martedì 30 aprile 2013

This is fucking awesome


«Il compagno Ossipon, di soprannome il Dottore, uscì dalla birreria del Silenus. Giunto alla porta esitò, strizzando gli occhi come davanti a un sole non troppo splendido – e il giornale in cui si riferiva il suicidio d'una signora era nel suo taschino. Il cuore gli batteva contro quel giornale. Il suicidio d'una signora – quest'atto di follia, o di rassegnazione.
«S'inoltrò nella strada, senza guardare dove metteva i piedi: s'inoltrò nella direzione contraria a quella che doveva condurlo al luogo d'appuntamento con un'altra signora (una bambinaia vecchiotta, che riponeva tutta la sua fiducia in quella testa apollinea profumata d'ambrosia). Fuggiva lontano da quel luogo. Non era più capace di trovarsi faccia a faccia con una donna. E ciò voleva dire la sua rovina. Non gli riusciva più di pensare né di lavorare; non poteva mangiare né dormire. Soltanto, aveva cominciato a bere con gusto anticipato dal piacere della speranza. Era la rovina. La sua carriera rivoluzionaria, sostenuta dal sentimento e dalla fiducia di molte donne, veniva minacciata da un mistero impenetrabile – il mistero del cervello umano che pulsava con ritmo regolare, il ritmo del frasario giornalistico: “Quest'atto di follia, o di disperazione...”. Ora il cervello pendeva verso il rigagnolo della strada. “Sembra destinato per sempre...”.»

Joseph Conrad, L'agente segreto, (1920), Bompiani, Milano 1953, traduzione di Carlo Emilio Gadda.

Anch'io, oggi pomeriggio, sono uscito dal lavoro «strizzando gli occhi come davanti a un sole non troppo splendido». L'afa intorno pareva una conseguenza dei deboli rovesci di pioggia sabbiosa del mattino. C'erano una sacco di donne, come sempre d'altronde, inutile spiegare perché. Sono atti che si ripetono, come i sorrisi – e i sorrisi fanno bene, se non sono falsi (ma ho, non so come, esercitato la facoltà di riconoscerli se tali).
Non sono così sicuro di esser padrone della mia vita. Fino a che punto, almeno. Cosa m'impedisce di spingere l'essere fuori dell'anomia, forse la misera presunzione di avere già un nome (un essere) che è riconosciuto? Sì, puttana miseria, sì.

Ché domino paure e insicurezze, desideri e frammentazioni? Boh. Sono quello che sono, un numero compreso tra zero e uno, quest'ultimo inteso come l'intero. In pratica c'è questa vita sospesa e non so sospesa da cosa e verso che, la morte sicuramente. Bisogna pensarci alla morte – dico, per darmi un tono – ma perché devo pensarci ora non lo so, e infatti non ci penso, ma fa tanto Montaigne pensare alla morte con quella sorta di distacco e d'intelligenza da intellettuale di provincia antimondano (ma non troppo).
Sono nato in Italia ed era meglio di no. Avrei preferito la Francia, sarebbe stato più salutare avere una mamma francese che mi buttava fuori di casa al momento giusto e mi faceva vedere che cosa vuol dire veramente amare, anziché battibeccare con le proprie tribolazioni (non è un'accusa a mia madre, no; è al padre di cui sono dimostrazione e stop; e non è un'accusa a tutte le madri italiane, non amo generalizzare, specifico: un certo tipo di madre italiana); una mamma che mi allontanasse da sé quanto necessario e non giocasse a nascondino coi sensi di colpa del figlio che – cazzo, me lo ricordo come fosse ora – alle elementari, durante l'ora di religione, domandò al prete (i preti facevano religione nelle classi e non certo gli insegnanti di religione laici designati dalla curia e pagati dallo Stato) cosa ci aspettasse in paradiso, e il prete gli controdomandò cosa lui si aspettasse e il figlio rispose che avrebbe voluto ritrovare sua madre in paradiso, supponendola dunque morta un giorno. Non ricordo cosa rispose il prete, non ha importanza, al paradiso non ci penso più, è assurdo, mia madre è anziana e sta piuttosto bene, nonostante che la sua sinistra sia ora costretta (?) a governare con Berlusconi, porcoddio bambino porcodddio.
Bambino. Ho un anno meno di Letta e mi chiama ancora bambino. Ma anche bischero - e questo mi consola.

lunedì 29 aprile 2013

Un albergo per quindicimila

*
*
Della serie: addentare il capitale.

Note politiche di un marxista in stand-by


Senza entrare nel merito delle singole proposte contenute nel suo discorso (non ho voglia di parlarne come i simpatici (?), nonché prezzolati (!) commentatori televisivi che si susseguono nei vari canali nostrani), a me Enrico Letta non è disgarbato. 
Mi sembra una persona in gamba, determinata, che dà l'impressione di riuscire a compicciare qualcosa, nei limiti della situazione offertagli. Impressione, ci tengo a precisare, dovuta al fatto ch'egli è - dei dirigenti del Pd - uno dei più esperti e navigati, figlio di un democristianismo di sinistra tra i più apprezzabili e meno ottusi. Di sicuro, a pelle, preferisco Letta a Renzi.
Del discorso in sé mi sono piaciuti i riferimenti frequenti alla Costituzione (in particolare agli articoli 2 e 3) e, soprattutto, l'aver detto con chiarezza, davanti a tutta l'assemblea parlamentare, che il primo partito italiano*, con undici milioni di elettori, è il partito dell'astensionismo (e da qui i pericoli, eccetera). Che un Presidente del Consiglio dei ministri non nasconda questo dato di fatto è per me sinonimo d'intelligenza politica - anche se lo avesse ha detto per meri interessi di salvaguardia della partitocrazia.
Infine, auguro a Letta di riuscire a dar luogo alle politiche senza rimanere prigioniero della politica**.

*Al momento, sono decisamente orientato ad iscrivermi
**In riferimento a una parte del suo discorso che richiamava la lezione del suo mentore, Beniamino Andreatta.

N.B.
Il titolo del post richiama, con gratitudine, la pedagogia politica di Olympe de Gouges.

domenica 28 aprile 2013

Andare in tilt



Quanto è corretto dire, per l'azione quasi omicida compiuta, sicuramente premeditata, che la mente di Luigi Preiti è “andata in tilt”? Forse adesso che si trova in stato di fermo è in tilt. Ma fino agli spari e alla cattura, per quanti “colpi“ avesse ricevuto lui personalmente, ovvero per quanta inclinazione avesse preso il cammino della sua vita sì da ribaltarne lo scorrere ordinario, non si può dire che la mente del Preiti si sia bloccata e abbia cessato di funzionare. Infatti, munirsi di una pistola, poi prendere il treno da Rosarno a Roma, pernottare in centro, probabilmente farsi la doccia, radersi, fare colazione, recarsi a Palazzo Chigi e fare pum pum, sono azioni che richiedono una certa attività mentale. Casomai sbagliare tempo e luogo dell'azione può essere sintomo di qualche lacuna, ma più a livello di Cittadinanza & Costituzione che altro; infatti, a quarantasei anni, non si può certo incolpare la scuola: più gravi le responsabilità degli organi d'informazione che, a forza di pronunciare con enfasi “palazzi del potere”, tendono a confonderli, a mandare in tilt le menti dei cittadini. In fondo, poche settimane fa, anche un neo senatore grillino non sapeva dov'era il Senato...
Insomma, per  chiudere il post e per non lasciare in sospeso alcun parallelo tra il gesto quasi omicida di Preiti e l'attività politica dei debuttanti a cinque stelle, mi preme rilevare questo:

e se Luigi Preiti fosse andato in tilt sarebbe stato meglio sia per lui, sia - soprattutto - per i carabinieri colpiti.

