giovedì 30 giugno 2016

Bio triste

Sono così triste, ma così triste che, per passare il tempo, ho comprato una lavatrice di nuova generazione, di quelle che lavano via la tristezza, c'è un programma apposta, come per le mutande (forse la tristezza è dentro le mutande). Il problema sarà dopo, quando la tristezza sarà lavata dovrà essere appesa ad asciugare: infatti, se i panni sporchi si lavano in famiglia, quelli puliti li devi stendere al sole e al vento, di modo che chi passerà a un dipresso poserà inevitabilmente lo sguardo sulla tristezza altrui, come se ci fossero palle appese, il Natale che si avvicina - la fine di giugno mi rende triste perché le ore della notte riguadagnano terreno -, ma soprattutto si corre il rischio che la propria tristezza, così timida e spontanea, sia scambiata per presunzione, per ingratitudine, per vezzo.

Vezzo un cazzo. La vita è un orpello dell'universo, il principio antropico non mi convince, troppo spreco di materia sarebbe occorso per metterci in scena a recitare le nostre esistenze recalcitranti, dalla fatica di nascere, all'insensatezza del morire (io credo risorgerò, questo corpo vedrà Salvatore Aranzulla). Ecco qua, scherzavo: non sono più triste, car je suis con.

mercoledì 29 giugno 2016

Uscitori dall'Europa

Gran parte degli uscitori dall'Europa[*] sognano un futuro autarchico costituito da una produzione e da un’offerta merceologica massimamente nostrana, a chilometro zero virgola. Essi non vogliono vincoli e dipendenze dall'estero e per questo gridano «padroni a casa nostra». Di più, per dar prova di essere animati da un disinteressato spirito democratico, concedono benevolmente che anche gli altri popoli arrivino a considerarsi fieramente «padroni a casa loro». 
Poi però si offendono se quei padroni là respingono quella parte di produzione destinata a far pendere a proprio favore la bilancia commerciale qua. Allora ricominciano le moine, le telefonatine, gli incontri bilaterali, poi trilaterali e va a finire che i nuovi padroni si ritrovano tali e quali ai vecchi a fare un'ammucchiata (return to gang bang). E ricominciano i problemi, soprattutto perché quello lo vuole così, quell'altro lo preferisce cosà, e fai piano, e ti metto il veto, la sanzione, la quota immigrati, la quota latte, il calibro dei cetrioli. 
Il giorno dopo il festino, i padroni ritornano a casa e raccontano ai servi che loro sì che hanno ottenuto garanzie, finanziamenti, sgravi fiscali, proroghe. E i servi per un po’ ci credono, che altro devono fare sennò, stroncargli il mocio vileda sul groppone? Raparli con il decespugliatore? Usare un proiettore di una lim per una rettoscopia? Così va a finire che i padroni si dicono costretti dall'Europa a fare le riforme, perché l'Europa ce lo chiede, senza dire che Europa è roba loro, fornicatori in traduzione simultanea.
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[*] da Rieducational Channel

martedì 28 giugno 2016

Arvedi come balla l'Ilva

Ansia

Arvedi-Delfin-Cdp. Non è un ordine alfabetico.

Arvedi è un cognome; Giovanni Arvedi è infatti un imprenditore siderurgico.

La Delfin, invece, è (mi affido a Wikipedia) una
società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità di Leonardo Del Vecchio [...] Delfin S.à.r.l., con sede a Lussemburgo, amministrata da Romolo Bardin. Leonardo Del Vecchio possiede a suo nome il 25% della Delfin, e alla sua morte passerà alla moglie Nicoletta Zampillo; il restante 75% è diviso equamente tra i sei figli (12,5% a testa), attualmente anche queste partecipazioni sono sotto il diretto controllo di Leonardo Del Vecchio (detiene l'usofrutto fino alla morte).
Il padre Del Vecchio usufruisce del capitale che destinerà alla morte ai suoi Delfini?

Ultima, ma non ultima, Cdp, la rinomata Cassa Depositi e Prestiti, 
una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1% dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,4% da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5% in azioni proprie.
Stringiamo: la «cordata italiana» (attenti al sapone: una è lussemburghese) è costituita da due società private e una pubblica.
Quella pubblica, nella cordata, occupa l'ultima posizione nonostante, come informa la notizia di agenzia, la sua quota di partecipazione si aggirerà intorno al 45%, mentre quella di Delfin fra il 30-35% e infine Arvedi, che starà sotto il 20%; quest'ultima, nonostante ciò, si occuperà della gestione aziendale della futura newco. Arvedi come balla Giovanni.

Infine, una nota di speranza per i risparmiatori italiani: il governo in carica provvederà a trasformare i buoni fruttiferi in buoni acciaiferi. Toccate ferro.

Era meglio si spezzava

via
I miei pensieri vanno ai curdi sotto assedio
assediati da una nazione che fa parte dell'alleanza atlantica.

C'è un articolo del New York Times, tradotto su Internazionale di questa settimana, che descrive egregiamente lo stato delle cose in Turchia, del voltafaccia compiuto da Erdogan, dopo un lungo processo di pace voluto anche dal suo governo - voltafaccia causato dal successo “imprevisto” della resistenza dei curdi a Kobane, che ha scombussolato i piani del dittatorello demomussulmano.

Il mio timore è che la richiesta di scuse a Putin abbia come obiettivo quello di ritrovare non dico un alleato ma almeno non un sostenitore della realizzazione dell'indipendentismo curdo.
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Nota non troppo a parte
Tutte le volte che rammentano Ocalan, io mi rammento di D'Alema (e del governo da lui guidato). E tutte le volte penso che Craxi, pur con tutti i suoi difetti, non avrebbe fatto abbassare i pantaloni all'Italia così.

lunedì 27 giugno 2016

Aggiunta sulla patente elettorale

A fine post precedente ho scritto “continua”. Ahimè, perché l'ho scritto? Forse perché un post che non si crede definitivamente concluso lascia una sorta di incompletezza simile a quella di un coito interrotto? Ne dubito, giacché tornare sull'argomento della «patente-a-chi-vota» non è certo un godimento, no, piuttosto il suo contrario. Ma ci torno su, ci devo tornare, perché nel post di Mantellini citato in precedenza è esplicitamente affermato che per formare la coscienza critica del cittadino devono essere mobilitati appieno «la scuola, l'educazione, l'informazione».

Io aggiungerei anche Christo, ma a parte ciò, vediamo un po' da vicino ’sti «pilastri della rivoluzione».

La scuola e l'educazione: omissis. 

