mercoledì 30 aprile 2014

La morte di un capitano coraggioso

«La morte di Emilio Riva rappresenta l'epilogo personale di un finale di partita che, per l'economia e la società italiana, avrebbe potuto essere di caratura diversa. Sì, perché la parabola del gruppo Riva e la vita di Emilio saranno segnate per sempre dall'acquisizione – durante la campagna di privatizzazioni dell'Iri nel 1994 – dell'Italsider, che permetterà al gruppo di compiere un salto dimensionale tale da farne un protagonista internazionale, e dai guai giudiziari che scaturiranno dal problema ambientale di Taranto. Guai giudiziari che, per Emilio, si tradurranno in un lungo periodo di arresti domiciliari. Taranto rappresenta davvero il punto in cui ogni cosa – nella storia italiana – è andata male.

L'economia pubblica ha mostrato appieno, in quella città, la sua forza devastatrice. L'impatto ambientale, soprattutto nei vent'anni compresi fra il 1974 del raddoppio dello stabilimento (da 5 a 10 milioni di tonnellate di capacità produttiva all'anno) e il 1994 della privatizzazione, è stato durissimo e nessuno, a Roma, si è mai curato dei suoi effetti. I partiti hanno occupato militarmente posizioni su posizioni della vecchia Italsider. I ceti politici locali sono cresciuti attaccati al seno dell'acciaieria, lavoro e consenso, squilibri finanziari e scarsa redditività industriale effettiva, fumi neri nell'aria e il quartiere di Tamburi che cresceva a ridosso dell'acciaieria, quando i Riva nemmeno erano mai andati in vacanza a Taranto. Allora si chiamava Prima Repubblica. E, a Taranto, i sindacati mostravano tutta la loro capacità collusiva, forma estrema del consociativismo italiano. Poi sono arrivati i Riva. I quali hanno trasformato il rottame in un gioiello. L'impianto ha raggiunto livelli di produttività e di efficienza assai rilevanti. Produttività, appunto. Efficienza (industriale), appunto. Gli investimenti nell'acciaieria sono stati indirizzati soprattutto al miglior funzionamento e, in parte minore, al rimedio di una condizione ambientale che lo Stato inquinatore aveva lasciato in condizioni al limite dell'incurabilità. Il tutto con una serie di metodi duri e padronali che all'inizio sono stati essenziali per riordinare il caos anarcoide di Taranto. Ma che, poi, si sono rivelati uno spesso diaframma fra la fabbrica e la città, i Riva e i tarantini. Un diaframma inutile e irrazionale, soprattutto quando ha cominciato a delinearsi, con tutta la sua forza, il tema ambientale. Una questione che i Riva avrebbero dovuto affrontare con metodi più ragionevoli e sistemici rispetto a quelli invece adottati, rozzi e da spicciafaccende. Quando la magistratura – ordine che nella constituency italiana è sistematicamente chiamato a risolvere complessi problemi sistemici disponendo soltanto dell'unilateralità dei codici – ha incominciato ad operare come un chirurgo convinto che l'Ilva fosse un tumore da estirpare e basta, Emilio Riva si è trovato avvolto da tutta questa rete. Prima a casa sua, ai domiciliari. Poi, su un letto di ospedale» 
Paolo Bricco - Il Sole24 Ore

Tutto sommato, mi sembra un ritratto obiettivo quello del quotidiano della Confindustria. 
Non so tuttavia dire quanto sia vero che, dopo l'acquisizione dell'Italsider, i Riva abbiano «trasformato il rottame in un gioiello». Nondimeno, non viene sottaciuto il fatto che, nonostante la raggiunta e tanto osannata produttività (e i profitti a essa conseguiti), i Riva non abbiano indirizzato molta attenzione alla questione ambientale, in pratica continuando, nella stessa misura, la pratica industriale che lo Stato aveva intrapreso: inquinare.

Poco apprezzabile, dell'articolo, è il tono “piccato” col quale, in conclusione, viene descritta la magistratura («nella constituency [!] italiana» è l'ordine che «è sistematicamente chiamato a risolvere complessi problemi sistemici disponendo soltanto dell'unilateralità dei codici». E di cosa altro dovrebbe disporre la magistratura? Delle bombe a mano?), vista «come un chirurgo convinto che l'Ilva fosse un tumore da estirpare e basta». Fatta la debita precisazione dell'imperdonabile ritardo col quale sono intervenuti, cosa dovevano fare i magistrati? Le crocerossine con le pezzette e i clisterini caldi, oppure i sacerdoti che impartiscono l'estrema unzione?
Non sarà mica che il corsivista alluda al fatto che la malattia prima e la morte poi di Emilio Riva sono da addebitare alla malasanità di un chirurgo senza scrupoli?

P.S.
Strano che nel coccodrillo non si ricordi che Emilio Riva è stato uno dei capitani coraggiosi che - grazie all'opera di convincimento di un padre della patria perseguitato anch'egli dalla magistratura - salvarono Alitalia dalle grinfie di quei ribaldi di Air France.

martedì 29 aprile 2014

La campagna elettorale del Vac.

Non per replicare, dacché non ci tengo molto ad avere l'ultima battuta; soltanto per specificare meglio, compreso – a lui piacendo – all'acuto Zucconi, che la mia risposta al suo tweet cercava ben altro che sapere cosa che già tutti sanno, ossia che la televisione è, da sempre, il più influente e persuasivo dei media, altresì oggi, in piena voga da social network.
Il mio fallimentare rilievo (fallimentare perché non è riuscito nel suo intento) aveva il solo scopo di invitare Zucconi a riflettere su quanto sia nocivo per i giornali dare spazio in prima pagina (e in seconda e in terza) a quel tipo di eventi che accadono in tv, soprattutto a quelli di carattere politico, nella fattispecie far da eco alle flatulenze che Berlusconi scorreggia sullo schermo in forma differita: possibile che i direttori dei quotidiani non sentano il puzzo?
Aprite le finestre in redazione, cazzo! Non vi rendete conto che il vostro luogo di lavoro ha un terribile bisogno di ossigenazione?
Sono vent'anni (e più) che fate da sponda a qualcuno a cui è stato concesso di essere, insieme, padrone del biliardo e giocatore che spedisce tutti gli altri in buca.
La storia è arcinota e ripeterla è arcinoioso. E la peggior cosa è entrare nel ginepraio della contestazione delle sue enormità, lo stupirsene o, ancor più, lo scandalizzarsene.

In poche occasioni mi trovo in sintonia con Beppe Grillo e una è questa: «Berlusconi è l'oltretomba e [voi giornalisti] siete dei medium che parlano con l'oltretomba». Sono abituati, in fondo, visto tutto lo spazio che hanno dato anche ai santi. Berlusconi vive e lotta insieme a noi. Gli fanno le domande e ascoltano le risposte. E nessuno che gli sputi in un occhio, quello malato.

N.B.
Vac., va da sé, è abbreviativo di vaccaro - chissà se i mammiferi de Il foglio se ne sono accorti.

lunedì 28 aprile 2014

I giovani garantiti

In un'intervista a l'Unità, giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924, il ministro del lavoro Poletti ha dichiarato che il primo maggio partirà il programma Garanzia Giovani, avente come obiettivo primario quello di abbattere l'elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile. Garanzia Giovani è rivolto
«A tutti quelli che non studiano, non lavorano e non stanno seguendo nessun corso formativo. I cosiddetti neet. Per loro dal primo maggio è possibile registrarsi sul portale garanzia giovani. Tutti verranno chiamati da un’agenzia per l’impiego regionale o privata convenzionata per un colloquio, da cui scaturirà un profilo. Sulla base di questo profilo entro 4 mesi sarà fatta una proposta concreta. Potrà essere un contratto di apprendistato, un corso di formazione, un percorso di specializzazione o un servizio civile presso i centri che saranno selezionati attraverso dei bandi. Oltre ai lavoratori, stiamo lavorando perché anche le imprese si iscrivano al portale, per facilitare il lavoro di incrocio tra offerta e domanda di lavoro delle agenzie». 

Sono davvero curioso di vedere chi farà una proposta concreta tra cotante imprese:
via La Stampa

Forse quelle che esportano armi in Ucraina e in Russia?

