giovedì 30 luglio 2015

Occhio per occhio


Per l'ebreo ortodosso che ha pugnalato sei partecipanti al gay pride di Gerusalemme, la legge del taglione cosa prevede: il taglio del cazzo?

Test di caz

«Uno studio del Mit e dell’Harvard University dimostra che ci sono differenze strutturali fra il cervello di ragazzi che stanno bene rispetto a quello di chi viene da famiglie meno abbienti.»

Anche fra il cazzo ci sono differenze strutturali. Glielo avrete misurato, vero, ai ragazzi. Mica solo il cervello, eh, brutte testedicazzo che fate test da testadicazzo. Solo scïenziati (si noti la dieresi) del cazzo possono fare test così melensi e inutili ripresi a cazzodicane dalle nostre redazioni in vena di sociologismo endovena. Vogliono solleticare l'opinione pubblica. Farla sensibilizzare alle problematiche di classe senza dire, sia mai, che esistono le classi. Le differenze di cervello sono dovute al reddito. Non al cazzo. Appunto. E viceversa. Tautologia del cazzo. 

«I ricercatori di Boston sono partiti da 58 ragazzi fra i 12 e i 13 anni, 35 di loro erano benestanti, 23 venivano da famiglie indigenti. Trovare chi era ricco è stato facile ma come selezionare i ragazzi indigenti? L’hanno fatto scegliendo fra chi non si poteva permettere di pagare la mensa scolastica. I due gruppi di studenti prima sono stati sottoposti a diversi test per giudicare le loro performance intellettuali poi a risonanza magnetica di quelle regioni del cervello che presiedono a logica e ragionamento e poi linguaggio e percezioni sia sensoriali che motorie. Chi veniva da famiglie ricche aveva migliori risultati nei test che esplorano le capacità di apprendere e questo si associava a una corteccia più spessa nei lobi temporali e occipitali del cervello alla risonanza magnetica; le due variabili correlavano fra loro in maniera statisticamente significativa. Per il resto (altre aree della corteccia e quello che i medici chiamano sostanza bianca) non c’erano differenze».

Non sarebbe stato più efficace prevedere uno studio in cui i 35 ragazzi benestanti avessero fatto, per un paio d'anni, la vita dei 23 malestanti; e, viceversa, quest'ultimi, lo stesso periodo di tempo, la vita dei primi? L'interclassimo non è contemplato a livello scientifico?
Come diceva il filosofo?
«È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati.»
Ma mica insegnava al Mit o all'Harvad University.

mercoledì 29 luglio 2015

Internet e l'oltretomba


Di tanto in tanto, diciamo una volta a stagione, vado a salutare mio padre al cimitero, probabilmente perché abituato sin da piccolo a visitare, all'epoca con cadenza settimanale, il regno dei morti (in quel periodo i nonni, da anni oramai trasferiti nelle piccole urne degli ossari). 
Mio padre è in terra, una bella tomba semplice, un perimetro di cornice di pietra contenente sassolini di media grandezza, a capo del quale un blocco semipiramidale alto un polpaccio, anch'esso in pietra, sul quale è posta una croce di ferro riciclata da un'altra tomba che i becchini volevano buttare via e che mio fratello ebbe l'ottima idea di far ritemprare e lucidare da un fabbro. Sul blocco, una foto incastonata in un classico portafoto ovale dalla cornice di peltro dorato e, sotto, il nome, il cognome e le date consuete.

Mentre stavo facendo una riflessione sulle date, A e B del segmento vita, ho sentito una notifica sullo smartfono, niente d'importante, ma dico questo perché l'apparecchio segnalava che era presente una rete Wi-Fi aperta e disponibile. Aperta e disponibile al cimitero, che si trova distante dal paese e con nessuna abitazione o altro stabile che lo circonda. 

Il diritto a essere connessi anche da morti. 

Le finestrelle con quella luce... Sembra proprio l'oltretomba.

martedì 28 luglio 2015

Cocomeri al fronte



La Nato ha dato il via libera alla Turchia per bombardare dall'alto dei cieli il terrorismo in tutte le forme. Tra queste forme ci sono anche quelle femminili delle combattenti per la libertà contro il fondamentalismo islamico del cazzo? E un'altra domanda: come c'è piovuto il cocomero da quelle parti? I caccia turchi sanno differenziare?

Canzoni per l'estate



My dick cost a late night fee
Your dick got the HIV
My dick plays on the double feature screen
Your dick went straight to DVD

My dick - bigger than a bridge
Your dick look like a little kid's
My dick - large like the Chargers, the whole team
Your shit look like you fourteen

My dick - locked in a cage, right
Your dick suffer from stage fright
My dick - so hot, it's stolen
Your dick look like Gary Coleman

My dick - pink and big
Your dick stinks like shit
My dick got a Caesar do,
Your dick needs a tweezer, dude

My dick is like super size
Your dick look like two fries
My dick - more mass than the Earth
Your dick - half staff, it needs work

My dick - been there done that
Your dick sits there with dunce cap
My dick - V.I.P.
Your shit needs I.D.

It's time that we let the world know
Dude, you gotta let your girl go
D.S. is the best in the business
P.S. we got dicks like Jesus

It's time that we let the world know
Dude, you gotta let your girl go
D.S. is the best in the business
P.S. we got dicks like Jesus

My dick need no introduction
Your dick don't even function
My dick served a whole luncheon
Your dick - it look like a munchkin

My dick - size of a pumpkin
Your dick look like Macaulay Culkin
My dick - good good lovin'
Your dick - good for nothin'

My dick bench pressed 350
Your dick couldn't shoplift at Thrifty
My dick - pretty damn skippy
Your dick - hungry as a hippie

My dick don't fit down the chimney
Your dick is like a kid from the Philippines
My dick is like an M16
Your dick - broken vending machine

My dick parts the seas
Your dick farts and queefs
My dick - rumble in the jungle
Your dick got touched by your uncle

My dick goes to yoga
Your dick - fruit roll -up
My dick - grade -A beef
Your dick - Mayday geek

My dick - sick and dangerous
Your dick - quick and painless
My dick - 'nuff said.
Your dick loves Fred

It's time that we let the world know
Dude, you gotta let your girl go
D.S. is the best in the business
P.S. we got dicks like Jesus

It's time that we let the world know
Dude, you gotta let your girl go
D.S. is the best in the business
P.S. we got dicks like Jesus

lunedì 27 luglio 2015

Pelligrini di sinistra

C'è un articolo sulle pagine culturali di Repubblica odierna a firma di Luciano Gallino - ripreso da Micromega online - che spiega lo stato dell'arte fallimentare della socialdemocrazia italiana, europea e internazionale. È un'ammissione di resa quella di Gallino; una resa allo strapotere del pensiero “liberale” (liberista)
«la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa.»
Egemonia che, per Gallino, prese le mosse nel 1947, in Svizzera, con la fondazione MPS, che faceva capo a intellettuali liberali del calibro di von Hayek, von Mises, Karl Popper, Milton Freedman...
Hanno vinto: dopo la parantesi ventennale del boom economico del dopoguerra ispirato - sia detto all'ingrosso - da una sorta di socialdemocrazia ben temperata (lunga mano dello Stato nell'economia, allargamento e consolidamento del welfare state), dagli anni 70 del secolo scorso a oggi, il liberismo si è diffuso capillarmente, abbattendo persino i muri ritenuti indistruttibili del cosiddetto socialismo reale. E anche in una grande nazione formalmente guidata dal Partito comunista, la Cina, il liberismo è diventato il motore che fa girare l'economia.

