lunedì 30 maggio 2016

Popolare per davvero 3


Quello che non ho mai capito - che non ho mai voluto capire perché non gliel'ho mai chiesto né ho indagato chiedendolo agli altri colleghi - è come le sia saltato in mente di chiedere a me tale favore, a me, collega col quale non solo non era in confidenza, ma al quale non aveva mai rivolto parola o sguardo amichevole, niente.


E il bello fu che io non le dissi nemmeno di «no, ma che dici, sei scema?», niente. La calamita dei suoi occhi m'impediva ogni via di fuga o di contrarietà. Balbettai soltanto un misero, «anche volessi, non saprei come», parole che lei giustamente intese come un possibile assenso ai suoi nefasti propositi.

«Non ti preoccupare sul ‘come’: l'importante per me è che tu non escluda del tutto la possibilità di farmi questo favore. Ne riparleremo. Per ora mi raccomando: acqua in bocca», disse, appoggiando i polpastrelli dell'indice e del medio sulle mie labbra.

Avevano uno strano sapore.


***
La sera a casa ero inquieto (è un classico). Né la televisione, né internet riuscivano a distrarmi dalla richiesta, o favore, come l'aveva chiamato.
Favore una sega. 
«E se me la facessi?» pensai, «forse potrei distrarmi e magari, dopo, dormire».
Macché. Quando ho un pensiero fisso non riesco a masturbarmi. Non ce la faccio. È un residuo dei sensi di colpa che da ragazzo mi facevo quando i pensieri fissi erano più frequenti di adesso e quando, anziché i video come ausilio, da guardare c'erano i giornalini. Quanti me ne sono passati tra le mani. Ahimè, se li avessi conservati, chissà, forse avrebbero un valore al mercato dell'usato. Invece niente, appena avevo un pensiero fisso, via, li buttavo tutti. Ma il problema era che, quando ero ragazzo, nella mia città non c'erano i cassonetti e la raccolta dei rifiuti era manuale, porta a porta: la mattina i miei depositavano fuori della porta il sacco della spazzatura e, di lì a poco, il camion della nettezza sarebbe passato a prelevarlo. Se i sacchi erano due avrebbero destato sospetti dei netturbini, i quali senz'altro avrebbero indagato. E scoperto. E detto a mio padre. E mio padre non mi avrebbe detto niente, ma avrebbe indagato dove tenevo i giornalini e se li sarebbe presi lui. Così, affinché mio padre non si masturbasse, i giornalini li buttavo via lungo la strada, in dirupi scoscesi, dove soltanto qualche volpe o scoiattolo avrebbero potuto leggerli. Un giorno accadde che, mentre li lanciavo dal motorino, dietro di me comparve una pattuglia di forestali. Cazzo. Volevano portarmi in caserma e chiamare mio padre. Li implorai, piangendo, che non l'avrei più fatto, che era la prima volta, che... «Prima volta una sega», disse la guardia, aprendo il portabagagli e mostrandomi la pila di giornalini stracciati raccolti. Per fortuna la mia disperazione ebbe la meglio. Mi lasciarono andare strappandomi la solenne promessa di rispettare l'ambiente. 
La settimana dopo chiesi i soldi a mia madre per iscrivermi alla Lipu.

domenica 29 maggio 2016

Teoria del romanzo

Quante storie, quanta narrativa, quanti personaggi inventati, quanta aggiunta di vita alla vita, come se la seconda non bastasse.

La seconda non basta.

La trama, gli intrecci, il tessuto, l'ordito, la tela: tutte coperture. In realtà, ogni narrazione è svelamento e, insieme, nascondimento di sé. E dato che ogni coperta narrativa è corta, qualcosa resta scoperto.

Mi raccomando non i piedi, la testa.

Prendi un nome di donna e ci metti dentro una donna, la rivesti di vissuti, le appioppi stati d'animo, la muovi come una marionetta sui fili del discorso. La atteggi. Le assegni un ruolo, a seconda delle esigenze narrative.

Prendi un nome di uomo e ci metti dentro un coglione, lo ignudi nei vissuti, lo scortecci, lo assesti, lo imbalsami in una posa tale che si pensi abbia da dire qualcosa, ma, nonostante il vaniloquio, resta muto.

Prendi una città, tre palazzi, due strade, una piazza, un bar. Gente che passa e fa sentire ancora più soli i protagonisti. Negozi pieni di gente, negozi vuoti di gente.

Commercio di gente.

Qualche telefonata, l'incontro casuale con un amico non visto da molti anni, un paio di scene di sesso spinto, una colazione, due pranzi, la cena al ristorante dopo la quale si ha una terza scena di sesso trattenuto. 

È tutto una simulazione.

Tra le molteplici finzioni, è raro siano descritte le funzioni corporali. Nei romanzi e nei racconti, i protagonisti difficilmente vanno d'intestino, od orinano almeno un decimo di quanto accade nella realtà. Ma io sono un lettore pigro, non faccio testo. Tuttavia, mi ricordo che in Ada o dell'ardore di Nabokov, Van - il personaggio maschile principale, all'alba di un duello all'arma bianca o nera non mi ricordo - dopo essersi rasato, «produsse un escremento perfettamente strutturato». 

Il problema generale della letteratura è che è un'arte anti-memetica, difficilmente una frase si incrosta nella mente collettiva come il ritornello di una canzone o il particolare osceno di un quadro o di una statua. Ho detto una cazzata? Può darsi.

Però, a mio avviso, niente come una frase ben composta, perfettamente strutturata, rende compartecipe il lettore dell'intelligenza altrui, dell'altrui interiorità - budella comprese.

