domenica 31 maggio 2015

Lo Stato è...

... «un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'ordine; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato.»
[...]
«Per mantenere questo potere pubblico sono necessari i contributi dei cittadini: le imposte. Esse erano completamente ignote alla società gentilizia. Ma noi oggi le conosciamo fin troppo bene. Col progredire della civiltà, anche le imposte non bastano più; lo Stato firma cambiali per il futuro, ricorre a prestiti, a debiti pubblici. E anche di questo la vecchia Europa ne sa qualcosa.
In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, i funzionari appaiono ora come organi della società al di sopra della società. La libera, volontaria stima che veniva tributata agli organi della costituzione gentilizia non basta loro, anche se potessero riscuoterla; depositari di un potere che li estrania dalla società, essi devono farsi rispettare con leggi eccezionali in forza delle quali godono di uno speciale carattere sacro e inviolabile. Il più misero poliziotto dello Stato dell'epoca civile ha più autorità di tutti gli organi della società gentilizia presi insieme, ma il principe più potente, e il maggiore statista o generale dell'età civile possono invidiare all'ultimo capo gentilizio la stima spontanea e incontestata che gli viene tributata. L'uno sta proprio in mezzo alla società, l'altro è costretto a voler rappresentare qualcosa al di fuori e al di sopra di essa.
Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressoché eguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe. Così la monarchia assoluta dei secoli XVII e XVIII che mantenne l'equilibrio tra nobiltà e borghesia; così il bonapartismo del primo e specialmente del seconde impero francese che si valse del proletariato contro la borghesia e della borghesia contro il proletariato. »


Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884

Il presente brano sia la premessa necessaria per capire quel che sta accadendo in Grecia e quel che probabilmente accadrà in Italia. Ne riparliamo.

sabato 30 maggio 2015

Per favorire la mobilità sociale

«Piketty da Trento ha anche dato la 'ricetta' per favorire la mobilità sociale in Europa: investire di più in formazione per i giovani, permettere la meritocrazia, affinché non siano sempre e solo i figli delle élite ad accedere alle università eccellenti, applicare una tassazione forte e uguale in tutta l'eurozona per le multinazionali, evitando di imporre pesi fiscali alle piccole medie imprese, abolire i paradisi fiscali e l'opacità finanziaria che permette a Paesi come la Svizzera di usare le fasce contributive di loro vicini.»

Oggi pomeriggio, munito della ricetta del dottor Piketty, sono andato in farmacia a prendere le medicine «per favorire la mobilità sociale in Europa».
Ne sono uscito con lattulosio, solfato di magnesio e un enteroclisma.

Qualcosa ha cominciato a muoversi, in Europa.

venerdì 29 maggio 2015

Una pigrizia generale

via
La politica che un paese esprime è il riflesso condizionato di quello che esprime il popolo di quel paese. Nella fattispecie, il popolo italiano che cosa esprime? A parte il sempiterno mugugno da malcontento, il desiderio politico degli italiani non è quello di una società più giusta, equa, prospera e solidale, ma è quello di veder soddisfatto il proprio interesse particolare, relegando l'interesse generale ai discorsi ufficiali che le massime autorità dello Stato tengono nelle varie occasioni comandate – e niente è più vacuo, inutile, disatteso di un discorso presidenziale.
Che cosa c'è alla base della nostra attesa politica? Avere una casa, un'auto, in breve: avere accesso ai beni di consumo per avere i quali occorre, per la stragrande maggioranza degli individui, vendere a ore la propria forza lavoro.
Quindi, si lavora principalmente per sussistere.

Se non c'è alcun progetto politico che azzardi a immaginare un tipo di società diversa da quella della sussistenza, è perché fondamentalmente il popolo non ha altra mira, altra ambizione che quella di veder soddisfatti, più o meno decentemente, i propri bisogni primari e, quando è grassa, anche alcuni secondari, per esempio quelli ricreativi, che vedranno domani tante famiglie allegramente andare a trascorrere brevi vacanze repubblicane fuori porta.

Siano giorni lieti per tutti, soprattutto se serviranno per non andare a votare.

« Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi dei prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione.
Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale.
Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non c'è più lavoro salariato.» K.Marx-F.Engels


giovedì 28 maggio 2015

Il Mar delle Blatter

Sono costretto ad arrendermi stasera, mani in alto, culo in basso, tiro fuori il materasso. Eppure medito, ma cosa medito? Sulla fifa. Ne ho vista una, stamani, in coda presso un ambulatorio, a parlarmi dei suoi problemi ai legamenti nonostante i pantaloni aderenti e il top a balconcino che a stento tratteneva il ricordo di probabili svezzamenti. Della fifa, ho detto. Va bene.
Mi ricordo, ai tempi in cui un paio di volte all'anno passavo per Visp, cittadina di merda nel Vallese, in cui ero costretto a passarci se dal Vaud volevo raggiungere il Sempione, ai tavolini di un bar all'aperto lungo la strada, la stessa strada in cui trovavo sempre una coda interminabile, era estate, ricordo che vidi Blatter, o quella che sembrava una sua controfigura, sorseggiare un caffè lungo, di quelle brodaglie scure made in Switzerland. Era vispo. A un certo punto alzò la mano per chiedere il conto. Il cameriere si presentò immediatamente innanzi e gli chiese se voleva pagare in contanti o con la carta di credito. Lui sorrise e intonò:

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe...

Il cameriere, i cui genitori erano di Viterbo, sorrise e disse che la sua squadra era la Lazio. Non era vispo.

mercoledì 27 maggio 2015

Ogni uomo è due uomini

« Immaginarono che ogni uomo è due uomini e che il vero è l'altro, quello che sta in cielo. Immaginarono anche che i nostri atti gettino un riflesso invertito, di modo che se noi vegliamo, l'altro dorme, se noi fornichiamo, l'altro è casto, se rubiamo, l'altro dà del suo. Morti, ci uniremo a lui e saremo lui. »
Jorge Luis Borges, “I teologi”, in L'Aleph.


