazione anticapitalista (non di stampo vendoliano, spero), e non sono pronto ad essa, soprattutto nell'urgenza del momento che mi pone negli occhi la trave Berlusconi contro la pagliuzza Monti (anche se, credo che, situazionisticamente, sia il contrario, ovvero pagluzza B. e trave M.).
Vale a dire: io trovo la politica del governo Monti sbagliata sotto molti, quasi tutti gli aspetti, a partire dalla riforma delle pensioni giù giù fino alla revisione della spesa. Ciò nondimeno, non posso ora trovarmi nemmanco per una parola in sintonia con quanto ciancia Berlusconi, il quale dice che il governo Monti è stato un disastro completo, ok, ma madonna politicamente corretta, come fa a dirlo lui, come fanno i giornalisti ad ascoltarlo e a non sbattergli in faccia cosa gli va sbattuto in faccia, anche un ferro da stiro caldo?
Sbaglierò, ma al momento sento la necessità di scartare via dal mio immaginario politico la ruggine berlusconiana che incrosta la mia mente. Appena - senza alcuna mia sorpresa - egli ha detto: «Rieccomi», subito è scattato in me il riflesso condizionato di sputargli addosso quante più messe in ridicolo possibili, perché - lo confesso - io quando sono solo e ci penso a cosa dichiara di volta in volta (dichiarazione che leggo o ascolto di rimbalzo, basta sfogliare un giornale o accendere la radio) mi prende una gran voglia di porcamadonnarlo fin nel profondo del suo buco del culo, è più forte di me, lo so, qualcuno mi aiuti.

...

Adesso sto meglio, mi sono sfogato. Non prometto che non parlerò più der sudicione ma cercherò, per quanto possibile, di contenermi. È il momento di rispolverare alcuni miei dimenticati interessi, la fitoterapia per esempio, a partire dallo studio delle piante medicinali. Vediamo un po' donde partire: dall'eschscholzia o dal papaverum somniferum?

mercoledì 26 dicembre 2012

Gli accenti dell'Ansa


''Una congiura  politica, mediatica e anche internazionale. Hanno tirato fuori questo fantasma improvviso dello spread che rappresenta in tutto e per tutto una spesa possibile per il costo degli interessi del due per cento in piu' all'anno, quindi meno di cinque miliardi in un anno. Una difficolta' quindi facilmente superabile. Si sono inventati - ha ribadito il leader del Pdl - di tutto e di piu'''.
[...]
''Non ho obiezioni ad un vicepresidente leghista se il Carroccio ci dara' un contributo elettorale. Resto convinto che la soluzione migliore sia la maggioranza assoluta del Pdl, ma se la maggioranza si raggiungesse con un solo alleato, che e' la Lega, con cui abbiamo lavorato bene, questa potrebbe essere una soluzione''.

Primo: ma all'Ansa non ce l'hanno una cazzo di tastiera italiana tranquilla tranquilla, con le lettere con l'accento, ché a mettere l'apostrofo come accento non si capisce un cazzo, appunto? Difficolta' tua sorellàààààà. Piu' piùùùù, capitoooo? Anzi: guardate un po' (stavo per metterci l'accento) com'è facile: 
À È É Ì Ò Ù  (maiuscole)
à è é ì ò ù (minuscole) 
Secondo: ho capito che Berlusconi queste cose le dice al tg4, quindi, va da sé che il contraddittorio è inesistente; ma se putacaso le dicesse in altro luogo non suo, con un giornalista meno votato al lecchinaggio, potrebbe costui, per favore, domandargli: se era una congiura, come mai ci sei cascato brutto nel muso e fatto male addosso? E poi: se lo spread non doveva spaventare nessuno, come mai te per primo ti sei spaventato quando il tuo tesoruccio d'amico, Ennio Doris, presidente della tua cara Mediolanum, ti supplicò (telefonicamente) di dimetterti sennò i mercati ti sbucciavano il culo?

Terzo: non so su (o giù) al Nord cosa penseranno quei cittadini elettori che hanno votato Lega Nord per vent'anni, se avranno digerito il tesoriere Belsito, il vicepresidente del Senato senatrice Mauro, Bossi padre e Bossi figlio, Calderoli, lo stesso Maroni che si ripresenta come un novellino, ché lui è una persona che non sapeva niente delle faccende sporche del cerchio magico.
Non lo so, fatico molto a credere che la maggior parte di tali elettori, rintronati a parte, renderanno il voto alla Lega Nord. Tuttavia, anche fosse, mi chiedo: quanti di loro saranno disposti a sopportare una rinnovata alleanza col Sudicio?