Gallino piange: perché quei tromboni dei liberali hanno vinto e noi, poveri socialisti riformisti, non contiamo un cazzo? Anche e soprattutto da un punto di vista accademico? Per esempio: invece di stare a trippa all'aria in una baita vista lago sul Monte Pélerin, con tutti i servizi liberali del caso, tocca accontentarci di una finestra che vede il monte in lontananza, con un golfino sulle spalle perché il vento alpino fa venire la cervicale.
Povero Gallino che ancora crede di metter le redini a quel cavallo pazzo del soggetto automatico. Leggiamo insieme come chiama in causa Gramsci:
«Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare». Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti.

Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità delle privatizzazioni?»
Ora, lasciamo perdere il fatto che, in quanto ad articoli e libri gli intellettuali di sinistra non sono certo stati meno prodighi rispetto a quelli neoliberali. Anzi. Il problema della sinistra riformista - e quanto sopra riportato ne è una dimostrazione - è non capire le ragioni del perché il neoliberismo ha vinto. Innanzitutto, perché sono stati più capaci e intuitivi nell'assecondare la natura capitalista, dopo la fine degli anni d'oro del dopoguerra caratterizzati da tassi di crescita che, visti oggi, danno il capogiro. Dipoi perché nell'affrontare le varie crisi e depressioni susseguitesi da allora, i liberisti hanno escogitato delle soluzioni che risolvono temporaneamente il problema centrale del capitalismo, «cioè la sempre minore capacità del capitale di assorbire nella misura necessaria lavoro che crei valore»¹. Quali soluzioni? La creazione senza limiti di capitale fittizio composto dall'aumento esponenziale e dei titoli azionari e dal pozzo senza fondo dei vari debiti pubblici statali.

La situazione di crisi si è spinta così avanti che alcun “solido argomento” riformista potrà invertire la tendenza inesorabile del capitalismo a sbattere la testa contro i propri limiti.

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¹ Ernst Lohoff, Fughe in avanti. Crisi e sviluppo del capitale, (2000), in Lohoff-Trenkle, La discarica del capitale, Mimesis 2014.

domenica 26 luglio 2015

Asfalto e girasoli

È sera. Avessi una chitarra. No, preferirei non averla perché conciliare due movimenti diversi con le mani non è cosa per il mio cervello monocorde che pensa al massimo a due o tre cose al minimo, non più, il rischio cacofonia è grosso è io non posso correrlo, preferisco il silenzio, come quello bello di oggi a camminare a passo lento, tra granturco e girasoli, con l'ebook in mano, per leggere il Manifesto contro il lavoro (ne consiglio spassionatamente la lettura ).

Stavo bene, sole addosso preso a girarrosto, e nessuna parvenza di perfezione. Poco mondo. Brutti fili sospesi della luce. Belle però le tre rondini sospese a spiumarsi. Che vuoi fare, Mantellini, che vuoi fare. Più che sottopelle, il brutto è soprapalle. È un po' che in Francia fanno le cose meglio e poi qualcosa arriva anche da noi (le rotonde). Non arriva la linea discontinua che, nelle strade francesi, è presente anche nei tornanti alpini e pirenaici. Da noi mettono la doppia linea continua anche in un tratto di strada dritto due chilometri. Sull'asfalto poi mettiamo un po' di ghiaia sopra. Lo dissi già, non voglio ripetermi: l'asfalto in Italia deve avere dei costi proibitivi, tanto che quando raramente m'imbatto in una ditta che rifà un tratto di manto stradale, non posso fare a meno di aprire i finestrini per respirare l'intenso odore di catrame caldo, per un effetto madeleine. Ricordarsi i bei tempi della spesa pubblica a gogò. Adesso è tempo di revisione della spesa. Annunciate razionalizzazioni alla Sanità: la riapertura dei manicomi.

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Piccola perla domenicale da Repubblica, estratta dall'intervista di Gnoli a Quirino Principe.


sabato 25 luglio 2015

Ce la farete eccome

Ogni mese circa, Matteo Renzi scrive una lettera (enews) in cui elenca le cose fatte dal governo che presiede. Il tono è sempre quello di uno che scrive più per blandire che per interloquire con il lettore, che presume amico e sostenitore. Sono lettere patetiche, ma hanno il merito di definire con chiarezza lo stato di egolatria che affligge l'estensore.
«A chi dice: "non ce la farete mai", voglio che arrivi il mio grazie più sincero. Sono gli stessi che dicevano: 80 euro? Non ce la farete mai. Legge elettorale? Non ce la farete mai. JobsAct? Non ce la farete mai. Expo? Non ce la farete mai. Alto rappresentante UE? Non ce la farete mai. Divorzio breve? Non ce la farete mai. Responsabilità civile dei magistrati? Non ce la farete mai. Centomila assunzioni sulla scuola? Non ce la farete mai. Questo ritornello ormai ci fa compagnia. E ci porta fortuna. Quindi, grazie.»
Chi sono coloro che dicono «Non ce la farete mai»? Secondo me, coloro che lo dicono, se ci sono, non sono necessariamente detrattori dell'azione di governo. Anzi. L'affermazione «Non ce la farete mai», in potenza, potrebbe persino racchiudere un auspicio: che il governo possa farcela, speriamo ce la faccia. Casomai, coloro che paventavano la realizzazione dei vari provvedimenti governativi avranno detto di volta in volta: «Sta' a vedere che alla fine ce la faranno davvero a far approvare quella merda legge».
Là dove uno vede intorno a sé dei gufi, i gufi vedono davanti a sé soltanto un topo (cacche annesse).

Inoltre: delle riforme elencate in forma interrogativa, ne spicca una che viene definita in modo parziale, esaltando soltanto uno dei provvedimenti ad essa collaterali: specificamente, anziché dire «Riforma della scuola», Renzi ha preferito scrivere «Centomila assunzioni sulla scuola». Ebbene, si è limitato a ciò perché della riforma nel suo complesso non osa vantarsi?

Io capisco che da uno così può capitare a chiunque di comprare una pentola; però se torna l'indomani a venderti il coperchio uno compra anche quello, sì, ma per darglielo in testa.

venerdì 24 luglio 2015

Compagni avanti


Giulio Tremonti e Paolo Savona hanno scritto una lettera aperta a Yanis Varoufakis e a Dominique Strauss-Kahn.

Un fatto attuale

C'è in giro tanta voglia di no-euro e tutti professori e allievi della prima o della seconda o della terza ora che dicevano dicono diranno io ve lo avevo detto che l'euro era una merda e adesso sghignazzano soddisfatti di aver avuto ragione e dicono suvvia usciamo dalla costrizione della moneta unica ritorniamo alla lira datemi retta per bene e vedrete come le cose si riassestano come tutto ritorna in ordine per benino e l'Italia riparte riproduce rivende rimpingua le casse dello Stato e lo Stato dopo non avrà alibi per non spendere e restituire alla cittadinanza secondo i dettami della giustizia e dell'equità ma che bravi ma che bravi sono un fronte unico che va da quelli della Lega a quelli di Sinistra Ecologia e Ilarità da casa paunde a casa cazzo nel senso di grillo insomma sono tutti quelli che un po' alla volta sono andati da Santoro e dalla Santorina la biondina con la voce a soffocone uno su tutti colui che da anni predica italiaviadalleuro (x3) quello che per cognome ha un passato remoto che fa venire voglia di asciugarsi i piedi messi a mollo per tagliarsi meglio le unghie.