Usare lo stesso metro (e un cazzo)

Uno scivola sui commenti a questo articolo su chi sia la neo-ministro all'integrazione Cécile Kyenge  (qui uno stralcio) e poi pensa che quelli de Il Giornale fanno i permalosi se uno dice che Brunetta è alto un metro e un cazzo. Corto.

sabato 27 aprile 2013

Buonanotte Pierluigi

Che il governo si formasse era nell'ordine delle cose; tuttavia va riconosciuta a Enrico Letta una spiccata intelligenza politica (sia pure in un contesto di consociativismo).
Vero, la rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica ha tracciato una strada ben precisa, l'unica possibile da perseguire, abbandonando tutte le velleità di alleanza col movimentismo Cinque Stelle. Ed Enrico Letta era una delle figure più autorevoli sulla carta per conseguire il risultato del governo.
Nondimeno, un pensiero di pietà (non di dileggio) corre a quella fava di Bersani, il quale doveva accorgersi che, date le forze parlamentari, la strada per la formazione del governo era una e una soltanto (dato che quella doppia fava di Grillo ha sempre detto no - e quando ha detto forse era per spaccare il partito) - e quindi: perché Bersani, anziché andare alle consultazioni con gli otto punti carta igienica, non ha incontrato i partiti adottando lo stesso metodo usato da Letta? Chissà, forse poteva riuscire a lui questa sporca operazione, magari risparmiandoci Alfano all'Interno e Quagliarello alle Riforme.

I calzini

Di mio padre, i calzini -
alcuni nuovi, alcuni usati -
mi sono rimasti in eredità.

Chissà quali passi, quali lupini
si formeranno sui piedi sudati
o freddi nei corsi della città.

Gennaio 2002

venerdì 26 aprile 2013

Rinite a primavera

Non che me lo sia segnato, ma sono circa due anni che non pigliavo un raffreddore del genere (frammisto, forse, alla mia allergia alle graminacee). Un raffreddore potentissimo, roba da due stecche di fazzolettini al giorno. Colo come un colabrodo, starnutisco come un disco rotto, non mi si sta vicino, persino io fatico a starmi vicino. Leggere e scrivere mi sono difficili perché l'attività intellettuale accresce in me la produzione di muco, sono un pensatore in umido. Sono quasi trenta ore che sono in queste condizioni, e non sono valse a nulla i miei tentativi di combatterlo sfidandolo a naso aperto, per esempio andando a correre un cinque, sei chilometri; oppure, come stamani, tagliando l'erba del prato antistante casa, con uno stile di guida tipo Alonso (ma il trattorino è un Husqvarna non un Ferrari). Niente. Ectiu, ectiu, ectiu, diobestia. E pensare che dove vado a fare il bagno turco è chiuso per ferie, così non mi resta che suffumigarmi sotto la doccia calda o seccarmi le nari faccia alla stufa accesa. 
Insomma, sono uno straccio. Ma adesso ho preso un'aspirina e mi butto sottocoperta, per vedere se interrompo il flusso. So già che, da sdraiato, il muco prenderà altre vie, mi scenderà in gola trasferendovi il fastidio, come stanotte, che mi sono alzato più volte, come uno zombie, alla ricerca di un bicchier d'acqua. E più bevevo e più mi toccava alzarmi perché mi scappava da orinare, che rottame. E dire che ho un anno meno di Enrico Letta. Forse, la politica conviene farla e non subirla, praticarla e non starnutirla, Ma che volete, la mia capacità di addentare il reale è simile a quella di Edoardo Sanguineti, anche se per ora i denti ce li ho quasi tutti (tranne un paio, uno dei quali del giudizio).

giovedì 25 aprile 2013

Idonei a ricompensare le quattro gratificazioni

Koan:

Goso disse: “Quando un bufalo esce dal recinto e va fino all'orlo dell'abisso, le sue corna e la sua testa e i suoi zoccoli passano, ma perché non può passare anche la coda?”.

Commento di Mumon:

Se a questo punto uno può aprire un occhio e dire una parola di Zen, egli è idoneo a ricompensare le quattro gratificazioni, non solo, ma può anche salvare tutti gli esseri senzienti sotto di lui. Ma se non può dire questa parola di vero Zen, dovrebbe voltarsi verso la propria coda.

Poesia di Mumon:

Se il bufalo corre, cadrà nel fosso;
Se torna indietro, sarà macellato.
Quella piccola coda
È una cosa molto strana.

Mumonkan del Maestro Zen Mumon, preso da Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, Adelphi, Milano 1984.

Forse siamo stati ingenerosi coi dirigenti del Partito Democratico. Forse la storia ci dirà che gli stolti siamo noi che adesso ci incazziamo, ci deprimiamo, ci allontaniamo delusi e disillusi perché non comprendiamo (non abbiamo abbastanza intelletto per farlo) che la loro azione politica fa parte di una precisa strategia che consentirà loro di conquistare il potere attraverso il paradosso. 
Come il bufalo della storiella zen sopra riportata, Bersani e soci sono usciti dal recinto e sono giunti sull'orlo dell'abisso: corna, testa, zoccoli (e coglioni) sono passati, ma la coda no, la piccola coda li tiene sempre appesi: in che cosa si sarà impigliata? Ovvero, chi è che li trattiene per la coda? Uhm... un sospetto ce l'ho, ma me lo tengo per me.

mercoledì 24 aprile 2013

Cretini che si devono informare


Quelli del Partito Democratico hanno compiuto un capolavoro, effettivamente. Evitando di riassumere tutta la sequenza degli atti imbelli seguiti dopo le elezioni*, è doveroso tuttavia segnalare che adesso si costringono a un'alleanza con Berlusconi da una posizione di debolezza, quando potevano benissimo farlo da una posizione di forza, con lo stesso Bersani premier. E così, becchi e bastonati, dovranno accontentarsi di non essere ulteriormente umiliati e offesi, poveri idioti che non fanno alcuna pena, o peggio ancora, guitti oltremisura che giustificano la loro azione politica con l'impellente necessità di dare un governo al Paese. Più che un governo, stanno facendo un rigoverno con l'ingoio, una vergognosa fellatio al nemico dichiarato, lo spauracchio che da anni li domina e manovra per il tramite della minaccia delle elezioni.

Che disastro, che umiliazione, che imbecillità politica al quadrato. Neanche se l'avessero studiata a tavolino gli sarebbe venuto così bene la demolizione del Partito.
Sì, sono ancora arrabbiato, perché da quando esiste il Pd gli ho sempre dato il voto; e questa volta, lo scorso 25 febbraio, ho patito, anche perché temevo che quel soffio di zero virgola lo prendesse in più il Merda per diventare presidente della repubblica; tirai persino un respiro di sollievo e una certa qual soddisfazione... e invece... non credevo proprio che Bersani e tutta la dirigenza potessero raggiungere tali livelli di bassezza, di mancanza assoluta d'intelligenza, ossia d'imbecillità. E, dopo la cattiveria, l'imbecillità è l'affezione che meno sopporto. 

A pensarci bene, però, quello che è accaduto può essere per me un'opportunità: sfrutterò l'occasione e andrò a ingrossare il partito che si profilerà essere, quasi sicuramente, quello di maggioranza relativa: il partito dell'astensionismo, senza  se e senza ma. 

*Credo altresì fermamente che un capolavoro di ininfluenza l'ha commesso anche la ditta Grillo e Casaleggio, perché l'occasione di governare il Paese dettando certe condizioni al Pd col cazzo che gli ricapita.