Uscire dalla prigione dell'amore*


Amore, la vita
è quando gli occhi tuoi m'avvolgono
la tua parola mi sorride.

Ove il sole non t'illumina
è notte
ove la tua voce non giunge
inferno.

Non cammino se in capo al viaggio
non so che il tuo riso m'attende
non mi volgo ove so che volgendomi
non incontro il tuo volto.

Odio il corpo mio
l'anima mia
perché non sono l'anima e il corpo tuoi.

Il mondo mi pesa enorme
non posso che stringermi a te
fin ch'io non senta più me
più nulla -

quel che di me di tutto rimane
m'affanna mi lega
mi chiude
mi soffoca

amore.

Massimo Bontempelli

Dottore,
una poesia del genere
è possibile dirla e ridirla soltanto
quando il cuore non freme
quando gli occhi non conoscono pianto.

Dottore, sebbene
le dita di una mano
mi siano bastevoli per dire
quante volte sono stato
innamorato

dottore, mi creda:
tali versi di fuoco
non si ha mica il coraggio
di ripeterseli quando
si ha più bisogno

giacché quando
siamo incantati dal sogno
non si vuole capire
quel che ci succede:

si affoga

soprattutto se amore
è qualcosa di unilaterale
qualcosa che graffia
e fa stare male
un solo corpo, una sola mente.

Gentile paziente,
le sue parole mi dicono
che al momento lei non soffre;
ma le medicine, ricordi
vanno prese quando servono:

faccia yoga.

L.M.

*Il titolo, arbitrario, del post deriva dal fatto che la poesia di Bontempelli è la seconda della sezione «Prigioni» del libro dal quale è estratta.

martedì 25 dicembre 2012

Scrittura come abitazione


«Lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria. Come crea disordine e confusione con i fogli, i libri, le matite e le cartelle che si porta dietro da una stanza all'altra, così fa anche, in un certo modo, coi suoi pensieri. Essi diventano, per lui, come mobili o suppellettili domestiche, su cui prende posto, si sente a proprio agio o, viceversa, va su tutte le furie. Li carezza delicatamente, li consuma, li mette a soqquadro, li sposta, li rovina. Per chi non ha più patria, anche e proprio lo scrivere può diventare una sorta di abitazione. E così facendo anche lui, come a suo tempo la famiglia, non può fare a meno di produrre rifiuti e scarti. Ma non ha più un ripostiglio dove metterli, e, in generale, è difficile separarsi dagli avanzi e dalle scorie. Così spinge i rimasugli davanti a sé e finisce per correre il rischio di riempire di essi le sue pagine. L'esigenza di indurirsi e di non indulgere alla pietà di se stessi comprende in sé anche quella più tecnica di prevenire, con estrema cura, le cadute della tensione intellettuale e di eliminare tutto ciò che si viene a formare come un'incrostazione nel lavoro in corso, che continua a girare a vuoto, e che forse, in uno stato antecedente, contribuiva a creare, come ciarla o pettegolezzo, la calda atmosfera in cui l'opera può crescere e svilupparsi, ma che ora non è più che un residuo muffito e un deposito stantio. Alla fine allo scrittore non è concesso di abitare nemmeno nello scrivere.»

Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1954, traduzione di Renato Solmi, pag. 93-94

Facciamo attenzione alla sequenza del brano di Adorno: egli esordisce con «lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria» e conclude con «alla fine allo scrittore non è concesso di abitare nemmeno nello scrivere», descrivendo, tra i due poli, tutte le fasi che portano allo sfratto dello scrittore dalla casa che si era permesso di abitare.
Innanzitutto: chi rientra nella categoria di scrittore sopra descritta? Tutti coloro che, per mestiere o divertimento o necessità, scrivono per rappresentare quello che pensano, quello che – oso dire – sono. Rientro tra questi? Presumo, anche se il blogger, rispetto allo scrittore tradizionale, molte volte, anzi spesso, vive dei propri scarti e avanzi e sa dove metterli (basta un click).
Per quanto mi riguarda, una delle cose che più mi “accarezzano” dell'idea di scrivere/abitare un blog, è che i miei pensieri, le mie letture, i miei versi, trovano un luogo dove essere depositati e disposti, secondo un ordine pressoché automatico (salvo la minima briga di una facile etichettatura).
Vanità? No, espressività.
Arriverà il giorno dello sfratto? Senz'altro, nessuna casa è eterna e io etterno non duro, nonostante varie cose attestino il contrario. Sono entrato in una casa sfitta, ho chiesto il permesso ai proprietari, me l'hanno concesso. Diciamo, quindi, che sono usufruttuario dello spazio, e, per scrupolo, pago dieci dollari annui per il mio punto com.
La scrittura bloggeristica, rispetto al diaristica privata, al taccuino, alla risma, al rilegato, al romanzo in attesa di un editore per essere pubblicato, teme meno il pericolo della muffa, giacché, per sua definizione, prende subito aria, si espone, apre le finestre tutti i giorni dell'anticamera del proprio cervello, e la circolazione si sente - si respira aria buona da queste parti, no?, a parte quando mi trovo necessitato a scrivere sul puzzone.
Insomma, il presente è solo uno scolio autoindulgente, perdonate. Rileggete Adorno e mettete me in un ripostiglio.