Precisazione: l'euro così com'è è un'assurdità e quanto scritto non è difesa del dogma della moneta unica. Mi limito a osservare che quello della moneta, a mio avviso, è solo un problema di superficie e non va alla radice della questione. Io, cioè, scusate, noi...

«Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto attuale.
L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza e estensione. L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere». 
Karl Marx, Manoscritti economico filosofici (XXII).

giovedì 23 luglio 2015

Araldica

Amore, com'è ferito
il secolo, e come siamo soli
- tu, io - nel grigiore
che non ha nome. Finito
è il tempo dell'usignolo
e del leone. Il blasone
è infranto. Il liocorno
ormai non ha lasciato
sul suolo: l'Ombra, è in cuore.

(1968)

Giorgio Caproni, Il muro della terra, Garzanti, Milano 1975

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La Ferrari sarà quotata in borsa a Wall Street. O meglio: il 10% della quota azionaria di Ferrari posseduta da FCA sarà messa in vendita con un'offerta pubblica di acquisto. Hanno bisogno di soldi cash ammericani in casa FCA. L'araldo ha detto addirittura che Ferrari vale non meno di 10 milardi di euro. Quindi, dall'operazione, egli si aspetta d'incassare all'incirca un miliardo di euro.
Spero che un buon 5% lo compri Jeff Bezos, non si mai che un domani si possa trovare un dodici cilindri a V di Maranello in vendita su Amazon.

mercoledì 22 luglio 2015

Un reddito da fare Bifo

In buona parte della cosiddetta sinistra italiana, qualunque cosa voglia dire sinistra italiana, ha preso piede (o altra estremità corporea) l'idea del reddito minimo di cittadinanza.
In pratica: riscuotere (con la q) un obolo senza assolvere ad altro compito se non quello di essere cittadini. Presumo bravi. Per esempio: gli dèi non possono essere cittadini perché non sono bravi. Torna l'assunto? In cielo forse no.
In linea di massima, anzi: senza linea e senza massima, sarei contento fosse preso simile provvedimento; e che fosse sostanzioso (permettesse cioè di sostentarsi senza stenti) e che fosse esteso a chiunque ne facesse richiesta, anche a coloro che rifiutano per principio di vendere la propria forza e abilità lavorativa; in altri termini: andrebbe erogato non solo a coloro che sono disoccupati.

Ma.

Ho letto questo articolo di un signore che su Wikipedia viene così succintamente definito: «scrittore, filosofo, agitatore culturale italiano». Dio (che) bestia. Agitatore culturale e ancora non ha usufruito del diritto di rettifica.
Per avendo una rima baciata facile, scorriamo veloci su quanto scrive il Bifo:
«C’è qualcuno che possa spiegarmi secondo le regole della logica aristotelica il mistero secondo cui per curare la disoccupazione dilagante occorre perseguitare crudelmente i vecchi che lavorano costringendoli a boccheggiare sul bagnasciuga di una pensione che non arriva mai? Nessuno che sia sano di mente mi risponde, perché la risposta non si trova nelle regole della logica aristotelica, ma solo nelle regole della logica finanziaria che con la logica non c’entra niente ma c’entra moltissimo con la crudeltà.
Se la logica finanziaria contraddice la logica punto e basta, cosa farebbe una persona dotata di senso comune? Riformerebbe la logica finanziaria per piegarla alla logica, no? Invece Giavazzi dice che la logica vada a farsi fottere perché noi siamo moderni (mica greci).»
Io sono ignorante perché ignoravo l'agitatore e la sua agitazione logica, tuttavia, a scorrerne la biografia uno s'immagina che, dio agitato, qualche cazzo di pagina di Marx, anche rimasticata da qualche altro bovino, uno così, vista l'epoca in cui ebbe vent'anni, aridio agitato, insomma, l'avesse letta. Invece. Invece uno così fa i discorsi a cazzo anche perché la logica aristotelica era sostanziata essa stessa dalla schiavitù. O no? E poi: parlare soltanto di logica finanziaria presuppone illogicamente che il sistema economico e produttivo capitalista provochi, ad esempio la disoccupazione dilagante per motivi di crudeltà; in altri termini, se non fosse a causa dei lupi della finanza, il capitale sarebbe una pecora buona e cara capace di dare il latte a tutti gli agnelli bisognosi. Tradotto: reddito di cittadinanza.

Mi agito.

Mi agito perché un'idea giusta non è sufficiente proclamarla affinché si realizzi. Occorre provare a tradurla in prassi, magari anche suggerendo ipotesi di "lavoro" ai limiti dell'utopia. Invece niente:

«Milioni di persone non hanno un salario e milioni perderanno il lavoro nei prossimi anni per una ragione molto semplice: di lavoro non ce n’è più bisogno. Informatica, intelligenza artificiale, robotica rendono possibile la produzione di quel che ci serve con l’impiego di una quantità sempre più piccola di lavoro umano. Questo fatto è evidente a chiunque ragioni e legga le statistiche, ma nessuno può dirlo: è il tabù più tabù che ci sia, perché l’intero edificio della società in cui viviamo si fonda sulla premessa che chi non lavora non mangia. Una premessa imbecille, una superstizione, un’abitudine culturale dalla quale occorrerebbe liberarsi.»

E dicci come, Bifo, su. Come? Come potrebbe uno Stato, poniamo l'Italia, erogare il reddito minimo di cittadinanza senza aumentare la spesa pubblica, senza aumentare il debito, o le tasse di chi già le paga? In breve: dove li prende i soldi? Nessun suggerimento? Neanche uno copiato, chessò, dai Cinquestelle? Niente.
«Il Foreign Office nel suo Report dell’anno scorso diceva che il 45% dei lavori con cui oggi la gente si guadagna da vivere potrebbe scomparire domattina perché non ce n’è più bisogno. Caro Renzi qui si tratta di cose serie, lascia fare ai grandi e torna a giocare con i video game: occorre immediatamente un reddito di cittadinanza che liberi la gente dall’ossessione idiota del lavoro.»
Che sogno sarebbe liberarsi da tale ossessione, che sogno. Ma dicci come... 
«La situazione infatti è tanto grave e tanto imprevista, che occorre un’invenzione scientifica che non è alla portata degli economisti.»
Degli agitatori culturali invece sì? Mettersi a descrivere fenomeni senza fare un menomo accenno sulle cause e poi pretendere di dare giudizi è veramente da agit prop: de che? De stocazzo.
E poi ci fa anche la lezioncina su cosa sia scienza e cosa no. Continuando a riferirsi a Renzi, Bifo scrive:

«Ti sei mai chiesto cosa sia una scienza? Diciamo per non farla troppo lunga che è una forma di conoscenza libera da ogni dogma, capace di estrapolare leggi generali dall’osservazione di fenomeni empirici, capace di prevedere quello che accadrà sulla base dell’esperienza del passato, e per finire capace di comprendere fenomeni così radicalmente innovativi da mutare gli stessi paradigmi su cui la stessa scienza si fonda. Direi allora che l’economia non ha niente a che fare con la scienza. Gli economisti sono ossessionati da nozioni dogmatiche come crescita competizione e prodotto nazionale lordo. Dicono che la realtà è in crisi ogni qualvolta non corrisponde ai loro dogmi, e sono incapaci di prevedere quel che accadrà domani, come ha dimostrato l’esperienza delle crisi degli ultimi cento anni. Gli economisti per giunta sono incapaci di ricavare leggi dall’osservazione della realtà in quanto preferiscono che la realtà sia in armonia con i loro dogmi, e incapaci di riconoscere quando mutamenti della realtà richiedono un cambiamento di paradigma. Lungi dall’essere una scienza, l’economia è una tecnica la cui funzione è piegare la realtà multiforme agli interessi di chi paga lo stipendio degli economisti.»