L'informazione, invece, riprendiamo un capoverso mantelliniano:
«Vogliamo elettori in grado di superare un ipotetico esame di cittadinanza che gli consenta di votare? L’unica strada possibile è quella di investire denaro per una vera politica culturale (Rai compresa) e forse – contro ogni tendenza – per immaginare nuove ipotesi di finanziamento pubblico all’editoria privata.»
Ora, al netto che, anche in questo caso, è difficile convenire su chi debba stabilire quale sarebbe la vera politica culturale e quale la falsa, io, se fossi amico amico di qualcuno che è direttore di un giornale on line, il quale, perdipiù, ha come moglie la direttrice di una rete televisiva pubblica, difficilmente proporrei di «investire denaro pubblico» per l'editoria privata e per la Rai, sono appelli un po’ pelosetti, suvvia: non dico non siano disinteressati, il problema è che sembrano interessati e dunque particolarmente irritanti. E poi, qualora fossero accolti dalle orecchie da mercante della politica, credo ne sortirebbero un effetto assai deleterio sugli elettori che decidessero di sottoporsi all'esame per l'accesso alla cabina elettorale, dacché che essi dovrebbero acquisire quella obiettività del cazzo, politicamente corretta soprattutto col potere costituito, quale esso sia, in particolare quello attuale, svilisci palle, chiamato anche renzismo.

Avrete capito che il continua era una scusa, per che cosa ça va sans dire.

Comunque anche Leonardo ha scritto un post sull'argomento, assai condivisibile, dal quale estraggo:

«Ricapitolando: la demagogia è antica come la democrazia e l'ha già spesso stroncata sul nascere o in seguito; l'imbecillità è una costante della storia dell'uomo, ma prima di internet avevamo meno finestre per osservarla e forse era meglio così, l'imbecillità è ipnotica. La novità - perché secondo me una novità c'è - sta nella crisi. Non quella occasionale o ciclica, ma quella strutturale che sta affliggendo l'Occidente, e che ha tante concause e spiegazioni, ma io resto affezionato alla più banale di tutte: la Cina e l'India hanno tre miliardi di bocche da sfamare e ormai sono Paesi sviluppati. Serviranno ancora generazioni prima che il costo della vita in quei Paesi si alzi ai livelli dell'Occidente - a meno che l'Occidente non si inabissi, e forse questa sarà la soluzione. Nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere e a spostare l'equilibrio, e poi c'è il riscaldamento globale, insomma sarà molto complicato».

Tutto bene, Leonardo, fino alla parola crisi, anzi, concedo: fino alla parola Occidente, anche se bisognerebbe aggiungerci Oriente, Settentrione, Meridione, in breve: il globo terracqueo. Da lì in poi, spiegazione assai parziale e monca del perché della crisi. Assente ogni cenno alla causa reale e determinante: la crisi del capitalismo, ovverosia la crisi del sistema economico e produttivo dominante... e qui mi fermo. E non continuo perché tanto, ammesso e non concesso io abbia la patente elettorale vidimata, difficilmente alle prossime politiche ne farò uso (mi conservo la cartuccia per il referendum di ottobre).

sabato 25 giugno 2016

Proviamo a fare qualcosa

«Vogliamo elettori in grado di superare un ipotetico esame di cittadinanza che gli consenta di votare? L’unica strada possibile è quella di investire denaro per una vera politica culturale (Rai compresa) e forse – contro ogni tendenza – per immaginare nuove ipotesi di finanziamento pubblico all’editoria privata. Soldi tardivi, come certe vendemmie, denari dei cittadini in premio a chi abbia avuto il coraggio di informare con coscienza i propri lettori, fuori dall’immensa marea di fango che è il business dei media oggi, specie in Italia. Un’arena in peggioramento, che ormai non risparmia più quasi nessuno. Tutta gente che per una ragione o per l’altra ha un qualche interesse a mantenere i cittadini -perfino nei tempi della società digitale – ignoranti esattamente come prima. Ce lo ha detto Tullio de Mauro, ok, era vero, l’analfabetismo funzionale è un problema enorme. Ora magari proviamo a fare qualcosa. Che la patente per poter votare è certamente una cazzata, ma anche gli elettori che non sanno un accidente e che danno retta al Salvini di turno sono una faccenda mica da ridere». Mantellini

Provo a fare qualcosa, per me. E per tre (siamo rimasti in tre). Innanzitutto una confessione: una volta avrei voluto anch'io ci fosse stata la patente per poter votare; erano i tempi in cui Berlusconi fondò Forza Italia, si presentò alle elezioni, le vinse e io non riuscii a capacitarmi come milioni di elettrici ed elettori avessero potuto dargli il voto. Tuttavia, il momento in cui più di tutti avrei voluto ci fosse la patente elettorale, fu ai dodici referendum abrogativi del 1995, in particolare per i tre che concernevano la materia televisiva. Che cosa c'era di più stupido, infatti, che votare no a un referendum che proponeva di abrogare per legge le interruzioni pubblicitarie nei film? (Guardare i film programmati da mediaset a parte?). E infatti vinse la cosa più stupida. Fuori di me, arrivai persino a sostenere - stoltamente, mi rendo conto - che «chi vota Berlusconi è un imbecille». Povero me. Se non mi fossi ancora scusato pubblicamente di aver detto questa sciocchezza, lo faccio ora, cospargendomi il capo di cenere e serotonina.

L'anno successivo, forse rincuorato (ancor più stoltamente) della vittoria dell'Ulivo, accantonai l'idea di patente elettorale; al contempo, iniziai a pensare, su suggerimento di una delle tante cazzate sublimi scritte da Ceronetti, che sarebbe stato plausibile elargire, a persone meritevoli e d'indubbio valore, la possibilità del voto multiplo. Quando mi sovvenne, poi, che sorgeva il dilemma su come scegliere questi superelettori, convenni che Ceronetti stava alla politica come Paolo Fox all'astronomia.

Successivamente, provai a ragionare su come estenedere l'esclusione al diritto di voto. Pensai agli ordini sacerdotali che, seppur cittadini, obbediscono alle leggi di istituzioni assolutamente non democratiche; pensai pure di ampliare la gamma di reati che, se passati in giudicato, comportano la perdita di tale diritto.

Infine, ho rinunciato a qualsiasi soluzione, dato che il problema non è nel diritto di voto così come si esercita nelle democrazie liberali, ma quanto il voto limiti e formalizzi la sovranità popolare in esso espressa.

Votare è diventato un mero rituale che offre a sempre meno persone  (basti vedere il costante e significativo aumento di coloro che rinunciano a questo diritto) l'illusione che questo sia sufficiente a influire positivamente - come è stato scritto, per celia - sulla «vita quotidiana della gente comune», sulla capacità di questa di riprodursi con serenità e prosperità.