Rispondere a una lettera di auguri

Il Sudicio, detto anche S.p.a.m. (Silvio puzzi anche molto), mi ha scritto ieri e io non me n'ero neanche accorto:

Luca, Ti auguro di trascorrere dei giorni lieti. 

Io no, anzi: vaffanculo te e tutti quelli che ti voteranno.

Mettiamo momentaneamente da parte la crescita del Popolo della libertà nei sondaggi,

Mettiamola da parte, preferibilmente sottoterra questa notizia di merda che confermerebbe, se elezioni lo attesteranno, quanto per l'Italia sia auspicabile il baratro.

le polemiche politiche, i preparativi per la campagna elettorale che faremo insieme noi di Forzasilvio.it, con gli strumenti vecchi e nuovi che stiamo predisponendo. 

Anch'io mi predispongo a diventare imprenditore per fottere in modo proprio gli italiani: come capitale fisso prenderò una specifica macchina per la fottitura: voglio fare l'imprenditore serio, io, mica uno che prende per il culo con frottole continue il prossimo, facendo godere solo se stesso e la cerchia dei suoi sodali.

Di questo ti ringrazio in anticipo e ti confermo che io, come al solito, ce la metterò tutta.

Ricordati solo che, a forza di farla fuori dal vaso, è altamente probabile che alla fine ti arrestino per disastro ambientale, come quei tuoi amiconi latitanti dei Riva (iosonoperlespropriodellilva.com).

Ora è il tempo di pensare al Natale. Per chi ha fede e anche per chi non crede, per chi è felice e per chi è in difficoltà, questi devono essere giorni di speranza e di fiducia, giorni che ci dicono che è sempre possibile ripartire, ricominciare, nonostante tutto e nonostante tutti.

Vedi, io al Natale non ci penso, non me ne frega un cazzo. Se questi giorni ti suggeriscono di ripartire, beh, a me invece suggeriscono il contrario, perché è meglio stare fermi, molto meglio, che muoversi spandendo liquame mentale putrido come te. Sarà difficile, per i prossimi due mesi, camminare senza evitare di pestarti, almeno tu portassi fortuna e non solo fetore.

Io passerò il Natale a casa con i miei figli, i miei nipotini e tutti gli altri della mia famiglia.

La fidanzata no, vero? Che puzzone che sei. Fossi tuo nipote ti darei un calcio nei coglioni, rintronato incartapecorito che non sei altro.

Spero che anche tu faccia lo stesso. Ti auguro che tu stia bene insieme alle persone a cui vuoi bene. Augura a loro, anche a nome mio, di realizzare tutti i sogni e i progetti che portano nel cuore. Questo è il tempo dell'anno nel quale più che mai vince l'amore.

Senti una cosa, Spammino, oggi provo a ripetere a casa mia queste tue parole, sai, ho voglia di litigare, ho voglia che mia madre prenda di nuovo il televisore e lo schianti giù dal terrazzo per evitare di vedere la tua sozza faccia onnipresente. Peccato solo che, con questi nuovi televisori a lcd, senza tubo catodico, il tonfo sarà meno rumoroso.

Che Dio ci dia la forza per costruire un futuro migliore per tutti.