E tu, Bifo, che cosa hai estrapolato? A parte qualche fonte accessoria (citi Larry Page che dice qualcosa sull'inarrestabile utilizzo dei robot), questo ti basta per dire che il reddito di cittadinanza è il toccasana per risolvere il problema della morte del lavoro salariato? Sai di cosa parli? Sai donde nasce il valore in questo tipo di sistema produttivo? Lo cacano le macchine? Tu dici che l'economia (borghese) non ha niente a che fare con la scienza. Dici una cazzata: se non fosse per questo tipo di scienza economica, per quanto scienza interessata, il capitalismo sarebbe già trippa all'aria, giacché è proprio grazie all'invenzione della finanza e della creazione smisurata di capitale fittizio (sai di cosa parlo?) che hanno potuto (e possono) tenere a galla la baracca (ovvero per non far precipitare la caduta tendenziale del saggio del profitto). E a Wall Street, nelle banche centrali e altrove, per quanto pezzi di merda siano, sono pagati per questo. Sono pagati per i modi astuti con cui ritardano il crollo fottendo sempre più i lavoratori e la popolazione che non partecipa al banchetto del capitale. Tu, per contro, visto che li degradi a semplici tecnici, prova a fornirci, se ti aggrada, un approccio scientifico al problema del lavoro e della sua fine. Un compito che mette agitazione, nevvero?

martedì 21 luglio 2015

Si subisce uno stato, si decide un atto

«Una vita che mi è alleata per tutta la vita: ecco il miracolo del matrimonio. Una vita che vuole il mio bene quanto il suo, perché si confonde col suo: e se non fosse per tutta la vita sarebbe ancora una minaccia (quella minaccia che sempre è latente nei piaceri che ci procura una “relazione” amorosa). Ma quanti uomini conoscono la differenza fra un'ossessione che si subisce e un destino che si sceglie?
La chiariremo dunque con un esempio molto semplice.
Essere innamorati non significa necessariamente amare. Essere innamorati è uno stato; amare un atto. Si subisce uno stato, ma si decide un atto. Ora, l'impegno che il matrimonio comporta non potrebbe onestamente applicarsi al futuro di uno stato in cui ci si trova oggi; ma può e deve implicare l'avvenire di atti coscienti che ci si assume: amare, restar fedeli, educare i propri figli. Si vede qui la differenza tra il significato della parola amare nel mondo dell'Eros e nel mondo dell'Agapé. La si coglie ancor meglio quando si constati che il Dio della Scrittura ci ordina di amare. Il primo comandamento del Decalogo “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente”, non può riferirsi che a degli atti. Sarebbe completamente assurdo esigere dall'uomo uno stato di sentimento. L'imperativo “Ama Dio e il tuo prossimo come te stesso” crea strutture di rapporti attivi. L'imperativo “Sii innamorato” sarebbe vuoto di significato o, se fosse realizzabile, priverebbe l'uomo della sua libertà».

Denis de Rougemont, L'amore e l'Occidente, Paris 1939, edizione italiana BUR, Milano 1993.

Apriamo il dibattito.

Amare è una rottura di coglioni, come lavorare al catasto una vita in attesa della pensione.
Essere innamorati, invece, è come il raffreddore: non vedi l'ora che finisca.
Come la mettiamo tra stato e atto e, viceversa, tra atto e stato?
Non la mettiamo, lasciamola in terra la questione, ci crescano sopra gramigna e passiflora.
L'imperativo del primo comandamento, prima ancora di creare strutture di rapporti attivi, crea rapporti di fede, crea credenza, qualcosa cui appoggiarsi o appoggiare qualcosa sopra, o riporre un alcunché nei cassetti, la vita per esempio (documenti, mutande, calzini, lettere d'amore scritte a penna). 
Se, tutto sommato, data l'Entità, amare Dio è piuttosto facile, più complicato e impegnativo è amare il prossimo. Quanto prossimo va amato per esempio? Tutto? Come faccio ad amare il candidato presidente del Burundi, per esempio? O quelle grandissime testedicazzo assassine fetenti che hanno imbottito di tritolo un bastardo assassino suicida credente a Suruc, cittadina turca al confine con la Siria, uccidendo una trentina di giovani? Per stare a quest'ultimo caso: l'assassino suicida ha amato se stesso come il prossimo, in quanto uccidendosi ha creduto di fare del bene a sé.
Converrete che è più semplice l'atto di fede a Dio anziché al prossimo, proprio in virtù che il prossimo esiste mentre Dio chissà.

Ma torniamo al matrimonio: sì, è senz'altro un atto che prevede un patto, questo: garantire una serena convivenza alla fine dello stato. Le eccezioni, seppur numerose nell'uno e nell'altro verso, non sono contemplate.

Concludiamo con un cenno sulla condanna della Corte Europea dei Diritti umani all'Italia perché non ha ancora riconosciuto, nel proprio ordinamento giuridico, i diritti delle coppie gay.
A tal proposito - a fava oserei dire - viene in ausilio una sentenza storica della Corte di cassazione che riconosce il cambio di sesso anagrafico senza operazione chirurgica. Bene, credo che farebbe scuola la prima coppia gay che, per sposarsi, opterebbe per il “sacrificio” sessuale anagrafico di uno dei futuri coniugi, andando così a metterlo a quartabuono ai ritardi legislativi di uno Stato che, finché potrà, farà il pesce in barile.

lunedì 20 luglio 2015

Scusa un cazzo

Scusa.
Scusi lei.
Scuse a chi?.
Scusa di che?
Scusa per quello che ti ho fatto.
Scusa un cazzo.
Scusassero.
Scusate il ritardo.
Scusate l'anticipo.
Scusate se premetto le scuse.
Scusandosi si presuppone che vengano accettate, le scuse.
Scuse presuntuose.
Scuse inutili.
Scuse un tanto al chilo.
Scuse che ripagano.
Scuse che ripiagano l'offesa.
Scusa, ti ho chiesto scusa: lo so che ti ho messo un dito in un culo, ma ormai.
Scusella.
Scusazza.
Scusina e scusona.
Scuse a viso aperto.
Scuse a culo chiuso.
Scuse che bastano, scuse che invece no.
Scusa e fine: la fine delle scuse.