[continua]

I giusti onori

«Innanzitutto, onore alla Bompiani, un editore che, di questi tempi, osa pubblicare il “Diario” di André Gide in due tomi. Un’impresa del genere, inoltre, ha l’ardire di presentarsi armata di un imponente apparato critico. Curata da Piero Gelli (che firma la prefazione e i bei medaglioni sugli “Amici di Gide”), tradotta da Sergio Arecco, aperta da una Cronologia, l’opera segue l’edizione stabilita per la collana Pléiade da Éric Marty e Martine Sagaert (che introducono il primo e il secondo), recuperando molto materiale inedito e integrandolo con alcuni scritti autobiografici.»

Non per vantare chissà quali doti di bibliofilo (non ne ho), piuttosto per segnalare a Valerio Magrelli che, anni fa, per caso, in una bancarella dell'usato, abbia acquistato uno (ahimè, c'era solo quello) dei due tomi del Diario di Gide, edito per l'appunto da Bompiani, nel 1950, tradotto dal francese da Renato Arenta e con la seguente avvertenza:   



Questo giusto per dire che gli onori all'editore vanno sì tributati, ma per una riedizione fornita di una nuova traduzione e un nuovo apparato critico che segue l'edizione canonica della Pléiade. 






Cul-de-sac

«...Adieu, adieu! remember me».
Shakespeare, Hamlet, I, 5
Giovanni Giudici, Il male dei creditori, Mondadori 1977/1986
A proposito di Cul-de-sac. Mi ricordo che il film di Polanski - che vidi una sera tardi su Rai Tre molti anni fa - mi divertì molto. 

giovedì 23 giugno 2016

L'educazione nuoce

«Spesso ci rifletto e sempre devo dirmi che la mia educazione mi ha nociuto molto in parecchi punti. Questo rimprovero va contro una quantità di persone; è vero che qui stanno riunite e, come nei vecchi ritratti in gruppo, non sanno che farsene l'una dell'altra, non viene loro in mente di chinare lo sguardo e per l'attesa non osano sorridere. Ci sono i miei genitori, alcuni parenti, alcuni maestri, una determinata cuoca, alcune fanciulle delle lezioni di ballo, alcuni frequentatori della nostra casa in epoca precedente, alcuni scrittori, un maestro di nuoto, un bigliettaio, un ispettore scolastico, poi alcuni che ho incontrato una sola volta per la via, e altri che in questo momento non riesco a ricordare, e taluni che non ricorderò mai, e infine altri del cui insegnamento essendo allora distratto da qualche cosa non mi sono affatto accorto, insomma, sono tanti che bisogna stare attenti per non nominarne uno due volte. E di fronte a tutti loro esprimo il mio rimprovero, così li presento l'uno all'altro, ma non tollero contraddizioni. In verità ho sopportato abbastanza contraddizioni e, siccome nella maggior parte sono stato confutato, non posso che comprendere anche queste confutazioni nel mio rimprovero e dichiarare che, oltre alla mia educazione, anche queste confutazioni mi hanno nociuto molto in parecchi punti.»
Franz Kafka, Diari - 1910.

È tanta la gente che ti sciupa il pomeriggio o il mattino o la sera o insomma l'intero giorno, compresa la notte, perché voi sapete che, tecnicamente, il giorno comprende le ventiquattr'ore, delle quali le ore di luce sono chiamate dì, mentre le ore di buio appartengono alla notte. Fatta questa distinzione pleonastica, ma ragguardevole, desidero ritornare all'argomento principe del post: che cosa nuoce alla nostra educazione? Dico nostra per solidarietà nei confronti di Roberta, condannata a due mesi di condizionale perché nel 2014 ha scritto un tesi di laurea sui No Tav usando il «noi partecipativo».

Il plurale maiestatis lo possono usare soltanto i politici, gli allenatori di calcio e il Mago Otelma.

Ecco il punto: oggi ho avuto un incontro educativo che mi ha nociuto molto, due euro per la precisione. È andata così: percorso un sottopasso dove ho indifferenziato il buonomo di colore che ha in programma di prendere la pensione lì seduto a vendere le solite chincaglierie di ambulante, e prima di affrontare la rampa di scale che mi avrebbe condotto dove dovevo condurmi, ho incontrato una signora di mezza età, dai tratti gitani ma dall'accento di Alberobello, alta un metro e un cazzo[*] po’ come Brunetta (per ascoltare quello che aveva da dirmi ho dovuto chinarmi come coi bambini), capelli neri raccolti malamente e occhi azzurri, che mi ha chiesto a bruciapelo se potevo aiutarla perché tiene famiglia da sfamare (e io, per l'appunto, stavo mangiando un panino). 
«Ormai l'ho addentato», ho bofonchiato col boccone in bocca, cercando in tasca, allo stesso tempo, se avevo qualche spicciolo. Sì, l'avevo: due euro.
«Però, sono due euro, non vorrei essere spilorcio, ha mica il resto?».
La signora ha fatto finta di non capire, s'è presa la moneta, l'ha messa in borsa, estraendo al contempo un piccolo sassolino rosso che mi ha messo in mano.
«Ecco per te questo corallo portafortuna, perché te sei una persona buona, di buon cuore, si vede dagli occhi che sei di buon cuore, ma intorno purtroppo hai persone cattive, invidiose di quello che hai, di quello che fai, di quello che sei, persone che ti vogliono male e con questo corallo vedrai che non avrai niente da temere da queste persone che approfittano della tua bontà».
«Veramente io non sono buono: è che mi disegnano così».
«No tu sei buono, vedrai, questo corallo ti aiuterà se lo porterai sempre con te».
«E dove lo dovrei mettere?»
«Nel portafogli. E darmi altre cinque euro perché tu sei una persona buona e io tengo una famiglia a casa che ha fame».
«Te l'avevo detto che non sono buono. Tieni questo corallo.»
E me ne sono andato, con due euro in meno e un po’ di educazione nociva in più.

