martedì 20 settembre 2016

Farmi una ragione

Non sono riuscito a farmi una ragione perché non è mai restata con me più di un minuto, non è mai voluta entrare nelle mie braccia e non mi è mai sembrato il caso rincorrerla, trattenerla contro il suo volere, al limite prenderla per i capelli come di solito gli uomini stronzi immaginano di fare (e, ahimè, talvolta fanno) con le donne.
Con il torto, invece – e purtroppo – ho sempre avuto più d'una occasione, e in questo caso sono stato io a lasciarmela sfuggire (l'occasione). Nondimeno, il torto mi resta accanto, mansueto, sebbene non gli dia punta soddisfazione e lo tratti con somma indifferenza. A volte mi fa anche un po' pena, tanto che mi verrebbe voglia di prenderlo in collo, ma dopo lo so, addio, mi s'attaccherebbe addosso e non ci sarebbe più verso di spiccicarlo. Che mi segua come un'ombra è già abbastanza e se ho una passione particolare per le ore crepuscolari è perché, in tali momenti, riesco a distanziarlo maggiormente.
La notte, il torto, va a letto presto, meno male, e in quel momento provo a prendere appuntamento con una ragione, una qualsiasi, invano. Gli addetti della segreteria suggeriscono di scrivere una mail dove si spiegano i motivi, validi, per cui si vorrebbe passare una o più serate con una o più ragioni. Malauguratamente io non so mentire e scrivo che vorrei farmi una ragione perché ho bisogno d'affetto.

«Non è una buona ragione per scomodarne una», mi viene solitamente risposto. «Provi ad accogliere i torti: sono così comprensivi e affettuosi; vedrà che le toglieranno tante soddisfazioni. Sono così carini e disponibili a prendersi cura di chi li accoglie; per contro, la ragione è così strumentale, fredda, adattabile a qualunque scopo, subordinata all'assetto sociale esistente».

E sia: cercherò di avere torto e farmene una ragione.

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