Un mondo di debiti

«Dal 2007 [...] il debito globale mondiale è cresciuto di altri 57mila miliardi di dollari facendo salire il rapporto tra debito e Pil (sempre a livello globale) di 17 punti percentuali. A fine 2014, sette dopo la più grave crisi dal Dopoguerra, il mondo ha cumulato un debito complessivo di 199mila miliardi di dollari, quasi tre volte il valore del Pil globale [...].
A spingere le economie mondiali ad aumentare la leva finanziaria sono state proprie le politiche monetarie ultra-espansive e i tassi tendenti a zero con cui le Banche centrali hanno evitato il crash finanziario del sistema bancario mondiale. Una cura di iniezioni massive di liquidità che hanno sorretto il mondo sul ciglio del burrone tra il 2008 e il 2009, ma che hanno finito come effetto collaterale a spingere famiglie, imprese e Governi a indebitarsi sempre più. Il costo dei soldi a prestito è talmente infimo che induce a investire a debito. Un circolo virtuoso che ha permesso alle economie mondiali di non collassare, ma che ha in sé i germi della follia finanziaria. Tutto quel debito, più di quello che ha fatto da miccia al deflagrare della crisi, è oggi ancora lì. Una montagna di denaro che andrà restituito. È proprio qui il punto chiave per il futuro. Scampato il crac, le economie si sono riprese, ma a un passo di marcia assai più blando degli anni Novanta-Duemila. Un mondo che cresce piano rispetto al passato ma che ha più debiti di prima, dato che il fardello è aumentato di ben 57mila miliardi, l'intero Pil mondiale dell'anno scorso.»

Quindi, manifestamente, viviamo in un mondo a debito. In pratica, tutte le nazioni della Terra sono indebitate (non soltanto le nazioni). Se distinzione ha da farsi è tra gli Stati che sono insolventi, tipo la Grecia e gli Stati che invece dichiarano che saranno solvibili quandunque, al limite anche con qualche bomba atomica. Insomma: quel che conta è la credibilità. O la credulità. O la fede. Misteri della Fede. 
Annunciamo la tua morte, o capitalismo, foss'anche tra qualche secolo (cit. ma non ricordo autore e luogo).

Da buon ultimo, mi sembra di aver imparato una cosa: dare la colpa alla finanza della situazione è travisare la sostanza delle cose. La finanza non ha fatto altro, non fa altro che procrastinare il presumibile fallimento di un sistema produttivo che oramai fa soltanto conto su di essa per superare i propri limiti, dato che il capitale “concreto” non riesce a valorizzarsi senza l'aiuto del capitale “fittizio”. E dato che lo scopo della produzione capitalistica non è nient'altro che ottenere più denaro di quanto è stato anticipato non resta che affidarsi alla speculazione, ché la cosiddetta economia reale non ce la fa più a garantire gli attesi profitti.
«Se la speculazione, verso la fine di un determinato periodo commerciale, entra in scena per precorrere il crollo, non si dovrebbe dimenticare che la speculazione stessa è stata generata nelle fasi precedenti di quel periodo, e perciò ne è un risultato e un aspetto esteriore, e non ne rappresenta la causa ultima e l'essenza. Gli economisti politici, i quali affermano di poter spiegare le convulsioni regolari dell'industria e del commercio con la speculazione, assomigliano a quella scuola, ora estinta, di filosofi della natura che consideravano la febbre come la vera causa di tutte le malattie.» Karl Marx, 1857, citazione trovata in E. Lohoff - N. Trenkle,  Crisi: nella discarica del capitale, Mimesis, Milano-Udine 2014
Purtroppo, la scuola riformista (quale che sia la corrente: keynesiana, austriaca, eccetera) non è ancora estinta.

sabato 18 luglio 2015

Sarà un uomo



Oramai sono decenni che essere giovani è diventato un mestiere difficile. Ci sono troppi modi per esserlo. Quelli proposti diuturnamente dalla colonnina destra di Repubblica punto it fanno veramente pena. Meglio togliere i sigilli all'Ilva e infilarceli tutti, i redattori, nell'altoforno. A caldo. Mai che propongano una finestrella in cui sorprendono uno (o una) a farsi le seghe - eppure il mondo è pieno di segaioli occidentali ammorbati da - appunto - un decennio di web, di viaggi low cost, di telefoni apple, di speranze da talent.
Il peggio è che quelli un po' più bellini e in potenza rivoluzionari si chiudono frequentemente in un comunitarismo di vario genere, sinistro o destro, vegano o culturista. Con il perdurante trionfo dei dj sulle orchestre.


venerdì 17 luglio 2015

Kapò congiunti

La fortuna dell'indice

«L'eurozona è composta di 19 democrazie [che devono lavorare] congiuntamente a diciannove.» Martin Schultz.

«Tradurre non significa infatti altro se non determinare il nuovo rapporto dei sinonimi e affini nella cultura rappresentata dalla nostra lingua, la nuova ripartizione, per dir così, in parole della realtà che si considera come oggettiva e costante.» Gianfranco Contini, “Esercizio d'interpretazione sopra un sonetto di Dante”, 1947, in Un'idea di Dante, Einaudi, Torino 1970.


Prendiamo una parola della politica: democrazia. E cerchiamo di tradurla con un sinonimo per rappresentare quello che è accaduto, negli ultimi anni, prima in Italia e adesso in Grecia: che parola della realtà, che si considera come oggettiva e costante, potremmo usare?

Kapò.

Nel senso che i governanti, siano essi democraticamente eletti dopo un suffragio universale (Tsipras) o meno (Renzi), non sono altro che miseri kapò, ossia dei prigionieri di un campo di interessi che travalicano la democrazia, ai quali è affidata la funzione di comando sui governati col mero scopo di legittimare l'esistente, anche se l'esistente (i rapporti di forza in seno agli Stati dell'eurozona) non è per niente democratico.

Ho appena comprato un ventilatore

[‘Déshabillez Moi!’]

giovedì 16 luglio 2015

Un urlo a richiesta

Devo confessarlo: pensavo che tenendo un blog si potesse diventare dei Montaigne in sessantaquattresimo e invece, non c'è pace nelle torri, vento non tira, piuttosto moccoli che, come fuochi fatui, accendono di tanto in tanto l'aere. Un io assalito - da pochezze, convengo: fosse amore, fosse un calesse, fosse qualcosa per cui uno dice: vabbè, provo la lotta, ma - mi si perdoni se resto nel  vago - qui non si tratta di dominare sé, quanto di non venire dominati da altri sé che chiedono un quantitativo di attenzione - come fosse un dovuto - che io non sento di dare per niente. Come dire: sento l'obbligo come una cavezza e io cazzo no, non tiro, anche se mi frustano con i sensi di colpa e mi caricano con i gioghi del peccato questo non si dice, questo non si fa (e io che sono Carletto...)
Qui non c'è colpa e non c'è peccato: c'è il fatto che io non ce la faccio a essere buono a forza, a dimostrarmi compassionevole per dovere, a essere caro, premuroso, servizievole, disponibile. No: io mi sento di essere veramente quello che a volte dite che sono: cattivo. 
Come davanti a uno specchio, questo. Permettetemi di urlare.

mercoledì 15 luglio 2015

Made in Germany 2

La devo smettere di lasciare i racconti in sospeso come un coito, perché mi mette agitazione pensare di aver lasciato qualcosa a mezzo, quando poi a mezzo non è, è finito lì e basta, anche se poi sul momento penso di poter continuare, uno pensa sempre di poter farne due, tre o quattro e poi manco arriva alla prima.
È bene tenere basso il profilo se non si dispone o non si vuole mettere in mostra il proprio potenziale bellico. Meglio mostrarsi disarmati, alzare le mani, chiedere scusa, la stanchezza, la digestione, quel panino all'autogrill m'è rimasto sullo stomaco e adesso non sa se andare avanti o indietro.
Allora alzarsi, andare in bagno e lasciarla sdraiata sul letto, poco distante dal compagno di camera che forse sta dormendo o forse si era messo a osservare quello che stavano facendo due sconosciuti che, restando in silenzio, non facevano altro che parlare, ognuno con la sua lingua. 







martedì 14 luglio 2015

Viaggiando in una comoda auto

Viaggiando in una comoda auto
su una strada bagnata di pioggia,
vedemmo un uomo tutto stracciato sul far della notte
che ci faceva cenno di prenderlo con noi, con un profondo
inchino.
Avevamo un tetto, avevamo un posto e gli passammo davanti
e udimmo me che dicevo con voce stizzosa: no,
non possiamo prendere su nessuno.
Eravamo proseguiti un bel pezzo, forse una giornata di
cammino,
quando d'improvviso mi spaventai della mia voce,
del mio contegno e di tutto
questo mondo.