CRITICONE. In una guerra combattuta per i beni supremi della nazione, ossia per il profitto e per riempirsi la pancia, il piano infernale di affamarci è un espediente molto più morale, perché più armonico, che non l'impiego di lanciafiamme, mine e gas. Perché in quel caso l'arma è tratta dalla materia stessa della guerra moderna. Che dei mercati diventino campi di battaglia e viceversa può volerlo soltanto il guazzabuglio di una civiltà che ha costruito dei templi con le candele steariche e ha posto l'arte al servizio del commerciante. L'industria però non deve impiegare degli artisti né fornire dei mutilati. Il falso principio vitale si perpetua in un falso principio di morte, di nuovo il mezzo diverge dal fine. Quando due cooperative di consumo si azzuffano, la più morale è quella che affida il mantenimento dell'ordine non già ai consumatori stessi, bensì a una polizia da loro assoldata, e se si contenta di soffiare all'altra i clienti o anche soltanto le merci, è allora che agisce nel modo più morale possibile. Prescindendo poi del tutto dal fatto che queste sanzioni non sono che un avvertimento dato agli Imperi Centrali perché le risparmino ai loro cittadini ponendo termine a una guerra insensata. Se finora il contabile non ha fermato la mano del cavaliere, lo dovrebbe fare proprio adesso, quando perfino il cavaliere può rendersi conto che non si tratta di una giostra, bensì del cotone.
OTTIMISTA. In questa guerra si tratta...
CRITICONE. Bravo, in questa guerra si tratta! Ma la differenza è questa: gli uni pensano alle esportazioni e parlano di ideali, gli altri ne parlano, di esportazioni, e basta questa sincerità, questa distinzione, per rendere possibile l'ideale, anche se non esistesse per altri versi.
OTTIMISTA. Ma non mi dica che quelli hanno a cuore un ideale!
CRITICONE. Niente affatto, vogliono soltanto togliercelo e riconquistarlo per noi curando l'umanità tedesca dell'incivile tendenza a usarlo a mo' di confezione per i suoi prodotti finiti. Per il tedesco i beni ideali sono un di più che si aggiunge agli altri beni affidati agli spedizionieri. I tedeschi sono convinti che nell'impiantare una metropolitana non si possa fare a meno di Dio e dell'Arte. È questo il cancro. In una cartoleria di Berlino ho visto un pacco di carta igienica, sui cui fogli il senso e l'umorismo della relativa situazione erano illustrati da citazioni shakespeariane. Eppure Shakespeare resta uno scrittore nemico. Ma ce n'era anche per Schiller e per Goethe, il pacco abbracciava l'intero patrimonio della cultura classica tedesca. Mai come in quel momento ho avuto netta la sensazione che si tratta veramente di un popolo di poeti e di pensatori.»

Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell'umanità, (1915?), Adelphi, Milano 1980, Atto Primo, Scena XXIX.

domenica 27 aprile 2014

Lo Spirito lavora la materia grezza della storia...

                                                                                                                                    ...anche la merda?

Dei tanti eventi che la nostra specie trasmette in mondovisione (che forse, ahinoi, sono captati altresì da specie aliene), tra i più sconfortanti vi sono le manifestazioni a carattere religioso (che, a mio avviso, se la giocano a pari merito con quelle a carattere sportivo). 
Non che l'odierna celebrazione in Vaticano abbia avuto in sé qualcosa di più o di meno spregevole rispetto a quelle che si svolgono in altri luoghi cosiddetti sacri del pianeta, dalla Mecca alle rive del Gange, dal muro del Pianto al Vesak buddista (?) oppure, più semplicemente, al matrimonio di un reale d'Inghilterra.

Lo stupore – mio ingenuo stupore – è dovuto al fatto che un evento come la santificazione abbia ancora così tanta valenza politica, dimostrata dalla nutrita presenza dei rappresentanti di istituzioni laiche – non tanto quelli della paradossale repubblica italiana (no, essi non sorprendono più nelle lor genuflessioni), quanto per esempio da certuni come il primo ministro francese Valls, o anche dai presidenti Barroso e Van Rompuy.
Che tipo di testimonianza è questa? Il riconoscimento politico dei santi? O semplicemente avallare la cristianità delle radici europee? In altri termini: se prima o poi uno straccio di costituzione europea verrà scritta e promulgata, essa - come l'italiana - terrà in debito conto il rapporto con la Santa Madre Chiesa Cattolica Apostolica e Romana?

E mi torna in mente uno dei passaggi del libro intervista a René Girard, Portando Clausewitz all'estremo (Adelphi), che hanno segnato - lo dico timidamente - la mia distanza dal pensatore francese, il quale, per diverso tempo, è stato al centro delle mie modestissime ambizioni intellettuali.
Girard parla della sua conversione al cristianesimo e del suo convincimento che «solo la tradizione giudica-cristiana e quella profetica siano in grado di spiegare il mondo in cui ci troviamo». (pag. 284-285); e al suo interlocutore che gli domanda: «Quale ruolo attribuisce alla Chiesa in questa rivelazione?», Girard - lo sventurato (?) - risponde:
«Un ruolo a un tempo essenziale e relativo. La Chiesa è la custode di una verità fondamentale, ma contemporaneamente è un'istituzione e, come tutte le istituzioni, è soggetta al tempo e agli errori. Si è costruita, poi si è divisa, ramificata, trasformata. Si è realizzata appieno soltanto nel cattolicesimo, in primo luogo in quello del Concilio di Trento, impegnato a restaurare il potere del papa, gravemente corrotto dopo le faccende di Avignone, di Firenze o di Roma. Da questo punto di vista il genio dei Gesuiti è stato immenso. Dio sa se le rappresaglie che hanno subìto sono dovute al risentimento di cui il papato fu oggetto in Europa. [...] L'emergere graduale del papato nella sua lotta contro l'impero testimonia il modo in cui lo Spirito lavora la materia grezza della storia, anche all'insaputa dei suoi attori. Hegel ha scimmiottato questo con la sua dialettica. La Chiesa cade e si rialza da duemila anni, ma non ripete mai gli stessi errori. Ho appena ricordato il Concilio di Trento, ma anche il cattolicesimo del XIX secolo rappresenta una svolta decisiva [...]. La forza del cattolico paragonato al protestante, scrive Joseph de Maistre, sta nel suo non dubitare! C'è qui una fede singolare nella storia, che non ha niente di hegeliano».

Intendiamoci: non che Girard abbia torto, è proprio perché - perlomeno relativamente alla Chiesa come istituzione - egli ha ragione che occorre allontanarsi dalla Chiesa e in quanto istituzione e in quanto custode di una verità fondamentale che, a suo dire, è interamente rivelata da Gesù, dalla sua morte alla sua resurrezione.
È questo suo essere e... e... che ha conservato la Chiesa nel tempo, circa duemila anni sulla breccia.
Girard - e con lui i cattolici - crede che tutto questo sia l'esplicazione dei disegni divini, anche giornate come quella di oggi dimostrano che Dio era in piazza San Pietro a rivestire i panni del regista e dello scenografo. Dell'attore protagonista no: Egli si serve ancora del genio dei Gesuiti per risistemare la baracca.

sabato 26 aprile 2014

Un giorno kinky

[dopo quattro ore di spaccamento legna e un pisolino e mezzo sogno storto in giardino]

Sono molte le strade per arrivare a essere sottomessi. Io ho scelto una via diretta, senza tante circonvoluzioni. Mi sono adattato al mio ruolo, non lo ho mai messo in discussione, mi ci sono infilato dentro per benino e guai a chi me lo sfila. Eppure mi stringe alle spalle, mi blocca i gomiti, mi fascia le gambe, e mi sento come un poppante si sente a culo ignudo quando i genitori gli cambiano il pannolino. Nonostante mi puliscano, non sono mai contento, solo dopo sto meglio, con la rinnovata sensazione dell'asciutto. Prima stavo caldo con addosso stampati i miei bisogni, pure lerci ma veri. Ora è un tutto uno sventolio di salviette profumate che mi danno tanto la nausea. Preferisco il sapone, glielo dico alla signora, ma lei non intende. È severa. A volte mi stringe con una corda da imballaggi, tale e quale un pezzo di roast beef, il cimalino. Meno male mi porto sempre appresso, per sfizio, un rametto di rosmarino che provvedo ogni mattina a cogliere alla siepe antistante del vicino. Il rosmarino mi dà conforto. È in momenti come questi, in cui rischio di esser messo in forno a 180°, che me lo stringo forte al petto e ne aspiro il profumo. La signora ride e mi dice maialino. No, il porceddu no, la prego. Non la faccia tanto lunga, non la pago per questo, si disponga a esercitare le sue funzioni senza indugio. Allora lei passa e ripassa la corda intorno, stretta. Infine la annoda alle caviglie, con un cappio, dentro al quale passa una robusta fune collegata a un montacarichi. Mi sento sollevare, a mezz'aria, supino, in una strana posizione da amaca, senza rete. Sono sospeso e stretto. La signora mi chiede se sono eccitato. Nel caso lo fossi, non saprei dove, rispondo. La signora mi dondola intonando una canzonetta di Henri Dès. Le chiedo di liberarmi. Lei invece mi ribalta, prono e, con un scudiscio, mi colpisce ripetutamente i glutei. Come si permette? Sono pagata per questo. Da chi? Dal suo desiderio. Io non ho desideri così. E come allora? Mi sciolga. Lo vuole veramente? Sì, mi liberi, e mi sottometta semplicemente, io sotto e non il vuoto sospeso sopra, ma lei, ecco, ché sospeso nel vuoto lo sono da me.