Vedi, Pattume, se Dio ci fosse e fosse un Dio serio, a quest'ora ti avrebbe assunto in cielo, alla destra del Duce, bello sospeso, a testa in giù.

lunedì 24 dicembre 2012

Deviare lo sguardo


Proprio così: ho fatto finta di non vederti, piegando leggermente il viso in modo che dessi l'impressione di non incrociare il tuo sguardo che, da lì a poco, mi avrebbe visto, e forse risposto al mio, al nostro naturale sorriso; ma non c'è più niente da sorridere, e mi sono rotto i coglioni di dover fingere che sono pacificato, visto che non lo sono, in parte anche per colpa tua, ma che dico colpa, forse è meglio dire “causa efficiente”, visto che passare da una fellatio settimanale al niente, quando hai più o meno vent'anni, vuol dire passare da una condizione di grazia a una di struggimento per il benessere perduto.
Quindi fammi il piacere, facciamo finta di non conoscerci più, azzeriamoci, ignoriamoci del tutto quelle rare volte che il caso ci porta sulla stessa strada. Tu continua pure la messinscena di colei che in fondo non ha fatto nulla di male - e infatti non facesti niente di male, salvo farmi male, ma erano problemi miei, in fondo, dovevo maturare, dovevo prendere una fottuta decisione su cosa avrei fatto da grande. Beh, te lo dico: nonostante gli anni, grande come lo intendevi tu non lo sono diventato, sono lo stesso assetato di sesso di sempre, senti quante esse sibilanti tutte di fila, lo stesso che passava un'ora intera con la testa in mezzo alle tue gambe che stringevi tanto forte da costringermi a prolungate apnee che nemmeno Maiorca, e poi tornavo su, e respiravo, con la bocca tutta bagnata del tuo mare. Erano, i miei, tentativi di ritornare al punto dal quale ero partito, il vero paradiso placentare, il caldo e l'avvolgimento. Di tutto questo, intendi, io ti ringrazio ancora perché, come capirai, fu per me vera esperienza trasformata in vita moltiplicata che mi è restata scolpita addosso all'essere che nemmeno Alberto Giacometti.
Tutti coloro che nella vita non conoscono un perdurante stato d'inebetita felicità, si trovano a nascere più e più volte, non solo la prima, quando lo sgravamento tocca solo alla madre e poi si esce e si piange per dover respirare l'aria fredda e per essere accecati dalle luci intorno - tutto vissuto senza un barlume di coscienza in diretta. E in tali periodiche rinascite della vita, la fatica è di espellersi da soli, senza avere vicino un'ostetrica o una  mano amica che prenda il forcipe e ci tiri fuori dallo stato d'infelicità presente.
E quando tu prendesti il treno e dicesti che avevi un altro, perché io non ero un altro e non credevi più in quello che poco prima avevamo persino chiamato amore, tu rinascesti in te stessa consapevole della tua decisione e io rimasi a mezzo, tra il dentro te che non poteva essere più e il fuori di te che - in un primo momento - facevo una terribile fatica ad accettare. «Cosa faccio qui in mezzo a questa camera d'albergo a piangere e a masturbarmi sotto la doccia, solo, ricordando la nostra prima doccia insieme in un albergo di Venezia, di un inverno imprecisato?» - dicevo, e mi ricordo che nessuna cosa poteva consolarmi. 
È passato tanto tempo, tanti anni quanti noi ne avevamo allora. A te bastò un niente per dire la parola fine. A me ci sono volute diverse stagioni, vari libri, molte seghe, baci sparsi, sogni, versi che ancora oggi mi leggo volentieri per dirmi che non sono male e, infine, perdite di occasioni, di fedi, nuove consapevolezze, aperture mentali, e stop.
Basta così, dunque. Volevo solo dirti che, per la prima volta, ho girato lo sguardo per evitare di incrociare il tuo. Vorrà dire qualcosa questo? Sì, senza dubbio. Vuol dire che per la prima volta, dopo averti rivisto, non ho desiderato rivedere le mie mani sul tuo culo. Ciao.

domenica 23 dicembre 2012

Perdonate la cicalata

Sta per concludersi il centenario della nascita di Gianfranco Contini.
Io vorrei ricordarlo con una lettera che il suo amico Carlo Emilio Gadda gli inviò nel dicembre del 1946, lettera che, da sola, vale mezza letteratura italiana del Novecento.

Cliccare su foto per ingrandir

Carlo Emilio Gadda, Lettere a Gianfranco Contini, 1934-1967, a cura del destinatario, Garzanti, Milano 1988.

Andare di corpo è umano

Su la Repubblica di oggi c'è una pagina intera di pubblicità sull'ultimo libro di Paolo Giordano, Il corpo umano, Mondadori, Milano 2012.
Non ho letto il suo primo (La solitudine dei numeri primi), né leggerò questo suo secondo. Se qualcuno mi pagasse per leggerlo, come sono pagati Antonio Gnoli, Lorenzo Mondo e Antonio D'Orrico allora, forse, chissà.
Certo che l'editore, per promuovere il libro, ha scelto delle frasi che, se fossi Giordano, non mi sentirei tanto lusingato, quanto piuttosto preso per il culo.