Bertolt Brecht, (1934) traduzione italiana in Poesie, Einaudi, Torino 1992.


_____________

Fahrend in einem bequemen Wagen

Fahrend in einem bequemen Wagen
Auf einer regnerischen Landstraße
Sahen wir einen zerlumpten Menschen bei Nachtanbruch
Der uns winkte, ihn mitzunehmen, sich tief verbeugend.
Wir hatten ein Dach und wir hatten Platz und wir fuhren vorüber
Und wir hörten mich sagen, mit einer grämlichen Stimme: Nein
Wir können niemand mitnehmen.
Wir waren schon weit voraus, einen Tagesmarsch vielleicht
Als ich plötzlich erschrak über diese meine Stimme
Dies mein Verhalten und diese
Ganze Welt.

lunedì 13 luglio 2015

Made in Germany

Questa sera non sono solvibile: neanche trovassi un tedesco – o una tedesca, meglio – che mi offrisse una ristrutturazione del debito esistenziale...

§§§
Io, in Germania, ci sono stato solo una volta, a Ruhpolding, nelle alpi bavaresi, era estate, metà anni Ottanta, una gita organizzata dal comune perché il comune dove abito era (è) gemellato da tempo con una cittadina tedesca e allora si facevano queste gite per fare incontrare i giovani dei due comuni, in nome dell'Europa dei popoli. Io andai, più o meno solo, cioè senza il gruppo degli amici che di solito frequentavo. Tuttavia, qualcuno conoscevo, anche se mi toccò dividere la camera con un ragazzo che non conoscevo.
In questa cittadina delle alpi bavaresi, per l'appunto, alloggiavamo in un bell'albergo occupato per intero dalla nostra comitiva, più da quella composta da ragazzi tedeschi più o meno nostri coetanei. Ricordo vagamente il primo impatto coi teutonici, brindelloni dai polpacci giganti, mediamente più grossi di un paio di taglie rispetto a noialtri segaligni. Chiaramente, l'occhio corse in cerca delle fanciulle – essendo le nostre italiche poche, scacie e parrocchiali; ma anche le tedesche sembravano giovani marmotte perlopiù. Qualcuna c'era, una in particolare molto carina, non troppo alta, forme notevolmente flessuose e sode, che subito attirò le occhiate del reparto segaligni.
Posati i bagagli, gli accompagnatori ci sciolsero per le vie del paese per socializzare. Una birreria ci accolse a stento e subito vidi un gruppetto dei nostri a sbavare dietro alla biondina, che rideva delle buffonate dei primi castroni che ci provavano. Uno di questi, mio mentore, nel senso che durante il viaggio, in pullman, si prese la briga di fare le presentazioni perché – ripeto – non tutti noi ci conoscevamo, e che mi presentò al gruppo come un poeta e un sagace umorista perché s'era sparsa la voce che io, una volta, in discoteca, a una che domandai qual fosse il suo nome, e che mi rispose: «Levatidallepalle», replicai: «Accidenti che nome lungo». E vabbè, mi fece sentire importante. Comunque, dicevo, il mentore fu uno dei più attivi nell'attacco frontale alla signorina, la quale rideva forte delle stupidaggini maccheroniche che le diceva e io, nel ritorno a piedi verso l'albergo, credetti proprio che, per lui, fosse quasi fatta. E invece.
Nell'approssimarsi all'ingresso, il mentore mi si avvicinò e mi disse, mestamente: «Luca, quella, la biondina, ha detto che gli piaci, che vorrebbe conoscere te.»

Io?

«Una volta gli ultimatum si davano al nemico»

«Fanno nero i ristoranti, i panettieri e i gelatai. Fanno nero i negozi di souvenir e persino i supermercati che pure hanno il registratore di cassa (per legge), ma poi il conto lo fanno su una calcolatrice a parte. di Simone Filippetti - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/EoaRoI»
Fanno nero anche i Greci. E tuttavia, se il Sole 24 Ore, dopo il periplo di alcune isole greche, inviasse il Filippetti a farsi un giretto da Caorle a Santa Maria di Leuca, poi giù, golfo di Taranto, Calabria, Sicilia, un salto in Sardegna, e quindi tutto il Tirreno sino a Ventimiglia: giusto per vedere quanti scontrini ottiene per il parcheggio, l'ombrellone, il bar sulla spiaggia. E poi, il Filippetti moltiplichi tutto questo nero «per l'intera stagione vacanziera». Scoprirà facilmente che, come in Grecia, anche in Italia
«Sono decine di milioni di euro di sommerso a estate; probabilmente centinaia di milioni di nero. Ogni anno».
***
Una consistente parte della classe media greca, per timore di perdere i propri risparmi, è presa dal frenetico acquisto di beni durevoli come gioielli, auto ed elettrodomestici (lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, televisori, compùteri).
Tutto ciò è comprensibile: per amor patrio, raccomanderei loro di far attenzione a non comprare made in Germany.

***
«Una volta gli ultimatum si davano al nemico». Brava Adriana.

***
Arriva un punto nella storia che, coi comandanti tedeschi, l'unico dialogo possibile è questo:

***
E comunque i comandanti tedeschi fanno i duri perché sono deboli: hanno paura anch'essi di perdere la fiducia nei mercati per salvare l'ingente debito che, sinora, sono riusciti e riescono a vendere a tassi d'interessi pari a o sotto zero.
«L'austerità nel senso delle politiche ufficiali di governo, cioè come percorso di risanamento dei conti pubblici, è un miraggio. L'indebitamento non può essere fermato, perché agli Stati non rimane altra scelta se non quella di pompare sempre di nuovo decine di miliardi nel sistema bancario e finanziario allo scopo di ritardarne il più a lungo possibile il collasso, altrimenti le conseguenze sarebbero catastrofiche. Questi miliardi però non possono venire da una reale creazione di valore, ma solo da una nuova anticipazione di valore futuro. Pertanto, gli Stati devono fare ogni sforzo per preservare la loro credibilità nei confronti dei mercati finanziari ed agire come fossero in grado di consolidare i loro bilanci a lungo termine. Proprio questo è quello che stanno cercando di dimostrare attraverso una brutale politica di austerità per tutti quei settori della società che dal punto di vista del capitale fittizio sono considerati come pura zavorra: lo stato sociale, i servizi pubblici, l'istruzione, eccetera.» Ernst Lohoff e Norbert Trenkle, La crisi del capitale fittizio, 2012, in Terremoto nel mercato mondiale, Mimesis, Milano-Udine 2014

domenica 12 luglio 2015

Lotta continua domani

Avevo detto: «Continua domani». Come continuo? La cosa migliore sarebbe mettersi qui e riscrivere per intero (ricalcare) il capitolo primo del Libro primo del Capitale, La merce, alla maniera di Pierre Menard con il Quijote.
A riassumere i capolavori, di solito, si rischia di tradirli. Ricopiarli è l'unico modo per rendere omaggio: il corpo del Capitale, il suo valore d'uso «si realizza soltanto nell'uso, ossia nel consumo». Consumare Il Capitale, quindi, nella speranza di assimilarlo.