I miei due uomini stanno in terra e, vivendo, uniti e separati, cercano di venire a patti con le condizioni materiali in cui sono precipitati e, parimenti, con l'indole sorniona di coloro che preferiscono la vita gli vada addosso piuttosto che il contrario, come tuffatori al replay ritornano sul trampolino. Non è un caso i miei uomini siano asciutti, tranne che nelle mutande, dove spesso disperdono assai copiosa semenza. Polluscono notturnamente sognando due donne con le quali venire a patti: con una fornicare, con l'altra essere casti, in modo da non confondere il culo con le quarant'ore. Essere due uomini a volte disimpegna, non obbliga a recitare parti, consente di essere in ogni circostanza quello che si vorrebbe essere, senza mezze misure, inutili convenevoli, finzioni. Ogni uomo gestisce il proprio lato oscuro, in una sorta di perdurante autoanalisi. Quello che conta è che ognuno è indulgente con l'altro. E questo è indispensabile. Perché perdonanarsi è il primo passo per ritrovare l'unità. Non in edicola.

martedì 26 maggio 2015

Aspettando il ritorno

via
Persa l'andata a Dublino, in Vaticano stanno preparando la partita di ritorno, a Roma. Pare che pretendano di farla giocare alle 12 in piazza San Pietro, la domenica.

lunedì 25 maggio 2015

Lavoratori



« La mia vita attiva, se mai ne ho avuta una, è finita quando avevo sedici anni. Ho catturato un posto... e il posto ha catturato me... Le cose veramente importanti, per me, sono successe prima di quella data... Dicono che la gente felice non ha storia: be', non ce l'hanno neanche quei disgraziati che lavorano negli uffici di assicurazione ».
George Orwell, Coming Up for Air (1939), ed. it. Una boccata d'aria, Mondadori, Milano 1966

In un frammento di un comizio elettorale, ho sentito il presidente del consiglio affermare che, ad urne chiuse, più importante del conto delle bandierine della vittoria, sarà contare i posti di lavoro che si saranno creati a livello nazionale – grazie all'azione politica del governo che presiede.
Posti di lavoro. È una gran passione quella di far lavorare la gente. Certo, data la situazione, per chi non ha il privilegio di vivere di rendita, vendere la propria forza lavoro è una necessità, e trovare chi l'acquista è, a giusto titolo, una fortuna.

Ieri sera, da Fazio, Piero Angela ha rammentato un famoso proverbio che dice: «Trovati un lavoro che ti piace e avrai la fortuna di non lavorare tutta la vita». Bene, nella nostra epoca, quanti sono coloro i quali hanno trovato un lavoro che gli piace e, invece, quanti sono coloro che, no, non l'hanno trovato, anzi: è il lavoro che ha trovato loro, visto che così assiduamente lo cercavano a prescindere che gli piacesse o meno?

Così, a occhio, direi che non c'è partita: i secondi, quelli che sono impiegati in un lavoro che non gli piace, sono indubbiamente la maggioranza (quasi assoluta). Con ciò non si sostiene assolutamente che essi svolgono il loro lavoro con negligenza e scarso senso del dovere. Tutt'altro. Il punto è che frequentemente le ambizioni professionali di ciascheduno si scontrano con le offerte occupazionali proposte dal mercato del lavoro - e le possibilità di non lavorare lavorando, ovvero lavorare divertendosi, cozzano con quello che il mercato del lavoro richiede...

Eppure c'è chi riesce a stare fuori dagli obblighi lavorativi e non fare praticamente un cazzo da mane a sera, senza pensieri, se non quelli di controllare i listini di piazza Affari o Wall Street (rentier capitalism) oppure quelli di vivere come gigli nei campi, come gli uccelli del cielo campare.
Considerato il perimetro esistenziale in cui vivo, non mi è dato conoscere i primi (se non superficialmente, attraverso resoconti di terzi), mentre più facile è imbattermi nei secondi. Di uno di questi ultimi, racconto un episodio.

Qualche anno fa, in un bar, un signore pensionato, al clochard che gli chiedeva un euro per bere un bicchiere di rosso, rispose che sì, gliele avrebbe dato un euro, però a condizione che prima gli andasse a zappare l'orto. Al che, a voce alta e con sguardo severo, richiamando così l'attenzione di tutta la platea del bar, il clochard rispose: «Sentitelo bellino, vuole che vada a zappargli l'orto: non ho mai lavorato tutta la vita e ora vado a zappare l'orto a lui, sta' a vedere…» e se ne andò via libero, con una risata fragorosa che contagiò tutti quanti noi, prigionieri del nostro lavoro.

domenica 24 maggio 2015

«Non starò a raccontarlo»

Scrive Scalfari:

«Ho visto pochi giorni fa un vecchio e bellissimo film che ha come protagonisti Robert De Niro e Jeremy Irons ed è intitolato "Mission". Non starò a raccontarlo»

«La sostanza del film è il drammatico scontro tra due missionari gesuiti e le potenze coloniali Spagna e Portogallo nell'America del Sud settecentesca. I due missionari guidano una tribù di nativi in una terra vergine sulle sponde di un fiume e di un'immensa cascata. I nativi indios sono di giovane e giovanissima età e i missionari li hanno convertiti a Dio e civilizzati. Ma questo loro ingresso nella vita civile non piace affatto ai mercanti di schiavi che commerciano in quelle terre traendo dallo schiavismo notevoli ricchezze e non piace neppure alle potenze coloniali europee che sono presenti in Brasile, in Uruguay e in Argentina dei quali il fiume è una via d'acqua comune.

Alla fine un arcivescovo gesuita arriva alla Missione che ormai è diventata un villaggio perfettamente organizzato. L'arcivescovo si compiace con i suoi confratelli per aver civilizzato quegli indios, ma gli impone di distruggere il villaggio e rimandare gli indios nella foresta dalla quale provengono. I due missionari non capiscono quello strano modo di ragionare ma l'arcivescovo gli spiega che se la Missione non sarà rinnegata, il villaggio distrutto e gli indios di nuovo inselvatichiti nella foresta, i soldati delle potenze coloniali stermineranno tutti, missionari compresi. Per di più l'arcivescovo ha timore che i governi di Madrid e di Lisbona facciano pressioni sul Papa affinché sciolga l'Ordine dei gesuiti che sta prendendo nelle colonie dell'America del Sud molte iniziative analoghe a quella Mission. Tutto questo deve essere dunque impedito, evitato, represso.

Questa è la storia che il film racconta terminando con i soldati spagnoli che distruggono il villaggio e uccidono i suoi abitanti compresi i due missionari che hanno rifiutato di obbedire al loro arcivescovo.»

Scherzi a parte, mi auguro anch'io di continuare a scrivere post, anche uno a settimana, sino a novantun anni, magari non sul Papa o sui conflitti interni al potere temporale della Chiesa.

Interessante e onesta questa riflessione scalfariana:
«di questo parlerò oggi per chiarirlo anzitutto a me stesso (mettere per scritto i propri pensieri significa soprattutto precisare ed esplicitare ciò che era ancora informe e perfino inconsapevole) e poi a quanti mi faranno l'onore di leggermi.»