Il feticismo del consumatore

Su R2 de La Repubblica di ieri v'è un'intervista di Anais Ginori a Jacques Séguéla, “uno dei più grandi pubblicitari al mondo”, il quale afferma cose su cui vale la pena riflettere:
«In Francia come in Italia assistiamo al fallimento della classe politica, il potere del mondo si sta spostando dalla politica all'impresa [...] In questo momento gli Stati occidentali sono nel mezzo di una crisi di rappresentanza»
Ginori domanda prontamente se, in tal caso, «dovremmo affidarci a un'oligarchia di multinazionali» senza però considerare che il mondo, in gran parte, è già di fatto affidato a tale oligarchia. Séguéla risponde che, considerato che la politica si dibatte tra “consenso e fattibilità”, 
«L'unica speranza è il coraggio imprenditoriale. I paesi che sono riusciti a riprendersi dalla recessione, come gli Stati Uniti, sono quelli che hanno lasciato ampia libertà economica alle aziende. L'Europa è bloccata da cinque anni perché s'illude che i governi potranno farcela da soli». 
Ma è inutile che riassuma. Copio e incollo il resto impaginandolo meglio di quanto faccia er sito:

C' è un problema: le multinazionali non hanno alcuna legittimità democratica. 
«Intanto il potere dell'innovazione non è più nella politica. Ormai abbiamo capito che i dirigenti non possono reinventare la democrazia, trovare nuovi strumenti per promuovere la giustizia e l' uguaglianza sociale. Paradossalmente sono marchi importanti, dalla Apple ad Airbus, che possono cambiare la vita di tutti molto più dell'elezione di un leader piuttosto che un altro». 
Politica e marketing ormai sono sempre di più la stessa cosa? 
«Bisogna aprire gli occhi. Le scelte decisive non sono più fatte dall'elettore ma dal consumatore. Si tratta della stessa persona. Ma mentre l'elettore vota e poi deve aspettare magari cinque o sette anni per poter cambiare idea, il consumatore ha un potere immediato e continuo sulle aziende». 
È il trionfo della pubblicità? 
«Negli ultimi anni si è capovolto il rapporto tra consumatori e produttori. Non esiste più quella che un tempo era considerata come la dittatura della pubblicità. Oggi i consumatori diventano coproprietari delle marche. Possono pretendere alta qualità, prezzi convenienti, ma anche una comunicazione interattiva. E c'è un punto ancora più importante». 
Ovvero? 
«I consumatori controllano la moralità delle aziende. Molte multinazionali non si possono più permettere di subappaltare la produzione in paesi sperduti, senza rispettare regole sindacali e ambientali. I consumatori hanno una funzione di censura e regolamentazione delle aziende. Le imprese che vogliono aver successo devono proporre ai propri clienti una sorta di partnership: un rapporto alla pari». 
È la privatizzazione della democrazia? 
«Il primo partito in Francia, come in Italia è quello di consumatori. I clienti dei marchi sono molto cambiati negli ultimi anni. Non si muovono più in branchi su autostrade, ma cercano strade laterali, sentieri diversi. Si sviluppano forme di baratto, di altro-consumo all'insegna della frugalità o del rispetto ambientale». 
I governi non dovrebbero fare di più per contenere il potere di questa oligarchia di marchi? 
«Le leggi sono facilmente aggirabili. Io preferisco che siano i cittadini con le class action o con campagne sul web a stabilire, con una Carta, limiti e doveri delle imprese. Lo abbiamo visto con i recenti scandali sanitari e alimentari. Ogni volta, scatta il passaparola online, le aziende rischiano il boicottaggio del marchio se non forniscono risposte adeguate. Quindi le imprese hanno interesse a evitare scandali e illegalità. Internet ha molti difetti se parliamo di minaccia alla privacy. Ma è uno straordinario mezzo per controllare autorità pubbliche e private. Chi non lo capisce guarda il mondo con gli occhi del passato».
Dunque, la legittimità democratica è aria fritta con oli esausti. Il potere politico non conta più un cazzo e se non conta chi lo detiene tale potere, figuriamoci chi vi si presta esercitando il proprio diritto dovere di elettore sovrano (omeopaticamente limitato). 
Ma tutto questo non è una novità: pensare che il consumatore sia la vera controparte dell'impresa è un leit-motiv del capitalismo maturo, soprattutto da quando il mercato è diventato globale.
Mi ricordo che persino Cesare Romiti, quando fu presidente della Fiat, sosteneva che l'utente (consumatore) è il vero uomo del futuro; finanche Grillo, ai tempi in cui abbandonò la televisione e iniziò i suoi spettacoli di critica della società, sostenne che le vere scelte politiche, il cittadino le compie al supermercato, non nel segreto dell'urna. 
La novità che introduce Séguéla è un'altra. Quand'egli dichiara, infatti, che «Le imprese che vogliono aver successo devono proporre ai propri clienti una sorta di partnership: un rapporto alla pari» usa tutta la raffinatezza di grande pubblicitario per prenderci per il culo, giacché per esserci realmente un rapporto alla pari tra produttore e consumatore, dovrebbe venire meno il plusvalore, ma se esso venisse meno non ci sarebbe l'impresa capitalista. Come scrive Marx (Il Capitale, Libro Primo, Capitolo III, “Il denaro ossia la circolazione delle merci): «l'insieme della classe dei capitalisti non può sfruttare se stessa [...] Se si scambiano equivalente, non nasce nessun plusvalore; se si scambiano non-equivalenti, neppure in tal caso nasce plusvalore. La circolazione, ossia lo scambio delle merci, non crea nessun valore». 
Gli unici titolati a essere consumatori sono i capitalisti stessi: loro sì che consumano il mondo dopo averlo sfruttato (o cotto) a puntino. I bucolici consumatori decrescenti sono delle mezzeseghe al confronto.
Chiudo con il classico:
«L'arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili cioè cose sociali. Proprio come l'impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico non si presenta come stimolo soggettivo del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di una cosa al di fuori dell'occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la proiezione di luce da una cosa, l'oggetto esterno, su un'altra cosa, l'occhio: è un rapporto fisico fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un'analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s'appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci». (Karl Marx, op. cit., Libro Primo, Capitolo Primo, “Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano”).
...

lunedì 22 aprile 2013

Il metodo analogico

Sostiene Luigi Castaldi che le analogie tra fascismo e grillismo reggono, a fortiori, anche grazie al contesto storico analogo in cui si trovò, il primo, e si trova, il secondo, a svolgere la loro azione politica “rivoluzionaria”: la congiuntura storica di una classe politica completamente slabbrata, sfibrata, lisa, composta - sia allora come oggi (salvo nobili eccezioni) - da pezzi merda e da imbecilli di primissimo piano.
Mi trova molto d'accordo questa posizione, ma io allargherei il contesto storico non solo ai politici, ma altresì all'intera classe dirigente del paese, alla classe che di fatto detiene le leve potere: una borghesia, quella italiana che è, di fatto, per usare una definizione che lo stesso Malvino riserva (in un tweet) alla borghesia partenopea:
«la borghesia più vile e pusillanime d'Europa»
Giudizio che condivide con un'altra blogger illustre, Olympe de Gouges, la quale - da par suo - ha più volte ripetuto, in numerosi suoi post, che quella italiana è la più corrotta e reazionaria delle borghesie europee, borghesia che ha tollerato di tutto, da Mussolini a Berlusconi, passando per trent'anni di potere assoluto della Dc.

Detto questo, però, credo vadano ravvisate delle differenze non di poco conto tra il movimento fascista del 1919 e il M5S del 2013.
Mi limito a due, a mio avviso le basilari.
La prima è che ancora il movimento di Grillo non ha conquistato presso i poteri forti quel ruolo di assicurazione per la vita che, a suo tempo, Mussolini stipulò contro il rischio del terrore rosso. Oggi quale terrore ha da temere la classe dei padroni? Non solo in Italia, ma nella società occidentale, non v'è alcuno spauracchio rivoluzionario, magari l'establishment percepisce il fermento di una popolazione che vede scomparire gradualmente quella sorta di diritti e privilegi da “primo mondo” che, dal dopoguerra a oggi, la classe media ha visto garantiti: sanità, pensione, discreta mobilità sociale, servizi decenti, dignitoso potere d'acquisto del salario, risparmio, prospettiva di futuro per i propri figli. Questo sgretolamento, tuttavia, non ha formato ancora una coscienza di classe, ma solo tante piccole coscienze risentite, arrabbiate, che sputano fuori rabbia e rancore mediante varie modalità, tutte però altamente circoscrivibili e quindi controllabili, in primo luogo attraverso la persuasione dei media e, in secondo luogo, attraverso la politica della crisi e dell'emergenza.
La seconda è che, fortunatamente, viviamo in un'epoca in cui la violenza fascista non è praticabile: magari si espelle chi disobbedisce al puerile diktat del capo (vedi la storia dei talk-show proibiti), ovvero si fa uso di una smodata violenza verbale, ma per ora il M5S non si è macchiato di alcuna rappresaglia squadrista, non ha somministrato olio di ricino, non ha usato manganelli o pistole.
Certo, Grillo usa pericolosamente la piazza, richiamando troppo spesso a raccolta la folla per mandare tutti a casa. Ma, se ci si pensa bene, l'appello in sé (Tutti a casa) è tutt'altra cosa della privazione dei diritti politici e civili. Ribadisco: è l'epoca in cui viviamo a censurare di principio ogni manifestazione di violenza. Qualsiasi leader con un minimo d'intelligenza politica sa che ogni atto violento si ripercuote più su chi lo compie che sulla vittima, giacché oggi lo scopo della lotta consiste in chi meglio riesce a passare da vittima; è una specie di gara in cui i contendenti, più che colpire, sperano di incassare i colpi che li assurgano a tale ruolo vittimario nei confronti della pubblica opinione: poi, chi meglio piange, meglio fotte.

