sabato 21 novembre 2015

Sottomettersi incondizionatamente

Emanuele Trevi, sul Corsera, ragiona intorno a I due volti dei jihadisti fai-da-te e dice cose sensate, in relazione soprattutto all'impossibilità di comprendere nel profondo la metamorfosi che compie una persona "normale" per trasformarsi in "terrorista":
«Come tutti i loro contemporanei, questi disgraziati si lasciano dietro un mare di tracce digitali: selfie e messaggi che fino a un certo punto della loro storia li mostrano indistinguibili da tutti gli altri, nell’infinita serie di variabili che rientrano comunque in un concetto approssimativo di «normalità». Poi avviene una specie di salto invisibile, come una morte apparente che genera una nuova vita irriconoscibile, e il ragazzo che cantava il rap ci guarda truce e demente, brandendo un mitra, lo sguardo ridotto a una fissità maniacale, come se un congegno fantascientifico fosse riuscito a espellere da lui ogni forma di coscienza e di empatia. Cos’è accaduto? Nessun selfie potrà mai catturare il momento della metamorfosi. È proprio su questa casella vuota e oscura che bisogna esercitare l’intelligenza. Le serie di foto che guardiamo sui siti di giornali ci fanno vedere solo il prima e il dopo. »

Secondo me, quello che accade, è una cessione di se stessi in favore di un'astrazione; una dispersione dell'individuo dentro una comunità che lo accoglie offrendogli la falsa impressione di moltiplicarlo per una causa superiore; una sorta di travaso della personalità dentro la prigione del Noi. In poche parole: è quando l'Io diventa debole che cerca qualcosa che lo trascende e gli dia identità e appartenenza. E cosa c'è di meglio che associarsi, riunirsi, fare gruppo, entrare a far parte di una banda, di una setta, di una società segreta? 

« Alla particolare misura di coesione esistente all'interno delle società segrete corrisponde la loro decisa centralizzazione; esse forniscono esempi di un'ubbidienza ai loro superiori totale e cieca, di cui troviamo esempi naturalmente anche altrove ma che qui è particolarmente sorprendente se consideriamo il carattere dell'associazione spesso anarchico e contrario a qualsiasi altra legge. Quanto più criminosi sono gli scopi della società segreta, tanto più illimitato è di solito il potere dei capi e tanto più crudelmente viene esercitato. Gli Hashishin arabi, gli Chaffeurs (una banda di fuorilegge dall'organizzazione ramificata che imperversò in Francia soprattutto nel Settecento), i Gardunas spagnoli (una società di criminali collegata all'Inquisizione che agì dal Seicento fino ai primi dell'Ottocento), i cui caratteri essenziali erano l'assenza di leggi e la ribellione, dipendevano tutti da un capo supremo che in parte si davano da sé e al quale si sottomettevano incondizionatamente e senza alcuna critica. Allo scopo non agisce solo la correlazione tra esigenze di libertà e legami che emerge dalla severità del rituale e che qui riassume gli estremi di ambedue: l'eccesso di libertà che simili leghe possedevano nei confronti di tutte le norme altrimenti in vigore, per amore dell'equilibrio del senso della vita, andava compensato da un equivalente eccesso di sottomissione e di rinuncia al proprio volere. Tuttavia ancora più essenziale era l'esigenza di centralizzazione che costituisce la condizione d'esistenza della società segreta, soprattutto quando, come nel caso di una società criminale, vive delle cerchie che l'attorniano, si mescola ad esse in moltissime irradiazioni e azioni; non appena al suo interno non regna la coesione più inflessibile attorno a un centro, è gravemente minacciata dal tradimento e da deviazioni di interessi ».

George Simmel, Il segreto e la società segreta, (1906), traduzione italiana di Giuseppina Quattrocchi per SugarCo, Varese 1992.

Sere fa, su Radio Uno, nel tardo pomeriggio, la conduttrice di un programma di approfondimento di temi d'attualità, ha chiesto a Sergio Romano perché per l'Isis fare propaganda è indispensabile. L'ex ambasciatore ha risposto, certo più diplomaticamente di quanto ricordo, pressappoco così: «Perché ogni terrorista suicida è un terrorista in meno».
via
Senza affatto prescindere dalle cause storiche, sociali, economiche e politiche che sono humus perfetto per tali metamorfosi individuali, occorre, limitatamente al caso di Parigi e al mancato terrorista suicida fuggitivo, Salah, arrestarlo ma non per dar sfogo alla giustizia, quanto per trarlo in salvo, proteggerlo, farsi raccontare quello che è accaduto dentro di sé e - a meno che la sua mente non sia ancora inebetita di fondamentalismo - far di lui una specie di "eroe" che ha preferito dire di no.

1 commento:

lozittito ha detto...

poichè a mio avviso l' "io" oggi è qualcosa a metà fra una vaga percezione, una rappresentazione sociale ed un miraggio, propenderei per una travaso tra un dominio sociale in cui si è periferici e chiaramente subordinati ad un altro ipotetico dominio sociale in cui forse si assume ruoli di rango,di distinzione, anche se attraverso il martirio

Girard con le sue tesi sulla scena primordiale e l'assassinio collettivo come fondamento della comunità (che condivido parzialmente)delinea una interpretazione che forse può essere più interessante, che ci piglia di più, di quella psicologico/individuale