Nondimeno, una volta fatto l'onore, preciso che la riflessione intorno a colui che, a suo parere, «è il più importante personaggio del secolo che stiamo vivendo» non mi trova per nulla concorde, perché papa Francesco non sta rivoluzionando né tantomeno riformando niente di particolare, ma solo cercando soluzioni per far mantenere alla Chiesa il suo potere temporale e non farle perdere altro terreno nei confronti della concorrenza, secolarizzazione compresa.

sabato 23 maggio 2015

La rivoluzione a tavola (senza antipasti)

Alcune sere or sono, in una trasmissione di chiacchiere su La 7, ho sentito il professor Umberto Veronesi affermare che, in un futuro prossimo, essere vegetariani diventerà una necessità per far fronte alla sostenibilità ambientale, in quanto l'aumento demografico e di esseri umani e di animali da allevamento comporterà il problema di come sfamare gli uni e gli altri, dati i limiti intrinseci della produzione agricola possibile sul nostro (nostro?) pianeta.

Il ragionamento, frutto dell'armamentario ideologico borghese, offre l'idea che se la specie umana diventasse vegetariana, la questione alimentare e il rischio ambientale sarebbero presto un ricordo. Ma siamo sicuri che cambiare «tipo di consumo» mantenendo lo stesso «modo di produzione»¹ sia la panacea di tutti i mali che affliggono l'umanità?

A tale proposito, con garbo e dovuto rispetto, vorrei porre al professor Veronesi le seguenti domande:

1. Perché la presenza umana sul pianeta aumenta così considerevolmente e, soprattutto, perché aumenta in certe zone del mondo e non in altre? Detto altrimenti: perché nel terzo mondo figliano come bestie, mentre nel primo v'è una più rarefatta inseminazione?
2. L'agricoltura e l'allevamento, attività del settore primario, hanno come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni alimentari dell'intera umanità e a questo sono indirizzate le tecniche produttive, oppure sono anch'esse attività teleologicamente orientate verso il mero profitto? In breve: qual è la ragione sociale delle industrie agro-alimentari, nazionali o multinazionali, del settore?
3. Il cannabalismo (ammazzare un Adinolfi o un Ferrara all'anno) potrebbe essere più risolutivo?

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¹Suggerisco la seguente lettura.

venerdì 22 maggio 2015

'notte

Sono tempi in cui fatico a mantenere concentrazione leggera, o leggerezza concentrata/condensata che mi consente, di norma, la facitura di un post al giorno - leva le benzodiazepine di torno - pensavo questo, stasera, spezzandone una in nome della madre, ho reso grazie e immediatamente ho detto: camminare sul filo del potere e dell'impotenza provoca un blocco del pensiero, una sorta di stand-by, e la richiesta di distendere la mente sui lidi calmi dove quello che succede non mi riguarda, io non c'entro, perché devi tirarmi in ballo, lasciami perdere, vita proletaria, non chiamarmi in causa, dammi un po' della tua accumulazione originaria, tanto per andare in banca e chiedere un prestito senza garanzie.
Il sonno cade a piombo sulla tastiera: ecco un esempio della fatica e quindi dell'impedimento. 'notte.

giovedì 21 maggio 2015

Una pallina di pongo

Mi rendo conto: mi rendo conto? Dico: mi rendo conto? Voglio dire: voglio dire? Cosa voglio dire? Insomma: insomma? Suvvia, falla poco lunga e vieni al punto: al punto? Smettila. La smetto. È che ogni tanto leggo rubriche quotidiane di vari editorialisti della stampa nostrana e mi pongo (plastilino) delle domande inerenti la faccende dello scrivere pressoché con cadenza quotidiana. Presa in mano la materia del contendere (era pongo), ecco la mia pallina di pensiero: dopo aver letto per esempio una triade (ordine alfabetico) Facci, Gramellini, Serra, il lettore che percezione ha degli accadimenti?, ha più o meno presa sul reale? si sente intellettualmente soddisfatto e partecipe; e, altresì, indignato o irritato e quindi complice del punto di vista espresso da siffatti autori? 
Io tutte le volte che leggo tali rubrichette mi domando questo: se non fossero pagati, ovvero se non fossero sotto contratto, scriverebbero le stesse cose a gratis in un blog? Nell'ordine (alfabetico): scriverebbero sul giustizialismo d'occasione, su Formigoni, sui politici in tv, rimestando - secondo una loro tempistica - sempre nello stesso barattolo di sottaceti andati a male?
E mi rispondo: a) se no, allora ok, sono soltanto dei blogger antesignani che per bravura, merito, età hanno occupato per primi le nicchie a pago disponibili sul mercato; b) se sì: si renderebbero conto che i veri giustizialisti d'occasione, i veri Formigoni, i veri politici in tv sono loro medesimi e che, di conseguenza, dovrebbero graffiarsi da soli?

martedì 19 maggio 2015

Un filo significante

Camminare lungo una banchina che costeggia i binari di una ferrovia provinciale, osservando a ogni palo della rete elettrica il teschio bianco su sfondo nero che avvisa: «Chi tocca i fili muore». Aver voglia di toccarli, col cazzo. Morire nella ripetizione. I fili, plurale. E appunto: se tocco un filo solo, singolare, muoio? Chiederò ai balestrucci. 
Mi manca il mare, tutta quella quantità d'acqua davanti in movimento. Mi servirebbe per diluire quella serie di pensieri nefasti che inducono gli intellettuali in tentazione. Una cosa porca, tipo: due fette di salame sugli occhi. Salame Milano. Sapeste come, dal primo maggio, sto pregustando il fatto di perdermi l'Expo. Una goduria, quasi più che perdersi un Giubileo. Io sono uno dei più grandi perditori di eventi dell'Occidente. I concerti allo stadio, le partite di calcio, i saloni, le fiere, i festival: non c'è cosa che io non abbia perso. Ogni lasciata, una goduta ritrovata. Purtroppo, devo ammettere a mio disdoro, queste perdite non hanno determinato, al contempo, grandi guadagni, a parte i guadagni dello spirito. Per farsene una sega. E appunto.
Balzac, da qualche parte, scrisse: «È impossibile schiacciare le persone insignificanti, si appiattiscono troppo sotto il piede». Infatti è più bello cercare di schiacciare i significanti, come faccio io ora, qui.