Anzitutto, di Antonio Gnoli: «Tutto quello che finiremo col leggere...» ecc., denota la manifesta costrizione del recensore nel leggere tale libro perché pagato per farlo, appunto; libro che di per sé, Gnoli non avrebbe mai letto, ma il leggerlo gli ha ricordato che, in fondo, Repubblica lo paga perché legga anche libri mediocri (ecco il rimosso) e non solo libri di qualità.

Segue, poi, uno dei decani tra i recensori letterari italiani, Lorenzo Mondo, il quale, nella frase riportata nella pubblicità, è come se desse una mazzata fra capo e collo al Giordano, giacché dire che un libro, nella fattispecie un romanzo, è «condotto con mano ferma», equivale a dire che è una storia talmente insulsa e immota che fa più voglia leggere un foglio bianco sullo schermo in attesa che sia scritto da uno scrittore con la mano mossa.

Infine, faccio l'analisi logica dell'ultima frase di D'Orrico:
  • Il corpo umano: soggetto
  • è: copula
  • il romanzo bellissimo: predicato nominale
  • di un ragazzo: complemento di specificazione
  • di trent'anni: complemento di età e quindi di rispecificazione, perché “ragazzi”, in Italia, si è dai dodici anni, sino ai quarantacinque.
  • sui nudi e sui morti: doppio complemento di argomento, letto il quale, il lettore maschio, in genere, si dà una strizzatina alle palle.
  • della sua generazione: complemento di trispecificazione.
Si comprende, così, la specificità letteraria del recensore del Corriere della Sera: quella di far andare di corpo, come sempre.

Una partita a scopone col cardinale

[*]
Personalmente, preferisco altri riempitivi, altre grotte, altre dee.
Come esempio, si può prendere spunto dalle stesse parole del porporato, il quale, riferendosi  alle «ristrettezze della crisi che tutti conosciamo» (tutti? anche in Vaticano conoscono la crisi economico finanziaria?), chiude così il suo augurio:
«Mettendosi sempre meglio in rete con gli altri sono certo che la crisi si possa superare»
Anch'io sono certo, soprattutto se potessi entrare nella rete di Lucy


oppure, altresì, nel letto:

sabato 22 dicembre 2012

I Superciuk vivono ancora

Rientra nella logica delle cose che la Destra di Storace candidi al Senato l'ex console fascista Vattani [1], così come è normale che La Russa, tutto entusiasta, sia pronto a candidare i due fucilieri della marina italiana [2], liberati su cauzione (assai cospicua) per quindici giorni dalle autorità indiane. Qualcuno forse si aspettava che Storace candidasse Corrado Guzzanti o che La Russa candidasse due medici senza frontiere?

Se la storia della sinistra italiana è costellata da tante contraddizioni, quella della destra, invece, è perfettamente lineare e coerente. Parlo, chiaramente, della destra fascista, postfascista o clericofascista, non di quella liberale, anche perché i veri liberali non sono né di destra né di sinistra*.

Senza stare qui a fare la gara su quale dei sistemi politici abbia provocato più morti e disperazione nel Novecento, gara che tanto piace allo storicismo imbecille di Berlusconi (il quale racconta in tv le storielle sul comunismo russo, però quando è in compagnia del suo amico autocrate russo Putin non glielo racconta mai a lui quanto i sovietici erano cattivi, chissà perché), si può dire, senza tema di smentita, che il fascismo è il più stupido e fallace dei sistemi politici mai sperimentati sulla faccia della terra, giacché è un solerte restauratore e fortificatore dell'esistente, esso fa da perfetta guardia del corpo al potere, di più: offre il corpo dello stato al servizio della maggior gloria del capitalismo - e questo è il destino, tra l'altro, anche del comunismo cinese, nonostante ora i compagni dirigenti del Pcc leggano Micheal J. Sandel.
Il fascismo è stupido perché è il regime dei Superciuk:

«Il personaggio di Superciuk è un antieroe concepito come il negativo di Robin Hood: egli ruba ai poveri per dare ai ricchi. Persegue in realtà un vero e proprio ideale: nel suo lavoro di netturbino si imbatte infatti sovente in un'umanità miserevole, poco attenta all'igiene, laddove i ricchi sono a suo dire educati e rispettosi della pulizia delle strade.»

In Italia, poi, luogo dove è nato, il fascismo ha un radicamento tutto suo particolare, si tramanda di solito per vie familiari, o si sviluppa nel giovane quando è vittima di qualche frustrazione. Uno diventa fascista o postfascista per il gusto di essere nel branco, per ridare spirito a quell'animalità interna a ogni individuo, per soffocare, insomma, il raziocinio. Il neo fascista pratica alla sua intelligenza una sorta di shibari, ovvero lega i suoi neuroni che, all'interno del suo cervello, si sforzano di fargli capire che il mondo non è una pallina da baseball da manganellare.