venerdì 25 aprile 2014

Un'apparenza che seduce

«Se si considerano rapporti sociali che generano un sistema scarsamente sviluppato di scambio, di valori di scambio e di denaro, o ai quali corrisponde un grado non sviluppato degli stessi, è chiaro sin dal principio che gli individui, benché i loro rapporti appaiano più personali, entrano in relazione reciproca solo in quanto individui in una certa determinatezza, come signore feudale e vassallo, come proprietario fondiario e servo della gleba ecc., oppure come membri di caste ecc., o come appartenenti a un ceto ecc. Nel rapporto di denaro, nel sistema di scambio sviluppato (e quest'apparenza seduce la democrazia) i vincoli di dipendenza personale, le differenze di sangue, di formazione ecc. sono effettivamente saltati, lacerati (i vincoli personali si presentano almeno tutti come rapporti personali); e gli individui sembrano indipendenti (questa indipendenza che è pura illusione e più correttamente andrebbe chiamata indifferenza), sembrano liberamente entrare in contatto reciproco e scambiare in questa libertà; si presentano però in questa luce solo a chi astrae dalle condizioni, dalle condizioni di esistenza (e queste sono a loro volta indipendenti dagli individui e, pur essendo generate dalla società, appaiono quasi tutte come condizioni naturali, ossia incontrollabili dagli individui) nelle quali questi individui entrano in contatto. La determinatezza, che nel primo caso appare come una limitazione personale dell'individuo da parte di un altro, nel secondo si presenta sviluppata come una limitazione materiale dell'individuo da parte di rapporti da esso indipendenti e riposanti in se stessi. (Poiché il singolo individuo non può spogliarsi della sua determinatezza personale, ma può benissimo superare rapporti esterni e subordinarli a sé, nel secondo caso la sua libertà sembra maggiore. Un'analisi più precisa di quei rapporti esterni, di quelle condizioni, rivela però l' impossibilità per gli individui di una classe ecc. di superarli in massa senza sopprimerli. Il singolo può casualmente aver ragione di essi; non può invece farlo la massa di coloro che ne sono dominati, giacché il loro puro e semplice sussistere esprime la subordinazione, e la subordinazione necessaria degli individui ai rapporti stessi)
Karl Marx, Grundrisse (edizione Einaudi, pag. 95-96).

Dalla finestra aperta entra aria soleggiata al mattino e tiepida, confortevole, tempo adatto per le filarmoniche a spasso suonanti una mattina mi son svegliato.
Pomeriggio che pioggia, che cielo grigio, che calo della temperatura. Le ghirlande ai monumenti sfiorite da un soffio di vento, le foglie verdi cadute, il silenzio più duro dell'anno che viene.

Da soli non ci si salva, non date retta ai salvati. Ascoltate i sommersi.

giovedì 24 aprile 2014

In occasione del 69° anniversario


L'edificio dove lavoro tiene quotidianamente esposte le bandiere d'Italia e d'Europa.
Oggi pomeriggio, leggendo la suddetta circolare, ho chiesto alla custode come intendesse «imbandierare ulteriormente» l'edificio.
Ella mi ha guardato un po' titubante, poi si è voltata di scatto mostrandomi e movendo ottimamente son derrière. 

Noi speravamo di più ma non è accaduto

Per concludere un agile articoluzzo infrasettimanale, che più che altro è una replica al suo interlocutore, il Supremo Fondatore scrive:
Caro Padoan, facciamo i debiti scongiuri e intanto diciamo insieme evviva la Roma che però sarà seconda. Noi speravamo di più ma non è accaduto.
Leggendo tale chiusa mi si è prefigurato davanti il risolino a denti stretti di Scalfari che mima, allo stesso tempo, un dar di gomito al ministro dell'economia, con quella naturale complicità che viene tra alto borghesi di stampo progressista, che invece di parlar di fica minorenne ai Parioli e come consumarla, parlano di conti pubblici.

È un brutto mondo, questo, somigliante sempre più a una discarica, soprattutto là dove sembra esserci il pulito e una corretta volizione al che le cose vadano per il verso giusto. 
Riguardo a loro, a certi ambienti, a una certa classe sociale le cose vanno ancora per il verso giusto - e infatti li vedi - o li intuisci - bellini pettinati alla televisione a parlare o mentre scrivono nelle loro redazioni, mentre partecipano accorati a risolvere la gravità della situazione offrendo alla pubblica opinione e a chi la “governa” il lor parere illuminato.

Illuminato, sì, quanto quello della dinamo di una Graziella pedalata da un ircocervo di novant'anni.

mercoledì 23 aprile 2014

Matteo Shakespeare

E più mai si creda a cotesti demonii impostori 
che si prendono giuoco di noi con i loro enigmi, 
e promettono alle nostre orecchie 
per poi poter ingannare le nostre speranze...
Macbeth, Atto V, Scena 8

Non è un demone, ma un putto sui quaranta, che si atteggia a fenomeno, ma è un mero pallone gonfiato.
Verrà tempo in cui si diranno che è stato perso tempo - e saranno momenti in cui vorremmo che il tempo diventasse saliva, per sputarglielo in faccia, copioso, a catinelle.

***
ULISSE  Uno strano individuo ha scritto: «L'uomo, per quanto sia dotato, e per cospicue che siano le sue ricchezze, sia all'esterno che nell'intimo, non può vantarsi di aver quel che possiede, né può sentire veramente quel ch'egli ha, se non in modo riflesso, al modo che le sue virtù, risplendendo sopra altrui li scaldano e rinfrangono quindi di bel nuovo il calore su colui che prima l'aveva originato.»
ACHILLE  Ma in questo non c'è alcuna stravaganza, Ulisse. La bellezza che reca dipinta sul volto non è conosciuta da chi possiede, ma si raccomanda invece agli occhi altrui. L'occhio stesso, che è il più puro spirito dei sensi, non si vede, poiché non può uscire da se medesimo. Ma se un occhio si opponga a un altro occhio, si salutano tra loro con la lor propria reciproca forma. Poiché la contemplazione non si rivolge su se stessa se non dopo lungo viaggio, e sol si sposa là dove può riconoscer se stessa. Ma tutto questo non è affatto strano.
ULISSE  Non è la frase ch'io trovo strana o difficile; essa m'è, all'incontro, piuttosto familiare. Ma bizzarra m'è piuttosto la conclusione dell'autore, che nel suo esame dimostra in modo preciso come nessun uomo sia padrone di nulla, per quanta conoscenza sia in lui o per mezzo di lui, fino a quando non comunichi altrui le sue doti. Né egli riesce a farsene un'idea da sé, fino quando non le veda prender forma nel plauso attraverso cui si divulgano, il quale, simile a un arco, riecheggia la voce, ovvero simile ad una porta d'acciaio che fronteggi il sole, riceve e insieme restituisce e la sua immagine e il suo calore.
Troilus and Cressida, Atto III, Scena 3.