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P.S.
La storia dei due bancari è in cassaforte. Ritardata.

venerdì 27 maggio 2016

Internazionale proletaria


Non so se avranno ragione i manifestanti francesi, lo spero per loro, almeno che qualcuno in Europa la vinca una partita contro il capitale.
D'altro canto, se in Italia ci fossero state manifestazioni di massa dure e prolungate contro la legge sul lavoro promossa dal governo Renzi ed emendata dal parlamento a maggioranza piddina, striscioni simili rivolti ad altri paesi europei i lavoratori¹ italiani non avrebbero potuto esporli; o forse sì, uno, il seguente:
NOI NON FAREMO LA FINE DELLA GRECIA
ma non sarebbe rimasto sospeso a lungo, giacché ben presto le mani dei manifestanti sarebbero scese a toccarsi le palle. 

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¹Più estesamente: tutti coloro che per vivere sono costretti - con maggiore o minore fortuna - a vendere la propria forza e/o capacità lavorativa.

Così imparo (inutile dica che per un attimo mi è sembrato la scritta posticcia, poi - mannaggia - mi è fatto comodo crederci per poterci scrivere qualcosa sopra. E mi chiedo: un'idea scaturita da un falso è di per sé un'idea falsa?).

Ringrazio Giovanni della segnalazione
Questa la foto vera.

via


giovedì 26 maggio 2016

Popolare per davvero (2)

«Parla, lascia sfuggire o afferra, apri o chiudi gli occhi, ma conserva sempre la mente fissa su questa massima: sono i sensi che operano sugli oggetti».
Bhagavadgītā

Non so come affrontare la situazione, non so che pesci prendere – e cosa c'entrano i pesci solo l'addetto alla pescheria del supermercato lo sa. Che mestiere anche quello, ore e ore con i guanti di gomma a frugare pesci tra il ghiaccio, sfilettarli, sezionarli, pesarli, una rottura di coglioni.
Io sto sempre due passi lontano dal banco, perché i pesci mi fanno senso, riesco a mangiarli solo se sono già bell'e cotti e sistemati per benino nel piatto. Però mi incuriosisce molto il fatto che, da anni oramai, ci sia molta più gente a fare la fila qui davanti anziché al banco macelleria. Altro mestiere del cazzo. Se i pescivendoli hanno la faccia tendenzialmente bluastra tendente al livido, i macellai hanno le guance bianche e gli zigomi rubizzi, a richiamare la frollatura.
Anni fa c'era un romanzo erotico, Il macellaio, di una pornografa francese, chissà se è diventata vegana. Un romanzo del cazzo. Non saprei dire se esiste anche un romanzo erotico ambientato in una pescheria. Credo di no, forse perché il pesce puzza più della carne, forse perché è meno sanguinolento, forse perché le creature marine ispirano meno il turpiloquio: «Sei un porco, sei una troia, sei una vacca, sei un toro» non possono essere sostituiti con «Sei un tonno, sei una cernia, sei una spigola, sei un merluzzo».

Ma insomma, sono qui davanti al reparto pescheria della Coop e aspetto il mio turno. Me l'ha chiesto lei se potevo andare a comprarle il pesce. Vuole cucinarmelo ma non poteva fare la spesa, non può uscire, è ai domiciliari. Già, non è questo il primo favore che mi ha chiesto, quello della filiale. Questo è l'ultimo, per ora, e di certo uno di quelli che puzza di meno.

San Massimo

via dubbiosa
«Come avviene che, a dispetto delle persone, gli interessi personali si evolvono sempre fino a diventare interessi di classe, interessi collettivi, i quali si rendono indipendenti di fronte alle persone singole, nel rendersi indipendenti assumono la forma di interessi generali, come tali entrano in opposizione con gli individui reali, e in questa opposizione, per cui sono determinati come interessi generali, possono essere rappresentati nella coscienza come interessi ideali, persino religiosi, santi? Come avviene che nell'ambito di questa trasformazione degli interessi personali in interessi indipendenti di classe la condotta personale dell'individuo deve oggettivarsi, estraniarsi, e in pari tempo esiste senza di lui, come potenza da lui indipendente, prodotta dalle relazioni, si trasforma in rapporti sociali, in una serie di potenze che lo determinano, lo subordinano e quindi appaiono nella rappresentazione come potenze “sante”?». 
Marx-Engels, L'ideologia tedesca, III. San Max, cap. 2

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Il passaggio dell'intervista a Cacciari che mi ha ispirato è il seguente:
Quando parla di rischio populismo in Italia a chi si riferisce?Di certo non penso al Movimento 5 stelle, la cui una matrice fondamentale è un po’ verde e un po’ anarchica. Insomma, nulla che abbia a che vedere con le Le Pen o con gli Hofer. I 5 stelle sono il minore dei pericoli. 
E il pericolo maggiore?I vari Salvini e Meloni. Sono quelli i pericoli per il Paese.
E il mio dubbio è: uno che pensa che «i pericoli per il Paese» siano «i vari Salvini e Meloni» non sarebbe il caso di fargli un bel test per misurare il grado di confusione mentale per le cazzate diffuse a mezzo stampa?

mercoledì 25 maggio 2016

I nuovi licantropi

Per alcuni giorni, lasciamo Alberto in attesa e ritorniamo a noi, alla questione ancora non pressante del referendum prossimo costituzionale - c'è ancora da ricevere l'estate addosso come direbbe qualcuno che ancora mi pare non si sia espresso sulla questione ma c'è da scommettere che lo farà perché i professionisti dell'informazione domanderanno senz'altro il parere delle persone famose soprattutto se quelle individuate alla bisogna non diranno niente di impegnativo, di scandaloso, di destabilizzante e quindi fastidioso ai desiderata governativi -, premettendo un riassunto ineccepibile
«Con la nuova legge elettorale il partito che vincesse le elezioni anche con un vantaggio dello 0,1 per cento dei voti, potrebbe aggiudicarsi anche 200 deputati in più. Il governo potrà così far approvare da una maggioranza assoluta di nominati ciò che vuole. Cosa che del resto già avviene. Infatti, quanto alle modificazioni costituzionali, di là del fatto che esse siano buone o cattive, resta che esse sono state scritte da un governo presieduto da un parvenu che nessuno popolo sovrano ha eletto, e soprattutto sono state  approvate da un parlamento eletto con una legge elettorale che la corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale su due punti fondamentali, il premio di maggioranza e la mancanza delle preferenze.»
Bene, alla luce di queste pacate e sensatissime considerazioni, che non possono essere escluse dal dibattito altrimenti è una discussione da falsari, c'è un autorevole commentatore, giornalista e scrittore, voce molto ascoltata e seguita della Sinistra italiana, il quale, a margine della vicenda su come e cosa voteranno i partigiani - dalla sua rubrica scrive:


Non si preoccupi Serra, nessun ululato. Si dondoli pure sulla sua Amaca confortevole, magari per un momento riflettendo a come avrebbe votato se - date le medesime modalità di deliberazione e dato lo stesso contenuto di riforma - nel febbraio 2013, per lo 0,37%, avesse vinto la coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi e che essa avesse conquistato il premio di maggioranza incostituzionale alla Camera dei deputati. Sta ululando lui stesso o si è già preso a morsi da solo?

lunedì 23 maggio 2016

Popolare per davvero

Lavorare in banca: una vita di merda. Vedersi passare davanti tutti quei soldi, toccarli, non poterci far niente se non contarli e stare attenti a non sbagliare, ché alla fine della giornata i conti devono tornare sennò son cazzi. I primi tempi, le paure; poi, col tempo, è diventata una abitudine. Ho sbagliato solo una volta, ottanta euro: sono sicuro di averli dati per sbaglio alla moglie di Renzi, quella volta che venne a cambiare il bancomat perché le si era smagnetizzato.

Ma la peggior cosa del lavoro sono le pause pranzo, coi colleghi, a mangiare qualcosa pagato coi ticket restaurant, sempre più o meno al solito posto, soliti piatti, soliti discorsi del cazzo sul calcio, la fica e le vacanze, solite passeggiate digestive per arearsi i polmoni prima di tornare al chiuso, seduti dietro al banco ad aspettare la clientela.

Eppure tutti - parenti, amici - continuano a dirmi che sono un uomo fortunato perché ho un lavoro sicuro, ben pagato, la famiglia, la casa, la macchina. Tutta gente che ama parlare della condizione esistenziale altrui. Io non mi permetterei mai di dire a un maresciallo dei carabinieri che è un uomo fortunato. E neanche a quei dirigenti papponi del cazzo parastatali che succhiano soldi in automatico perché detengono monopolio in qualche settore, dalla pubblicità al gioco d'azzardo. Crepassero. Eppur vivono. Ma io no, non li invidio, non ci penso e se li cito è perché non sapevo quale altra categoria umana e professionale usare come paragone. Ne ho presa una quasi a caso, lo giuro. Ma non è questo il punto.

Il punto è che io mi sono invaghito di una collega, arrivata da poco, più giovane, più bella e però questa collega evidentemente no, non si è (ancora) innamorata di me, anzi mi evita, non mi considera, mi tratta con sufficienza, e mi si rivolge esclusivamente per questioni di lavoro. Eppure fa gli occhi dolci a tutti gli altri, con loro scherza, scambia battute salaci, equivoche - e quanto mi fa incazzare questo andazzo dio solo lo sa (dunque non lo sa nessuno, io e basta).

È difficile continuare così, andare a lavorare e patire il doppio: da un lato i soldi che mi scorrono come acqua tra le mani; dall'altro, per gli sguardi di lei che si soffermano dappertutto tranne che su me. Non vedo l'ora di prendere le ferie per riposarmi un po'.

Pensavo giusto questo stamattina mentre entravo in filiale. C'era il sole e non faceva freddo, ho lasciato persino il soprabito in auto. La giornata è iniziata come sempre, clienti, movimenti, saldi, estratti conto, bonifici... Dopo pochi minuti, insieme agli altri colleghi, ci siamo accorti che occorreva accendere tutte le luci della filiale perché fuori s'era rabbuiato e qualche cliente, entrando, confermava che stavano cadendo le prime gocce. Quindi, improvviso, un tonfo secco, un tuono fortissimo, come se fosse caduto sul pavimento. Via la luce, i computer tutti bui. Silenzio. Il direttore esce dal suo ufficio dicendo di non preoccuparci, era solo il temporale. Il cliente davanti a me si alza e si avvicina alla porta a vetri. La giovane collega accanto a me, che in quel momento aveva la cassa chiusa, mi si avvicina e mi sussurra.

 - Alberto posso chiederti un favore?

[probabilmente continua]

domenica 22 maggio 2016

Depistarsi

Stasera vorrei depistarmi, lasciare una falsa traccia, esporre un pensiero impensato, non condividermi. 
Per farlo, devo perquisirmi, depositare tutto sul tavolo, comprese le pellicine e le lacrime (me ne scende una adesso perché mi sto grattando un occhio).
Ecco fatto:  non sono più identificabile, almeno sino a un certo punto, finché manterrò fede alle intenzioni, le seguenti:
non rendere commercializzabile la mia identità, toglierla dallo stomaco-database delle Corporation, le quali, per mezzo dei loro potenti e sofisticatissimi algoritmi, seguono ovunque la mia navigazione e mi suggeriscono questo e quello, tentati quasi di prendermi per mano e accompagnarmi verso la mia obliterazione.

sabato 21 maggio 2016

È morto un bischero

È morto Pannella: Apizteotl, il dio della fame, l'abbia in gloria.

Ho letto pochissimi necrologi, lamentazioni funebri sulla di lui ingombrante figura, politicamente morta da almeno un quarto di secolo giù per su. Poi, vabbè, i politici di professione sopravvivono a se stessi, non vanno mai in pensione realmente, anche quando ne ricevono i copiosi emolumenti: i politici stanno sul pezzo finché non muoiono, tanto la politica è un mestiere morbido, leggero, oserei dire lieve, insomma, sangue e merda una bella sega: tutti i politici di professione muoiono (tardi) sul lavoro (chissà se anche tali decessi rientrano nel computo delle morti bianche).

Tra i tanti meriti, Pannella va ricordato anche per i suoi dimenticati discorsi a pioggia monsonica, di quelli che quando attaccava, ti potevi chiudere in camera, metterti le cuffie, ascoltare I Mastri cantori di Norimberga e poi tornare a sentire se aveva finito con la prima risposta alla domanda di Bordin.

E, secondo me, il vero rimpianto non l'avrà la politica italiana per non averlo fatto senatore a vita, ma il Vaticano per non averlo fatto diventare Vescovo e, di poi, presidente della Cei: armeno poteva contà quarcosa in stocazzo de Paese.

venerdì 20 maggio 2016

Triangolo alla francese

«Perché gli egiziani accreditano, senza alcuna certezza, l’ipotesi dell’attentato? Per il generale Abdel Fattah al Sisi è una buona occasione per dimostrare che le falle della sicurezza egiziana sono pari almeno a quelle dell’aeroporto di Parigi. Le disgrazie degli altri giustificano le proprie inettitudini: questi sono i tempi che corrono nei rapporti anche tra Paesi alleati. Ricordiamo che la Francia ha venduto al generale 5 miliardi di euro di caccia Rafale, pagati dai sauditi, e recentemente il presidente francese Hollande è stato al Cairo per firmare contratti sopra il miliardo«. Alberto Negri



giovedì 19 maggio 2016

Volevi dirmi

[*]
Tu mi volevi dire qualcosa ma non ti ricordi che cosa dunque non volevi dirmi niente era un modo di dire per trattenermi per restare in sospeso in silenzio a pensare a quella cosa che avresti voluto dirmi e che io incuriosito aspettavo tu mi dicessi anche se io in un certo senso sospettavo che in realtà non avessi niente da dirmi in quanto c'eravamo detti tutto un sacco di parole tutte quelle che conoscevamo tutte di fila seguendo addirittura un certo ordine alfabetico le avevamo ripetute a volte ridendo altre soffermandoci per pensare al loro doppio o triplo significato persino sulle intonazioni ci eravamo messi a discutere e altresì sulla valenza non certo trascurabile dei gesti delle smorfie dei sospiri e dunque se ora tu mi vedi sorridere ampiamente mentre faccio finta di aspettare che tu ricordi quello che avevi da dirmi è perché tu capisca al volo che io penso che l'unica cosa sulla punta della lingua che hai da dirmi non l'hai da dirmi ma da darmi e allora dammelo quel bacio e non se ne parli più.

Humus italico

Date certe premesse storiche, il potere in Italia è, da sempre, terreno altamente permeabile per l'assorbimento di certi tipi umani che riassumono, quasi alla perfezione, lo stereotipo classico della testadicazzo che sa surfare alla grande sulla cresta dell'onda mediatica che il tempo offre, cavallone dopo cavallone, spruzzo dopo spruzzo, in piedi resistente, oh sì, tanto prima o poi si troverà spiaggiata. Ribaldi ridenti e saccenti che si sentono nel profondo incaricati della missione di salvare il Paese dal disfattismo e dall'indolenza, e per questo vengono issati e adulati massimamente perché fanno di tutto per far credere al popolo che l'ormeggiare equivalga al veleggiare col vento in poppa, lievi, senza cazzi in culo di traverso. 
Determinazione, forza d'animo, fede assidua nei propri mezzi: doti sufficienti per far credere agli altri (anche un piccolo entourage) che tu per primo credi in te stesso perché, di conseguenza, ti credano e alimentino la tua e la loro fede. Poi, la struttura, la macchina, il soggetto automatico, che mai in gira in folle, fa salire il conduttore, lo convince che può guidare e che può addirittura scegliere la strada da percorrere, ma dentro la mappa e l'orizzonte di sempre.

mercoledì 18 maggio 2016

Dove si posano le mosche

Da un interessante articolo di Dario Di Vico sull'export italiano, estraggo:
"Il rallentamento della crescita cinese e la lotta contro la corruzione lanciata da Xi Jinping hanno sicuramente colpito l’export di beni di lusso made in Italy e non si tratta certo di due tendenze effimere."
Capisco male che tutte le belle, lucenti, preziossime merci di lusso made in Italy (e non solo made in Italy) siano costituite, molto più della politica, di sangue e merda, essendo per l'appunto così tanto attrattive per le mosche del capitale?

lunedì 16 maggio 2016

Strani mammiferi


Non so esattamente, magari glielo chiederò a mia madre, se io sono stato allattato con latte di spalla o latte di cuore.
Dal risultato - col seno di poi - credo da una miscela di entrambi; o forse no, il mio era latte di gomito, oppure di fegato... inutile congetturare. So comunque di avere poppato abbastanza, avevo un faccione bello gonfio e poi, zac, una volta svezzato sono iniziate le tribolazioni nutritive, sempre stato uggioso per mangiare fin da piccolo. 

Ma lasciamo perdere il caso particolare e rivolgiamoci al generale per chiedere: se le radici cristiane d'Europa avessero tramandato pratiche iniziatiche simili a quelle della tribù Baruya della Papua Nuova Guinea, ci sarebbero state meno polemiche sulle unioni civili o sui matrimoni tra persone dello stesso sesso? Ma soprattutto: la pedofilia ecclesiastica avrebbe trovato una legittimità scritturale?

domenica 15 maggio 2016

Non c'è gusto a essere tedeschi

L'articolo continua qui

Insomma, qui si sta dicendo ai tedeschi di smetterla di fare i tedeschi, di essere un po' italiani o portoghesi o meglio ancora greci - tanto per restare in Europa.

Ma perché, data l'Europa, non si effettua un travaso di popolazione, strutture produttive annesse, da uno Stato membro all'altro? Anziché li turchi col loro kebab del cazzo, far emigrare un cinque/sei milioni di greci in Germania e, per contro, travasare in Grecia cinque/sei milioni di tedeschi, tutta la Volkswagen, la Bosch, la Miele, la che cazzo ne so.
Giusto un paio di lustri, così dopo gli americani si lamenteranno del surplus greco. O del pus e basta, quello del capitale.
Ma quant'è razionale questo sistema economico e produttivo, vero? Ivi l'intelligenza umana è dispiegata per il progresso della specie. Roba da andare fieri, da essere orgogliosi di così tanto acume.

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A parte.

Perché nessuno suggerisce ai tedeschi di trasferire questo surplus nelle tasche di coloro che l'hanno determinato, ovverosia nei salariati in particolare per coloro che sottostanno alle clausole imposte dal Piano Hartz, una delle più merdose leggi contro il lavoro in favore degli interessi del capitale?

sabato 14 maggio 2016

Provvisorio sovrastare




Chissà se da morti i cimiteri saranno belli come da vivi, soprattutto quando, a una certa ora del tardo pomeriggio, l'unico sopravvissuto sei tu, il resto sono solo nomi e croci.
È una strana impressione, paragonabile a quella che potrebbe avere un dio nel ritrovarsi a fianco di noi mortali, con la differenza che la nostra è una solitudine provvisoria, dato che, presto o tardi, il nostro sovrastare diventerà un comune sottostare. 
Però che bei colori il cielo, che luce, tutto molto metafisico. Sarà meglio chinarsi, toccare terra, strappare qualche filo d'erba a una tomba, osservarne le radici, casomai recassero messaggi dal sottosuolo.
E invece è il cielo che parla, un tuono lontano e la pioggia di due cose diverse, una delle quali resta sospesa come volasse con il deltaplano, ché non vuole posarsi finché caso lo imponga - è un caso essere qui e non sapere esattamente se avere voglia di esserci sia una cosa buona e giusta, o sia una cosa e basta tra le tante, fottuta età di mezzo, età del discrimine, del disincanto, della parola che non si accontenta.


venerdì 13 maggio 2016

Dal clementino alla furfuraldeide

«Si va dai mandarini (clementini compresi) ai tubi d’acciaio saldati, dalle biciclette alle stoviglie, passando per aspartame, furfuraldeide, piastrelle e pannelli solari. Ad oggi, sono in tutto 52 i prodotti cinesi su cui la Ue – in base al protocollo del 2001 sull’accesso nella Wto della Repubblica popolare cinese – ha imposto dazi doganali. L’unica arma di difesa in mano a Bruxelles per riequilibrare le asimmetrie commerciali di beni prodotti e venduti sottocosto all’estero sono i dazi anti-dumping. E sebbene – secondo la Commissione Ue – riguardino appena l’1,3% del totale dei prodotti importati nella Ue da Pechino, non averli più – conseguenza diretta del riconoscimento, al Paese, dello status di economia di mercato – potrebbe costare caro. In particolare all’Italia, che rischierebbe di perdere, secondo uno studio Ue, sino a 400mila posti di lavoro.» Laura Cavestri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/P0Sv0D

Il mondo potrebbe essere un Bengodi se non fosse tenuto per le palle da un sistema economico che impone alla produzione di merci, dal clementino alla furfuraldeide, l'esclusiva finalità di aumentare il capitale investito per produrla (senza parlare donde magicamente deriva ’sto capitale iniziale).

In mezzo a tutto ciò, triturata come la roccia in una cementeria, ci sta una merce speciale, la forza lavoro umana, sfruttata sino al midollo in ognidove, secondo le modalità consentite dalla legge (anche in Cina esisterà sicuramente una legge che regola il “mercato” del lavoro). Purtuttavia, non esiste legge al mondo che preveda la restituzione del pluslavoro al lavoratore.

Questo accade perché tale sottrazione rimane un'operazione fantasma, un incantesimo con il quale coloro che detengono i mezzi di produzione riescono, tramite la vendita, a far lievitare il capitale iniziale che sarebbe destinato alla stasi se non avesse il magico ingrediente del plusvalore.

Il lavoro umano produttivo ha come principale finalità la creazione di valore, che non è il valore d'uso, ossia la semplice soddisfazione dei bisogni umani compresi quelli accessori e praticamente indispensabili per vivere come oramai siamo abituati a vivere. No. Il valore d'uso potrebbe, per certi versi, risultare irrilevante, perché la merce (il prodotto) non è il fine della produzione, bensì  il mezzo per ottenere qualcos'altro che la trascende. 

giovedì 12 maggio 2016

Una brutta storia


Anni fa scrissi un romanzo, poi lo misi da parte, con noncuranza. Non accumulate romanzi nel cassetto: tignola e ruggine li consumano (ma i ladri non li rubano).
Fu così che persi il mio romanzo, i personaggi dentro, le loro storie, i ritratti psicologici che permettono al lettore di immedesimarsi con questo e quello.
Questo e Quello, per l'appunto, erano i protagonisti del mio romanzo. Vivevano una torbida relazione omosessuale che, all’epoca, nella provincia italiana, scandalizzava un po’ tutti. Per tagliare la testa al toro, Quello decise di cambiare sesso e divenne Quella. Questo non fu tanto d’accordo, ma per amor della patria accettò di buon grado i termini della nuova relazione. Purtroppo per lui, Quella, nel suo nuovo corpo di donna, trasmutò finanche la propria omosessualità. A Questo, che l’amava, non restò altra strada che tagliare la testa al toro, cambiare sesso, diventare Questa.
Fine.

mercoledì 11 maggio 2016

Passi lenti

Due passi lenti nel dopopioggia, per buttare la spazzatura. Aria calda, polline sopito, cinguettii in ripresa. Nel calpestio involontario di una pigna secca, rapido un upupa fugge colorando il cielo incastonato dentro una pineta. Inevitabile sorridere, vero Eugenio? Pensa, neanche la ruggine rumorosa ad apertura cassonetto rompe l'incanto. Ma un'ape piaggio, sì. Non per il rumore, bensì per la puzza di miscela d'olio e benzina bruciata del motore a due tempi. Insopportabile. Alzo la maglietta sul naso e storco il muso. Bleah. Sputo centrando un soffione dimezzato. Aspettando che gli ultimi residui svaniscano nella troposfera, decido di orinare al riparo di una trincea naturale incavata tra un rovo di more e uno di rosa canina fiorita Ah, che bello lo svuotamento e, insieme, l'assorbimento di sé nel terreno. Lo scrollare successivo è libero e insistito: indaffarate come sempre, chissà cosa penseranno di me le formiche. La loro vita programmata, codificata, preordinata... A volte, le rare volte che mi accorgo che qualcuna è salita su un barattolo vuoto di tonno o di marmellata che da casa porto al punto di raccolta differenziata, mi chiedo che cosa farà la formica smarrita, raminga, lontana dal suo gruppo, dagli ordini impartiti dal comandante in capo, la regina. Gli dèi inesistenti avrebbero per noi il medesimo pensiero?

martedì 10 maggio 2016

La palma va alla Coop


Sono stato a far la spesa alla Coop e alcuni scaffali presentavano questo scenario apocalittico che nemmeno ai tempi di Cernobil (vabbè, ero giovane e un po' di latte e insalata radioattivi mi avranno fatto senz'altro bene).
In seguito alla pubblicazione del dossier EFSA che evidenzia la presenza di alcuni composti contaminanti nell'olio di palma, il cui consumo con percentuali importanti viene sconsigliato soprattutto a bambini e adolescenti, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha chiesto al Commissario Europeo per la salute e la sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis di avviare una verifica urgente ed approfondita.
In base a questi nuovi elementi Coop, coerentemente con il "principio di precauzione" da sempre applicato, ha sospeso la produzione dei prodotti a proprio marchio che contengono olio di palma.
Ora, siccome sino al 6 maggio tali prodotti erano presenti sugli scaffali e quindi in vendita, si potrebbe sapere che fine hanno fatto? Sono stati posti sotto sequestro? Sono stati incarcerati? Confinati a Guantanamo? Oppure sono stati lanciati, sotto l'egida dell'Onu, nelle zone controllate dallo Stato Islamico di Siria e Iraq?
E ancora: chi avesse in dispensa qualche prodotto Coop che contiene olio di palma che se ne fa? Lo riporta indietro che glielo cambiano? Oppure, da bravo samaritano, li dona ai banchi di raccolta alimentare organizzati nelle varie città? È da stronzi? E allora, che fa, ci pastura i cavedani? O i pesci siluro? I cinghiali?

Infine: e tutto l'olio di palma spremuto e immagazzinato che adesso andrà fuori commercio, che cazzo ce ne facciamo? Ci si friggono i coglioni dell'umanità?

Avvocati si nasce

ROMA, 10 MAG - "Non nascondiamo la polvere sotto al tappeto. Sappiamo che quello che è successo è grave. Ma Varani vuole pagare per quello che ha fatto non per quello che gli viene attribuito". Lo ha detto entrando in Cassazione l'avvocato Roberto Brunelli, che difende l'uomo accusato di aver assoldato due albanesi per far sfregiare con l'acido l'ex fidanzata Lucia Annibali, e condannato a vent'anni dalla Corte d'appello di Ancona anche per l'accusa di tentato omicidio.(ANSA).

Tra le doti che occorrono per essere un bravo avvocato, oltre al sapiente uso di artifizi retorici, occorre immediata prontezza nel correggere similitudini che sono sulla punta della lingua ma che potrebbero assai gravemente danneggiare il proprio assistito.
Mi sembra questo il caso dell'avvocato Brunelli, in quanto - c'è da scommetterci - anziché dichiarare alla stampa che «noi» [cioè lui e l'accusato] 
«non nascondiamo la polvere sotto il tappeto», 
stava quasi per dire
«non gettiamo la soda caustica dentro il water».
Poi si è morso la lingua e ha pensato alla polvere. Una cosa più facile da nascondere.

[...]

Se da un lato Vegas, presidente della Consob, sottolinea che il prospetto informativo dei prodotti finanziari
«...rimane un documento troppo lungo e complesso per poter essere letto e pienamente compreso dal risparmiatore. »
dall'altro aggiunge che i prospetti delle obbligazioni subordinate delle banche fallite
«sono stati redatti nel rispetto delle regole di trasparenza previste dalle norme sul prospetto informativo [dando] massima evidenza a tutti i fattori di rischio connessi alla complessità degli strumenti e alla situazione in cui versavano le banche", specificando anche il rischio di "perdere l'intero capitale investito"».
Delle due l'una: o il documento è troppo lungo e complesso e quindi poco trasparente perché non mette in massima evidenza tutti i fattori di rischio connessi all'investimento, o, viceversa, se questi fattori di rischio sono ben evidenziati nel prospetto rispettando così le regole di trasparenza, allora il documento, anche se lungo e complesso, può essere letto e pienamente compreso dal risparmiatore.

Ma vabbè: con mirabile tempismo, la Procura della Repubblica di Arezzo ha fatto perquisire dalla Guardia di Finanza la sede di Banca Etruria;  dalle indagini pare sia
«emersa la presenza di una cabina di regia a livello manageriale».
Ma senti un po’. Io ho sempre pensato che il livello manageriale si occupasse di sceneggiatura. O di costumi e trucco. O montaggio.  Cabina di regia in mano ai manager mi lascia proprio attonito. Domani vado dal mio direttore di banca per capire quale cortometraggio ha girato.

domenica 8 maggio 2016

Geroglifici sociali

ocse
[via]

«La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una immane raccolta di merci e la merce singola si presenta come sua forma elementare». Karl Marx, Il Capitale

Aldilà della specificità delle merci trafficate (una cosa è produrre cocaina e un'altra è produrre Brunello), è evidente che la produzione e il commercio illeciti seguano procedure analoghe a quelle del modo di produzione capitalistico lecito. Entrambi i sistemi hanno il medesimo fine: da denaro investito ottenere più denaro (D-M-D¹); e il solo modo che hanno per riuscirci è sfruttare al meglio - legalmente o illegalmente - il lavoro umano¹. 
L'immane raccolta di merci prodotta dall'uomo determina i rapporti sociali tra gli uomini stessi, li distingue tra produttori e consumatori, tra detentori dei mezzi di produzione e/o smercio a meri venditori dell'unica proprietà commerciabile: la forza lavoro; li divide, tra coloro che possono comprare ampie quantità della suddetta raccolta e coloro che ne possono soltanto annusare gli avanzi. Questo è.
«Gli uomini dunque riferiscono l'uno all'altro i prodotti del loro lavoro come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo. Viceversa. Gli uomini equiparano l'un con l'altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno. Quindi il valore non porta scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale. In seguito, gli uomini cercano di decifrare il senso del geroglifico, cercano di penetrare l'arcano del loro proprio prodotto sociale, poiché la determinazione degli oggetti d'uso come valori è loro prodotto sociale quanto il linguaggio. La tarda scoperta scientifica che i prodotti di lavoro, in quanto sono valori, sono soltanto espressioni materiali del lavoro umano speso nella loro produzione, fa epoca nella storia dello sviluppo dell'umanità, ma non disperde affatto la parvenza oggettiva dei carattere sociale del lavoro. Quel che è valido soltanto per questa particolare forma di produzione, la produzione delle mercimmane raccolta di mercii, cioè che il carattere specificamente sociale dei lavori privati indipendenti l'uno dall'altro consiste nella loro eguaglianza come lavoro umano e assume la forma del carattere di valore dei prodotti di lavoro, appare cosa definitiva, tanto prima che dopo di quella scoperta, a coloro che rimangono impigliati nei rapporti della produzione di merci: cosa definitiva come il fatto che la scomposizione scientifica dell'aria nei suoi elementi ha lasciato sussistere nella fisica l'atmosfera come forma corporea.» K.M. Il carattere feticcio della merce e il suo arcano.

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¹ Finché la forma merce sarà schiava del valore (di scambio), necessariamente gli umani tenteranno tutte le strade, legali o legali, per raggiungere lo scopo per il quale essa è stata prodotta.
Anche una bellissima forma intera di parmigiano reggiano, potesse aggirare l'embargo, giungerebbe illegalmente nelle piazze di Mosca per essere valorizzata. 

sabato 7 maggio 2016

Ti darà della scema

[*]

Gli imprevedibili rimbalzi della rete mi hanno portato a leggere il post su titolato e, leggendo, mi sono vergognato tanto per la figlia - così tanto che, non conoscendo l'autrice, mi auguro la figlia sia una finzione narrativa; d'altronde, per tenere una rubrica su Elle occorre mantenersi in esercizio a scrivere stronzate.

Sbaglierò, ma la mia impressione è che ben pochi maschi occidentali, col testosterone nella norma che pascolano mansueti nei campi dei socialmedia o nelle strade dello scazzo consumistico, si approccino alle femmine in cotal maniera, a colpi di troia, pompinara, puppami l'uccello, per intendersi. Ce ne potrà essere qualcuno che lo dirà, ma penso che costoro siano un'eccezione. Non sostengo che la violenza maschile nei confronti delle donne, soprattutto le donne di prossimità (in ispecie mogli, compagne, fidanzate e persino figlie) sia un fenomeno marginale, anzi. Tuttavia, se si fa una casistica, risulterà che la particolare forma sensuale delle labbra muliebri non è certo la causa della violenza sofferta, neanche di quella ‘soltanto’ psicologica.

In breve, la lettera della mamma alla figlia in questione è una lettera di merda (ipse dixit) e non credo sia da escludere che la figlia, una volta adulta, se avrà modo di leggere quello che la madre le ha dedicato, a lei si rivolgerà in questi termini:
- Mamma, te lo dico a fior di labbra: hai scritto davvero una massa di cazzate.

venerdì 6 maggio 2016

Come no

Poco prima delle sei del pomeriggio, ritornando a casa, mi sono sintonizzato su Radio Tre, Fahreneit. Stavano presentando il libro del giorno, Adesso, Feltrinelli, l'ultimo romanzo di Chiara Gamberale; la conduzione era di Loredana Lipperini. Un romanzo sull'innamoramento, pare, ma non è questo il punto. Il punto, o meglio, il dito nell'orecchio (ho scritto orecchio) l'ho sentito penetrare quando l'autrice (16'50") ha chiesto a bruciapelo alla conduttrice:

- Se lo ricorda quel film bellissimo, iraniano, Il passato
E la Lipperini ha risposto:
- Come no.

Quel «Come no» ha toccato le corde della mia anima scordata perché in esso ho visto scorrere tutta la quantità di contenuti culturali (libri, film, concerti, mostre d'arte) che mi sono perso e mi sto perdendo, romanzi della Gamberale compresi. Mi sento così fuori dal mondo, dal centro, completamente ai margini... e così facendo condanno i memi ad autofagogitarsi. Devo fare qualcosa. Ma cosa? Comprare il libro della Gamberale per capire se ha scelto il titolo perché «esiste un momento nella vita di ognuno di noi dopo il quale niente sarà più come prima [e] quel momento è adesso», oppure per un impellente richiamo inconscio a un film di Vanzina.
Spero nella seconda ipotesi.

mercoledì 4 maggio 2016

Questa non è una pubblicità


Quand'ero piccolo e i supermercati erano solo in città, mia mamma faceva la spesa presso un negozio di alimentari sotto casa, il cui titolare era un signore dichiaratamente fascista, mai pentito, ma dignitoso, simpatico persino, con il quale poi, da grandicello, al suo "Camerata" sorridente, rispondevo, pur'io con un sorriso, "caro compagno" (lui la mano tesa alta levata, io con un pugno appena pronunciato).
Insomma, mia mamma faceva la spesa in questo negozio pressoché tutti i giorni, e qualche volta mandava me a prendere il pane, il latte, la verdura, il formaggio... Ecco, fu allora che conobbi per la prima volta questo tipo di formaggio con la crosta nera, fascistica appunto, insolito per me ch'ero abituato al più classico parmigiano.
Non avevo mai più avuto modo di imbattermici da allora. 

martedì 3 maggio 2016

Le ciliegie non sono mature

Oramai non dovrebbe mancare molto e la maggioranza della popolazione sarà composta da persone che avranno uno o più tatuaggi. Secondo me tale distinzione ha raggiunto paradossalmente un livello che è quasi più imbarazzante non avere un tatuaggio che averlo, perché essere senza sembra l'ostentazione di una voluta e quanto mai sospetta nudità simbolica.
Il tatuato, infatti, aggiunge al corpo una nuova forma di linguaggio: sul suo corpo ci sono dei segni che lanciano messaggi, esoterici o essoterici che siano, da massime sapienziali a semplici cazzate, che mostrano quanto la lingua parlata o scritta non basti più a esprimere quello che si vorrebbe dire.

Oggi, alla Coop, reparto ortofrutta, mi sono imbattuto in una giovane donna, tendenza dark lady, pelle chiara, elegante tailleur nero, decolleté poco pronunciato, i capelli a chignon, sul collo scoperto disegnata una raffinata chiave di violino. Mentre pensavo a chissà quale melodia sarebbe uscita a passarci la lingua, lei è avanzata qualche passo in avanti, zona fragole. La gonna, poco sopra le ginocchia, consentiva una buona visuale delle gambe fasciate da calze a rete - sicuramente auto reggenti - attraverso le quali, sui polpacci, s'intravvedeva una doppia coppia di ciliegie tatuate, comprensive di peduncoli e foglie.

Sul momento avrei voluto domandarle quanto venivano al chilo e se, eventualmente, potevo metterle sulla bilancia. Poi, frenata la voglia e passato al reparto pescheria (in certi momenti, sento un irrefrenabile desiderio di osservare il barattolone gigante contenente acciughe sotto sale del Cantarbico), mi sono chiesto chissà quale significato potesse avere tale simbologia frutticola.

Googolando un po’ a caso ho letto che

«La ciliegia è un frutto "del peccato" [perché] contiene al suo interno simboli che rappresentano l'unione di due persone [le quali] consumeranno la loro unione molto in fretta […]. La dualità fa parte della ciliegia poiché ogni frutto è unito a un altro, cosa che crea un triangolo indicante l'incontro tra due persone, finché entrambe ne avranno voglia; in più il [rosso è il] colore del sangue [,] quindi della vita e spesso legato alla lussuria non certo all'amore duraturo.
Molti riportano che la ciliegia rappresenti la castità e la purezza che vengono perse quando [sono] colte dall'albero, come quando si perde la verginità, una sorta di perdita che continuerà a perdersi a "lungo" [?] da parte della persona che porta la ciliegia tatuata sul corpo [...] Spesso, essendo un frutto legato alla passione che brucia velocemente, la persona che [se lo tatua] non dà una buona immagine [di sé], quindi pensateci a farvi tatuare una coppia di ciliegie [...]».

Sto mangiando un'acciuga, lisca compresa.
_______
[?] La verginità intesa come «perdita che continuerà a perdersi a lungo» è notevole. Nemmeno il poro Alberoni.

Che cosa resterà di me

[*]
O illustri astronomi da Arcetri al Roque de Los Muchachos, ditemi un po’: transitando davanti al Sole, Mercurio gli misurerà la temperatura?

lunedì 2 maggio 2016

150 anni da Sole

IlSole24Ore
«Il Gotha della finanza, delle imprese e della politica non ha voluto mancare all’appuntamento. Tutti si sono alzati all’ingresso del presidente della Repubblica nel palco centrale quando sette giovani cantanti lirici dell'Accademia della Scala hanno intonato le note dell’Inno di Mameli».

Secondo i miei approssimativi calcoli, è mancato all'appuntamento delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della nascita de Il Sole 24 Ore oltre il 99% dei rappresentanti del Paese reale. Forse che non abbiano ricevuto l'invito per tempo? O forse perché essendo essi stessi oggetto di indagine e documentazione continua non possono abbandonare la loro condizione di realtà neanche per un momento?

domenica 1 maggio 2016

Sproni

«Sprone, in franco o alto-tedesco sporo, in gaelico spor, è, in inglese, spur, In Les mots anglais, Mallarmé lo accosta a spurn, sprezzare, respingere, rigettare con disprezzo. Non si tratta di una affasciantne omonimia: è invece, da una lingua all'altra, l'operazione di una necessità storica e semantica: lo spur inglese, lo sprone, è la stessa parola del tedesco Spur: traccia, solco, indice, marca.»  
Jacques Derrida, Sproni, Adelphi 1991

«La realtà eccede sempre: mai confondere la mappa con il territorio». 
Ippolita, Anime elettriche, Jaca Book 2016

Ogni tanto mi occorre un motivo per giustificare la scrittura quotidiana. Ossia: mai avuta la pretesa di racchiudere in queste pagine l'intera realtà, neanche la mia. Ma una parte sì, non necessariamente quantificabile, né qualificabile con un giudizio di merito. Mera rappresentazione scenica di neuroni esibizionisti che ci tengono a interagire con la storia, la società, la cultura, la voglia di fare sesso. I neuroni specchio sono i più sinceri.

Desideri banali, terra terra, poco ambiziosi. Ma va bene così: è già molto che non abbia attivato i neuroni per spronare altri a qualsivoglia jihad del cazzo, compresa quella renzista del riformismo spinto nel culo a forza di sorrisi.

Libertà andavo cercando ch'è sì cara. La presente non mi sembra ancora obbligatoria. Baci sparsi.