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[*] Mi sono lasciato andare a un turpiloquio di bassa lega, particolarmente sgradevole quando indirizzato verso le caratteristiche fisiche individuali. Chiedo venia ai lettori e all'interessata. 

mercoledì 22 giugno 2016

Il perno al lotto

Con tutto il vento seminato in questi ultimi anni, il Pd non può certo stupirsi della tempesta che ha raccolto domenica sera nelle urne. Quando la sorte e le circostanze trasformano un partito da forza di maggioranza relativa in perno del sistema politico-istituzionale e questa occasione storica viene dissipata, la politica si vendica, l'opinione pubblica si ribella e il voto lo certifica. 
Egreggio Mauro
nun ce lo sapevo che il pd era un perno, piuttosto un terno, al lotto, quello che permise a Bersani di vincere per un pelo di culo sul cardiopatico passato in giudicato e su du’ peli de cojoni sugli invasati pentastellati, loro che pensano che basti l'onestà. Ah. Ma comunque, se nun lo sapevo io, pazienza, ce lo so ora, che il pd è stato un perno «del sistema politico-istituzionale». Bene. E infatti: prima, da perno, fa ’na figura de ’mmerda per tentà la formazione der governo Bersani, poi dopo anche sulla rielezione de Napolitano, quindi sul governo Letta, poi sulle primarie che vedono Renzi segretario, poi manfrina con Napolitano per le riforme e Renzi butta giù Letta e il pd diventa cosa è ora, e l'accordo con Berlusconi, poi no, poi con Verdini, perché se a la Camera nun ce so’ probblemi a fare il perno, grazie a un surplus di deputati eletti in vizio di un premio di maggioranza incostituzionale, ar Senato invece occorre un terno de senatori perché sennò il perno va sotto che là la maggioranza nun ce ll'ha.

Si dirà: il pd nun poteva far diversamente. Ma’nfatti. Se voleva far il perno per davero, doveva in tutti i modi fare un accordo politico con Grillo, eleggere Rodotà, e quindi tornare a votare con una legge elettorale classicamente proporzionale senza sbarramenti; e soltanto dopo, quale che fosse il risultato, tentare le cosiddette Riforme.
E invece addio perno. Casomai Picerno. 

martedì 21 giugno 2016

Un giudizio riflettente

«Domenica 19 giugno 1910, dormito, destato, dormito, destato, vita miserabile.»
Franz Kafka, Diari - 1910.

Ieri sono stato all'Ikea, all'Ikea in una domenica di giugno, diciannove giugno. Pioveva. Ho provato prima un letto, poi mi sono alzato, ho provato un altro letto e poi mi sono rialzato. Vita miserabile? Dipende. Quando nel coricarsi ed alzarsi lo sguardo è stato deviato da un polo d'attrazione, le considerazioni esistenziali hanno ceduto il passo a valutazioni estetico trascendentali. 
Dio, che culo sublime.

***
Non ho comprato alcun letto. Le solite cazzate del piano inferiore: una tazza, dei bicchieri, sacchetti e contenitori di plastica, strofinacci, scopino del cesso a un euro, un asciugamano, due sedie pieghevoli.
Made in Romania, made in Spagna, made in Cina, made in India, Made in Thailandia, Made in Polonia, Made in Italy... Made in Italy? Che segno è? Italia riparte?

***
Com'è faticoso vivere in una società dove tutto è merce, noi compresi. Eppure, siamo così addentro a questo sistema che pensare di uscirne costa, anche in termini immaginifici, una fatica maggiore. 

domenica 19 giugno 2016

Moresco l'ardimentoso

Lo scrittore Antonio Moresco ha scritto per Repubblica un articolo sulla sua esclusione dalla cinquina di finalisti per il premio Strega. Visto che, raramente, gli esclusi hanno diritto di parola, l'ho letto e mi sono sentito escluso anch'io. Dal comprendere.
«Il gioco è truccato», ripete Moresco dopo che - ci fa sapere - l'aveva già detto anni or sono a proposito dello stesso tema: tuttavia, a parte una descrizione iniziale di alcuni signori aventi diritto al voto per eleggere la suddetta cinquina, Moresco non racconta affatto i trucchi[*] che costoro avrebbero commesso nel non mandare in finale il suo 
«ultimo romanzo intitolato "L’addio", che — se può valere qualcosa l’opinione dell’autore — a me pare il più ardimentoso dei miei romanzi brevi.»
Ardimentoso. Siate sinceri, suvvia: se qualcuno di vostra conoscenza vi dicesse che ha scritto un romanzo “ardimentoso”, come reagireste? Andreste in una mesticheria a pigliare un po' di gesso per calchi per, dipoi, spiaccicarglielo in faccia al fine di ottenere una maschera e con essa andare in giro a sparare cazzate ardimentose?
Non fatevi illusioni, non vi basterà avere la stessa faccia per raggiungere simili livelli:
«Come fate a vivere così?» mi veniva da domandare guardandomi attorno. «Perché state con le gambe così piantate dentro questa melma? Perché avete dato a questa melma il nome di cultura? Non lo sapete che quello della poesia e della letteratura è il più grande e irradiante sogno che sia mai stato sognato? ». Certo, non mi aspettavo niente, tanto più che ho presentato questo libro non con il potente editore con cui avevo pubblicato i precedenti ma con un altro, per rispondere all’invito di un amico cui mi legava un debito di riconoscenza, perché gli scrittori non sono o non dovrebbero essere dei robot tesi soltanto alla loro promozione e “carriera”, a mio parere, e anche perché, se la situazione è tale per cui l’unica alternativa che viene data è tra vincere male e perdere bene, allora preferisco perdere bene.
Gli veniva da domandare. E perché cazzo non l'ha domandato davvero in diretta a coloro che gli erano attorno? E ancora: se, in quel frangente, vedeva persone con le gambe piantate dentro una melma che chiamavano cultura, non è stata omissione di soccorso la sua quella di non averli aiutati a tirarsene fuori, magari sporcandosi un po' le mani, pardon, le gambe?
Nondimeno, maremma impestata ladra, a chi cazzo vuoi che gli venga in mente la grandissima stronzata che la poesia e la letteratura sarebbero «il più grande e irradiante sogno che sia mai stato sognato»? Meglio, assolutissimamente meglio, stare nella melma a sguazzare come porci che star nell'empireo delle cazzate colossali condite di lirismo d'accatto. 
Irradiante. Stocazzo è irradiante, anvedi come luccica: pare 'na lampada a led.

E poi, sentitelo bellino il Moresco:  
«Certo, non mi aspettavo niente».
Ah, lui non si aspettava niente. Non si aspettava niente. L'ha fatto per un amico. E allora? Se non ti aspettavi niente perché te la sei presa così a male, similmente a un ragazzino permaloso a cui è stato fatto un dispetto? L'hai fatto per ripagare il debito di riconoscenza verso il tuo amico? Allora sei a posto. Casomai, dovrebbe essere il tuo amico ad essere incazzato con la giuria dello Strega. Mica te. Te hai ripagato il debito, sei a posto con la coscienza. Ah no? La tua coscienza, Moresco, smania fortemente di delusione e invidia per non essere in finale? Suvvia, scrivi un altro romanzo, questa volta per un editore potente, e fatti raccomandare meglio, ché probabilmente i tuoi 
«coraggiosi presentatori: Daria Bignardi e Tiziano Scarpa»
nonostante siano tuoi stimati colleghi, non sono riusciti a presentarti con sufficiente coraggio (Il coraggio di Daria e Tiziano. Potrebbe essere il titolo di un tuo prossimo libro).
Infine, se è vero, come scrivi, che - al momento - preferisci perdere bene, non ti crucciare, giacché piangerai lacrime gialle (e liquorose) il giorno che vincerai male.