lunedì 18 maggio 2015

Appuntino a margine di ben altri Appunti

«Di qui la necessità di non esplicitare mai nel dettaglio il progetto di società cui si mira, ma di tenerlo invece nel vago di un felice organicismo che può essere raggiunto solo se saranno espunti i particolarismi che ne impediscono la realizzazione: un miraggio di società, quindi, nella quale i conflitti siano annullati in una generale condiscendenza, dalla quale possa sottrarsi solo chi coltivi pulsioni antisociali, vuoi nella forma degli estremismi politici di opposto colore, che si delegittimano per il solo fatto di avere un colore (ideologismi), vuoi in quella della devianza morale o psichica (gufi, rosiconi, ecc.), comunque a prezzo della condanna di un senso comune incoronato a buonsenso.» Luigi Castaldi
Mi viene banalmente da pensare che Renzi riesce là dove Berlusconi ha fallito perché non ha sul groppone il macigno dell'interesse privato da salvaguardare. In altri termini: a Renzi, che non possono essere rimproverati conflitti d'interesse, riescono meglio gli interessi particolari (che passano come interessi generali perché in tal guisa sono veicolati dai media che ne appoggiano, in varia misura, l'azione di governo) di quella che un tempo si sarebbe facilmente chiamata borghesia, nello specifico: di quella classe sociale proprietaria dei mezzi di produzione la quale, grazie al lavoro altrui e all'aiuto politico, non lavorando (o lavorando per es. alla Lapo Elkann o Andrea Della Valle per intendersi) prospera e si arricchisce ab libitum, mentre la classe sociale subalterna stenta ad arrivare a fine mese impoverendosi, anch'essa ab libitum.

domenica 17 maggio 2015

Degli scalzi e ignudi

Diversamente dal mio coetaneo Giulio Murolo, io oggi, in casa, sparo col compùtero, cazzate a salve, Regina, mater misericordiae, vita dolcezza e speranza nostra, salute. Grazie.
Da giovane pregavo. Poi a un certo punto ho smesso. Ma ricordo ancora molte preghiere. Ricordo anche che, alcune, le modificavo per ricavare delle rime interne, delle assonanze, per far risaltare il valore dell'enjambement. Mio Dio mi pento e mi dolgo con tutto il cuore di che? Dei miei peccati che d'altronde ho commesso con cognizione di causa, quella bella ragazza dal seno largo apertamente in mostra sulle pagine di playmen merita un atto impuro, non trovi, o Signore degli Eserciti? Trovava. Avevo un Dio complice. 
Altro esempio di liberalità divina: se il Dio del Deuteronomio (25, 11-12), prescrisse:

«Quando degli uomini si mettono a litigare, e la moglie dell'uno si avvicinerà per liberare suo marito dalle mani di quello che lo percuote, stenderà la mano e afferrerà i suoi genitali, tu le mozzerai la mano; l'occhio tuo non ne abbia pietà.»

Il mio diceva: tu, anziché mozzarle la mano, le dirai di muoverla, così vedrai che l'energumeno smetterà di percuotere il di lei marito. Avevo un Dio libertino, oltreché liberale.

Per tornare sull'infermiere pazzo di Secondigliano, sempre nel Deuteronomio si legge (25, 5-10): 

Se dei fratelli staranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e se la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato;6 e il primogenito che lei partorirà porterà il nome del fratello defunto, affinché questo nome non sia estinto in Israele. 7 Se quell'uomo non vuole prendere sua cognata, la cognata salirà alla porta, dagli anziani, e dirà: «Mio cognato rifiuta di far rivivere in Israele il nome di suo fratello; egli non vuole compiere verso di me il suo dovere di cognato». 8 Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno. Può darsi che egli persista e dica: «Non voglio prenderla». 9 In questo caso, sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli leverà il calzare dal piede, gli sputerà in faccia e dirà: «Così sarà fatto all'uomo che non vuole ricostruire la casa di suo fratello». 10 La casa di lui sarà chiamata in Israele la casa dello scalzo.

Ecco, nel massimo rincrescimento per le vittime e nel cordoglio verso i cari delle medesime, mi chiedo: il Murolo avrà ucciso anche la cognata per non farsi togliere le scarpe o per non farsi sputare in faccia?

venerdì 15 maggio 2015

Dopo lo si capisce

«Quindi il Renzi premier e capo partito non è il Renzi attento all'ascolto, radicaleggiante e quasi montagnardo della prima Leopolda; non è la nebbiosa e panciuta Democrazia Cristiana né di Moro né di Fanfani; non è Berlusconi con il suo colorato modernismo aziendale e mediatico che però evitava il più possibile il conflitto sociale. È semmai un misto di tutte queste cose, più altre ancora. Il che ne fa un fenomeno diverso e probabilmente - almeno per ora - più potente.
Prima lo si capisce, credo, prima si elabora un progetto politico e culturale alternativo.» A. Giglioli, Cos'è e cosa non è Matteo Renzi”.
Prima lo si capisce? Ché, ancora non lo avete capito? Ché, solo capendolo riuscireste a elaborare un progetto politico e culturale alternativo? È Renzi adesso, Berlusconi prima e il resto delle personalità politiche che si sono alternate al comando della Repubblica italiana ad aver impedito tale elaborazione?

Vent'anni di Berlusconi non sono bastati per capire una semplice cosa (almeno credo): nonostante che, a seconda dei gusti, uno sia più merdaiolo di un altro, i vari Prìncipi che si alternano al comando sono soltanto pagliuzze che irritano il lume dell'intelletto in confronto alla trave che l'acceca: e la trave è credere che un'alternativa politica e culturale (io aggiungerei: economica e produttiva) sia impedita dal pre-potente di turno e dall'accolita di bravi che gli si mettono al servizio fornicando leggi una più scandalosa dell'altra.

Facciamo un esempio: chi ti piace Giglioli? Scegli uno a caso dei tuoi eroi preferiti, mettiamo un Alexis Tsipras italiano, credi che costui sarebbe capace di mandare affanculo Draghi e la Lagarde? 

Io credo che all'interno di questa faccenda che chiamiamo democrazie occidentali mature, l'alternativa, ogni alternativa (la democrazia dell'alternanza), o sta dentro i parametri del sistema economico e produttivo nel quale si trova ad operare - e allora non è un'alternativa - oppure, se non ci sta, di alternativa non si tratta, bensì qualcosa di diverso che mi viene da starnutire solo a pensare di farne parola.