« Ognuno sa, anche se non sa nient'altro, che le merci posseggono una forma di valore, che contrasta in maniera spiccatissima con le variopinte forme naturali dei loro valori d'uso, e comune a tutte: la forma di denaro. Ma qui si tratta di compiere un'impresa che non è neppure stata tentata dall'economia politica borghese: cioè di dimostrare la genesi di questa forma di denaro, dunque di perseguire lo svolgimento dell'espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua figura più semplice e inappariscente, fino all'abbagliante forma di denaro. Con ciò scomparirà anche l'enigma del denaro. »

Ecco, Marx svolge una vera e propria impresa alla fine della quale non solo l'«enigma del denaro» viene risolto, ma, più ancora a monte, viene svelato l'arcano della merce, della forma che assume e del valore che essa contiene.


Per ritornare a quanto ieri abbozzato. 
Capire come funziona la produzione di merci in un regime capitalistico è il primo passo per accorgersi che esso non è un sistema produttivo naturale dato una volta per tutte, il solo e unico possibile, il garante della cosiddetta libertà civile e democratica e del pieno sviluppo della dignità umana (col cazzo). Bensì: il capitalismo è una prassi produttiva che deve essere superata - come non lo so, devo studiare, devo immaginare - perché:
a) l'umanità rischia di collassare per la sovrapproduzione e non per la carestia (anche se la carestia presente nel mondo è dovuta agli squilibri da sovrapproduzione).
b) è assolutamente insensato che la ricchezza prodotta rimpozzi soltanto e sempre nelle stesse cloache (qualcuno li chiama caveau - tengo al singolare per la nota storia che i vocaboli stranieri non si declinano)
c) la schiavitù del lavoro: chiunque per vivere (sussistere) è costretto a lavorare (a vendere la propria capacità o forza lavorativa per uno scopo che non gli appartiene, ovvero che appartiene ad altri che ne spremono plusvalore) è uno schiavo... del lavoro.
d) è domenica di luglio, vado a prendere il sole.

Un'aria diversa da quella

« Mi si ordinò di entrare nella casa di un contadino. Lentamente, dondolando il capo, riassettandomi le bretelle, mi misi in cammino sotto lo sguardo tagliente di quei signori. Avevo ancora la fiducia che una mia parola sarebbe bastata a liberarmi, io, il cittadino, a trarmi da quella folla di contadini, e anzi con onore. Ma quando ebbi oltrepassato la soglia della stanza, il giudice, che mi era balzato innanzi e già mi aspettava, disse: «Costui fa pena». Era evidente che egli non alludeva alla mia condizione presente, ma a quel che accadrebbe di me. La camera somigliava più a una cella carceraria che alla stanza di una casa rustica. Grandi pietre disquadrate, pareti scure e nude, in un punto un anello di ferro ribadito al muro, in mezzo qualcosa che stava tra la branda e il letto operatorio.
Saprei ancora respirare un'aria diversa da quella delle carceri? Ecco il gran quesito, o meglio ecco quel che sarebbe il gran quesito se avessi ancora la speranza di venir rilasciato. »

Franz Kafka, “Il colpo contro il portone”, in Il messaggio dell'imperatore, Adelphi, Milano 1981, vol. 2.

Due pensieri a margine di un post di Olympe de Gouges: è difficile immaginare un mondo diverso perché, come sosteneva Günther Anders, esiste una discrepanza tra quello che l'uomo riesce a produrre e quello che è in grado di immaginare. In altri termini: se fosse fatto un buon uso delle immense possibilità della produzione, tutti al mondo al mondo potremmo vivere bene. Cosa vuol dire fare buon uso della produzione? Risolvere una volta per tutte la contraddizione fondamentale che è in nuce nel concetto di merce e cioè: nella società capitalistica si producono merci non tanto per soddisfare bisogni, quanto – ed è questo lo scopo primario – per valorizzare il capitale anticipato per la produzione della merce stessa. In poche parole: il fine della produzione è esterno alla merce, la merce è soltanto il mezzo per avere indietro più di quanto è stato investito. La merce è prodotta per valorizzare il capitale...

[continuo domani]

venerdì 10 luglio 2015

Futuro senza lavoro?

Art City


Ma tu guarda. Se ne stanno accorgendo anche dalle parti di Washington che c'è qualcosa che non va.

«If we can develop the economic structures necessary to distribute the prosperity we are creating, most people will no longer have to work to sustain themselves. They will be free to pursue other creative endeavors. The problem, however, is that without jobs, they will not have the dignity, social engagement, and sense of fulfillment that comes from work. The life, liberty and pursuit of happiness that the constitution entitles us to won’t be through labor, it will have to be through other means.»

Quali altri mezzi? I genitali? Temo non saranno sufficienti a far sussistere tutti gli sfigati che non riusciranno più a vendere la loro forza-lavoro (nonostante l'ottimo Siffredi presto provvederà a insegnare a usarli al meglio a coloro che vorranno iscriversi alla sua Accademia).
Onestamente, il professor Vivek Wadhwa ammette

«We will surely create a few intellectually-challenging jobs, but we won’t be able to retrain the workers who lose today’s jobs They will experience the same unemployment and despair that their forefathers did. It is they who we need to worry about.»

Più avanti, addirittura, propone... ma sfruttiamo il lavoro robotico di Google Traduttore

«Con i progressi nel campo dell'intelligenza artificiale, qualsiasi lavoro che richiede l'analisi delle informazioni può essere fatta meglio dai computer. Ciò include i lavori di medici, avvocati, commercialisti e agenti di borsa. Avremo ancora bisogno di alcuni esseri umani di interagire con quelli che preferiscono il contatto umano, ma il lavoro sporco scomparirà. Le macchine avranno bisogno di molto pochi umani per aiutarli.
Questo futuro senza lavoro provocherà sicuramente problemi sociali - ma potrebbe essere l'occasione per l'umanità per elevare se stessa. Perché abbiamo bisogno di lavorare 40, 50, o 60 ore a settimana, dopo tutto? Proprio come stavamo meglio lasciando i posti di lavoro dell'agricoltura e delle terribilmente dure fabbriche del passato, potremo stare meglio senza il lavoro senza cervello in ufficio. Che cosa accadrebbe se potessimo lavorare soltanto 10 o 15 ore a settimana in qualunque settore e avere il tempo rimanente per il tempo libero, il lavoro sociale, o il raggiungimento della conoscenza?
Sì, ci sarà un settore del turismo e la ricreazione in forte espansione e saranno creati nuovi posti di lavoro in questi settori - per alcune persone (!).
Ci sono molte cose di cui essere entusiasti e molte cose da temere. Se siamo abbastanza intelligenti per sviluppare tecnologie che risolvono i problemi della malattia, la fame, l'energia e l'istruzione, potremo - e certamente accadrà (!) - sviluppare soluzioni ai nostri problemi sociali. Ma abbiamo bisogno di cominciare capire dove stiamo andando e prepararsi per i cambiamenti. Abbiamo bisogno di andare oltre le affermazioni di una fallacia luddista - per una discussione sul nuovo futuro.»