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[*] Unico trucco da lui svelato è il seguente: i finalisti abitano tutti a Roma. E allora? Non gli conveniva scrivere una lettera al direttore de la Padania?

Passare la mano

«Passai davanti al bordello come davanti alla casa d'una donna amata.»
Franz Kafka, Diari - 1910.

Una donna amata mi aveva lasciato per un altro, come le donne del bordello, lo stesso movente. Almeno loro, quando andavo via, salutavano. Lei non ebbe neanche il coraggio di dirmi addio. Mi disse, in seguito, che non lo fece perché temeva di farmi male. Le risposi che sarebbe bastato farmi del bene. «E come», mi chiese. «Sarebbe bastata una mano», risposi. 
Non credo che capì. Infatti, se ne andò via contrariata spingendo il passeggino. Era una persona molto religiosa, voleva mettere famiglia, non voleva restare nel girone dei fornicatori.

venerdì 17 giugno 2016

Moto a luogo

«Una gabbia andò a cercare un uccello»¹.

Su un paio di mutande stese ad asciugare si sono posate due mosche esauste dopo un'ora di corteggiamento in sospensione.
Soffia un colpo di vento e le mosche riprendono a disegnare nell'aere le solite schermaglie amorose. Passa una rondine a volo radente e le ingoia entrambe. Sembrano dolci. Tra poco, esse saranno pasto della rondine neonata che, sotto la tettoia del garage, attende a bocca aperta il ritorno dei genitori.
Le mutande sono asciutte, bene. Dopo la doccia, realizzeranno il complemento.

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¹ Franz Kafka, Aforismi di Zürau, Adelphi.

mercoledì 15 giugno 2016

Siano crocifissi

«Chi volete che vi rilasci: il parlamentare che ha dato la tessera a un collega perché voti al suo posto mentre lui è andato a fare i cazzi sua, o il furbetto che ha timbrato ed è andato a fare la spesa per non perdere la promozione sottocosto?» 
Bizio Capoccetti, Sulle tracce di Tiziano Terziani, Edizioni Stocazzo, Roma 2016.




La storia insegna che in ogni società, nei momenti di crisi, chi è al potere, per ingraziarsi il beneplacito del popolo, dia volentieri luogo a pratiche sacrificali. Ma se una volta si aveva la tragedia dei sacrifici umani dei prigionieri di guerra o nemici del popolo, oggi si ha la farsa del licenziamento dei furbetti.
A me, cristianamente parlando, dispiace che il Consiglio dei ministri del Governo Renzi non abbia preso questi provvedimenti in tempo per la settimana santa. Almeno dopo tre giorni qualche furbetto avrebbe potuto risorgere alla faccia di madonna Madia.

martedì 14 giugno 2016

Pensione revolving

La rata del prestito pensionistico per chi dovesse anticipare volontariamente l'uscita dal lavoro di 3 anni rispetto all'età di vecchiaia potrebbe arrivare al 15% della pensione per i vent'anni nei quali si ripaga il prestito. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del consiglio Tommaso Nannicini rispondendo ai cronisti su quale possa essere la rata massima per l'anticipo della pensione. [Ansia]
Poniamo che, se va in porto questo progetto, un lavoratore scelga di anticipare di tre anni il congedo pensionistico e che l'importo netto della sua futura pensione sarà intorno alle 1.000/1.200 euro (considero le vacche grasse del sistema contributivo).
In tal modo, dovrà restituire all'Inps i contributi mancanti ricevuti in anticipo, con un piccolo prestito ventennale pari al 15% dell'assegno mensile percepito.

O vediamo: il 15% di 1.000 euro è 150€, mentre di 1.200 è 180€.

Dunque

a) 150€ al mese per 12 che sono i mesi che ci sono in un anno per 20 che sono gli anni = 36.000€
b) 180x12x20 = 43.200€

Un modo da figli di puttana per far pagare la liquidazione ai lavoratori.

lunedì 13 giugno 2016

La fedeltà delle fave

Lo scorso gennaio, in lacrime, il Presidente Obama dichiarò:
«Gli Stati Uniti  non sono l'unico Paese con problemi di violenza dovuti alle armi da fuoco, ma sono l'unico Paese avanzato della Terra che assiste ad eventi così violenti con così tanta frequenza. Ogni anno più di 30mila americani sono uccisi dalle armi da fuoco e centinaia di migliaia di americani hanno perso sorelle e fratelli, seppellito i propri figli». 
Dai dati del 2013 - quelli più recenti che si hanno a disposizione - si rileva che, dei trentamila (33.169 per la precisione) americani uccisi da armi da fuoco, si hanno:
«11.203 omicidi,  21.175 suicidi, 505 incidenti e 281 decessi con motivazioni ancora incerte. Una cifra che è pari a un terzo dei soldati americani morti durante l’intero conflitto in Vietnam.»
Dunque, mi pare evidente che al sedicente (di più noi dicente) Stato Islamico, anziché accollarsi la responsabilità di una menoma percentuale delle morti di infedeli americani dovute a qualche “lupo solitario”, convenga asserire, a posteriori a fortiori, che tutte le morti da arma da fuoco (e io, fossi loro, ci metterei pure quelle dovute alle alluvioni, agli incidenti stradali e al colesterolo alto¹), sono state e saranno compiute dai combattenti islamici fedeli al Califfato (anche e soprattutto i suicidi dovrebbero essere considerati: «Perché ti sei ammazzato?». «Avevo giurato fedeltà all'IS». «Bravo». «Grazie».)
Una fava (vigliacca e assassina) da sola non basta per prendere tutti i piccioni. 

