giovedì 14 luglio 2016

Un determinato punto di vista

«Forse la smentita più categorica alla nostra affermazione, che cioè nella parola si riflettano opinioni orientate in maniera differente può essere costituita dalla domanda: forse che anche in parole come “tavolo”, “cavallo”, “albero”, “sole” ecc. si riflettono e compaiono dei rapporti di classe? Infatti nelle diverse classi la valutazione di queste parole deve essere identica poiché i concetti della realtà che esse rappresentano rimangono identici in tutte le classi: il tavolo è un tavolo e non un cavallo, il cavallo è un cavallo e non un albero ecc.
A questa osservazione dobbiamo replicare quando segue. Anzitutto una parola stralciata singolarmente dal flusso dell’interazione linguistica non può servire da esempio. Inoltre: nonostante le parole, riflettendo la realtà oggettiva, riflettano insieme ad essa anche una visuale socialmente determinata di questa realtà, tuttavia non si può mettere un segno di completa identità tra il significato oggettivo, oggettuale della parola ed il punto di vista espresso nella parola.
Ciascun uomo nel conoscere la realtà la conosce da un determinato punto di vista.
Il problema consiste nel sapere quanto questo suo punto di vista corrisponda alla realtà oggettiva. Infatti un punto di vista non rappresenta una conquista personale del soggetto conoscente ma è il punto di vista della classe alla quale questo soggetto appartiene. Di conseguenza l’oggettività e la completezza di un punto di vista (la misura della corrispondenza della parola alla realtà) sono condizionate dalla posizione sociale. Classi diverse hanno anche punti di vista diversi: nel linguaggio di ciascuna classe esiste una particolare misura di corrispondenza della parola alla realtà oggettiva.»
Valentin Vološinov (Michail Bachtin), Il linguaggio come pratica sociale, Dedalo libri, Bari 1980

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Il mio punto di vista, per conoscere la realtà, mi impedisce di conoscerla perché la realtà a cui ho accesso è soltanto una menoma parte della totalità.
Posso, dal mio punto di vista, mettermi nei panni di un altro punto di vista?
Mi è difficile pensare di indossare gli stessi panni di un Lapo o di un John Elkann.
Più facile pensare quelli di un operaio bengalese impegnato a lavorare dodici ore al giorno. Anche se io, in realtà, sto in una via di mezzo tra chi sta nella merda e un pezzo di merda (ho invertito i primi e i secondi per depistare).

Comunque sia, il mio punto di vista mi dice di lasciarlo in sospeso, farlo riposare qualche ora, ché gli si annebbia la vista.

2 commenti:

Marino Voglio ha detto...

mmm, non mi convinci.

...un operaio bengalese non direbbe mai "menoma", credo (è anche vero che io stesso di operai bengalesi ne conosco pochinipochini).

Luca Massaro ha detto...

Nella società tardo-capitalistica, per chi capitalista o rentier non è, è più facile (e consentito) mettere da parte e spendere parole anziché denaro.