giovedì 14 maggio 2015

E gira gira l'elica

[via]
Sto mica tanto bene. Dev'essere l'aria di polline piena come qualcos'altro. Dna in agitazione: dove conduce la mia elica? Non è essa sola a girare, anche qualcos'altro. Che delusione questo umore, questo etciù continuo che tormenta e riduce il naso a ravanello. Dov'è una camera con vista sul deserto? Ho ceduto: ho comprato l'olio d'Argan, così mi ammarocchino il viso, lo depongo alla corte della mezza età, l'età che non so bene se è l'età migliore, in vista della peggiore, oppure l'età peggiore per osservare la fine del meglio. Perché lo vedo il peggiore, lo vedo, lo tasto, lo constato, lo deduco: ne esce fuori una sorta di amaritudine che mi inebetisce (non inebria) come il chiodo di garofano e la cannella riscaldate nel vino (suffumigi): avessi il fisico per ubriacarmi, il fisico per godere molto più ora del patire dopo, eccovi la saggezza di un omino per bene, con l'ambizione di aver poco a che fare coi dolori e coi dottori, con le insanità locali e globali, con gli uffici comunali e gli ufficiali, i patronati e padroni, i sorrisi per grazia ricevuta e le rotture di coglioni. Libero. Non aver nient'altro da pensare se non a niente (non ho detto al niente). Il recupero dei passi e del pensiero buttato lontano da sé, nella vanità del mondo, avvicinare il fuori, allontanare il dentro, mescolarsi tra la perduta gente per riconoscersi, per ritrovare il nome.

mercoledì 13 maggio 2015

Jobs Act

[via]

Pensare a quella cosa

«Spesso affermiamo, soprattutto di fronte a noi stessi, e così ci autogiustifichiamo, di conoscere una cosa, di conoscerla a fondo, e che perciò l'argomento è chiuso, soltanto per non doverci più preoccupare di pensare a quella cosa (o persona), perché temiamo di doverci vergognare di questa preoccupazione, e così perdiamo ogni credibilità di fronte a noi stessi, egregio signore, poiché il peso – di cui dobbiamo considerare il pericolo mortale – che ci sobbarcheremmo col preoccuparci di quella cosa (o persona!), vista la poca stima che abbiamo di noi, ci fa paura.»
Thomas Bernhard, La partita a carte, Einaudi, Torino 1983 (traduzione di Magda Olivetti, pag. 30).

Ho pensato per una notte intera a cosa potesse essere questa ‘cosa’ (questa ‘persona’) e l'unica cosa (l'unica persona) che mi è venuta in mente (che, in altri termini, ho sognato) è stata una ragazza, che conobbi quando anch'io ero un ragazzo, e quella ragazza mi piaceva e di lei mi preoccupavo, mi preoccupavo così tanto che un giorno glielo dissi e lei mi disse che ero tutto scemo, «che cosa vuoi, conoscermi a fondo?» Beh, sì, l'avrei voluto, ma temevo di dovermi vergognare nel dirglielo apertamente e così restai in superficie a solleticare le sue labbra sottili come foglie di acacia, le stesse foglie che sfioravano le nostre sopracciglia in quella primavera in cui lei acconsentì di venire con me a passeggiare nel bosco. Aveva un giubbotto di jeans chiaro chiaro, e una cintura spessa nera che sosteneva pantaloni dello stesso materiale e colore. Solo lo spessore delle sue anche conobbero le mie mani che provavano, timide, a superare una certa resistenza a che andassero oltre. Fu in quel momento che lei ruppe l'incantesimo parlandomi del suo ragazzo che era in servizio militare e bla bla bla. L'unico modo che ebbi per interromperla fu uno starnuto: allergia alla superficie.

lunedì 11 maggio 2015

Come lombrichi al sole

Essere fragile è sentire il fiato sul collo, è essere un collo, alto, con la freccia rivolta in su, a far linguaccia al cielo, nel caso in cui comparisse nell'alto dei cieli un signore della scuola di Palo Alto, là dove gli angeli esitano, come la Mogherini, Alto rappresentante della politica estera europea a piatire all'Onu esitazioni sul problema dell'immigrazione. Applausi.
Ieri, per ragioni sentimentali e di misericordia, diciamo agape e non se ne parli più, ho acquistato un pacchetto di sigarette da dieci, due euro e dieci, tipo una medicina, per un'anziana signora che dice signora, sto male, signora domani muoio, no, per far che, si fumi queste dieci sigarette, grazie, sei un tesoro, lo sapevo, inesplorato.
Ogni tanto apprezzo le mie virtù, altre le svaluto, faccio il rally, come dicono gli stronzi di piazza affottere. Ancora non mi è andato né su né giù che il boccaperta, in visita a farci il discorsetto, abbia detto che il capitalismo di relazione è morto. Con le facce dei Moratti in faccia capisco si veda l'oltretomba, ma pensare d'insegnare a quei signori come si gestisce il capitale è come parlare di aperture in casa degli inculati. Inoltre, se vuoi davvero che i capitalisti non si preoccupino di lasciare tutto ai loro figli, perché non reintroduci una stupenda tassa di successione con formula progressiva, in modo da aprirglielo veramente e farli diventare uscieri? Macché. Cosa gli hai detto in premessa? «La nostra scommessa è quella di creare per gli imprenditori un ambiente perfetto per chi vuol far crescere i propri sogni». Sogni di relazione, la tua, con loro, dato il momentaneo idillio.

Una generazione di politici che parla per frasi fatte (nel senso di drogate), frasi stupide, frasi che nell'attimo stesso in cui sono pronunciate si decompongono e si seccano, come lombrichi al sole.