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¹ «Il mese scorso Abu Muhammad al Adnani, portavoce dello Stato Islamico, ha esortato i seguaci dell’organizzazione a compiere attacchi all’estero durante il mese del Ramadan, dicendo che "l’azione più piccola che fate nel cuore della loro terra ci è più cara della nostra azione più grande, ed è più efficace e dannosa nei loro confronti". Nel settembre del 2014 Adnani aveva detto che non era necessario chiedere il permesso allo Stato Islamico per compiere attacchi in suo nome, che potevano essere fatti anche senza armi da fuoco, con pietre, coltelli o automobili.» 
Non si capisce perché Adnani non abbia chiamato causa i grassi animali e vegetali più gli zuccheri.

sabato 11 giugno 2016

Vieni Maria Giovanna

Stamani, forse per vincere lo scazzo di un ennesimo giorno nuvoloso (e piovoso) di giugno, mi sono lasciato trasportare da un lieve sussulto civico e, avendo tempo, sono andato in municipio, ufficio elettorale, dove ho chiesto:
«Vorrei firmare per il Referendum contro l'Italicum e quelli contro la Buona Scuola».
L'impiegato, sorridente, mi ha chiesto la carta d'identità, ha riempito le caselle coi dati e mi ha fatto firmare dove occorreva. Alla fine della procedura, egli mi ha chiesto se ero interessato anche a firmare una proposta di legge di iniziativa popolare.
«Quale iniziativa sarebbe?»
«Questa».
«Certo che sì».


venerdì 10 giugno 2016

La differenza tra artistico e responsabile






A chi si lamenta di Carlo Conti nominato direttore artistico della Rai dico solo una cosa: è andata peggio a Repubblica.

giovedì 9 giugno 2016

Natura insomma

Mi ero proposto di farmi fare un massaggio nuru ma ho avuto un attimo di esitazione,  ho pensato di spendere diversamente la pecunia, andare a fare la spesa per esempio.

Sono entrato in un supermercato del biologico, Natura sì. Dato che ultimamente ho ravvisato una certo ristoro intestinale a consumare meno glutine, ho preso dagli scaffali un pacco di Grano Saraceno, made in Cina. E chi lo coltiva da quelle parti, gli uiguri?

Lo lascio debitamente al suo posto. E medito davanti all'amaranto e alla quinoa sudamericani. Costano un botto, neanche un chilo di Setaro o Benedetto Cavalieri arrivano a tanto. L'intestino capirà, stasera glielo spiego (da quando ho appreso della sua intelligenza è tutta una conversazione).

Ho comprato alcune cose che, di solito, non compro mai. Tra queste la crema di arachidi, influenzato dalla scena in cui Saul Berenson (Mandy Patinkin) in Homeland Uno, nel cuore della notte, nel suo ufficio, dopo che la moglie lo ha lasciato per tornare in India, apre il frigo, prende il barattolo della crema (d'arachidi, presumo) e dei cracker sui quali ce la spalma con un righello preso dalla scrivania e mangia nervosamente nella semioscurità. Io amo Mandy Patinkin.

C'era un clima disteso dentro il Natura forse, praticamente c'era più personale che clienti. Un paio di maschi (di cui uno, probabilmente, ero io) e alcune donne di età ragguardevole, tra il giovane e il giovanile. Una in particolare non mi ha impressionato, infatti non l'ho guardata a lungo, anzi, giusto il necessario per schivarla con il carretto della spesa. Aveva i capelli lunghi, più grigi che neri, ondulati, la faccia resa stanca da labbra chiuse coi bordi rivolti verso il mento. Perché c'è tanta tristezza nel mondo? È così difficile prenderlo in giro, il mondo, dato che è lui per primo che ci fa girare, invano?

Va bene, ognuno ha i suoi cazzi. Bisogna che anch'io faccia i miei, rispetti quelli degli altri, non stia qui a sindacare sulla condizione esistenziale di una donna che non conosco e che forse, in cuor suo, era ed è allegra e felice, altro che me.

Esco e piove, come prima che entrassi. Natura un cazzo.

mercoledì 8 giugno 2016

La spremitura

Bisogna fare complimenti a Christan Raimo, giornalista e scrittore (e credo pure professore d'italiano in qualche liceo romano) per l'inchiesta-reportage scritta per Internazionale sui supermercati aperti ventiquattro ore al giorno.

A margine di essa, in ispecie dopo certi passaggi:
«Quel giorno entrando in diversi Carrefour si faceva difficoltà a trovare un addetto, sembrava veramente che fosse uno sciopero riuscito. Ai pochi che c’erano ho chiesto: “Quanti hanno scioperato qui?”.
“Tutti”.
“E tu perché non hai scioperato?”.
“Perché ho un contratto per una società esterna”. 
Al banco dei salumi, o a quello del sushi lavorano per esempio persone che non sono assunte da Carrefour ma da agenzie interinali: sono stati chiamati apposta a lavorare per sostituire il personale in sciopero il 28.
Una di loro mi ha detto: “Che dovevo fare? Ho un contratto che mi rinnovano di settimana in settimana da ormai un anno, una figlia piccola…”. Un’altra donna, anche lei madre, l’avevano chiamata la settimana prima quando lo sciopero era stato confermato: “A me fanno dei contratti giornalieri. Gli potevo dire di no, per solidarietà ai colleghi? Non mi avrebbero più chiamato”.
I dirigenti di Carrefour sostengono che sempre più lavoratori sono contenti di lavorare in modo flessibile, di fare esperienza, di poter gestire il proprio tempo. Praticamente però tutto quello che mi raccontano i lavoratori mi dice il contrario: desiderio di stabilità, bisogno di certezze, e stanchezza, moltissima stanchezza – l’esasperazione di questi contratti di lavoro che sono spesso brevissimi o intermittenti.»
mi viene da chiedergli se, in quanto professore, quando parla (se parla anche) di questi argomenti in classe, soprattutto agli studenti più grandi e vicini al diploma, che effetto ottiene con la scolaresca? Straniamento lunare? Disperazione? Pungolo (stimolo allo studio)? Ribellione? Rassegnazione? Indifferenza?

Come si preparano, insomma, i giovani al futuro? Non certo con queste domande retoriche
«Possiamo accettare che qualcosa non serva a niente? Possiamo immaginare che ci sia una parte del nostro tempo che non è dedicata al consumo e all’accumulazione di capitale? Possiamo dare un senso al perdere tempo? Alla gratuità della pura riflessione, di un’esistenza che almeno per un momento non abbia nulla di funzionale?»
Giacché, anche rispondendo affermativamente a tutte, Raimo non mette mai in discussione il fatto che il sistema economico e produttivo capitalistico - responsabile di queste nuove forme di schiavitù - sia l'unico modo che gli umani hanno per organizzare la produzione, l'economia, tout court: la vita.

Finché per vivere la stragrande maggioranza degli umani dovrà vendere la propria capacità lavorativa a una minoranza che la compra per estrarre dal pluslavoro, plusvalore, finché tutto ruoterà intorno a quella cazzo di merce prodotta per essere venduta e quindi consumata scartata in un ciclo produttivo che si crede infinito, non riusciremo a immaginare che ci sia una parte del nostro tempo che non sia dedicata al consumo e all'accumulazione, non potremo dare un senso alla perdita di tempo, alla gratuità della pura riflessione (si calcoli il numero dei disoccupati che frequentano le biblioteche), non vivremo neanche per un momento senza pensare in funzione di come riuscire a pagare il nostro sopravvivere.

martedì 7 giugno 2016

Onirismi

[Ma niente di che potrebbe indurmi a sporgere l'altra guancia ai fatti opponendola a chi si sentirebbe gratificato oltremodo a favorirne finché uno si mette le scarpe e diventa viaggiatore e vede paesaggi città animali uova dalla padella alla brace moscerini risucchiati dalle pale eoliche mendicanti accartocciati su se stessi come tubetti di dentifricio finito e poi uno la sera dopo cena ancora non ha sonno si siede e descrive quello che ha visto e immagina quello che non ha visto, poi mescola e dà le carte a briscola.]