Ok, proviamo a discutere per veder sino a che punto i padroni del vapore staranno alla discussione o scateneranno la lotta per sacrificare belluinamente tanta parte d'umanità.

giovedì 9 luglio 2015

Diciannove soltanto

Via Agenzia delle Entrate
Sono diciannove partiti politici ammessi al beneficio della destinazione volontaria del due per mille dell'IRPEF, ognuno col suo codice affibbiato secondo un ordine alfabetico privo di qualche letterina.
Il Centro Democratico: pare Tabacci.
Quattro partiti localisti del Trentino Alto Adige.
Due invece per la Val d'Aosta.
Uno per una macroregione inesistente del cazzo.
Uno per gli italiani all'Estero con la E maiuscola.
Due diciamo di Sinistra di cui uno Comunista (i rifondaroli).
Il Partito Liberale del compianto Altissimo.
Scelba Civica.
Il Partito Socialista di Nencini (gesùbambinoaiutami).
Popolari per l'Italia in che senso? Sparsi a giro per l'Italia come spermini di tarassaco?
Poi, vabbè, gli altri.
Manca qualcuno? Il Partito Radicale, per esempio: perché non è in lista? Gli bastano i contributi in dote alla Radio? 
Inoltre: Giorgino La Malfa ci avrebbe fatto la sua porca figura e invece.
Assenti pure i Pentastellati (qui mi sembra di sapere perché ma ora non mi va di ricordarlo), Italia dei Valori (se esistono ancora i Valori - una requie a Bice) e il Partito Sardo d'Azione.

Personalmente, sono attratto dalla Stella Alpina, ma ora sento se mi regalano una settimana di soggiorno a Courmayeur.

Dodici iddii

La mancanza della firma in uno dei riquadri previsti costituisce scelta non espressa da parte del contribuente. In tal caso, la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. La quota non attribuita spettante alle Assemblee di Dio in Italia e alla Chiesa Apostolica in Italia è devoluta alla gestione statale.

Cazzo, non solo di Buddha: sono aumentate le opzioni di scelta. Stupore per la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale e pure per l'Unione Induista italiana. 
Mancano i musulmani, ma come mi spiegava l'amica Balqis, via Twitter

«difficile da realizzare forse perché in Italia siamo molto divisi. Noi comunque abbiamo la tassa obbligatoria che si versa a fine ramadan e va ai musulmani bisognosi. Inglobata nell'otto per mille avrebbe valore simbolico. Farebbe sentire più integrati».

Certo, i musulmani sono divisi, come lo sono i cristiani. Tuttavia, mentre quest'ultimi sono doviziosamente rappresentati nei vari ordini, domando: per religioni diverse da quella cristiana, lo Stato italiano impone una rappresentanza unitaria?  E se sì, perché? Dipende dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo?

mercoledì 8 luglio 2015

Prescrizioni

- Mi aiuti dottore: ho i denti gialli.
- Si metta una cravatta marrone.

Oggi pomeriggio, alle quattro, dunque prima che fosse pronunciato il verdetto che ha condannato Berlusconi in primo grado a tre anni di carcere in merito alla vicenda della compravendita di senatori, sono stato dal dentista per un'otturazione. 
La dottoressa, dopo avermi fatto accomodare sul lettino poltrona, mi ha messo in mano una fiala di carbocaina per scaldarla (anche se ce n'era poco bisogno); dipoi, mi ha praticato con delicatezza un'iniezione gengivale della stessa sostanza anestetica e, ciò facendo, con l'indice massaggiava dolcemente il labbro superiore, sul baffo destro, come a distrarre un eventuale - ma non avvertito - fastidio dovuto alla puntura. Beh, confesso che ho molto apprezzato il gesto, una sorta di gradevole solletichìo, predisponendomi a subire con meno uggia i trapanamenti del caso.
Di più: una volta tolta la vecchia otturazione, installata la "diga" tra due denti (sorta di piccolo telo elastico che impedisce di far entrare in bocca i detriti otturativi), senza quindi il rumoroso tubo aspiratore sotto lingua, mentre l'odontoiatra e la sua assistente lavoravano al mio dente, mi sono assopito e ridestato più volte al comando di tenere ben aperta la bocca.
In uno di questi frangenti, d'improvviso, forse nel momento in cui sentivo parlottare sul tipo di colore da scegliere per ricostruire l'otturazione, m'è venuto in mente Berlusconi, o meglio, ho immaginato involontariamente la scena di Berlusconi dal dentista, se anche a lui, di tanto in tanto, fosse preso prurito a un ginocchio, a un gomito, al collo, oppure se, con una mano, nascostamente, avesse dovuto tenere a bada un'improvvida erezione. Prescritta.

I limiti del mio garantismo

[Ansia]

martedì 7 luglio 2015

Il problema d'un mendicante

« Io mi domando perché la realtà dev'esser semplice. La mia esperienza mi ha insegnato che, al contrario, non lo è quasi mai e che quando v'è qualcosa che sembra straordinariamente chiaro, un'azione che apparentemente obbedisce a una causa semplice, quasi sempre al di sotto vi sono i moti più complessi. Un esempio d'ogni giorno: la gente che fa l'elemosina; in generale, si ritiene che è più generosa e migliore di chi non la fa. Mi permetto di trattare col maggior disdegno una teoria così semplicistica. Chiunque sa che non si risolve il problema d'un mendicante (d'un mendicante autentico) con dieci centavos o un pezzo di pane: si risolve soltanto il problema psicologico del signore che in tal modo compra, per quasi nulla, la sua tranquillità spirituale e il suo titolo di generoso. Si giudichi sino a che punto possa essere meschina questa gente che non si decide a spender più di dieci centesimi al giorno per assicurare la propria tranquillità spirituale e l'idea riconfortante e vanitosa della propria bontà. Quanta maggior purezza di spirito e quanto maggior valore si richiede per sopportare l'esistenza della miseria umana senza questa ipocrita (e usuraia) operazione! »

Ernesto Sábato, Il tunnel, Buenos Aires 1961, edizione italiana Feltrinelli, Milano 1967 (traduzione di Paolo Vita-Finzi)

Chiunque sa che non si risolve il problema d'uno Stato (d'uno Stato debitore) con qualche miliardo di euro o un pezzo di pane: si compra soltanto del tempo, tempo per fare riforme strutturali  (ed è notorio quali strutture saranno riformate) e per far di nuovo alzare gli indici (indici? A me sembrano medi) borsistici che, per un certo periodo, daranno l'illusione che la tempesta è passata, che la strada intrapresa è quella giusta - e invece cresce la disoccupazione, la miseria si diffonde e la ricchezza si concentra in poche mani.
Rifiutare di capire che la crisi attuale (in corso da anni) non è una crisi economica (e politica) temporanea e/o ciclica, bensì è una crisi perdurante e definitiva, è la crisi strutturale del sistema economico e produttivo capitalista [*] - rifiutare questo dato oggettivo è coltivare l'illusione che questo sistema economico di rapina valoriale e collasso ambientale possa essere emendabile con delle riforme strutturali - e prima o dopo la sola riforma politica da praticare sarà la guerra. 

Marginale curiosità: vedasi la Siria. Dopo anni di conflitto, di devastazione, c'è qualcuno che sta alzando il ditino sul debito pubblico siriano delle parti¹ in lotta? In breve: per bombardare, i soldi si trovano sempre?

Sì.
via²

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¹Io spero vivamente vinca Assad.
² Notizia dello scorso marzo 2014.