domenica 10 maggio 2015

Lento, legale, inesorabile

« Nel pieno dell'epoca del piccolo imprenditore, John Taylor aveva scritto: “Ci sono due modi di violare la proprietà privata: il primo, per cui i poveri spogliano i ricchi, è improvviso e violento; il secondo, per cui i ricchi spogliano i poveri, lento e legale... Sia che la legge trasferisca gradualmente la proprietà dei molti ai pochi, o che un'insurrezione spartisca rapidamente la proprietà dei pochi fra i molti, si tratta sempre di una violazione della proprietà privata, egualmente contraria alla nostra costituzione”. La storia degli Stati Uniti è una serie di lezioni sul secondo di questi modi “incostituzionali” di violare la proprietà privata.
I mutamenti avvenuti nella distribuzione e nella natura stessa della proprietà hanno trasformato il vecchio ceto medio, cambiato il modo di vita dei suoi membri e le loro aspirazioni politiche ed estromesso l'uomo libero indipendente dai centri di proprietà del mondo economico. La proprietà democratica gestita personalmente dal proprietario ha ceduto il posto alla proprietà di classe, nella quale lavoro e amministrazione sono affidate all'opera retribuita di terzi. Più che una condizione di lavoro del proprietario, la proprietà di classe è una condizione che lo esime dal dovere di lavorare.
L'individuo che possiede una proprietà democratica ha potere sul suo lavoro, può disporre di se stesso e della sua giornata lavorativa; chi possiede proprietà di classe ha potere su coloro che nulla possiedono, ma che debbono lavorare per lui: il possidente dirige la vita lavorativa del non possidente. Con la proprietà democratica l'individuo resta indipendente da ogni autorità economica: con la proprietà di classe, per vivere, egli deve sottomettersi all'autorità che la proprietà conferisce al suo possessore.
Il diritto dell'uomo di essere libero e radicato in un lavoro che gli appartiene viene negato dalla trasformazione della proprietà; egli non può realizzare se stesso nel suo lavoro, poiché questo lavoro è divenuto una serie di specializzazioni vendute ad altri, più che elemento integrante della sua proprietà. “Il suo lavoro”, come dice Eduard Heiman [?], “non gli appartiene, ma è semplicemente una voce nel bilancio di qualcun altro”.
La concentrazione della proprietà ha così posto fine all'unione di proprietà e lavoro come base della libertà fondamentale dell'uomo, e l'individuo separato dagli strumenti con cui poteva guadagnarsi la vita in modo indipendente ha visto modificarsi la struttura stessa della sua esistenza ed il ritmo psicologico dei suoi piani per il futuro. La vita economica dell'imprenditore infatti, fondata sulla proprietà, abbracciava tutta la sua esistenza e faceva parte dell'eredità familiare, mentre la vita economica del salariato è imperniata sul contratto di lavoro e sul periodo di paga.
Sicuro nel suo mondo, il vecchio imprenditore poteva considerare la sua vita, dal punto di vista economico, come un tutto unico in cui aspettative e risultati non avevano necessariamente carattere d'urgenza. Nel suo secolo gli fu dato di provare la sensazione che i suoi sforzi e la sua iniziativa ricevevano una ricompensa diretta, sicura e libera. Alcuni imprenditori continuano senza dubbio a sperimentare questa vecchia sensazione, ma il grosso dell'esercito borghese è oggi continuamente alle prese, senza scampo, con i “sistemi secondari di sfruttamento” del grande capitale e molti finiscono sopraffatti. Per la stragrande massa della popolazione l'idea di lavorare senza padrone è diventato un inutile mito. Per coloro che nonostante tutto ci provano, la cosa si risolve spesso in una disastrosa illusione ».

C. Wrigh Mills, White Collar. The America Middle Classes, Oxford University Press, New York 1951, edizione italiana, Einaudi, Torino 1966 (traduzione di Sandro Sarti), pag. 34-35.

Ci sono libri che danno soddisfazione a leggerli e ricopiarli. Nato nel 1951, come Bersani, pettinatore di bambole. Io glielo farei leggere a voce alta, all'ex segretario pd, come punizione. A D'Alema no, perché poi mi chiederebbe cinque euro di donazione per la sua Fondazione Italiani Fannopei: di maria giovanna (magari). (Quanto segue è un super P.S. svincolato dal brano magistrale di Mills).
«Dovreb­bero raf­for­zare il pro­gramma, invece di ridurlo — con­clude Grassi — Nello sta­bi­li­mento di Firenze è pre­vi­sta una pro­du­zione, a pieno regime, di cento chili l’anno, che equi­vale al fab­bi­so­gno di un cen­ti­naio di pazienti, non di più. E invece, tanto per fare un esem­pio, solo nell’unità antal­gica dell’ospedale pub­blico di Pisa, il dot­tor Paolo Poli che lo dirige nell’ultimo anno ha trat­tato con far­maci a base di can­na­bis 500 pazienti, e il numero è in crescita».»
Dunque, se non erro, se andasse a regime l'uso terapeutico, la media sarebbe di un chilo di cannabis all'anno per paziente. Curiosità: dato che non ne uso, quanto costa sul mercato illegale al chilo? Di buona qualità certificata, nevvero. Quella della caserma di Rovezzano, sicuramente annaffiata con l'acqua d'Arno, siamo sicuri che da un punto di vista organolettico... ?  

sabato 9 maggio 2015

Gangnam Style

[*]
«There took place an underwater test-fire of Korean-style powerful strategic submarine ballistic missile. The ballistic missile was developed on the personal initiative of Supreme Commander of the Korean People's Army Kim Jong Un, first secretary of the Workers' Party of Korea and first chairman of the National Defence Commission of the DPRK, and under his meticulous guidance.»

§§§
A mio avviso, l'impostazione dell'homepage dell'Organo Ufficiale del Partito dei Lavoratori Nord Coreani...


 ... è molto meno dittatoriale di quella di Repubblica.

venerdì 8 maggio 2015

A distant leadership smoke on the horizon

Signore e Signori,

che tanto siete appassionati dal tema della leadership, spiegatemi: vi è successo qualcosa quando eravate piccoli? Avete subito dei traumi? Non avete avuto dei pantaloni o delle gonne alle quali attaccarvi per piangere, delle mani per ricevere ceffoni, delle dita per inserire delle supposte di glicerina quando eravate costipati?
Siccome siete voi che sul palcoscenico mediatico rincoglionite, riuscendovi, la pubblica opinione mettendo al centro del dibattito politico il problema della leadership, vi prego, ditemi: parlate di questo o di quell'altro bel tomo o bella toma, della first lady o del principe consorte perché appunto in televisione e sui giornali (online e di carta) di nient'altro che di cazzate si può parlare e perché di ciò siete pagati altrimenti non sareste pagati, ma costretti casomai a fiatare a gratis ovunque voi siate?

Vi piace far credere che siano i leader a decidere le sorti del mondo, come se i leader non fossero altro che mediatori di interessi che li travalicano, che li superano e manovrano facendo credere a loro e a voi, e voi al popolo, che quello che accade fuori, la politica, l'economia, la vita, dipendano da istanze dirigiste.

In breve, fate credere – riuscendovi – che tutto dipenda dalla responsabilità individuale, dalla capacità dei singoli, dall'essere più o meno figli di puttana che non guardano in faccia nessuno, dalla faccia, appunto, tosta o a merda che affascina le plebi. Ma voi, o bucaioli, avete mai guardato il fondo (tinta) di una faccia d'uomo? Contiene la stessa valenza di una legge scritta sulla sabbia in un giorno di vento.