Il tentativo estemporaneo che la politica italiana (e non solo la politica) si è data con Renzi è quello di poter credere di andare avanti a colpi di bei fichi per divulgare la stessa voce di sempre: cambiare qualcosina perché niente cambi. Renzi e l'Italia si fanno da specchio per comunicarsi non tanto le doti, quanto i fallimenti.

martedì 22 aprile 2014

Trompe-l'œil

Stasera devo passare di qui a dire qualcosa di falso perché sono stanco di dire sempre la verità nient'altro che la verità. La menzogna è più produttiva, più romantica, garantisce delle soluzioni aperte, mentre la verità costringe a dire sempre il vero, mai il verosimile, l'improbabile, l'incerto, il presumibile, l'immaginario.
E così vi dico che cosa ho immaginato oggi. 
Saranno state le due di pomeriggio più o meno e parcheggio l'auto in una leggera salita di collina accanto a una struttura ospedaliera.
Ho un appuntamento per una visita di controllo (qui potrei entrare nel dettaglio, ma lascio nel vago per non dover esser costretto a esser sincero). 
Scendo dall'auto e, nello stesso momento, passa una donna, bella, dalla faccia stanca, che trasporta a fatica due sporte di plastica colme di spesa. La guardo e lei mi guarda come se stesse per chiedermi qualcosa. Io aspetto questo qualcosa che non esce dalla sua bocca, ma insiste comunque nel guardarmi, anche se non ha fermato il suo lento cammino mentre io mi metto il giubbotto leggero e prendo il borsetto con i miei effetti impersonali.
Chiudo l'auto e mi dirigo per l'appunto nella stessa direzione della donna. La affianco velocemente e la supero ché ho un passo più svelto. Nondimeno mi volto e lei mi sorride e la vedo muovere le labbra come per dirmi qualcosa che non comprendo.

- Dice a me?
- Pensavo che volessi chiedermi qualcosa.
- No, ma se vuole le chiedo se vuole un aiuto a portare le borse.
- Perché vai alla stazione?
- No, vado qui in questa struttura a lato, ho una visita da un dottore.
- Io devo andare a Prato, tu vai a Prato?
- No, l'ho già detto dove vado. Ho un appuntamento. Tra cinque minuti.
- E poi mi porti alla stazione?
- Potrei portarti alla stazione [sono passato al tu anch'io], ma nel caso dovresti aspettarmi perché non so esattamente quanto ci metterò, sai, i dottori, mica sempre sono puntuali.
- Potrei aspettarti un quarto d'ora. Io mi chiamo Leila.
- Potresti aspettarmi un quarto d'ora. Io mi chiamo Luca.
- Ma dopo un quarto d'ora io devo andare perché devo essere a Prato entro una certa ora.
- E certo, che fai, aspetti me? Io non vado a Prato, io potrei casomai portarti alla stazione.
- Mi potresti portare domani alla stazione allora. Io esco dal lavoro sempre a questa ora.
- Sì, ma io non sarò qui a questa ora domani, né dopodomani, forse tra un mese o che ne so, io sono qui quasi per caso, come ti ho incontrata per caso.
- Ma io sono stanca, tanto.
- Si vede: hai una faccia tanto bella quanto stanca.
- Tu sei buono.
- Io non sono buono, è il mio guardarti che mi rende buono. 
- E come mi guardi?
- Non certo come guarderei tuo fratello.
- Non ho fratelli.
- Era un modo di dire.
- Io vado alla fermata dell'autobus che tra poco ce n'è uno che passa e non vorrei perderlo.
- Ci mancherebbe. I dottori tanto non sono mai puntuali.
- Ciao.
- Ciao.

A ognuno il proprio interesse privato

via
«La dissoluzione di tutti i prodotti e di tutte le attività in valori di scambio presuppone sia la dissoluzione di tutti i rigidi rapporti di dipendenza personali (storici) nella produzione, sia l'universale dipendenza reciproca dei produttori. Non solo la produzione di tutti gli altri, ma [anche] la trasformazione del suo prodotto in mezzi di sussistenza per lui stesso è venuta a dipendere dal consumo di tutti gli altri. I prezzi sono antichi, e lo è anche lo scambio; ma sia la determinazione sempre crescente degli uni da parte dei costi di produzione, sia l'affermazione dell'altro su tutti i rapporti di produzione, sono compiutamente sviluppati, e si sviluppano sempre più compiutamente, solo nella società borghese, nella società della libera concorrenza. Ciò che Adam Smith, in pieno accordo con le concezioni dominanti nel XVIII secolo, colloca nel periodo preistorico e fa precedere alla storia, ne è piuttosto il prodotto.
Questa dipendenza reciproca si esprime nella costante necessità dello scambio e nel valore di scambio come mediatore universale. Gli economisti lo esprimono così: ognuno persegue il proprio interesse privato e soltanto il proprio interesse privato; ciò facendo, involontariamente e inconsapevolmente serve gli interessi privati di tutti, gli interessi generali. Il punto saliente di questa affermazione non sta nel fatto che perseguendo ognuno il proprio interesse privato, si realizza la totalità degli interessi privati e dunque l'interesse generale. Da questa frase astratta si potrebbe dedurre piuttosto che ognuno impedisce reciprocamente agli altri di far valere i propri interessi, e che da questo bellum omnium contra omnes risulta anzi una negazione generale. Il punto sta piuttosto nel fatto che l'interesse privato stesso è già un interesse socialmente determinato e può venir raggiunto solo all'interno delle condizioni e di questi mezzi. È sì l'interesse dei privati; ma il suo contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati da condizioni sociali indipendenti da tutti.
La dipendenza reciproca e universale degli individui indifferenti gli uni agli altri costituisce la loro connessione sociale. Questa connessione sociale è espressa nel valore di scambio, ed è soltanto in esso che per ogni individuo la propria attività o il proprio prodotto diviene infine un'attività e un prodotto per esso; l'individuo deve produrre un prodotto universale – il valore di scambio – o, se lo si considera per sé isolatamente e individualizzato, denaro. D'altro canto il potere che ogni individuo esercita sull'attività degli altri o sulle ricchezze sociali, esiste in esso in quanto possessore di valori di scambio, di denaro. Esso porta con sé, in tasca, il proprio potere sociale, così come la sua connessione con la società. L'attività, quale che sia la sua forma fenomenica individuale, e il prodotto dell'attività, quale che sia la sua natura particolare, è il valore di scambio, ossia un'entità universale in cui ogni individualità, particolarità è negata e cancellata. Questa è effettivamente una situazione molto diversa da quella in cui l'individuo, o l'individuo naturalmente o storicamente ampliatosi in famiglia, in tribù (più tardi in comunità), si riproduce direttamente su basi naturali, o in cui la sua attività produttiva e la sua partecipazione alla produzione vengono ad esser assegnate secondo una determinata forma del lavoro e del prodotto, e il suo rapporto con altri è appunto così determinato».

Karl Marx, Grundrisse, edizione Einaudi, “Il capitolo del denaro”, Quaderno I, paragrafi 74-75.

Cioè, io leggo pagine così e, spontaneamente, le getto come vestiti sulla realtà che li indossa incredibilmente bene, meglio che guanti, di più: come fossero una nuova pelle.
È per questo che non la si vede e non la si sente addosso?
Come non accorgersi che mai come oggi ogni connessione sociale è espressa nel valore di scambio?
E se i proletari non hanno un cazzo altro da scambiare che la propria forza lavoro come aricazzo fanno a campare se, per vari motivi, non gliela compra più nessuno? Coi risparmi che si sono fatti, col mutuo che hanno contratto per comprare la casa e che li fa sentire tanto proprietari e borghesi come se avessero un piede a terra a Porto Cervo?
Com'è il mantra liberista? Ognuno persegua il proprio interesse privato! Che frase passepartout, vero? Peccato che quel fabbro ferraio di Marx abbia scoperto il marchingegno:
«l'interesse privato stesso è già un interesse socialmente determinato e può venir raggiunto solo all'interno delle condizioni e di questi mezzi. È sì l'interesse dei privati; ma il suo contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati da condizioni sociali indipendenti da tutti»

Vale a dire - se ho capito bene e se ho capito male ditemelo, grazie - ogni individuo persegue un interesse privato determinato dalle condizioni sociali in cui esso si trova, ed è chiaro che tali condizioni sono a lui indipendenti, quale che sia la sua condizione o di capitalista o di proletario.
In buona sostanza: l'interesse privato che il capitalista persegue cozza logicamente con quello del proletario - ed è per ciò stesso che uno sfrutta e che uno sia sfruttato. Che uno si confermi nella sua ricchezza e l'altro precipiti nella povertà. 
Che bel giochino: si chiama interesse privato ed ognuno è libero perseguirlo, il persecutore e il perseguitato.

lunedì 21 aprile 2014

Per il bimbo che è il pubblico

«Per gli statisti moderni è metodo corrente dire tutte le sciocchezze che il pubblico vuole e metterne in pratica tante da giustificare quello che hanno detto, nella fiducia che quelle sciocchezze, tradotte in pratica, si manifestino per quello che sono, fornendo così l'occasione per ritornare alla saggezza: è il sistema Montessori per il bimbo che è il pubblico. Chi contraddicesse il bimbo dovrebbe lasciare subito il posto ad altri pedagoghi. Elogiare, quindi, la bellezza del fuoco che il bimbo vuole toccare, la musica del giocattolo che va in frantumi; sollecitare, anzi, il bambino a cimentarsi. Ma vigilare, premurosi, in attesa del momento giusto per trarlo dal pericolo, mentre da euforico si fa attento: così devono comportarsi i saggi e benevoli salvatori della società.
[…]
In tutti i casi, il singolo cittadino non ha lo stesso obbligo di un ministro in carica di sacrificare la verità al bene pubblico. Al singolo è concessa la soddisfazione di parlare e di scrivere liberamente. Il che può anche perfino portare un contributo alla congerie di cose che la magia degli statisti riesce ad armonizzare, in modo così meraviglioso, per il nostro bene ultimo.»
John Maynard Keynes, “Il mutamento dell'opinione pubblica” (1921), in Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968.