Può darsi sia stanco, non lo metto in dubbio e la reazione alla stanchezza sia una specie di resa, di spiaggiatura, di lasciatemi stare qui in pace, passate oltre, non abbiate pena o tenerezza, soprattutto non abbiate pazienza, non aspettate che il vento asciughi via la fatica e la brezza e dopo molte ore mi apra gli occhi, faccia ripartire i sensi. Fate finta di niente, lasciatemi qui a babbo morto.
Può darsi anche che i pensieri in circolo non siano in grado di raggrumarsi in sensatezza, stiano sugli appunti a scarabocchiare segni indecifrabili, parole buttate là a casaccio per tentare, invano, di fissare immagini che si muovono velocemente nell'occhio della mente.

Onirismi.

Ci sono tre uomini. Due lo sono, l'altro potrebbe. Ma a tutta prima sembrano tre. I due che lo sono parlano e colui che potrebbe ascolta. Ascolta parlare i due uomini senza interessarsi al contenuto dei loro discorsi, bensì alla forma, alla postura, alla mimica. Colui che potrebbe inizia ad atteggiarsi, con successo. In capo a poche ore è indistinguibile, nonostante ancora resti un uomo in potenza. 

La Basilicata ha due province e lui scelse Matera, da bravo materialista dialettico.

«Tutto questo potrebbe avere un senso», disse - tra sé e sé - uno del pubblico della Repubblica delle Idee. Poi si sputò tra i piedi, casomai prendesse loro voglia di mettersi a fare dei reportage-vintage.


lunedì 6 giugno 2016

Piccolo pensum

«Molti scrittori possono automatizzare a tal punto il processo dello scrivere da essere in condizione, evitando un soverchio dispendio di energie, di sbrigare un pensum quotidiano; altri sono capaci di comporre solo di getto, in una enorme tensione interiore, con “furore”.»
Ernst Fischer, Kraus, Musil, Kafka, La Nuova Italia, Firenze 1974


Bella questa idea dello «sbrigare un pensum quotidiano».

E qual è il pensum quotidiano? No, non sulle elezioni amministrative. Gnafò. Certo, godimenti minimi, da mezza sega. Per l'intera credo convenga aspettare autunno.

La notizia odierna che più mi ha incuriosito è quella dell'arresto di un cittadino francese in Ucraina 

Gregoir M., 25 anni, è stato fermato alla frontiera tra l’Ucraina e la Polonia il 21 maggio scorso dalle autorità di Kiev. Aveva 5 kalashnikov, più di 5.000 proiettili, due lanciagranate anticarro, 125 chilogrammi di tritolo e 100 detonatori.
I servizi di sicurezza lo seguivano dal suo arrivo nel Paese, nel dicembre 2015. L’uomo, un militante di estrema destra, era arrivato in Ucraina per contattare diversi gruppi armati nell’est del Paese e commissionare degli attentati.
Voleva attaccare “la politica del suo governo per la presenza massiccia di stranieri in Francia, la diffusione dell’Islam e la globalizzazione”, spiega il capo dei servizi segreti ucraini, secondo il quale i suoi obiettivi erano “una moschea, una sinagoga, una sede dell’Agenzia delle entrate e la polizia”.
Si possono notare due cose:
  1. se tra gli obiettivi del l'aspirante terrorista vi fosse stato compreso anche una  chiesa, probabilmente si potrebbe parlare di primo caso di potenziale terrorista sincretista.
  2. il nome dell'arrestato è Gregoir: un destino segnato da scarabeo stercoario.

domenica 5 giugno 2016

Io no


Per un attimo mi sono sentito come pare si sentì Nietzsche quando - leggenda vuole -, nel freddo gennaio torinese, abbracciò un cavallo preso a frustate dal cocchiere.
Io mi sono limitato a una carezza all'abete che mi ha lasciato lacrime di resina sui polpastrelli. Dopodiché ho guardato su, tra i rami, nel caso improbabile vi fosse stato appeso qualcuno, specialmente l'autore che così avrebbe dato un senso alla sua richiesta.
Macché. Non si impicca più nessuno per amore. 
Purtuttavia, per amore si continuano a fare notevoli stronzate, molte delle quali meriterebbero un contrappasso. Dato che i cocchieri torinesi di fine Ottocento si sono estinti, io pensavo a un soggiorno (obbligato) in Austria: dite che sono troppo cattivo?

Lettera al direttore

«I libri di storia parleranno di noi come di quella generazione di europei che rimase indifferente mentre una strage avveniva sotto i suoi occhi.»
«Noi». Noi chi? Me e lei, stimato direttore? E, se sì, potrebbe specificare meglio perché «noi» (io e lei) restiamo indifferenti (anche se lei, in questo caso, dimostra di non esserlo, occupandosene, seppur con carta e penna, anzi: con tastiera e schermo)?
In concreto, oltre a parlarne, che altro potremmo fare per non restare indifferenti?
Ragionare? Mi consenta, da par mio, di provarci.
«La migrazione è uno degli elementi che caratterizza la nostra specie, è parte di quello che siamo. L’umanità è stata in movimento per millenni.»

Per quanto attiene alle questioni umane, rifugiarsi nel naturalismo equivale quasi sempre a rifugiarsi in una stalla, con le vacche e i porci. Nella fattispecie, la migrazione è «uno degli elementi» che ci caratterizza e ci apparenta ad altre specie animali, come la peristalsi: un altro genere di movimento che dura da millenni.
«E oggi ci troviamo davanti al paradosso di paesi industrializzati che devono affrontare una gravissima crisi demografica, con conseguente scarsità di manodopera, e al tempo stesso impediscono l’ingresso a persone che cercano disperatamente un lavoro. Tutto questo perché molti cittadini europei, spesso istigati da politici senza scrupoli che fanno leva sulla paura e sull’ignoranza per raccogliere più voti, pensano che i migranti gli faranno perdere il lavoro e mineranno la sicurezza sociale. Ma non è vero: i migranti aiutano l’economia.»