Necessariamente e giustamente, il circuito mediatico ha relegato il postfascismo nei bassifondi della scarsa visibilità. Ogni tanto scappa qualcuno di relativamente famoso che si dichiara tale, ma mai nessuno, tra questi, finora è riuscito a risollevarne le sorti. E tali condizioni permarranno fintanto che non si ripresenterà una forza politica rivoluzionaria in grado di mettere in scacco il sistema. Allora e solo allora il Capitale scioglierà il guinzaglio ai propri eroi di riserva.

*Cito a braccio perché è una frase che ho sentito in tv anni addietro a una trasmissione su rai tre che ricordava la figura di Mario Pannunzio. Tra i vari personaggi intervistati, mi sembra Enzo Forcella rammentò il pensiero politico del direttore del mitico Mondo, il quale soleva dire: «Non sono democristiano per motivi di ragione; non sono comunista per motivi di libertà; non sono fascista per motivi d'intelligenza».

Non si nasce ciò che si è, ma si è quello che si diventa

Benedetto XVI, oggi, ha fatto un discorso alla Sala Clementina per fare gli auguri alla Curia romana. 
Ne riporto una parte, quella in cui tratta della famiglia per difenderla dagli attacchi di coloro vogliono il pieno riconoscimento giuridico e legale del matrimonio tra omosessuali.
«Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo.»
C'è tanta carne (etico-filosofica) al fuoco. Gente più assennata e preparata di me risponderà come si conviene al Papa. Per conto mio, ora, ambirei a un bel sano massaggio prostatico, fatto con dovizia. (Vorrei rimandarvi al sito di una signora che seguo su twitter - @santa_slavina - con la scusa che il suo è un "porno" intelligente, ma tanto è facile raggiungerlo con due o tre click, fate lo sforzo, già ho pieno lo spam di blogger di materiale porno).
Eppure sono nato “uomo”. Eppure ho tendenze eterosessuali (anche se, a onor del vero, non ho mai scandagliato a fondo l'inconscio con la  psicoanalisi per stabilire con certezza il dato; diciamo, per quel che vale, che non ho mai provato attrazione sessuale per i miei congeneri), non escludo che potrei potenzialmente essere attratto da un/una trans, sempre che in costui/costei prevalga spiccata femminilità (poi, chissà, potrei anche prenderglielo in mano).
Eppure sono sposato (in chiesa!), ho due figlie battezzate che fanno catechismo perché loro vogliono farlo e io non glielo impedisco, l'ho fatto anch'io, sono qui, potrebbero anche scomunicarmi. 
E dico questo perché non si nasce ciò che si è, ma si è quello che si diventa.
Per tornare a me: mi sono sposato in chiesa perché mi sentivo dentro la chiesa (ero e sono sacramentato) e ho letto persino un brano di san Paolo, quello famoso della Prima Lettera ai Corinzi (13, 1-13) dove l'apostolo parla della carità (agape) che, per l'occasione, io lessi con amore. Il brano, contiene, tra l'altro, ancora delle suggestive immagini per spiegare la mia trasformazione («È il mio corpo [e la mia mente] che cambia[no]», Piero Pelù dixit).
«Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato»
Ed è naturale che sia così, è la storia dell'universo con dentro la storia della vita che lo impone. È una continua dismissione dell'essere “bambini” per diventare “uomini” (va da sé che tali termini sono da leggere in modo estremamente estensivo).
Bambina era la prima forma di vita sulla terra.
Bambina la prima forma vegetale. Bambina la prima forma animale. Bambino il primo ominide. Bambini viziatelli noi occidentali soprattutto quando lisciamo troppo i peli pubici di chi è al potere e lasciamo che il capitalismo affligga le nostre vite e la vita in generale del pianeta.
Crescere per negare Dio, per sputare in faccia al Papa il fatto che, negandolo, l'uomo acquista dignità altroché.
Io mi faccio, in quanto quotidianamente, impercettibilmente, mi disfaccio.
Lo vedo il disfacimento del corpo, l'ho visto anche stasera in ospedale, mia zia ricoverata, il catetere, mangiare a fatica frutta cotta, sono arrivati gli infermieri per farle una trasfusione, mia zia che mi ha insegnato tutte le preghierine, atto di dolore compreso e il salve Regina mater misericordiam, porca puttana come si invecchia, ci si disfa.
Diteglielo al Papa che non esiste alcuna creazione ma che la vita è frutto totale di caso e necessità.
Il suo significato è tutto interno alla vita stessa.
È impossibile dimostrare che non esista il trascendente? Ok, diciamo che è altamente improbabile che esista. E se esiste?
Bello sarà dirgli all'eventuale divinità, con la quale ho ultimamente pochi contatti telefonici: perché? Cui bono? ma i preti, tutti, non ti stanno sui coglioni, Dio, o sulle ovaie, Dea, o in qualche parte che ti/vi pesano?

E infine: perché se il Santo Padre è un padre si rivolge così a quelli della Curia?
Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Io non sono fratello di mio padre. Loro sì?

Vado. L'olio di mandorle mi aspetta.

venerdì 21 dicembre 2012

Indorati e fritti

Oltre al pollo,

alle zucchine,
ai tramonti

e alle albe,


di dorato io conosco anche la pioggia.


Chissà, forse la Costituente di Pioggia Dorata avrebbe avuto una maggiore partecipazione, chissà.

giovedì 20 dicembre 2012

La differenza tra stellette e orecchini

«I due militari trattenuti in India da febbraio scorso potranno passare le festività natalizie in Italia. Il giudice dell'Alta Corte del Kerala ha deciso che per la licenza natalizia concessa ai due marò dovrà essere lasciata una garanzia finanziaria di 60 milioni di rupie, pari a oltre 826 mila euro.» [Ansia]
Io sono contento che i due militari della marina militare italiana ritornino in Italia per abbracciare i loro cari durante il periodo natalizio e capodannesco. Basta non tirino petardi.
Sono altresì contento che essi abbiano orgogliosamente dichiarato:
 "Se torneremo in India? Certo: noi abbiamo una parola sola ed è parola di italiani"
Questo gli fa onore, anche perché l'onere degli ottocentoventiseimila euro ce l'avrebbero tutto loro sul groppone.

Una domanda a parte: se per caso qualche altro cittadino italiano fosse in difficoltà all'estero perché accusato "ingiustamente" da un tribunale dello stato straniero ove egli avrebbe commesso il presunto reato, la Farnesina gli metterebbe a disposizione i soldi per una cauzione, non dico così esosa, ma - per esempio - di ottomila euro?

Se non ricordo male, ci sono altri due italiani nei guai con la giustizia in India perché accusati di avere ucciso il loro compagno di viaggio, ma non mi sembra che, da parte delle autorità, ad eccezione di qualcuno (Mastella!), ci sia stato tutto questo grande esercizio di difesa del cittadino italiano all'estero. Perché? Non avevano le stellette che i due soldà portano?

Risvegli dicembrini


Solo per dire che, nella fretta, non ho messo una virgola.

mercoledì 19 dicembre 2012

Votare il sudicio

Uno dei timori che accompagnano la ricandidatura (scontata) della testa di pece incatramata, è che la criminalità organizzata induca il bacino elettorale che controlla ad andare a votarlo a frotte a frotte, magari aumentando la tariffa, da 50 a 100€.
È un'ipotesi, questa, tutta da confutare, in particolar modo da Nicola Cosentino.

Temo meno il rimbecillimento televisivo a cui il suddetto faccia incipriata e imbellettata come vecchia entraîneuse de La Rue Pigalle sottoporrà gli italiani, con le sue reti e i suoi scherani, conduttori, ospiti, pubblico plaudente a comando compreso; lo temo meno non perché giudichi irrilevante il potere persuasivo che tali mezzi hanno, ma perché, penso, che se milioni di italiani torneranno a votarlo perché convinti dalle sue parole e da quelle di coloro che faranno campagna elettorale in suo favore, allora sia, diventerò definitivamente apolide o chiederò statuto di rifugiato politico ad Hollande.

Andrò a votare io? Capisco e sono tentato, molto, dalle ragioni del non voto (vedi Olympe, vedi Malvino), anche perché l'andazzo di quelli del Pd per formare le liste non mi piace per niente, il Movimento Cinque Stelle non so proprio e non voglio sapere chi metterà come candidato nella mia circoscrizione, le sinistre varie (Vendola, Ferrero) solo a vederle mi spingono verso Casini (che è tutto dire).

Ma c'è il sudicio che si ripresenta (non dubitavo il contrario) e io quando vedo un sacco di spazzatura in mezzo alla strada ho un moto di indignazione, di rigetto, mi metto i guanti e, o prendo una madonnina o un cavalletto, o vado a votare, come se aprissi un cassonetto e buttassi il mio voto lì, in attesa della discarica o, meglio ancora, di un inceneritore.