Ho il sospetto che Keynes, meglio di Nostradamus, prefigurasse Matteo Renzi. Ma anche Mario Seminerio, un singolo al quale «è concessa la soddisfazione di parlare e di scrivere liberamente»*.

*Tuttavia, la critica phastidiosa, pur acuta e preziosa, resta una critica che non lede i principi cardine del sistema economico e produttivo dominante e del correlato politico che lo serve più o meno secondo necessità. In pratica, anche qualora i suggerimenti, gli accorgimenti di Seminerio - e altri economisti di calibro come lui - venissero accolti e recepiti in toto dal governo, i mali del capitalismo resterebbero tali.

domenica 20 aprile 2014

Massar Chef

Prendete una fetta di mortadella alta tre dita (indice, medio, anulare) e privatela dei larderelli bianchi di grasso con estrema precisione, sostituendoli con del riso basmati cotto nel latte di soia transgenica. Successivamente, spalmate sulla fetta di mortadella uno strato di crema di nocciole della Cappadocia sul quale posizionerete delle acciughe sotto sale del mar Cantarbico (senza privarle della lisca, mi raccomando). Spolverateci poi sopra una grattata di Parmigiano Reggiano stagionato 30 mesi e dell'estratto secco di valeriana per assopire il tutto.

Fatto questo, provvedete ad arrotolare la fetta di mortadella così farcita che legherete con della rete d'agnello. Una volta ottenuto l'involtino, inseritelo all'interno di un branzino capace di contenerlo. Adagiate il tutto su una teglia, salate, pepate, aggiungete un filo d'olio di sansa d'oliva e mezzo bicchiere di kambusa l'amaricante. Cuocete in forno preriscaldato e ventilato a 190° per 19 minuti. Buon appetito.

Risorgere

A grande richiesta, la mia, nel senso che ogni Pasqua questa poesia mi torna in mente.

È la Pasqua, la Pasqua, la Pasqua!
Corro in bagno, riempio la vasca,
perché al suono di tante campane
la mia anima puzza di cane.

Toti Scialoja, La mela di Amleto, Garzanti, Milano 1984

Stanotte ho sognato che il nostro cane era morto e che, dopo aver scavato una buca, lo seppellivamo in giardino.
Stamani ho aperto la persiana e il cane è arrivato subito, dietro la porta a vetri, in attesa del suo consueto biscotto.
Gliene ho lanciati tre.

sabato 19 aprile 2014

Il problema economico


L' 8 novembre 1931, nella Prefazione al suo Essays in Persuasion, John Maynard Keynes scriveva:

« L'autore guarda ad un futuro più lontano e medita su questioni che, per realizzarsi, abbisognano di una lenta evoluzione. Può concedersi la libertà di perdere tempo e di filosofeggiare. E qui emerge, con maggiore chiarezza, quella che in sostanza è la sua tesi costante: la profonda convinzione che il “problema economico”, come possiamo definirlo per brevità, il problema del bisogno e della miseria, e la lotta economica fra classi e paesi, non è che un terribile pasticcio, un pasticcio contingente e non necessario. Infatti, il mondo occidentale dispone già delle risorse, ove sapesse creare l'organizzazione per utilizzarle, capaci di relegare in una posizione di secondaria importanza il “problema economico” che assorbe oggi le nostre energie morali e materiali.
Pertanto, l'autore di questi saggi, dopo tutte le sue nere previsioni, spera ancora e crede che non sia lontano il giorno in cui il “problema economico” occuperà quel posto di ultima fila che gli spetta, mentre nell'arena dei sentimenti e delle idee saranno, o saranno di nuovo, protagonisti i nostri problemi reali: i problemi della vita e dei rapporti umani, della creazione, del comportamento, della religione. E si dà il caso che esista una sottile ragione, tratta dall'analisi economica, per la quale la mia fede possa essere ben riposta. Se, infatti, persistiamo nell'operare coerentemente secondo ipotesi pessimistiche, rischiamo di chiuderci per sempre nel pozzo del bisogno. »
J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968 (traduzione di Silvia Boba).

Da allora, dal 1931 (anno di nascita di mia madre) sono trascorsi ottantatre anni. Una guerra mondiale nel mezzo e tutto il resto di Storia verificatosi sino ad oggi. Abbiamo scoperto che il problema economico non è un pasticcio contingente, bensì permanente e necessario «che assorbe [ancor] oggi le nostre energie morali e materiali».
È forse questo che impedisce o rende aleatorio occuparsi di quelli che Keynes chiama «i nostri problemi reali», giacché essi sono in primo luogo problemi di natura economica. Per superare questa impasse in cui, oggettivamente, l'umanità si trova bisogna recuperare, a mio avviso, una certa contezza, ovverosia che il sistema economico che domina il pianeta e al quale, oramai, quasi tutte le società si sono votate (o sacrificate), non è l'unico possibile e immaginabile, soprattutto: non è un sistema imposto dalla necessità, ma da determinati rapporti di classe tra chi domina e chi è dominato.
Chi oggi può serenamente occuparsi della vita, dei rapporti umani, della creazione (!), del comportamento, della religione (aggiungiamo: della cultura) prescindendo dal fatto che l'umanità è nettamente divisa tra una ristretta cerchia di pezzi di merda che vivono al pari di semidèi e una sterminata massa di diseredatati che più o meno vivicchiano o sopravvivono a servizio e gloria del capitale?
Almeno una volta gli dèi si potevano bestemmiare, o beffare; e se scendevano dal cielo talvolta capitava che qualche terrestre osasse metter loro le mani addosso. Oggi niente di tutto questo. Ogni critica, meglio e soprattutto: la critica all'economia politica è considerata tal quale un'eresia e bruciata sul rogo dell'inattualità.*

*Inattuale un cazzo. L'unico modo per resistere oggi è rileggere Marx e tenere duro, perché mi sembra l'unica maniera per resistere razionalmente e non farsi prendere per il culo.

venerdì 18 aprile 2014

In God We Trust


Papa Francesco: «Il vero nemico di Dio non è Satana ma il denaro»


Oh, Dio, come desidererei avere la stampa dello scontrino.

Una zazzera centroeuropea

« Gli Entretiens si sono ridotti in sostanza a un dialogo fra l’esistenzialista Karl Jaspers e il marxista Lukács György. Jaspers è popolarissimo in Europa, Lukács infinitamente meno. Personalmente, io cedevo un poco all’influsso della rappresentazione mitica che me n’aveva fornita l’amico Theophil Spoerri, assiduo ed entusiastico frequentatore dell’unico esemplare del capolavoro di Lukács che figuri in una biblioteca pubblica svizzera. Quando codesta opera, su marxismo e coscienza di classe, fu giudicata eterodossa dalle supreme istanze del partito, Lukács si sottomise alla condanna e sottrasse alla circolazione quante più copie gli fu possibile, tanto che il libro è diventato una rarità: dimostrando per tal modo di non essere soltanto, teoreticamente, la testa più forte del marxismo, ma, nei fatti, un fedele senza riserve. E si capisce come, esule in Russia dopo la disfatta del regime Bela Kun in cui era stato sottosegretario, vi abbia esercitato funzioni direttive della propaganda; e come da poco sia tornato in Ungheria, quale professore di estetica (forse noi gli avremmo preferito un’altra cattedra, ma non più “utile”) all’università di Budapest. Mentre Jaspers, gentiluomo altissimo, esile, pallido e canuto, figurino impeccabile in nero o in grigio, possedeva il capitale d’un volto amabile a priori all’uditorio e lasciava visibilmente trasparire sotto l’eleganza letteraria la nobiltà d’una gradevole personalità morale, il piccolo Lukács, col suo volto di asceta magro e duro, con la bocca larghissima e piatta, gli occhiali ampî, la zazzera centroeuropea appena contenuta e un vestitino color senape, di sé offriva crudelmente sempre e soltanto la lama. Con ciò, non so su quanti ascoltatori potesse contare disposti a provare, non dirò attrattiva, ma addirittura simpatia, verso lo spettacolo dell’intelligenza pura, intendo anche scevra d’ogni altra qualità umana. Comunque, c’era chi scrive, affetto di codesta infrenabile debolezza. S’aggiunga che non è diffusa la sensibilità al rigore del ragionamento. Il discorso di Jaspers era benissimo composto e sistematico, ma si può dubitare che un’interiore coerenza e necessità speculativa legasse alle premesse esistenzialistiche i corollari di fraternità universale e di vago liberalismo (Jaspers s’inibiva ogni preciso esame politico) che egli offriva come coronamento della sua etica. (Poiché a un filosofo non chiederemo né di condurre né di predicare una vita irreprensibile, ma di produrre una morale teoreticamente soddisfacente). La chiusura era invece totale dalla parte di Lukács, fra l’elogio del razionalismo cartesiano, illuministico e hegeliano e il riscontro di simile tradizione nella sola società organizzata se non altro come germe di democrazia reale e non formale, o addirittura la ricorrente applicazione della formula d’alleanza del ’41 fra i due generi di democrazie. Lukács, voglio dire l’intelligenza di Lukács, è stato il trionfatore ideale di questa corrida filosofica, e con lui qualche marxista francese passabilmente eterodosso, da buon intellettuale; o diciamo che, sia pure per l’interposta persona dei marxisti, ha trionfato Hegel. Si potrà deplorare la lacuna aperta fra le due concezioni, l’assenza della “terza” voce, per esempio del hegelismo liberale, il silenzio del pensiero italiano¹; ma i fatti son questi. »

Gianfranco Contini, Dove va la cultura europea?, Quodlibet, Macerata 2012

¹Alla Fiera letteraria Rencontre Internationales svoltasi a Ginevra nel 1946 era stato invitato anche Benedetto Croce, il quale non partecipò. Contini, innanzi a quanto sopra trascritto, testimonia uno spassoso perché:
«Quanto a Croce, anche lui preannunciato, e che poi mise innanzi impedimenti fisici, era facile prevedere ch’egli pure paventasse un’anfizionìa radicaleggiante, alla Guglielmo Ferrero; ma mi hanno autorevolmente assicurato ch’egli fu soprattutto sensibile alla minaccia d’una calata di Sartre: «E allora che ci andiamo a fare?», badava a ripetere.»

Sorgiva

Da un po' di tempo a questa parte mi piace riscrivere Marx. Questo perché, leggendolo, m'imbatto in passi che mi sembrano sorgenti di acqua calda, benefica, che mi viene spontaneo rimettere in circolo (la circonferenza di una cruna di un ago) ché altri ci possano mettere i piedi e la mente e provare ristoro - come provo io - o irritazione - come proveranno coloro che hanno Marx a noia.

« Quanto più la produzione si configura in modo tale che ogni produttore viene a dipendere dal valore di scambio della sua merce, ossia quanto più il prodotto diviene realmente valore di scambio, e il valore di scambio diviene oggetto immediato della produzione, tanto più devono svilupparsi dei rapporti di denaro e le contraddizioni che sono immanenti al rapporto di denaro, al rapporto del prodotto con se stesso in quanto denaro. L'esigenza dello scambio e la trasformazione del prodotto in puro valore di scambio procedono di pari passo con la divisione del lavoro, vale a dire con il carattere sociale della produzione. Ma nella stessa misura in cui quest'ultimo si sviluppa, si sviluppa il potere del denaro, il rapporto di scambio si afferma cioè come potenza esterna ai produttori e da essi indipendente. Ciò che originariamente appariva come un mezzo per promuovere la produzione, diviene un rapporto estraneo ai produttori. Nella stessa misura in cui i produttori vengono a dipendere dallo scambio, lo scambio sembra divenire indipendente da essi, e sembra crescere il baratro tra il prodotto in quanto prodotto e il prodotto in quanto valore di scambio. Non è il denaro che genera queste antitesi e contraddizioni; è invece lo sviluppo di queste contraddizioni e antitesi che genera la potenza apparentemente trascendentale del denaro. »

Karl Marx, Grundrisse, Quaderno I, “Il capitolo del denaro”, 64-37, 65-11. Edizione Einaudi.

Il brano testé ricopiato, oltre a spiegare le ragioni di fondo della sovrapproduzione fa, conseguentemente, intuire il perché del puttanaio economico che stiamo vivendo, ivi compresa la spaventosa produzione di spazzatura.
Riguardo a quest'ultima, credo che la responsabilità del singolo abbia un certo peso - eziandio ben calcolato dai sostenitori della decrescita felice - sulla produzione esponenziale di rifiuti; nondimeno, è ovvio che la responsabilità individuale, pur grande che sia, è e sarà sempre poca cosa di fronte alla responsabilità di un sistema economico strutturalmente irriformabile in cui ogni produttore dipende dal valore di scambio.

Ciò detto, seppur senza entusiasmo, continuerò a fare raccolta differenziata, anche se in un certo qual modo avverto che le discariche a cielo aperto e cielo chiuso hanno, in sé, qualcosa di rivoluzionario.

mercoledì 16 aprile 2014

Sive gallus, mulier et blogger

«Post coitum omne animal triste est sive gallus et mulier». 
Detto attribuito a Galeno da Alfred C. Kinsey, Sexual Behavior in the Human Femal 

Ecco, tento le dieci righe, garanti di essere passato di qui a esprimere la mia quota d'essere. 
- Che tedio. 
- Il problema è tutto mio, grazie, me lo tengo. 
- Non è un problema, è un sollazzo, proprio il contrario di quanto riportato in esergo. Dopo il post io mi sento meno triste, un po' meno, perlomeno, di quanto lo sia post coitum.
- Dipende con chi il coito.
- Indipendentemente da chi.
- Dipende e basta.
- Non è del coito che voglio parlare.
- Di cosa vuoi parlare (parare)?
- Parlare del fatto che spesso penso che questo specchio bianco su cui scrivo sia appannato e non so dove andare a parare.
- Non mi è mai piaciuto giocare in porta, ne pago ancora le conseguenze.
- Passa una mano sullo specchio.
- Ci restano le impronte.
- Il
- Non esiste, esisti Te.
- Forse avrò detto già tutto.
- Questo è indubbio; s'era capito da subito chi eri, pochi misteri nascondevi. Ti sei gettato.
- Pubblicato.
- Soprattutto di notte, l'ora migliore per chi si dà via a gratis.

*

martedì 15 aprile 2014

Con la leva della circolazione non alzerete un cazzo


A coloro i quali ritengono, persuasi dalle soluzioni “facili” proposte dai cosiddetti teorici o guru antisistema [*], che l'uscita dell'Euro dell'Italia sia la panacea ai guai economici e finanziari che affliggono il nostro Paese, suggerisco, pacatamente, la seguente lettura tratta dai Grundrisse

« È possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione ad essi corrispondenti mediante una trasformazione dello strumento di circolazione — trasformando cioè l’organizzazione della circolazione? Inoltre: è possibile intraprendere una simile trasformazione della circolazione senza toccare gli attuali rapporti di produzione e i rapporti sociali che poggiano su di essi? Se ogni trasformazione in tal senso della circolazione stessa presupponesse a sua volta trasformazioni delle altre condizioni di produzione e rivolgimenti sociali, crollerebbe naturalmente a priori questa dottrina, le cui artificiose proposte in materia di circolazione mirano da un lato ad evitare il carattere violento delle trasformazioni, dall’altro a fare di queste trasformazioni stesse non un presupposto, ma viceversa un risultato graduale della trasformazione della circolazione. Basterebbe la falsità di questa premessa fondamentale a dimostrare l’uguale fraintendimento della connessione interna dei rapporti produzione, di distribuzione e di circolazione. L’esempio storico precedentemente addotto non può naturalmente decidere, dal momento che i moderni istituti di credito sono stati ad un tempo sia effetto che causa della concentrazione del capitale, costituendone soltanto un momento, e che la concentrazione del capitale è accelerata sia da una circolazione difettosa (come nell’antica Roma) sia da una circolazione scorrevole. Occorrerebbe inoltre indagare — o piuttosto rientrerebbe nel problema generale, — se le diverse forme civilizzate del denaro — moneta metallica, carta-moneta, moneta di credito, denaro-lavoro (quest’ultimo come forma socialista) — possono raggiungere ciò che da esse si pretende senza sopprimere lo stesso rapporto di produzione espresso nella categoria denaro, e se in tal caso, d’altra parte, non è di nuovo una pretesa autodistruttiva quella di voler prescindere, attraverso la trasformazione formale di un rapporto, dalle condizioni essenziali del medesimo. Le varie forme del denaro possono anche corrispondere meglio alla produzione sociale a vari livelli; e l’una può eliminare inconvenienti per i quali l’altra non è matura; ma nessuna, finché esse rimangono forme del denaro, e finché il denaro rimane un rapporto di produzione essenziale, può togliere le contraddizioni inerenti al rapporto del denaro: può soltanto rappresentarle in una forma o nell’altra. Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Una leva può vincere meglio di un’altra la resistenza della materia inerte. Ma ognuna si basa sul fatto che la resistenza rimane. »
Karl Marx, Grundrisse (stasera ho tratto il brano dal sito Criticamente, cap. 2 Il denaro, pag. 8)

[*]
Tali economisti appaiono antisistema, ma sono a esso consustanziali in quanto si prefiggono soltanto di consolidare «gli attuali rapporti di produzione e i rapporti sociali che poggiano su di essi». Per questo motivo, nonostante usino spesso, a sproposito, il termine rivoluzione, il loro è soltanto un mero lavoro di restaurazione e consolidamento dell'attuale sistema di potere. In breve, a mio avviso, più che economisti sono ingegneri che preparano una via di fuga, un piano bis, un'uscita di sicurezza riservata a coloro che occupano i posti di prima classe.

Catene alimentari

Mi sono svegliato, ho aperto le persiane e, davanti alla porta finestra, c'erano alcuni lombrichi secchi. Ho pensato: ma siamo sicuri che per fare certi mestieri ci vogliano veramente una laurea e un curricolo?
O piuttosto una precisa appartenenza di classe?
Ho preso quindi la scopa e ho spazzato, nel prato, i suddetti lombrichi. Spero tanto passino i merli.

lunedì 14 aprile 2014

Dita


«I loro discorsi, di solito, riguardavano gli anni durante i quali s'erano frequentati. Lui le ricordava particolari irrilevanti, il colore della sua veste quella certa volta, chi era venuto quel dato giorno, ciò che lei aveva detto in un'altra occasione; e lei, tutta meravigliata, rispondeva:
- Sì, mi ricordo.
I loro gusti, i loro giudizi erano identici. Sovente, quello che stava ascoltando esclamava:
- Anch'io!
Erano, poi, interminabili lagnanze contro la Provvidenza:
- Se il cielo avesse voluto... Se ci fossimo incontrati...
- Ah, fossi stata più giovane!
- No: io di poco più vecchio.
E s'immaginavano una vita d'amore e basta, tanto feconda da colmare qualsiasi solitudine, forte più d'ogni gioia, al di sopra di tutte le miserie, dove il tempo si sarebbe dissolto in una perpetua espansione di se stessi; una vita alta e rilucente come un palpitare di stelle.
Stavano quasi sempre fuori, in cima alla scalinata; le fronde degli alberi toccate dal giallo dell'autunno si gonfiavano ineguali davanti a loro fino alla pallida estremità del cielo. Qualche volta raggiungevano, alla fine del viale, un padiglione il cui unico mobilio era un canapè di stoffa grigia. Macchie nere invadevano lo specchio, le pareti sentivano di muffa; ma loro restavano là rapiti a parlar di se stessi, degli altri, di non importa cosa. A volte, attraversando le gelosie, i raggi di sole si fissavano tra il soffitto e il pavimento come le corde d'una lira, e il pulviscolo si metteva a turbinare in quella gabbia di luce. Lei si divertiva a fenderla con la mano; lui se ne impadroniva dolcemente e contemplava l'intreccio delicato delle vene, i piccoli nei della pelle, la forma delle dita. Più che una cosa, ogni dito di lei era, per Federico, quasi una persona.»

Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, (1869), edizione Garzanti, Milano 1966, traduzione di Giovanni Raboni.

Quando ero innamorato prendevo sovente la mano dell'amata, la tenevo, giocavo con le dita dopo aver ripetuto la filastrocca mano, mano piazza, la baciavo, la premevo piano tra il mio orecchio e la mandibola, chiudevo gli occhi e speravo che essa, poco dopo, da lì scendesse e risolvesse la questione trovando il mio desiderio.
Ciò nonostante, non avevo mai pensato di personificare ogni dito.
Forse perché non avevo letto questo passo di Flaubert o forse perché ero giovane e non avevo ancora scoperto i benefici del massaggio prostatico?

domenica 13 aprile 2014

Ritorna a casa, made in Italy

«L'aumento assoluto del capitale non [è] accompagnato da un corrispondente aumento della domanda generale di lavoro»[*] K. Marx


La Repubblica, con un articolo di Maurizio Ricci, saluta oggi con favore il “rientro” in Italia di numerose («un'ottantina») aziende italiane che avevano delocalizzato la produzione all'estero.
Buona notizia - uno si dice sul momento - càpita proprio a fagiolo per dar conforto al governo Renzi.
E così si va a leggere l'articolo speranzosi che tal fenomeno semi-strutturale contribuisca a “creare” occupazione.
Macché


«L'effetto netto sull'occupazione è che i posti di lavoro che si recuperano non sono uguali, né per quantità, né per professionalità, a quelli che si erano persi originariamente con la delocalizzazione».

Praticamente, siamo in presenza di uno dei classici trucchetti che il capitalismo escogita per resistere al fallimento suo prossimo venturo (preciso che essere falliti non vuol dire essere finiti), come preconizzato dalla legge marxiana della caduta tendenziale del saggio del profitto.
Se si aumenta l'investimento di capitale costante (in questo caso i robot) a scapito del capitale variabile (forza-lavoro)¹, ciò porterà i suoi frutti soltanto nel breve-medio termine, giusto il tempo di far sì che la concorrenza inferocita corra ai ripari, i profitti si azzereranno e il mercato - in questo caso le donne di fascia media del nord-Europa² - non sarà nuovamente saturo.
Inoltre, sia detto per inciso, di fronte a una drastica diminuzione globale dell'occupazione, quelle migliaia di lavoratori extracomunitari che facevano ”6/7 operazioni ripetitive”, se non troveranno altri sfruttatori occidentali, andranno a occupare oltremisura la massa di reclute dell'esercito industriale di riserva «che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest'ultimo l'avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione»³.

A leggere Marx queste cose le ho imparate anch'io - e sono contento, perché mi sembrano solari, palmari, a meno che non si rifiutino a priori - come gli inquisitori rifiutavano, all'epoca di Galileo, la teoria eliocentrica.

Bene, ammettiamo, per un attimo e per assurdo, che il succitato Ricci, estensore dell'articolo, avesse seminato in esso i miei stessi dubbi circa la natura dell'operazione ritorno a casa del made in Italy.
Beh, sono pronto a scommettere cento euro che la redazione (o forse il direttore in persona) l'avrebbe esonerato dall'occuparsi di economia.
Piuttosto dell'aceto di lamponi, come Licia Granello (la quale, una domenica ventura, ci illustrerà le virtù del guano).

¹ «La popolazione operaia produce in misura crescente, mediante l'accumulazione del capitale da essa stessa prodotta, i mezzi per render se stessa relativamente eccedente». K. Marx, Il Capitale, Libro I, sez. VII, cap. 23, paragrafo 3 (pag. 777 non televideo ma edizione Einaudi)
² Ogni capitalista si prefigura un preciso target di mercato. Nel caso specifico: per quanto tempo le donne nordeuropee di fascia media potranno garantire profitti alla suddetta azienda? Finché avranno un'occupazione e un salario. Quindi, se da una parte si alleva un esercito industriale di riserva, dall'altra vanno allevati un cospicuo numero di fortunati consumatori (ma mi sa che che 80€ non basteranno).
³ Ai nuovi malthusiani (tipo Giovanni Sartori o l'amico blogger Massimo al quale suggerisco vivamente la lettura del capitolo indicato del Capitale) che dicono che siamo troppi su questo pianeta e bisogna controllare le nascite, sarebbe facile replicare che bisognerebbe, invece, controllare il capitalismo. Ma dato che esso, ovviamente, è indomabile, preferisco dire, con Marx, che «una legge astratta della popolazione esiste soltanto per le piante e gli animali nella misura in cui l'uomo non interviene portandovi la storia». In altri termini, è proprio il modo di produzione storico particolare del capitalismo a determinare l'aumento esponenziale della popolazione umana e, piaccia o non piaccia, per porre un freno a tale fenomeno - per citare il celeberrimo motto di Rosa Luxemburg - o sarà il socialismo o sarà la barbarie intesa come catastrofe 2.0.
[*] pag. 788

sabato 12 aprile 2014

Prodotto interno tordo

Tra li tanti modelli di esistenze messi a disposizione dal mercato dell'essere, ne ho tratto uno dallo scaffale proletario aspirante piccolo-borghese, l'unico alla portata delle mie tasche, pagabile comodamente in x rate, tante quante sono quelle da pagare per la sussistenza.
E infatti vivo e per farlo, nell'ordine, respiro, bevo, mangio, espleto funzioni fisiologiche, dormo, lavoro, cazzeggio, prendo il sole e anche la pioggia, il vento e il raffreddore, quindi starnuto, smadonno, mi asciugo i capelli dopo la doccia, mi eccito e quindi esercito alcune funzioni che sarebbero destinate alla riproduzione anche se - due volte a parte - ho sempre commesso atti impuri (e dire che tra i sedici e i diciassette usavo le agende in similpelle donate dalla cassa di risparmio per ricordarmi ogni giorno quante volte figliolo. Poi ho smesso).
Se oltre al salone dell'auto e al salone del mobile ci fosse pure il salone dell'umano, io potrei espormi in maniera più accurata di quanto faccia, quotidianamente, su queste pagine. Potrei, per esempio, ingaggiare un promoter, un visagista, un personal trainer, un vetrinista, qualcuno che, insomma, aiuti a vendere meglio il mio prodotto, sì ch'io entri nel circolo magico della distribuzione, dello scambio e del consumo. Tutto sta partire, trovare i canali giusti, dato che, presumo, una volta assaggiato, la gente tornerà a comprarmi - ma cosa comprerà se io mi sono già venduto? 
In altri termini: come autoriproduco il mio prodotto? Dove trovo la materia prima per rifarmi, ripropormi in serie? 
Niente da fare, meglio che non m'illuda: non sono in grado di far di me un capitalista, dacché se uno non è capace di sfruttare se stesso, figuriamoci gli altri.

venerdì 11 aprile 2014

Parlarti nella terrena

Volevo, Eugenio, prendere una tua poesia
dei tuoi versi buttati giù a forma di diario
poi mi sono riguardato mentre
mi passavo il filo interdentale
in un rapporto intimo, confidenziale
con le mie gengive.

Volevo prenderla perché
la tua voce, a sera, mi consola
m'intona un ritmo dentro al cuore
mi riporta
sui banchi di quella che non era
la scuola, era la vita
di uno che giovane cercava
un maestro che gli dettasse il giusto
il bello, la nota dissonante che lo
portasse in alto senza bisogno di ali.

E come fu gradevole rubare i tuoi Ossi
in una cartolibreria di provincia
la copertina rotta fu il movente
a compiere quel furto, a commettere
un reato per il quale il tribunale
dei poeti prevede soltanto
una pena accessoria.

Per tale reato, infatti, non c'è stata altra
condanna che quella di cadere
nella prigione del disincanto, dello sguardo
che si posa sulle cose che passano
sapendo che niente dura, che tutto
presto si trasformerà nel fioco
ronzio dell'universo. Eppure
se da qualche parte, con qualche marchingegno
la tua voce un giorno sarà captata
scopriranno come
gli umani sapevano usare le parole
per scopi che non avevano scopo
se non quello della consolazione.

Mi sarebbe tanto piaciuto darti la mano
e non potendo la alzo adesso con un gesto
che osa mòverla a segno di saluto.

E tuttavia...

«Non ho molta fiducia d'incontrarti
nella vita eterna.
Era già problematico parlarti
nella terrena.
La colpa è del sistema
delle comunicazioni.
Se ne scoprono molte ma non quella
che farebbe ridicole nonché inutili
le altre.»

E. M., Poesie disperse.

Il giro del mondo in ottanta euro

«Per un hegeliano nulla è più semplice del porre come identici la produzione e il consumo. E ciò è stato fatto non solo da letterati socialisti, ma anche da economisti prosaici […] Considerare la società come un unico soggetto significa per giunta considerarla in modo errato, speculativo. Nel caso di un soggetto, produzione e consumo appaiono come momenti di un unico atto. L'importante qui è soltanto mettere in evidenza che, se si considerano la produzione e il consumo come attività di un soggetto o di molti individui, essi appaiono in ogni caso come momenti di un processo nel quale la produzione è il reale punto di avvio e quindi anche il momento predominante. Il consumo in quanto necessità, in quanto bisogno, è esso stesso un momento interno all'attività produttiva. Ma quest’ultima è il punto di avvio della realizzazione e quindi anche il suo momento predominante, l'atto nel quale si risolve di nuovo l'intero processo. L'individuo produce un oggetto e consumandolo ritorna in sé, ma come individuo produttivo e che riproduce se stesso. Il consumo si presenta quindi come momento della produzione.»

Karl Marx, Grundrisse, Einaudi*, Torino 1976 (a cura di Giorgio Backhaus, Vol. 1, pag. 17).

Appunto di lettura tra parentesi quadra
[ E dato che la capacità produttiva mondiale è tremendamente superiore alla disponibilità di consumo, ottanta euro non basterebbero a rilanciare l'economia neanche se Renzi li desse a tutti i cittadini d'Europa, ma che dico d'Europa: a tutti gli umani der monno infame. ]

Chiedo venia se interpreto a cazzo di budda tale passaggio, ma sapeste quanto è bello leggere Marx.
Il paragrafo che segue poi, intitolato, Distribuzione e produzione, fa cogliere aspetti della vicenda politica ed economica che viene spontaneo domandarsi: ma perché l'umanità si priva di un simile sapere?
Ripeto cose che ho già scritto altre volte: privarsi delle scoperte marxiane in fatto delle leggi economiche che regolano il sistema capitalistico, è come se ci si privasse ancora della scoperta della teoria dell'evoluzione in campo medico-scientifico.
Sarò ingenuo, ragionerò fallacemente, tuttavia io penso questo: per il fatto stesso che quel pezzo di merda di Hitler ebbe interpretare la selezione della razza in modo paranoico, la selezione naturale è per ciò stesso invalida? E, parimenti, per il fatto stesso che quell'altro pezzo di merda di Stalin (o di altri despoti del socialismo reale) ebbe(ro) a utilizzare la lotta di classe in modo anch'esso perverso e paranoico, perché relegare Marx (ed Engels) dentro gli aridi cofanetti della storia della filosofia, alla stessa stregua delle altre pensate celebri non più attuali?
Marx è straordinariamente attuale.
«Una concezione tradizionale vuole che in certi periodi si sia vissuto esclusivamente di rapina. Ma per potersi dedicare alla rapina deve esserci qualcosa da rapinare, e quindi produzione. E il genere di rapina è a sua volta determinato dal genere di produzione. Una nazione di speculatori di borsa, ad esempio, non può esser rapinata allo stesso modo di una nazione di vaccari» K. Marx, Id, pag. 22
Oggi al popolo parlano gli economisti postmoderni, quelli che sanno tutto, che ragionano correttamente ma all'interno di una visione economica paragonabile a quella tolemaica per l'astronomia.
Tengono fuori Marx dalle loro argomentazioni perché i loro discorsi si rivelerebbero per quello che sono: discorsi di classe, che favoriscono una classe, quella padronale.

E vabbè: andiamo a lavorare, va', visto che oggi i Cobas avrebbero programmato uno sciopero.

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Ho capito che i finanziamenti da Mosca non arrivano più, arrivano da Arcore, tuttavia, porcaccia della miseriaccia infame, quando cazzo ristampano i Grundrisse e Il Capitale?

OT
Berlusconi sarebbe meglio obbligarlo a passare mezza giornata alla settimana alla Biblioteca Nazionale di Roma o di Firenze a catalogare tutte le stronzate che Mondadori ed Einaudi pubblicano a iosa.