Il vero potere

Scrisse Noah Webster, il padre dell'educazione e della scuola americana:
«In che cosa consiste il vero potere? La risposta è breve, semplice: nella proprietà... Una distribuzione generale e sufficientemente equa della proprietà terriera è la vera base della libertà nazionale... Un'uguaglianza di proprietà con il costante necessario ricorso all'esproprio per distruggere le combinazioni di famiglie potenti è l'anima stessa della Repubblica. Finché questo dura, il popolo possiederà inevitabilmente sia il potere che la libertà; in caso contrario, il potere scompare, la libertà muore, e uno stato libero assumerà inevitabilmente qualche altra forma».
Naturalmente, con proprietà qui è inteso proprietà dei mezzi di produzione (terriera, infatti, perché si riferisce ai primi anni della Repubblica federale americana). Riporto quanto scrive C. Wright Mills, prima e dopo aver riportato il succitato brano:

«La piccola proprietà significò sicurezza finché il meccanismo del mercato funzionò, e crisi e prosperità si bilanciavano l'un l'altra producendo nuovi e più armoniosi rapporti di equilibrio. Particolarmente importante era l'ampia diffusione della proprietà rurale, perché i piccoli proprietari godevano di una sicurezza che nessun altro tipo di proprietà poteva loro offrire: la sicurezza, sia pure modesta, di una possibilità di manovra tra la semplice sussistenza e lo sfruttamento delle occasioni del mercato. Quando il mercato era sfavorevole oppure il raccolto poco redditizio l'agricoltore, se frugale e accorto, poteva almeno sfamarsi con i prodotti della terra. [...] Con la terra il piccolo imprenditore non possedeva solamente un “investimento”: era padrone della sfera del suo lavoro, e proprio per questo era indipendente».

¹ C. Wright Mills, Colletti bianchi, Einaudi, Torino 1966

Questo per far notare che il salariato e, insieme, il commerciante o l'imprenditore schiacciati dalle tasse e dai mutui e dalla competizione mercantile, appena la crisi economica si presenta, perdono totalmente la loro indipendenza, la loro autonomia, la loro dignità...

mercoledì 6 maggio 2015

A un ragazzo di valore

Caro Fabristol,

nel tuo ultimo post lamenti la «mancanza di tempo» e arrivi a sostenere che daresti metà del tuo stipendio per avere indietro «un quarto della tua vita» (vita sottratta agli obblighi del lavoro e corollario al seguito). Lucidamente, scrivi:
«Produciamo cento volte di più dei nostri nonni ma lavoriamo più dei nostri nonni. Producendo di più dovremmo lavorare di meno, ma presto si impara che non è così.»
Sinceramente, una volta letto questo, speravo che ti ponessi il problema donde sorge tal evidente contraddizione, ne cercassi spiegazioni, tanto più che, poche righe più avanti, scrivi:
«Chi è il fallito, quello che non lavora e che riceve benefit o quello che lavora tutta la sua vita per gli altri? Una vita spesa per nutrire gli altri è un fallimento. Una vita spesa lavorando per gli altri non vale la pena di essere vissuta. 
Ecco, a questo punto ho pensato che dalla polverosa biblioteca ti fosse caduto addosso un grosso volume scritto da un signore tedesco con la barba, vissuto a Londra nell'Ottocento, e che tu l'avessi sfogliato e persino letto, meravigliato di come già quel tizio si pose - seppur in modo diverso - la questione tempo di lavoro e, inoltre, sempre questo signore, come individuò, in modo incontrovertibile, le cause per cui tale tempo è sottratto di necessità al suo possessore - perché, in buona sostanza, chi possiede soltanto il tempo, se vuole campare, non ci sono cazzi, deve vendere la propria forza lavoro per un determinato tempo a qualcuno, non avendo egli altri mezzi per sostentarsi.
E a chi lo vende il tempo lavoro? A chi lo compra. 
«Ho tanti di quei progetti che vorrei completare, tanti di quei progetti che vorrei cominciare ma so per certo che finiranno con me in un’anonima tomba da postpensionato. C’è qualcuno là fuori che vuole comprare il mio tempo? Compratemi il tempo e non ve ne pentirete signori! Ecco si dovrebbe fondare una nuova charity, una cronoagenzia per comprare il tempo ai ragazzi di valore (e che valore signori!). Signori miliardari invece di sperperare soldi in Ferrari e champagne donate qualche soldo alla cronoagenzia. Comprate il nostro tempo e ve ne saremo grati per tutta la vita.»
Disgraziatamente, chi compra il tempo non lo fa mai per beneficenza, ma per estrarre dal tempo lavoro acquistato quel qualcosa in più - rispetto al prezzo con cui paga chi glielo vende - che si chiama plusvalore.
Qui si entra in questioni complesse e io mi permetto di rimandarti a un blogger maestro della questione (1, 2).

Io aggiungo soltanto che per esserci più 
«scrittori, pittori, scultori, musicisti, artisti o semplicemente scansafatiche [...] blogstar sprecate»
dovrebbe cambiare qualcosa, e questo qualcosa è inderogabilmente il sistema economico e produttivo che domina il mondo, il capitalismo. Ho detto cambiare, ma non so dirti come; anch'io, come te,
«son troppo stanco per queste stronzate».

martedì 5 maggio 2015

Prospettiva Smerdjakov

Per capire gli effetti che sortirà l'Italicum, non c'è niente di meglio che osservare quello che produce il Porcellum, sistema incostituzionale quanto si vuole, ma che ancora permette, secondo me incostituzionalmente, a un (dicasi uno) partito - che ricevette un misero 29,55% di consenso elettorale alle legislative del 2013 - di votarsi le leggi che vuole, soprattutto quelle che vuole colui che lo comanda.
Mi consola soltanto il pensiero che la nuova riforma elettorale, nelle intenzioni, è fatta per cambiare l'Italia e io non sono mai stato un buon patriota.

lunedì 4 maggio 2015

È tempo per la distruzione dell'errore

La Stampa


[*]
La Stampa


Proviamo a unire i puntini: partendo dalle riserve di grano canadese in mano a una società finanziaria pubblica dell'Arabia Saudita, passiamo ai magazzini pieni di merce invenduta (corollario della crisi sistemica del capitalismo) e concludiamo coi funerali delle persone non in grado di pagarsi il funerale.
Che cosa ne esce?


W.H. Auden, 1929, in Opere poetiche, Vol. II, Lerici Editore, Roma 1969, traduzione Aurora Ciliberti

P.S.
D. Perché più o meno, con tutti i distinguo del caso, quando si nasce, si nasce gratis, mentre quando si muore, si muore a pagamento?
R. È il Trattamento di Fine Rapporto. Con la vita.

I giorni dell'indugio

Periodicamente, arrivavano giorni in cui Lucas rimaneva indeciso tutto il giorno sul da farsi. Giorni immobili, polverosi, da fiera antiquaria. Chi lo vedeva appoggiato ai muri, gli domandava il prezzo, come credenza. In tali occasioni, manifestava subito il proprio disappunto agnostico e, insieme, confessava qualche peccatuccio nato lì per lì se la signora, che gli faceva un'offerta, aveva un baricentro stabile. C'era chi non capiva, chi lasciava perdere, chi gli chiedeva se si vendeva a rate e, se sì, con interessi o senza. A detta di molti proponeva un taeg troppo alto ma lo faceva perché desistessero dal portarselo a casa in balia del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti fino a far di lui uno stucchevole estraneo (Kavafis).
Poi, improvvisamente, i giorni dell'indecisione finivano: bastava un alzamento della pressione atmosferica, unito a un repentino aumento delle temperature e Lucas iniziava a decidere come un forsennato, fosse pure soltanto per prendere un caffè, allacciarsi una scarpa o cambiare l'Italia. Un'impresa, quest'ultima, che nel volgere di poche ore, anche a causa della canicola, lo ripiombava nuovamente nella condizione testé prima descritta. E riappoggiava la schiena al muro a lungo, sin da farsi crescere l'erba sotto i piedi e a farsi edificare nidi di bombo nelle asole della camicia (quando soleva portare camicie). Cosa che avrebbe meravigliato persino Renzo Piano e la pazza idea di tutti coloro che hanno in animo di riqualificare le periferie urbane (soliti discorsi da belle fiche).

Un giorno, mentre masticava il gambo di una margherita, giunse un cane che gli si leggeva la fatica nelle orecchie, penzoloni. Gli si accovacciò davanti ai piedi come a un padrone. Lo chiamò Indugio, come la prima persona singolare, modo indicativo, tempo presente, di uno dei suoi verbi preferiti. I rari bipedi pedestri che, camminando per la strada di Santiago dell'Impostura, ebbero la ventura di incontrarli, si sentirono in obbligo di lasciare un obolo nonostante non fosse loro richiesto. Raggiunta una certa cifra, Lucas e Indugio comprarono un materasso memory foam, per non dimenticare.

sabato 2 maggio 2015

Un'esatta sensazione

«L'uomo del nostro tempo ha sovente la sensazione che la sua vita privata sia tutta una serie di trabocchetti e che i suoi problemi, le sue difficoltà, trascendano la ristretta cerchia in cui vive. Sensazione il più delle volte esatta: l'esperienza e l'azione dell'uomo ordinario sono circoscritte alla sua orbita personale; la sua visuale e i suoi poteri non oltrepassano i limiti dell'impiego, della famiglia, del vicinato; in ambienti diversi dal proprio si muove male, rimane spettatore. E quanto più si fa strada in lui la coscienza, ancorché vaga, di ambizioni e di minacce che trascendono il suo mondo d'ogni giorno, tanto più gli pare d'essere in trappola.»
C. Wright Mills, L'immaginazione sociologica, Il Saggiatore, Milano 1962 (p. 13).

So di essere in trappola e conosco pure i confini della mia prigione. Ma che faccio? Evado? Francamente, mi sembrerebbe più di fare da cavia fuori che dentro la gabbia in cui sono (e mi sono, quanto mi sono?) più o meno comodamente precipitato. Oh, certo: un giorno ho fatto capolino fuori, senza permesso, e qualche boccata d'aria nuova l'ho presa, ma ho avuto paura, tirava un forte vento, non sapevo a chi santo raccomandarmi, ho visto petali di ciliegio impazziti svolazzare lontani e io, io mi sono detto: i frutti maturano attaccati ai rami dell'albero. E anche le foglie cadono dai rami.

Tutto molto poetico, vero, con la faccenda delle radici a nobilitare il tutto. D'altronde, essere dei fingitori serve anche a questo: a prestare più attenzione agli spazi e ai vuoti che a fissare lo sguardo, inutilmente, sulle sbarre.

venerdì 1 maggio 2015

Blocco enigmistico

Non so perché, ma sono rimasto un po' deluso nell'apprendere che alcun black boc, o incappucciato con maschera antilacrimogeni, o tuta nera, non abbia seguito i miei consigli e si sia lasciato andare alle solite pantomime violente che non fanno altro che accresce di uno zero virgola il PIL.
Oppure, non fanno altro che dar luogo a sospetti che terrei volentieri nel cassetto dei pensieri fatti e non espressi, tipo quello che, sotto sotto, non sia altro che un gioco tra le parti.

Ma quanto scrive un'esperta di faccende poliziesche come Balqis, mi fa aprire il cassetto.

«Sin dalla vigilia era abbastanza chiaro che il Viminale avrebbe ordinato un approccio soft verso i noexpo per convogliare l'attenzione del Paese sui rischi rappresentati dall'eversione in modo che la popolazione rimanga unita attorno alle istituzioni e soprattutto alle forze dell'ordine.
Una maniera come un'altra per smorzare le tante polemiche delle ultime settimane e far dimenticare certe indecisioni del governo.
Però così pare un po' troppo soft.»

L'uomo è umano pressappoco

«L'uomo è umano pressappoco quanto la gallina vola. Lei, se si prende un colpo duro nel didietro, se un'auto la fa piroettare, va su fino al tetto, è vero, ma ripiomba subito nella melma, a ribeccare lo sterco. È la sua natura, la sua ambizione. Per noi, nella società, è esattamente lo stesso. Non si smette d'essere totalmente letame che sotto il colpo di una catastrofe. Quanto tutto più o meno s'aggiusta, la natura si rimette al galoppo. Anche per questo, una Rivoluzione bisogna giudicarla vent'anni dopo».
Louis-Ferdinand Céline, Mea culpa, (1936), Guanda, Parma 1994 (traduzione di Giovanni Raboni).

Nutro l'infondato sospetto che la terra giri troppo velocemente su se stessa e che questo provochi, oltre a frequenti capogiri, ripetuti giramenti di palle. Voglio dire: un giro ogni ventiquattr'ore sembra, ma alla fine mette a dura prova la mente degli umani, la maggior parte dei quali corre, si affanna, si ostina a riempire il carrello della spesa – soprattutto nei finesettimana lunghi – nella smaniosa fissazione di sussistere. Bisognerebbe imparare e quindi insegnare a campare d'aria, e questo dovrebbe essere il messaggio da diffondere in occasione di un'esposizione universale. Ma la prima preoccupazione degli espositori è vendere le loro merci e l'aria, almeno sinora, nessuno l'ha commercializzata, si trova ancora gratis nell'atmosfera, di maggior e minor pregio a seconde delle zone di respirazione e Milano, vero...
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Suggerimento ai cosiddetti no-expo: anziché ripetere i consueti rituali di protesta (scontri con le forze dell'ordine, vetrine rotte, cassonetti rovesciati, auto in fiamme), perché non approfittare di un bel digiuno pubblico, detto anche sciopero della fame, meglio ancora se finalizzato a non mangiare alcun prodotto delle multinazionali che sponsorizzano la manifestazione?