Per il resto, per altre analogie o differenze, staremo a vedere. Per ora, politicamente, dopo il successo elettorale, Grillo ha compiuto, insieme, passi da gigante e da nano. La cosa che più gli è riuscita è stato mandare ko il Pd alla seconda ripresa (elezione del Presidente della Repubblica), dopo una prima (l'elezione di Boldrini e Grasso) in cui era parso vacillare. Adesso lo vedremo alla prova - ed ecco il suo vero peccato: là dentro il Parlamento non sarà lui ad essere messo alla prova, bensì gli eletti del suo MoVimento, i presunti gerarchi che, sin qui, non hanno certo brillato.

domenica 21 aprile 2013

Gita al lago

Oggi sono stato in gita su un lago dell'Italia centrale, dicono di origine vulcanica per via della sua forma rotonda. Anche le tette della signora che camminava nella piazza antistante la basilica erano rotonde, chissà se anch'esse di origine vulcanica.
Il viale di platani che conduce al bordo del lago è molto bello. I platani, soprattutto, alberi enormi, altissimi, chissà di preciso quando furono piantati e da chi e se nella testa di costoro c'era questa previsione che un giorno io - e non solo io - dicessi “ma che bello questo viale di platani secolari, che occhio lungimirante hanno avuto coloro che li hanno piantati, mi sembrano i politici italiani degli ultimi vent'anni che hanno programmato il futuro della nazione”. 
Mentre facevo queste riflessioni a voce alta, un signore dallo sguardo serio è esploso in una risata dicendo: 
«Certo che se ci fosse Fanfani oggi farebbe le scarpe a tutti». 
«Perché li ha piantati Fanfani?», rispondo.
«No, è perché pur essendo dei democristianacci, quei fetentoni qualcosa di buono fecero, mortacci loro, e senza far ingoiar l'olio di ricino a chi non la pensava come loro».
Annuisco e mi volgo perché accanto mi ripassano certune rotondità.
Arrivato sul bordo del lago, mi appoggio sulla balaustra che separa la strada dalla piccola spiaggetta, mi metto a prendere sole e vento forte in faccia e a guardare lontano, più lontano che posso per distinguere se in fondo, lontane all'orizzonte, quelle che girano sono pale eoliche o palle degli elettori del Pd.
Il piscio di una rondine sul naso (ammesso e non concesso che le rondini facciano pipì) devia i miei pensieri: è tempo di un caffè. Il bar è all'interno di un chiosco e il barista, un giovane dagli occhi azzurri, mi sorride; io risorrido ma senza sostenere il suo sguardo - e la mente parte nella strana teoria che è l'indugio dello sguardo a stabilire le proprie preferenze sessuali. No, non che abbia notato malizia negli occhi di quel ragazzo, solo gentilezza: è che, da parte mia, mi dico che se invece di un barista fosse stata una barista io i miei occhi li avrei confitti come canditi nei suoi per quella manciata di secondi sufficiente a far scaturire la scossa di un'emozione. 
Il caffè è particolarmente buono, meno male, non sa di cloro né di sapone da lavastoviglie come quello del bar del Sarni alla sosta autostradale. Alle spalle la mia comitiva mi avverte che è ora di ripartire, veda di sbrigarmi e di fare poco l'asociale. Io non sono asociale, rispondo, è che la società ce l'ho tutta in testa e molta nei coglioni.

sabato 20 aprile 2013

Addii

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -



Eugenio Montale, Le occasioni

"È il quinto mottetto, e certo Montale non ne scrisse uno più bello, più, pensatamente, perfetto. Nessuno indugio; e per affrettare o mantenere i tempi (i tempi giusti) ha tolto ogni legamento descrittivo, e vi ha messo una pausa, come una sospensione, indicata da quei puntolini. Le due parti sono come attratte, e la pausa, la sospensione le separano e insieme le avvicinano: basta che un momento il lettore misuri lo spazio, musicalissimo, che corre tra l'una e l'altra. Questa è poesia che veramente dura, con tutto il suo naturale peso, dal principio alla fine: il poeta in tutto presente, il fuoco dell'invenzione scoppiante da ogni parola o immagine, e fermarsi a tempo. Forse gli automi hanno ragione: il dolore, il dolore che impetra! E vedi quegli automi, come appaiono dai corridoi, murati. Allora quella parola addii grida e si dispera; e quei fischi, quei cenni, quegli sportelli abbassati, quel buio sono tanti strappi alla passione del distacco. Ecco è l'ora: Il cerchio si chiude (addii.... è l'ora). Ed ecco l'espressione di questa infelicità del dirsi addio: forse gli automi hanno ragione. Bruciata è ogni descrizione. Senti il correre del treno come fosse un lamento (fioca litania): presti anche tu ... ?. L'uno ora parla all'altro. Presti anche tu alla fioca litania del tuo rapido quest'orrida - e fedele cadenza di carioca?. Il dolore di sasso, il dolore represso, ecco sfogarsi, allentarsi un poco, più che nelle parole, nell'interrogativo che fa precipitare le parole. Orrida, orrida cadenza, ma fedele. Il poeta non ha altro conforto, e veramente non potrebbe essere più solo" (G. De Robertis).*

Ogni riferimento al Partito Democratico è puramente voluto.

Il PD è il Partito che amo

Il PD è il Partito che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze (roberte), i miei orizzonti. Qui ho imparato, da Bersani e dalla vita, il mio mestiere di cazzaro. Qui ho appreso la passione per la masturbazione. 
Ho scelto di scendere in campo per smadonnare e sputare in terra fino all'esaurimento, perché voglio che il mio Partito assorba bestemmie e umidità corporali varie (saliva, piscio e sperma), perché esso è governato da forze immature legate a doppio filo con l'imbecillità e il rincoglionimento.
Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho deciso di iscrivermi prima possibile al Partito stesso per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza: sfanculare fino alle fine dei tempi tutta la dirigenza del Partito Democratico.
So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che gli hanno dato il voto in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo della destra di Berlusconi e del centro di Monti e della Fornero* (e di tutta la dipendenza mentale dal Vaticano e dalla Chiesa).


[da proseguire sullo stesso tono, prendendo spunto da qui]

Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo partito miracolato di sinistra italiano.



*42 anni di contributi per andare in pensione con una pensione decente (?), quando c'è una generazione intera che prima di 30 anni non è riuscita e non riesce a trovare un lavoro, diobestia.

Spanking Party

Andare [tornare] da Napolitano, ovvero andare [tornare] dal maggiore responsabile del casino che si è verificato, per il PD vuol dire, ancora una volta, bussare alla casa del padre, perché da soli non si è capaci di camminare, si ha bisogno di tornare bambini, sdraiarsi sulle sue gambe e farsi sculacciare un po'.

venerdì 19 aprile 2013

Hand-Job Party

In primavera, l'erba spinge forte dal suolo verso il cielo. C'è chi la taglia, io per esempio, a volte la taglio, ho un giardino, dire ho è troppo, diciamo ne usufruisco, già qualcosa di questi tempi in cui taluni usano pentole a pressione per riempirle di esplosivo. Come farò con le lenticchie?
Il tempo è sovrano, lo spazio è puttano. Perché dovrebbero esistere più dimensioni di quelle che già ci sono? A volte sospetto che anche tre siano troppe, le dimensioni, e penso che due potrebbero bastare e avanzare. Invece sono riusciti a imporre il 3D persino sullo schermo; persino masturbarsi fa venire le vertigini. A tal proposito, mi ricordo che quando avevo sui quindici anni, comprai un numero di Playmen ché c'erano le diapositive di Moana Pozzi e Pamela Prati, e potevi osservarle in sovraimpressione con certi occhialini di carta.

Mi sembra di averlo già detto, ma quando ero piccolo, diciamo più o meno nel periodo delle elementari, quando qualcosa non andava a scuola o a casa, stringevo le gambe sotto il banco o mi mettevo bocconi sul letto o sul divano e mi masturbavo (ora lo so) e una volta goduto facevo meglio i compiti ed ero più rilassato. Chissà se qualche adulto intorno a me si accorgeva di quello che facevo, anche se io stavo attento a non muovermi o toccarmi davanti agli altri, cercavo di nasconderlo, anche se non sapevo esattamente perché dovevo nasconderlo.
Già: perché dovevo nasconderlo?
Masturbarsi fa bene, altro che discorsi. Lo dovrebbero fare in seduta comune i Grandi Elettori del Pd stasera (stanotte o domani mattina): toccarsi, ognuno per sé, fino all'orgasmo. Vedranno come saranno più rilassati e tranquilli, e come saranno più propensi a trovare un'intesa. Il godimento unisce più del patimento.

Di più: per superare i grillini, potrebbero altresì mandare in onda il tutto, in diretta streaming: noi della cosiddetta base non vediamo l'ora di masturbarci in compagnia di Bersani o della Bindi.
Io sono pronto, date il via.

Il ricordo sfiorò il suo respiro

Danilo Kiš, Enciclopedia dei morti, Adelphi, Milano 1988 (traduzione di Lionello Costantini).

Beh, stasera più o meno così. Sono bastate due note famose dell'epoca in cui, ed ecco quei capelli scompigliati, di grano maturo, tenuti insieme da una pinza amaranto che spesso toglievo perché faceva male alla testa di colei che l'abbassava sul sedile sdraiato di una piccola auto rosso bordeaux.
A ripensarci di una cosa sono sicuro: in quegli attimi avevo contezza di stare vivendo qualcosa che si sarebbe inserito tra i miei cromosomi, mi avrebbe mutato geneticamente, avrebbe scritto, in un codice che ancora non sono riuscito bene a decifrare, uno dei modi migliori per essere felici.
E le dita sulla tastiera tentano adesso, inutilmente, di ripercorre lo slalom tra la peluria diafana, impercettibile delle braccia di seta dal dolce nome - e per un attimo la felicità si ridesta; ma è una finta. Presto le lettere diventano parole, e le parole allontanano dal ricordo, perché non hanno lo stesso potere dei sensi.


P.S.
Il brano di Kiš potrebbe anche essere letto in funzione del Quirinale. Vengono fuori meno ricordi e più incubi.

giovedì 18 aprile 2013

Arrivano gli indiani

Invece di mandarli tanto a giro per il mondo per la lotta contro la pirateria, saprei io dove mandarli in missione i marò.
[*]
Da considerare poi che per l'Arno basta anche una barca a remi; inoltre, la giurisprudenza italiana non contempla la pena di morte, ma chissà: forse non avrebbero la stessa precisione balistica.

mercoledì 17 aprile 2013

Una bella idea arriva sempre a notte fonda come la polizia

Parlare a caldo, a freddo, a subito, sull'onda, sulla schiuma, mentre lo sciacquone è in azione e l'acqua che c'era scende dentro il water e altra acqua ricarica lo stesso, insomma, parlare mentre si mangia, si corre, si strappa l'erba, si ascolta pronti partenza via, ti viene facile dire porcamadonna Bersani, se fate diventare presidente (ordine alfabetico) Amato, D'Alema, Marini o Mattarella il Partito Democratico prende fuoco, Primavera di Praga (Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava), toccati i coglioni prima di pensare così ragioni meglio, lo capiscono anche i sassacci che così finite come l'acqua dentro al water perché caterve di elettori col cazzo che vi renderanno il voto, il metodo ruffiano Boldrini e Grasso e poi cosa, condividere che cosa con quella parte politica da vergogna rappresentata dalla fogna berlusconiana?

Aggiunta: credere che votare Rodotà sia cedere a Grillo è veramente assurdo.

martedì 16 aprile 2013

Per sempre tutto se non si vince ritornerà


Franco Fortini, Una volta per sempre, Einaudi, Torino 1978 (cliccare per ingrandire)
Questa poesia è bellissima. Leggere piano, al mattino meglio, dopo il caffè.
Il «piccolo roditore» non è Giuliano Amato.
La domanda se «vuoi sapere cosa sarà di te?» è dispiegata, “naturalmente”, nei versi che seguono. L'uomo riportato dentro le movenze delicate e le piccole, fatue, soddisfazioni del regno animale. Dentro la necessità, chiaro - e il caso, pure.
Però intorno ci sono delle voci, forse di amici che vengono, occorre parlare.
Ed ecco il poeta che, interpellato, parla.
E racconta dell'amore e dell'urgenza della lotta perché i nemici vanno combattuti ora, subito, senza rinvii, senza farsi confondere dal passato e paralizzare dal futuro.
Ma gli amici sono scomparsi, hanno smesso di vociferare.
Il poeta resta tra gli spini e i ragni. Si guarda intorno, tutto è come prima.
Il poeta si è rotto le palle di contemplare e di limitarsi a fare le seghe ai topi (roditori) dello stato di cose presente. Allora volge il capo e non vuole più guardare.

P.S.
Io non sono più un poeta: detti le dimissioni.

lunedì 15 aprile 2013

Schiaffi di partito

Forse è un'aggravante, forse è un chiaro segno di disfacimento, ma a me sembra più sano ed eccitante un partito in cui si litiga, ci si prende a schiaffi, ci si insulta, ci si divide, ci si manda affanculo, anziché uno in cui tutti fanno la figura di barboncini in collo alla fidanzatina del capo.
La mia disistima assoluta e irreversibile del partito di Berlusconi e, da poco, di quello della ditta Grillo-Casaleggio è dovuta proprio a questo unitarismo sotto il palco del grande conduttore.

Beninteso: le mie critiche al (o le mie riserve sul) Partito Democratico sono tante, ma non su questo punto. Certo, le polemiche sono sterili e dettate dalla paura che quel bellafica di Renzi “rottami” i ferrivecchi e addio. Ma anche se ci riuscisse (cosa improbabile), non riuscirà mai a diventare nel Partito Democratico ciò che i succitati duci sono nei loro rispettivi Popoli e MoVimenti. E questo, sinora, è stato sufficiente a farmi gradire tale partito nell'esercizio inutile del mio “potere” di sovrano.

domenica 14 aprile 2013

Money four seasons

Al-Thani ha così tenuto fede alla promessa fatta nell'aprile scorso a Roma al premier Mario Monti: «Investiremo ancora in Italia», erano state le sue parole. E questa volta a guidare l'acquisto potrebbe essere stato anche un elemento affettivo: avere il Four Seasons di Firenze sembra fosse il desiderio espresso da una delle mogli dell'emiro, innamorata dell'albergo. via Il Sole 24 Ore
A volte vorrei essere un supereroe, di quelli invincibili, fortissimi, tipo Hulk. Se lo fossi, mi presenterei volentieri in portineria al Four Season e comincerei a spaccare tutto, perché Hulk spacca. Triterei fine fine tutta la struttura, la sbarberei, ci creerei un piccolo ground zero. Tanto oramai l'emiro i soldi ai Fratini gliel'ha dati; ricostruirà l'albergo, così investe meglio in Italia.

Ma i supereroi non esistono, ed è un peccato, perché bilancerebbero (rischi a parte) il principio di legittimità. 
Il fatto che l'Emiro sia tale e non costituisca, di per sé, uno scandalo, rappresenta quanto cammino ha ancora da fare l'umanità prima di considerarsi progredita. Dico l'Emiro arabo, ma potrei aggiungere qualsiasi altro monarca o qualsiasi altro magnate. Vale a dire: finché tra gli umani vi sarà questo divario, finché sarà considerata legittima questa disparità tra i pochi che possiedono l'incalcolabile e i tanti che, da quanto poco hanno, non iniziano neanche a contare, allora tutto sarà bloccato fino al prossimo, necessario, cambio di potere. Perché prima o poi, quando il denaro avrà trasformato tutto il mondo in denaro non ci sarà altro da mangiare che i soldi, Four Seasons.

Rabbia, pena, schifo, malinconia

Come molti già sanno, a parti invertite, cioè: se la maggioranza parlamentare l'avesse il Pdl (più Lega Nord), questa settimana avremmo avuto Berlusconi Presidente della Repubblica. 
Quindi nessun rispetto per favore, nessun timore di divisione, lacerazione: siamo già divisi, perché è necessario essere divisi, irreversibilmente separati da Maurizio Sacconi.
Non mi piace Amato (Giuliano) nonostante abbia letto I sonnambuli di Hermann Broch. Non mi piace Marini (Franco) perché è una sorta di Bertinotti democristiano. Prodi mi piacque come cavallo anti Berlusconi (2 su 2, grande), ma capisco che. Gli altri... lascio perdere, tanto non vale niente questo giochino.

Però ieri sera Gino Strada mi è piaciuto quando a Fazio - che gli ha domandato scherzosamente quale sarebbe stato l'incipit del suo primo discorso se diventasse presidente - ha risposto (dal ventesimo minuto in poi):
«Mah, io direi [agli italiani] che non sarei il Presidente di tutti. Direi che non sarei il Presidente di ladri e di corrotti; che non sarei il Presidente della guerra e dei licenziamenti, della violenza sui poveri, sulle donne, sui minori; che non sarei il Presidente di chi calpesta la legge e non rispetta la Costituzione. Mi piacerebbe essere il Presidente della Cosa Pubblica, dei diritti di tutti e non dei privilegi di pochi».
Amen.

Musica di sottofondo: stasera m'è presa così.

sabato 13 aprile 2013

Continuiamo a volergli bene

Stavo per scrivere un ennesimo post in reazione a una letterina che forzasilvio mi ha spedito e poi ho cancellato tutto.
Voglio disintossicarmi. Silvio non esiste, è diafano e pallido come uno stronzo prodotto da una alimentazione in bianco. Non voglio più fare l'amore con il sapore, meglio il sapone, chi non salta, chi non salta, volete voi, volete voi, ti rendi conto, no.
Non mi rendo conto io non mi rendo conto è un mio limite e basta.
È bene lasci perdere, perché qualsiasi spiegazione del perché Berlusconi sia ancora vivo e lotti insieme a noi non fa che accrescere lo stato di dipendenza dalla droga chiamata Silvio.

Proviamo a dire: Silvio Berlusconi non esiste, è solo un frutto della mia immaginazione.
Ripeto, ché giova: Silvio Berlusconi non esiste, è solo un frutto della mia immaginazione.
Funziona?
No.

E pensare che ha chiuso la letterina perbene:

Vi voglio bene, e anche voi continuate a volermi bene!
Viva l’Italia, Forza Italia, Viva il Popolo della Libertà! 

Ecco, ci voleva, per la rima: vaffanculo, va’.

L'incontinenza politica degli italiani

Ogni tanto vado a vedere cosa dicono i mediologi, disciplina d'interconnessione di saperi proposta da Régis Debray. Sono stato per un paio d'anni abbonato a Medium, poi mi sono stufato, perché, boh, ho riposto le mie ambizioni da cercheur, il tempo è quello che è, e le cose da leggere si accumulano negli scaffali del non letto.
Bene, oggi ho scoperto che uno dei collaboratori della rivista, Paul Soriano, ha riportato nel suo sito il dizionario della mediologia apparso in uno dei Cahier de médiologie
Tra i 41 termini proposti ve n'è uno - ch'è l'unico nome proprio (di cosa) tra tutti - che riporto: Italie.
«Pour le meilleur et pour le pire, l’Italie est un laboratoire de la politique, des premières communes libres au totalitarisme, de Machiavel à Malaparte, auteur d’une Technique du coup d’État qui en actualise la dimension médiologique, plus d’un demi-siècle avant que Berlusconi invente la démocratie en vidéosphère. A l’encontre d’une idée inspirée par le malgoverno de l’après-guerre, les Italiens ne souffrent nullement d’incompétence mais plutôt d’incontinence politique.»
Se a tale definizione mediologica dell'Italia si aggiunge il recente exploit di Beppe Grillo e del M5S, si può senza tema affermare che gli italiani, anche questa volta, si sono (politicamente) pisciati addosso. E pisciarsi addosso è, come direbbe Crozza-Briatore, una cienciaccione da ciogno: lì per lì, sul momento, è quasi un godimento perché, soprattutto di febbraio, senti quel calduccio che t'inonda le mutande e scivola giù, piano, lungo le cosce. Però, dopo pochi attimi di benessere, la triste, fredda realtà. 
Bagnati di fascismo, di democristianismo, di clericalismo, di consociativismo, di craxismo e pentapartitismo, di berlusconismo, di leghismo e ora di grillismo. 
Pseudo rivoluzioni e stasi. E il passato che non passa e non vuol finire, solo una volta o due al massimo (piazzale Loreto e Mani Pulite) c'è stato uno pseudo spariglio della classe politica - pur sempre trascinandosi dietro livori e rancori, dato che i macchinisti che alimentavano, nel caso, la nave del fascismo e della prima repubblica non furono né fucilati e poi messi a testa in giù, né si costrinsero all'esilio per paura di finire in carcere.

E vabbè. 
Tra pochi giorni avremo un nuovo Presidente della Repubblica - e aldilà dei meriti (o demeriti) dei presidenti sin qui succedutisi, va detto che tale Istituzione è andata via via rappresentando, per gli italiani, una sorta di rifugio, una pseudo casa del padre alla quale ricorrere per confortarsi nella falsa retorica della cittadinanza e del potere del popolo sovrano. Questo perché, forse, il Quirinale è riuscito a incarnare una sorta di autorità impotente, la quale «non deve il suo dominio alla forza ma alla sua iscrizione in un ordine simbolico». 
«L’autorité n’est pas la puissance, elle ne doit pas sa domination à la force mais à son inscription dans un ordre symbolique. Celui qui la détient est donc assez différent de la « personnalité autoritaire » (qui échoue généralement à se faire respecter) ; la personne investie d’autorité – le magistrat, le chef militaire, le savant, le prêtre… – tient celle-ci d’une institution qui la dépasse, son autorité lui vient d’ailleurs ou d’un autre. L’ascendant ou le charisme pourvoyeurs d’autorité peuvent se gagner personnellement (le chef a pu le devenir par sa bravoure au combat, le savant ou le professeur ont des « titres » à faire valoir), mais la hiérarchie ainsi instaurée doit, dans tous les cas de figure, quelque chose d’essentiel à la durée écoulée, ou au passé. En bref, l’autorité, qui surplombe d’assez loin la personne présente ou actuelle, percole à travers le temps. Elle a pour ressort la durée.»
Vedremo dunque chi sarà e come terrà botta nella sua potente impotenza.

P.S.
Col senno di poi, per limitarsi agli ultimi rilevanti atti politici di Napolitano: ha sbagliato a non sciogliere le camere dopo le dimissioni di Berlusconi nel novembre 2011; ha sbagliato, dopo che Berlusconi lo scorso dicembre 2012 fece mancare l'appoggio al governo Monti, a sciogliere le camere anticipatamente senza verificare in Parlamento la sfiducia dello stesso Monti, così la campagna elettorale sarebbe iniziata in Parlamento e non in televisione, dalla bocca impastata della D'Urso e dalla salivale loquela di Santoro; ha sbagliato a non dare incarico pieno a Bersani, almeno a) avrebbe avuto la fiducia oppure b) non l'avrebbe avuta e il segretario del Pd avrebbe smesso completamente di illudersi.

venerdì 12 aprile 2013

E siate rei di tutto questo stallo

«e sieti reo che tutto il mondo sallo!» Inf. XXX, v. 120 
Nelle ultime ore sembra emergere una "rosa" con le candidature di Finocchiaro, Amato, Marini e Grasso. Lei chi preferirebbe?

"Ripeto: a noi non hanno ufficializzato alcun nome. Ci hanno detto che ci presenteranno una rosa, quando lo faranno allora decideremo. Al momento non sono in grado di dire altro. Dobbiamo aspettare che ci presentino queste opzioni". [intervista di Tito a Berlusconi]
Sono più in stallo dello stallo. Politicamente, italicamente, repubblicamente, democraticamente.
Aspetto l'inesorabile caduta del saggio del profitto. Quindi procedo limitandomi alle prudenti soddisfazioni dei bisogni che il mio ego moderato manifesta. Massì, cazzo me ne frega della decrescita e della felicità. Assorbire la vita e suggerla. Stasera, per esempio, non ho separato un contenitore tetrapack e l'ho buttato nell'indifferenziata. Ho vissuto il gesto quasi come un atto rivoluzionario.
Il barattolo di metallo dei pelati, però, l'ho messo al vetro, ché mi sembrava troppo l'ardire; non vorrei ritrovarmi una Charlotte Corday pentastellata alle spalle, sia mai.

Ma per tornare alla questione sospesa, che oso a fatica pronunciare, ovvero accordo con Berlusconi sì o no, vorrei rispondere: dipende, e mi stupisco di quanto sia di carta la mia fortezza antiberlusconiana.
Come dire: ho vissuto peggio, molto peggio le vittorie del '94, del 2001 e del 2008 (e la notevole “rimonta” del 2006), rispetto a questo sostanziale pareggio: insomma, per la prima volta vivo Berlusconi come epifenomeno e non do neanche troppo la colpa all'Italia, a quanto siamo cazzoni e stolti noi italiani, beoti politici di primo piano, incapaci di una rivoluzione, con tutti sti preti nel mezzo da sempre a rompere i coglioni, a sedare, comporre, sanfranceschizzare l'Italietta del pane e del vino bono, del giubbottino di pelle della prima comunione, troppo sangue la storia ha versato in questa penisola di pena e quindi, forse giustamente, ci siamo rotti i coglioni di lottare come popolo, venga chi venga basta che non stressi le palle e ci tenga al calduccio o al fresco della nostra dimora di proprietà esentasse, e vaffanculo agli zingari e agli avventisti del settimo giorno.

Infine: sono orgoglioso di non aver votato i cinquestelle. Non che avessi avuto la tentazione. Però pensavo fossero più intelligenti: politicamente, italicamente, repubblicamente, democraticamente, intendo.

La mia mente è turbodiesel

È entrato in moto da alcuni giorni il meccanismo desiderante, relativo a bassi desideri oggettuali, un'auto nuova nella fattispecie, dacché dovrei cambiare auto, l'attuale che uso è “vecchia” in tutti i sensi, e giro per i concessionari, e richiedo preventivo, valuto, pondero, ma - nei limiti circostanziati del debito che mi sento d'intraprendere (< 9.000 €) - più o meno ho individuato l'auto del desiderio, quella su cui vertono le preferenze e che gratificherebbe l'irrequietezza.
Da sempre, ovvero da quando predispongo di una linea di credito, il mio desiderio delle merci è regolato dagli stessi criteri. Dal primo computer (Apple MacIntosh Performa), alla prima auto pagata a rate (VW Passat Td '95 usata), tutto si svolge secondo le medesime agitazioni. La mente viene invasa dal tarlo del desiderio oggettuale e solo la sua soddisfazione può sanare la pseudo ossessione. Anche ora, porca puttana, per quanto mi sforzi, sono dieci giorni e più che, per gran parte della veglia, i pensieri sono tutti incentrati sulla meraviglia del motore Renault 1,5 litri turbodiesel a 75 Cv. Sono scemo. Sono i momenti in cui mi sento uno zimbello, in cui dubito della mia autonomia, della mia presunta ragionevolezza, in cui già so, col senno di poi, quanto mi sentirò coglione. 
Ma tant'è. Almeno non è amore (oh, l'amore! Te lo ricordi? Poco.), solo una sbandata legata all'oggetto che meglio rappresenta la presa per il culo del sistema capitalistico: l'automobile.
E so già esattamente che, quale che sia l'auto che prenderò (nuova o usata), basteranno pochi chilometri perché tutto questo spasimo svanisca - e non avrà portato il menomo godimento di un orgasmo.

mercoledì 10 aprile 2013

Non c'era mica bisogno di altro

Gregor Von Rezzori, La morte di mio fratello Abele, Studio Tesi, Pordenone 1988 (traduzione di Andrea Landolfi)
«Che gli è venuto in mente allo sviluppo storico di darsi ancora da fare [...] non poteva andarsene e rivolgersi su qualche altra zona ancora non pervenuta a piena fioritura?»

Quanto segue è una serie di pensieri scollegati, scaturiti dalla lettura della pagina sopra (cliccate per ingrandire) ché stasera non ho filo (né ago) per collegare. Vada come vada, voilà.
~~~
In questo momento, da qualche parte nel mondo, molte persone, non molte considerando il computo complessivo del genere umano, stanno bene. Alcune di esse, a onor del merito, si pongono la domanda del perché loro stanno bene e altri, invece, no e cercano, eziandio, delle risposte e persino dei rimedi a questa stortura.
Un signorotto di provincia, con degli occhiali dalle lenti color diarrea e l'orologio dalla tinta che fa pendant, che indossa, altresì, una specie di sciarpino con nodo scorsoio (ascot per impiccagione elegante), promette che l'un per cento dell'utile del suo gruppo aziendale sarà destinato alla solidarietà. “Cazzo”, disse la marchesa, imburrandosi panino e retto. Comunque, meglio che niente, marito vecchio e la moglie ubriaca (e la botte scema).
~~~
Liberandoci la mente dalle fandonie dell'Eden, chi può mai aver avuto (o può avere) la presunzione e la sicumera di affermare, nell'hic et nunc della vita presente, che la storia avrebbe potuto (potrebbe) anche fermarsi, ché il meglio da raggiungere era (è) raggiunto, ché più di così non si poteva (o può) andare avanti, meglio bloccare il tempo e quindi la stessa storia? 
Coloro che stavano bene, coloro che stanno bene. 
~~~
È vero: quello che ha visto Piero della Francesca e come lo ha reso pittoricamente è uno di quei prodotti della civiltà che stanno lì fermi, come punti di approdo, come esempi di perfezione quasi raggiunta (e se ti metti in un giorno terso a guardare da Anghiari la strada e la piana che conducono verso Borgo San Sepolcro arrivi anche - in parte - a capire perché). Ma Piero è un punto (e tanti altri che, come lui, nello scibile umano hanno significato qualcosa, nelle arti e nelle scienze, nel lavoro e nella benevolenza, eccetera) che, nella fila dei punti che compongono la storia umana, può essere considerato, in un immaginario pallottoliere che segna i miliardi di morti del “delicato pranzetto della natura”, un numero intero - ma esistono e contano anche i decimali, i centesimi, i millesimi eccetera di vite che sfamano l'insaziabile.
~~~
Discorso complicato, mi perdo e dunque mi fermo.
Arrivo a un punto in cui tutto il ragionamento, mescolato a una leggera stanchezza, produce una sorta di allucinazione controllata a stento. Urge uscire a prendere una fredda carezza di sera. Il prato offre un soffice tappeto di margherite chiuse. 
~~~
Per fare dell'Europa una Disneyland della storia dell'arte manca uno come Walt?
~~~
«Un'Olanda in cui, dopo Vermeer, l'uso del pennello è punito con il taglio della mano destra».
Per esteso: un'Italia in cui, dopo Berlusconi, l'uso della televisione a fini politici è punito con il taglio di un coglione, quello sinistro.

martedì 9 aprile 2013

Il tagliando all'io


Spesso
prendo me stesso
e lo porto in un posto
per sapere se è a posto
o se invece abbisogna
di un po' di vergogna
per tutto l'ordito
di un io esibito
per tutta la trama
di un io che si ama (e non ama)
di un io che continuamente gli sembra
disperdere le umane membra
alla ricerca di qualcosa di altro
che lo rendano scaltro
come se l'altro fosse uno scudo
che difenda il suo essere nudo.

In quel posto abita un saggio
che ripete sovente: “Coraggio”.
cosa che dice a qualsiasi coglione
che va lì per farsi dare ragione
che va lì per farsi dare conferma
che il suo io è sulla terraferma
che non è come teme disperso
come un niente nell'universo.

Ma il saggio non si scompone
per chi non vuole mutare ragione.
Sta fermo, sorride, aspetta
che qualcuno gli offra una sigaretta
o che qualcuno sia disposto
ad ascoltare quanto riporto tosto:

“Questo niente che tanto fa male
è la cosa più di tutte normale
è la cosa più di tutte diffusa
è il buco che inghiotte e ti smusa
che sfila la storia e il senso
e assorbe il tuo sforzo melenso
di vivere come se tutto
fosse diverso da un grande rutto
la cui eco ancora si sente
vibrare – sola nota del niente.
La vita è solo una circonferenza
un nonnulla fatto di apparenza
in cui esiste una sola maniera
per avere potere per fare carriera.

E ora ti sbrano un orecchio
e quindi ti caccio in un secchio
perché quello che conta è la forza
in questi 5 minuti in cui il niente si smorza
in cui tutto sembra che esista e ci sia
in cui ogni mamma è maiala ma non la mia.
Io sono un uomo e tu un niente
io rido e godo e tu sei un fetente
mi ronzi intorno affamato
di pane e desiderio sputato
avanzi della cena del capitale
la selezione del più stronzo è quello che vale

Vedi se là fuori nella pausa del mondo
c'è qualcuno che vince senza essere immondo
c'è qualcuno che gode senza essere sazio
c'è qualcuno che ride senza essere Fazio.
Va' e poi torna – e nel caso mi dirai;
ora sparisci, ché ho sonno oramai”.

Anch'io – e il me stesso ritorna senza
aver fatto il tagliando. Pazienza.

Una certa idea per Bersani


Presentarsi da Berlusconi baionetta in canna, non tanto per snidare la partitocrazia, quanto per compiere l'ultimo, disperato atto politico che potrebbe portare il segretario del Pd agli allori della storia. 
Perdipiù ha già lasciato scritto una lettera.

lunedì 8 aprile 2013

La saggia gentilezza degli impotenti


«Se questa realtà noi potessimo conoscerla in tutte le sue propaggini e conseguenze, la storia – la vita – non sarebbe che accordo continuo di volontà libere: idillio, o svolgimento infallibile di un piano razionale. Agiremmo così “a ragion veduta”, ossia non agiremmo affatto, ma eseguiremmo coscientemente un disegno prestabilito e sterile. Non saremmo liberi. Ma siamo liberi, e ciò significa letteralmente che non sappiamo quel che facciamo. Nell'agire, non abbiamo altra guida tranne ciò che crediamo gli uni degli altri e del mondo in cui viviamo. Napoleone, Kutuzov, l'ultimo dei loro soldati, l'uomo più geniale come il più mediocre, il più lucido e raziocinante come il più sciocco, nessuno può mai oltrepassare il limite che, all'ultimo, fa di ogni sapere un semplice credere, di ogni azione un colpo di dadi a rischio di se stessi e d'altrui. Nel campo degli eventi umani, la nozione di causa non ha senso.
«Questo è il limite che rende così stolta l'arroganza dei potenti».

Nicola Chiaromonte, “Tolstoi e il paradosso della storia”, in Credere e non credere, Il Mulino, Bologna 1993 (pag. 57)

E tuttavia ci sono aspetti della realtà che si possono (devono) conoscere, che sono lì, alla portata di tutti, semplici dati oggettivi che solo «l'arroganza dei potenti» tende a sminuire, camuffare, nascondere sotto il tappeto della mente. Ma con un po' di sforzo si possono (devono) trovare, portarli alla luce e crederci che esistano i fatti, giacché è incontrovertibile che esistano per esempio i padroni e che esistano gli schiavi, che esista «chi muore per un sì o per un no» e che ci siano coloro che li pronunciano questi  e questi no, ci vuole poco a riconoscere chi ha questo potere, a volte è sufficiente solo l'odore per fuggirli, o per tentare di combatterli, per quanto si può (e si deve), ed esercitare resistenza come dovere imprescindibile.
Almeno potremo dire di averci provato a non aspettare che qualcuno abbia tirato i dadi per noi e abbia deciso il risultato.
Immaginare di cambiare le cause che determinano la realtà presente.
Son pronto per sostituire George Clooney nella pubblicità. Progresso.

via Daniel González


domenica 7 aprile 2013

Della rettitudine sessuale

Da quando Benedetto XVI si è dimesso, la filosofia del gender è passata (sembra) in secondo piano nelle preoccupazioni teologiche vaticane. Papa Francesco pare essere meno attento alle problematiche del genere, al momento gli preme più fare il Vescovo di Roma che stare a discutere di relativismo e di antropologia atea.
La Chiesa ha bisogno di nuovi argomenti perché il popolo torni ad ascoltarla; e il neo pauperismo francescano (che a taluni appare stucchevole), va benissimo: piace alla plebe e, allo stesso tempo, non disturba l'ordine costituito, poiché ben s'inserisce nel quadro sociale dato; insomma, al momento presente, è più trendy dare attenzione alla povertà anziché alla sessualità, anche perché con la miseria sul groppone, i coglioni al popolo girano per altri motivi. Vero che gli istinti sessuali permangono, ma restano confinati nella norma, i voli del vizio rimangono bassi, come quelli dei tacchini.
Tuttavia, è auspicabile che la filosofia del gender, intesa come scardinamento dell'idea di una natura metafisicamente determinata dentro i confini della eterosessualità (ovvero dell'idea di considerare perversione ogni desiderio sessuale fuori della norma), si diffonda universalmente e “penetri” in tutte le culture umane, soprattutto in quelle tormentate dalla psicosi teocratica. 
Per restare nei nostri confini occidentali, io mi auguro che alle varie liberazioni sessuali seguano nondimeno le liberazioni sociali, ben più urgenti e necessarie.

Pochi giorni fa, Agnès Giard ha redatto un post interessante - che vi invito a leggere - sulla differenza dei costumi sessuali nelle diverse classi sociali d'occidente:
«Les intellectuels, femmes et hommes, et les personnes de milieux favorisés se pensent souvent bien plus ouverts et plus imaginatifs en matière de sexualité que les personnes de milieu populaire, qu’ils voient comme conservatrices. Mais est-ce bien vrai  ?»
Non sto a riassumere perché non ne ho voglia, e poi non vorrei che il tema non mi sfuggisse di mano; così lo riporto nella mia mano (tante cose, da un punto di vista sessuale, mi finiscono in mano) e mi domando: se io, per circostanze non meglio definite, mi trovassi in una situazione orgiastica ultracapitalista tipo quella in cui si ritrova Tom Cruise in Eyes Wild Shut, come mi comporterei? Parteciperei al fottimento generale? Terrei la maschera fino in fondo? Sarei scoperto o sarei castrato? Oppure una vittima si sostituirà al mio sacrificio?

Difficile càpiti, il mio milieu è poco ozioso e vizioso. L'è tutto cerebrale, per intendersi. 
Ed ecco che, magicamente, senza prima aver saputo come, riesco a far entrare in gioco una stupenda lettera di Anne Archet (vietata ai minori) che ribalta magnificamente il genere, e mi restituisce e palesa un'idea di sessualità che sottoscrivo. Senza offesa per le mie colleghe.

P.S.
Ho trovato simpatico questo video che ribalta i luoghi comuni del genere di chi frequenta le palestre.