venerdì 29 marzo 2013

Lasciate che vi dica una cosa

Lasciate che vi dica una cosa
ho incontrato uomini in galera che avevano più stile
della gente che bazzica i college
e va alle letture di poesia
Sono delle sanguisughe che vengono a vedere
se i calzini del poeta sono sporchi
o se gli puzzano le ascelle
Credetemi io non li deluderò quelli lì
Ma voglio che vi ricordiate questo
c'è solo un poeta in questa stanza stasera
solo un poeta in questa città stasera
forse solo un poeta vero in questa nazione stasera
e quello sono io*

Ho provato a crederci e per questo stasera sono salito sul monte di una sera che ancora mi vede alzato, per capire se sono in pace con me stesso e se questa è l'unica consolazione possibile per scappare da una vita in balia dei desideri altrui e dalle proprie insoddisfazioni derivanti.
Sono cosciente che gran parte di quel che sono è determinato dal contesto storico e sociale nel quale ho avuto e ho sorte di vivere; avrei potuto dimenarmi, lottare come un disperato per sottrarmi a questa condizione, ma in me ha giocato sempre una una scarsa volizione nello scambiare ruolo all'interno di meccanismi predeterminati del sistema.
Sono un mite, forse, per non dire un pavido, uno che si sottrae volentieri alla contesa, non tanto per la paura di soccombere (tanto, prima o poi, si soccombe tutti), quanto per la natura stessa della lotta sì faticosa e assurda (sono troppo infingardo per fare la fine di Sisifo).
Che cosa sono dunque? Cosa scrivere alla voce professione di un'improbabile carta d'identità di specie? Quale cosa di me sento che più mi descrive e certifica, mi qualifica e mi contraddistingue?

Ricordare Nietzsche: io sono questo e quello e soprattutto non scambiatemi per altro.
Ma è poi così importante venire scambiati per altro? Perché prendersi questa pena di essere riconosciuti per quello che si vorrebbe? 
Perché, per quanto lo si pretenda e fortissimamente creda, non siamo noi a determinare ciò che siamo, ma gli altri.
Allora meglio non deluderli gli altri e mostrarle per intero le proprie debolezze, le proprie paure, i propri limiti, i propri calzini sporchi e le ascelle non troppo profumate. Solo così, tramite la propria miseria d'uomo, si ha diritto, come il poeta, di gridare:
«c'è solo un poeta in questa stanza stasera... e quello sono io».
Mi farò una sega - e sarà abbastanza sufficiente per continuare a essere ciò che sono.

*versi estratti da Raymond Carver, Voi non sapete che cos'è l'amore (Una serata con Charles Bukowski), id., Minimum Fax, Roma 2000 (traduzione di R. Duranti e F. Durante).

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