Io, poi, che in un inceneritore, un tempo, ho lavorato, so come funziona la cosa, so come è bello vedere prendere fuoco la spazzatura per mezzo di una telecamera interna al forno che controlla la qualità della combustione.

martedì 18 dicembre 2012

Spollinarsi i tweet di dosso

«Poi, a un certo punto, moriremo. E sarà bellissimo, perché avremo il tempo di capirci. E capire che saremo stufi delle maree di conformismo da social media come di quelle tutte incessantemente anticonformiste, ma allo stesso modo. Che non ne potremo più di morderci la lingua per non rischiare che una parola di troppo ci costi il posto di lavoro oggi o tra trent’anni. Che ciò che stiamo rincorrendo, sia la fama o l’autocelebrazione, è in realtà raggiungibile quanto la vena che apre le porte della percezione all’eroinomane. Come le mura di casa sembrano un’oasi di ristoro dopo una lunga assenza, torneremo a immaginare la solitudine, il distacco, la concentrazione, la bestemmia, il rigetto, la sporcizia come qualcosa di desiderabile.»
C'è questo post di Fabio Chiusi che, in parte, ha dato voce a qualcosa che, ieri sera, dopo l'orgia mia twitteriana (e, altresì, bloggeristica) contra Benigni, mi aveva nauseato, ovvero lo stare imbambolato davanti allo schermo del compùtero ad ascoltare (più che a guardare: avevo tirato giù la tendina del mio mplayer) Benigni portare in scena i principi fondamentali della Costituzione – e, parallelamente, a cercare io di cogliere (facilmente, devo dire) i punti di debolezza, gli sproloqui detti e ridetti, la retorica nazionalpopolare che oramai lo caratterizza, per farne macinato satirico abbastanza scontato.
Dicevo della nausea, netta, la percezione di aver esagerato, di aver perso totalmente tempo, la consapevolezza di ciò che addolorava, la fatica di addormentarsi dipoi nonostante la fatica, il cazzo ritto, l'occhio spento, i denti da lavare controvoglia, il freddo ai piedi, uf.
Allora mi sono detto che twitter non mi fa niente bene, che questa storia degli hastag # è abbastanza patetica, che forse ha ragione Serra senza avere del tutto ragione (quando scrivi per mestiere occorre una maggiore accortezza parlare di chi no), che ci sono ottimi battutisti laureati in twitterologia, che forse anche Karl Kraus o Ennio Flaiano avrebbero usato twitter, chi lo sa, non è questo il punto, è della mia nausea che io stavo parlando, e devio, e mi distraggo, ri-uf.

- Mi scusi signor Luca
- Prego, mi dica.
- Che diamine va raccontando?
- Ora mi spiego.

Io non sono né un apocalittico né un integrato, non riesco più a vedere il nero e il bianco (a parte Berlusconi, il Vaticano, il capitalismo e i pezzi di merda) e quindi non demonizzo più un cazzo, sono a favore ma non sono entusiasta, vivo e lascio vivere, uomo senza qualità, ma credo che tutta questa serie di tweet mirati a colpire i personaggi pubblici non servano a granché se, alla fine, non arriva un tweet che dia loro la mazzata finale. Mi spiego meglio: twitter è come essere dentro una corrida dove noi followi siamo banderilleros che lanciano banderillas che quasi sempre vanno a segno, sì, ma la testa di toro di turno gira nell'arena in permanenza, si dimena, arranca, alza la polvere, e noi giù di freccette acuminate, non riusciamo a dare la morte neanche con un colpo di spada finale. Mai. 
Potrà esserci un tweet regicida? Temo di no.
Solo i più deboli periscono e alla fine i deboli – è anche a questo che Fabio Chiusi accenna – siamo noi. I potenti, cip cip, anzi: tweet tweet, come se i nostri tweet fossero pidocchi, si spollinano, si danno una grattata, e tutto finisce nel  buco nero della rete.

Doppiovetro

Delisa
Gocce di pioggia che sembrano
scivolare su pelle ma invece
la pelle è là asciutta che aspetta
una mano più di una prece.

Gocce sul vetro che rigano
il tetro mio inganno di sempre
l'elastico resiste e fa ombra
alla voglia che spegne la fretta.

Gocce sugli occhi che annebbiano
il ricordo di quella che prese
di me la parte migliore che ebbi
modo di darle e che mai non mi rese.

Gocce di seme, gocce di speme
gocce di vita che passa e svapora
che conto di sera sino a una cert'ora
per dormire in catene.