lunedì 3 marzo 2014

L'aria di una superficie

Luca Izzo

Data una superficie di un certo numero di metri quadrati, respirarne metri cubi d'aria. Camminarci e, camminando, pensarci. A quella cosa, sì, quella cosa che avevi in mente, ti ricordi, io mi ricordo bene, non so se tu lo stesso, per questo te lo ricordo io: mi avevi detto di volerci venire anche te a respirare gli stessi metri cubi, magari anche meno, visto che sei più parca di me. È un sottinteso manifesto, dacché per consumare meno aria, metabolismo a parte, l'unico modo certo è restare qualche minuto in apnea. Non hai capito? Come non hai capito! Spiace doverti ricordare per filo e per segno quello che avevi in mente, un soffocone per esempio. Adesso ricordi? Ricordo male? No, guarda, non posso ricordare male, sono cose che non si scordano quelle che ti vengono dette, anche di sfuggita, in coda alla cassa, in un incontro fortuito, dopo tanto che i due (noi due) non si vedevano, eppure, presi nel vortice della medesima eccitazione, due paroline messe lì per provocare sapendo che non ti avrebbero offesa, tipo il desiderio di rimettere le mani in certe zone di te e tu, di schianto, a dirmi quello che avresti avuto in mente di fare nel caso di una rinnovata, comune superficie. Non mi sarei mai permesso se quanto mi avevi prospettato io l'avessi soltanto sognato, miseramente... ma no miseramente: dolcemente sognato. I sogni, mi conosci, quando li racconto, premetto sempre che lo sono, non sono un baro, non gioco mai i sogni come fossero dadi, perché i sogni di solito non ho bisogno di raccontarli, a te soprattutto, che me li hai sempre letti negli occhi realizzandone una buona metà. Dell'altra metà non volesti saperne, iniziasti a guardare da un'altra parte, altri occhi, sono cose che capitano, come le lacrime. E quindi ecco perché ti scrivo questo messaggio, è un memento, forse troppo lungo, complicato, che mena il can per l'aia, quando indubbiamente il suo vero scopo è menare qualcos'altro, altro che cani.

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