«Paradosso». Perché, stimato De Mauro, da tempo non si espongono le reali ragioni che spingono la popolazione dei paesi industrializzati a non proliferare più come una volta? Forse perché ci sono più distrazioni nel tempo libero? Perché si usano i contraccettivi? O semplicemente perché il cosiddetto proletariato europeo s'è rotto le palle di fare figli per la patria, in quanto ha consciamente o inconsciamente capito che il movimento del capitale ha molto meno bisogno di forza lavoro rispetto a una volta e quindi...
Infatti, in quali settori lavorativi la manodopera scarseggia? Detto altrimenti (per restare in campo naturalistico): quali nicchie ecologiche i migranti hanno occupato e andranno ad occupare dal terziario all'industria, dall'artigianato all'agricoltura? Si potrebbe sostenere, con scarsissima probabilità di essere smentiti, che nel 99% dei casi, i migranti «che cercano disperatamente un lavoro», hanno trovato e troveranno un lavoro da disperati.
I migranti aiutano l'economia a completare il lavoro sporco, quello sottopagato, ai limiti della schiavitù di fatto e di diritto.
«In uno studio su quindici paesi europei pubblicato sul settimanale scientifico New Scientist, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha calcolato che a ogni aumento dell’1 per cento della popolazione di un paese dovuto ai migranti, il prodotto interno lordo cresce tra l’1,25 e l’1,5 per cento. E la Banca mondiale ha stimato che se la forza lavoro dei paesi più ricchi crescesse del 3 per cento con i migranti, il pil mondiale aumenterebbe di almeno 356 miliardi di dollari entro il 2025. Chi alimenta la xenofobia non si rende solo complice di una strage: ci sta anche sottraendo ricchezza, benessere, sviluppo.»

Curiosità: è mai accaduto che l'autorevolissima rivista New Scientist abbia mai effettuato una ricerca scientifica seria e dettagliata su come funziona il movimento del capitale? Sa, esimio De Mauro, che questo potrebbe fornire delle risposte al movimento dei migranti paragonabili a quelle della scoperta dell'acqua calda assolutamente non alimentata da alcun fuoco xenofobo?
Sbaglierò, ma io penso che le preoccupazioni della Banca mondiale per i migranti siano dello stesso tenore di quelle che avevano gli spartiati nei confronti degli iloti. Infatti, come scrisse qualche mese fa Olympe de Gouges
«in una società sedicente libera e democratica, in cui non sia consentita legalmente la schiavitù, la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi, e cioè bisognosi. È esattamente l’antico principio secondo cui la ricchezza non vale nulla se non c’è chi lavora per te. Ed è un principio essenziale che qualunque borghese – a partire dalla signora con la sua colf – ha inculcato bene in mente, per educazione e per interesse pratico, di classe.»

Non è un caso quindi che, fatto salvo coloro che fuggono la barbarie della guerra che ha loro devastato le condizioni minime di sopravvivenza (e sono tanti), tutto il resto del movimento migratorio consista in un mero movimento legato alla forma elementare del capitale: la merce. Tuttavia, in questo caso, la “merce” sono i migranti stessi, o meglio: la loro forza lavoro, particolarmente conveniente in momenti in cui il capitale ha l'urgenza di reperire, oltre alla manodopera necessaria alla produzione, anche manodopera di riserva, concorrente, disoccupata, indispensabile per mantenere basso il livello del salario. 
Per questo, gentile direttore, le confesso che non credo minimamente alle stime della Banca mondiale, né tantomeno reputo attendibile lo studio di New Scientist. Di più: senza affatto sentirmi xenofobo e razzista, temo invece che la caccia al lavoro di merda (di schiavi o controllori degli schiavi) provocherà maggior conflitto tra poveri e diseredati e che il conflitto sociale, alimentato dai populismi, dai nazionalismi e dal refugium peccatorium della fede (in ispecie l'islamica) mineranno eccome la sicurezza sociale. 
Sappia, comunque, caro direttore, che spero tanto di sbagliarmi.

Un abbonato

venerdì 3 giugno 2016

Giubbate ovunque

«La politica economica applicata in Francia negli ultimi trent'anni ha fallito, in particolare per quanto riguarda la lotta alla disoccupazione di massa, diventata un veleno economico e sociale. La Francia ha raggiunto dei primati assoluti in tema di pressione fiscale, spesa pubblica e disoccupazione. Credo che i francesi abbiano capito. E si aspettino il ricorso a soluzioni che funzionano ovunque e che noi non abbiamo mai sperimentato: lavorare più a lungo, ridurre il ruolo dello Stato e migliorare la sua efficacia, diminuire il peso della burocrazia, delle norme e dell'amministrazione pubblica, liberalizzare il mercato del lavoro, abbassare il costo del lavoro e le tasse in generale. Il mio obiettivo è fare della Francia una terra accogliente per l'impresa e l'investimento. Il che non significa che lo Stato non debba rimanere forte nelle sue funzioni fondamentali.» Alain Juppé

Eccone un altro.
Le soluzioni che funzionano ovunque e che loro - i francesi - non hanno mai sperimentato... 
Ordunque, io sarei curioso di sapere dove si trova questo ovunque, quantunque sia evidente che tali soluzioni, inaugurate decenni or sono dal duo Reagan Thatcher con effetti devastanti sul lato del welfare e della disparità sociale,  là dove abbiano dato l'illusione di funzionare - aumento del Pil e diminuzione della percentuale di disoccupati - è stato perché, per un po', tali misure “liberiste“, hanno fornito ossigeno al capitale togliendolo al lavoro, ai lavoratori.
E comunque, nonostante queste soluzioni siano state adottate ovunque, l'economia mondiale è in permanente crisi e dal 2008 la produzione di ricchezza si è affidata sempre più alla finanziarizzazione, mediante la creazione arbitraria di denaro delle banche centrali che ha consentito di salvare le banche e, tramite queste, sostenere il debito pubblico, e mantenere elevati gli indici borsistici.
E questo avrebbe diminuito la pressione fiscale, la spesa pubblica e la disoccupazione di massa ovunque?

giovedì 2 giugno 2016

La libertà nella lingua

« [704] L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch'essendo esperto ed avvezzo al commerzio civile, si diporta francamente e scioltamente nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza. La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli scrittori. Perché quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi della lingua, non si portano liberalmente, anzi da schiavi. Perché non possedendola intieramente e fortemente, e sempre sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E quelli che si portano liberalmente, hanno quella libertà dei plebei, che deriva dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e dal non curarsene. E questi in comparazione [705] degli altri sopraddetti, si lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse presunzione lo scriver bene (e quindi l'operar bene, e tutto quello che si vuol fare convenientemente, fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene chi ne dimostra presunzione. Quando anzi il dimostrarla, non solamente in ordine alla buona lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale scrivendo si possa incorrere. Perché in somma è la stessa cosa che l'affettazione; e l'affettazione è la peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza. (18 febbraio 1821). »

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri.