sabato 30 giugno 2018

Lei non sa chi sono io

«Dopo l’ennesimo e borioso “sono un avvocato” proferito [dal premier Conte] per avvalorare le sue richieste, l’omologo svedese Stefan Löfven si è sentito in dovere di informarlo che lui è un esperto fabbro, mentre il bulgaro Borisov ha fatto valere le sue credenziali da ex pompiere.» Limes

Forse gli sarebbe andata meglio se si fosse dichiarato devoto di Padre Pio.

No tatoo 2

2.

«Innanzitutto la nostra non è una crociata contro i tatuaggi. Non li disprezziamo, né sconsigliamo le persone a non farli. Men che meno vogliamo convincere i tatuati a coprirsi o a farseli cancellare. No. Il nostro centro si rivolge a quelle persone che, prive di tatuaggi, provano un senso di inadeguatezza, addirittura di imbarazzo ad avere la pelle libera da simboli, figure, scritte di vario tipo. 
Recenti studi epidemiologici hanno dimostrato che da quando il tatuaggio è un “must” a cui si è sottoposta molta parte della popolazione, una considerevole percentuale di coloro che se ne esimono, soffre - più o meno consciamente - di una crisi da pagina bianca del proprio corpo, una sorta di crisi dell'insignificanza che, se trascurata, potrebbe provocare ipocondria, depressione o, nei casi più gravi, addirittura dismorfofobia. In casi estremi come questi, il nostro studio si avvale di qualificati psicoterapeuti, i quali - una volta appurato il quadro clinico - propongono al soggetto un percorso terapeutico d'impronta psicodinamica.»

Dopo aver ringraziato la dottoressa per la spiegazione, Bruno uscì dalla fresca penombra climatizzata dello studio No tatoo e ripiombò nell'afa rovente del viale. Ancora il negozio dove doveva effettuare il ritiro era chiuso, mancavano pochi minuti alle tre, il tempo giusto per specchiarsi sulla porta a vetro dell'ingresso e riflettere. I pantaloni e la camicia a maniche lunghe dovevano pur significare qualcosa sotto quel sole e quel caldo soffocante. Mentre lo sguardo dagli arti passò al volto per scrutare se nel suo sguardo trapelava un'ombra di melanconia, alla sua immagine si sovrappose il corpo e il volto della commessa, che aprì la serratura e lo fece entrare con mezzo sorriso di commiserazione. Non che fosse propriamente una bella donna, ma dannatamente sensuale, sì.

giovedì 28 giugno 2018

Pesci rossi

Ci sono molti modi per spiegare (e superare) la crisi della Sinistra italiana, europea, mondiale. 
C'è chi scrive manifesti sul Foglio.
C'è chi, interpellato, discute sugli stessi.
C'è chi propone di incenerire partiti [non male come idea, però].

C'è chi misura e analizza in modo assai balzano - da autentico idiota della statistica - le ragioni del crollo.

Tuttavia, la cosa più penosa è che molti di costoro che cercano spiegazioni e soluzioni per superare la crisi della Sinistra, ammesso e non concesso lo facciano disinteressatamente, lo fanno con le intenzioni di recuperare o far nascere un movimento, un partito che si ripresenti nell'agone politico come se, nel contesto politico attuale, il riformismo progressista e di sinistra fosse ancora cosa possibile.

Il problema è che pochi sanno spiegare realmente il perché la Sinistra boccheggia, come un pesce rosso fuor d'acqua. E il dramma è che in pochissimi hanno veramente a cuore il salvarla.

È chiaro, però, che salvare la Sinistra significa prendere coscienza che il capitalismo (sistema economico e produttivo dominante) presenta delle contraddizioni che nessun tipo di riformismo potrà risolvere e che l'unica soluzione è iniziare (nuovamente) a pensare le condizioni di una trasformazione radicale del modo di produzione e, in pari tempo, della struttura sociale che lo legittima e sostiene (lo Stato, gli Stati).
«La forza produttiva, la situazione sociale e la coscienza possono e debbono entrare in contraddizione fra loro, perché con la divisione del lavoro si dà la possibilità, anzi la realtà, che l'attività spirituale e l'attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino a individui diversi, e la possibilità che essi non entrino in contraddizione sta solo nel tornare ad abolire la divisione del lavoro. È di per sé evidente, del resto, che i "fantasmi", i "vincoli", l'essere superiore, il "concetto", la "irresolutezza", altro non sono che l'espressione spirituale idealistica, la rappresentazione apparentemente dell'individuo isolato, in realtà di ceppi e barriere molto empirici entro il quali si muovono il modo di produzione della vita e la forma di relazioni che vi è connessa». K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, Libro I, Feuerbach

martedì 26 giugno 2018

Ti amo ti it


- Pronto?
- Pronto.
- Buonasera Dio.
- Buonasera uomo, desideri?
- Tanti.
- Ho detto: desìderi, seconda persona singolare del verbo desiderare; non ho detto desidèri, sostantivo plurale.
- Scusa Signore, ho equivocato apposta.
- Fai poco lo spiritoso, allora.
- Va bene. Epperò non avrei mai creduto Tu non fossi un dio di Spirito
- Touché.
- Touché? Davvero? O se non ho sentito niente, neanche un rumore.
- Smettila, sennò riattacco. Dimmi piuttosto: perché hai chiamato? 
- Ho letto una tua frase in giro per la città. Precisamente: su un autobus ho letto che Tu, nella Bibbia, hai detto «Io ti amo».
- Non mi ricordo. Potresti controllare?
- Subito. Come vedi, nella Bibbia, «Io ti amo» è scritto tre volte, di cui una lo pronuncia Davide a te. 
- Che l'abbia detto due volte è già qualcosa, no?
- Certo. Purtuttavia, considerando l'insieme dei Libri che formano la Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento), non è che Tu abbia scialato. Piuttosto, è la dimostrazione che, nella tua Parola, l'amore si trova in dosi omeopatiche.
- Stai screditando l'omeopatia: sei un venduto alle multinazionali del farmaco.
- Boiron compresa.
- Cretino. Fatto sta che la Bibbia non è un romanzo rosa.
- E allora perché hai scelto proprio quella frase per promuovere il tuo best seller?
- Spiace deluderti, ma non sono stato io a sceglierla, bensì i responsabili del marketing. Io avrei preferito parlare di altro, ma le maledizioni hanno poco mercato.
- Un'ultima domanda, per favore. Perché è stato scelto un autobus fermo per pubblicizzare la Tua Parola?
- Perché almeno un paio di volte al giorno è puntuale per tutti, come l'orologio.

lunedì 25 giugno 2018

No tatoo

1.

Era un caldo primo pomeriggio di fine maggio quando Bruno si recò presso un punto di ritiro merci acquistate in rete e ivi recapitate per non pagare la spedizione. Parcheggiò l'auto sotto una tenue ombra di tigli castrati dall'ennesima potatura primaverile, si avvicinò all'ingresso del negozio e constatò che esso avrebbe aperto alle 15, erano le due e mezzo, doveva quindi aspettare. 

Anziché attendere dentro l'auto calda, decise di passeggiare lungo il viale punteggiato da esercizi commerciali di vario tipo, compreso un ex negozio di elettrodomestici con l'insegna Telefunken e dentro il vecchio titolare, il quale - presumibilmente ancora in servizio per pagare le marchette per la pensione - si era ridotto a vendere di tutto fuorché elettrodomestici: cornici in peltro e seggette per il water, zanzariere e fiori finti da portare ai cimiteri fuori città.

Bruno, per ingannare l'attesa, ma soprattutto per rubare un po' di frescura, era tentato di entrare in quel negozio, se non avesse alzato gli occhi sull'insegna del locale accanto, No Tatoo: libera la pelle. Centro di ascolto persone non tatuate. Ingresso libero.

Entrò. Il delicato suono di una tenda a fili annunciò la sua presenza, ma restò solo il tempo sufficiente per guardare intorno alle pareti che non avevano alcun genere di addobbi, tranne una, sulla quale era affissa una riproduzione senza titolo, giallo e arancione, di Rothko.

Dal retro, entrò una donna, forse sui trent'anni, un vestito verde a fiori senza maniche, abbronzata, bel sorriso e seno. «Posso esserle utile?».

sabato 23 giugno 2018

Quando ti vedo

Temo
che quando ti vedo
sparisca quel freno
che tiene sospese
parole a mezz'aria
che lo sguardo pronuncia
e la bocca trattiene
mentre lingua ripassa
superficie dei denti -
solo le labbra
si sporgono a bacio
che scocca e che vola
a cercare le tue
che fanno lo stesso
nella muta penombra
di un corridoio.

Congettura:
le schiene di due persone
che se ne vanno
in opposta direzione
trattenendo parole
e baci soffiando
non hanno paura
di quello che sono
di quello che possono
e non possono fare
perché sanno
che amore in potenza
e amore in atto
hanno la stessa radice:
la benevolenza.
Stabilito contatto.

Non chiedermi se sono felice:
chiedimi se sono distratto.

mercoledì 20 giugno 2018

Nell'attesa della sua venuta

«In questi giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo». Luca, 2, 1-7.

Da un punto di vista cristiano è bene o non è un bene che vi sia qualche testadicazzo che favorisca le condizioni della rivelazione?

domenica 17 giugno 2018

Per capire meglio le cose



Egregio Serra, 

le scrivo la presente per unirmi ai propositi di «ricominciare a studiare».
Tuttavia, forse perché non appartengo alla sua stessa "classe", da tempo ho obliterato il riformismo e, parimenti, abbandonata ogni fiducia e speranza nel confronti dei partiti che pretendono rappresentarlo (in particolare quelli a "sinistra").
Per questa ragione, nel mio piccolo, per non cadere preda della paura piccolo borghese, sono in cerca di un autore che, grazie a una formidabile (e insuperabile) critica dell'economia politica, getti luce sulle contraddizioni della società capitalista e permetta di capire a fondo le ragioni della crisi generale che pervade il consorzio umano.
Quali letture mi suggerisce, quindi?

In attesa di una sua risposta, la saluto cordialmente.

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Egregio Massaro,

mi fa piacere che qualcuno abbia raccolto l'invito allo studio e, con altrettanto piacere, le suggerisco un autore che, con il suo Capitale, sta facendo tremare i polsi alle classi dirigenti occidentali: Thomas Piketty.
Mi creda: lo spirito rivoluzionario che pervade il libro è tale che, tra un capitolo e l'altro, mi sono dato alla coltivazione della lavanda.

Nell'augurarle buona lettura e buono studio, la saluto cordialmente anch'io.

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Egregio Serra,

mi scusi se la importuno nuovamente, questa volta per dirle che, grazie al suo suggerimento, lo spirito rivoluzionario che pervade il libro di Piketty ha spinto anche me alla coltivazione di una pianta officinale: l'ortica, della quale approfitto di allegare alla presente alcune foglie.

Nella speranza che Ella ci si pulisca il culo, la saluto ossequiosamente





sabato 16 giugno 2018

Un corno, dice mia nonna


«Questo è il punto in cui sbagliamo.
Noi presumiamo che sia nell’uomo soltanto quello che è sofferto, e che in noi è scontato. Aver fame. Questo diciamo che è nell’uomo. Aver freddo. E uscire dalla fame, lasciare indietro il freddo, respirare l’aria della terra, e averla, avere la terra, gli alberi, i fiumi, il grano, le città, vincere il lupo e guardare in faccia il mondo. Questo diciamo che è nell’uomo.

Avere Iddio disperato dentro, in noi uno spettro, e un vestito appeso dietro la porta. Anche avere dentro Iddio felice. Essere uomo e donna. Essere madre e figli. Tutto questo lo sappiamo, e possiamo dire che è in noi. Ogni cosa che è piangere la sappiamo: diciamo che è in noi. Lo stesso ogni cosa che è ridere: diciamo che è in noi. E ogni cosa che è il furore, dopo il capo chino e il piangere. Diciamo che è il gigante in noi.
Ma l’uomo può anche fare senza che vi sia nulla in lui, né patito, né scontato, né fame, né freddo, e noi diciamo che non è l’uomo.
Noi lo vediamo. È lo stesso del lupo. Egli attacca e offende. E noi diciamo: questo non è l’uomo. Egli fa con freddezza come fa il lupo. Ma toglie questo che sia l’uomo?
Noi non pensiamo che agli offesi. O uomini! O uomo!
Appena vi sia l’offesa, subito noi siamo con chi è offeso, e diciamo che è l’uomo. Sangue? Ecco l’uomo. Lagrime? Ecco l’uomo.
E chi ha offeso che cos’è?
Mai pensiamo che anche lui sia l’uomo. Che cosa può essere d’altro? Davvero il lupo?
Diciamo oggi: il fascismo. Anzi: il nazifascismo. Ma che cosa significa che sia il fascismo? Vorrei vederlo fuori dell’uomo, il fascismo. Che cosa sarebbe? Che cosa farebbe? Potrebbe fare quello che fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Potrebbe fare quello che fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercar di farlo. Togliere loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: Avanti, fate. Che cosa farebbero?
Un corno, dice mia nonna.»
Elio Vittorini, Uomini e no, (cap. CVII), Milano, 1945

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Dunque sì, Damilano s'è lasciato prendere la mano. Troppa fretta. Non s'invoca una ribellione morale se non si hanno chiari i termini della lotta. Non è una questione di buoni contro cattivi, di uominisì contro uomininò.

Sarebbe stato molto più semplice (meno pretenzioso) titolare Uomini e boh. O bau. O miao. Mio, Mao, lallalallalà.

mercoledì 13 giugno 2018

Che nulla valga come cosa immutabile

Uno dei migranti (credo economici) a bordo dell'Acquarius, intervistato, ha dichiarato che non vede l'ora di realizzare il suo sogno di arrivare in Europa. 
Ma cosa sogna esattamente dell'Europa?
Sogna la società della merce, farne parte, innanzitutto come merce (forza lavoro) che vende se stessa per comprare altra merce. Sogna il mercato organizzato.
Questo accade perché nel loro luogo di provenienza v'è scarsità di merci, a cominciare dall'acqua, sino a tutta una serie di elementi che sono alla base di una vita decente: igiene, alimentazione, sicurezza. Uomini e donne che non hanno "pace", costretti a lavorare nel fango, a lottare per un pezzo di pane e un sorso d'acqua, a morire per un sì o per no
Domanda ingenua: come mai le popolazioni migranti non riescono a riprodurre la propria vita come riescono le popolazioni stanziali del Primo mondo? Da quali accidenti e (s)fortune dipendono tali circostanze? Perché paesi, regioni ricche di materie prime e natura rigogliosa sono incapaci di offrire alle proprie genti le condizioni (minime) di vita decente?
Risposta poetica: «Compagni, parliamo dei rapporti di produzione». Oppure: «Vi preghiamo - quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: "È naturale", in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile».

***

Quando si verificano scaramucce diplomatiche tra le nazioni, la pace tra i popoli sembrerebbe soffrirne: poi basta sentire quella barzelletta in cui un italiano, un francese e uno spagnolo mandano all'unisono affanculo la propria classe dirigente (governo, opposizione, parti sociali) e, au même temps, l'orchestra attacca l'Inno Europeo che risuona in lungo e largo i paesi dell'Unione.


domenica 10 giugno 2018

(s)Krolidee


[un bacio a chi rivela il perché del titolo]
Lo stato dell'arte dell'opposizione socioculturale italiana.
Mi dispiace per Piero Angela, probabilmente tirato per la giacchetta per ricordare l'importanza dei vaccini.
Per il resto: Jovanotti in piazza a cantare Cancella il debito.
Assante e Castaldo portano in piazza i Pink Floyd con Syd Barrett in formazione.
La fila per Serra (tipo Amici miei a salutare i viaggiatori in partenza alla stazione).
Lagioia che dichiara: «La politica ha divorziato dalla cultura», quando è risaputo che in Italia non è consentito il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso.
Ezio Mauro e il caso Moro: «I fiori diedero voce alla pistole». Ai funerali di Stato, sarebbe stato meglio il contrario.
In coda, segnalo Paolo Giordano e l'età sacra dell'adolescenza, quella in cui - a un siffatto autore - gli avrei detto, senza infingimenti, «ma vattene affanculo camminando». O forse a tutti, per la verità.



sabato 9 giugno 2018

Colpo di Stato

1. Che cos'è lo Stato?

Sia offerta qui una semplice definizione enciclopedica: uno stato è un'entità politica sovrana costituita da un territorio e da una popolazione che lo occupa e da un ordinamento giuridico formato da istituzioni e da leggi.


2. A che cosa serve lo Stato (qual è il fine dello Stato)?

Data per buona la suddetta definizione, lo Stato è uno strumento affinché la popolazione e il territorio che lo costituiscono, per il tramite delle istituzioni e delle leggi preposte (contratto sociale), prosperino nella concordia e nell'armonia.

3. Come funziona lo Stato?

Ogni stato, per funzionare, ha bisogno di risorse: deve sfruttare il lavoro (dei singoli cittadini e delle imprese tramite il prelievo fiscale) e le risorse del territorio, indipendentemente da quali siano i metodi esercitati dal potere (metodi autoritari o democratici); oppure deve farsi prestare i soldi da qualcuno (debito pubblico); infine, invadere e sfruttare un altro Stato (ad esempio: l'Iraq).

4. Esiste uno Stato senza debito?

No.

5. Un insieme di Stati (una Unione, un Gruppo, un'alleanza atlantica) che persegue i medesimi obiettivi, ognun per sé e dio per tutti (America First, Debout la France, Prima gli Italiani) può sussistere?

Sì, a cazzo di cane (o di budda o di cristo o dell'ultimo rompicoglioni di profeta).

6. Potrà la Terra un giorno liberarsi degli Stati?

Dipenderà dalla diffusione degli LSD.


giovedì 7 giugno 2018

Stanno tutti bene

Pronunciarsi sul nuovo governo è prematuro, come le pesche fintamente mature, che non sanno di niente, al mercato oggidì. Governo prenatal, da pannolini e biberon tate Moavero Milanesi indaffarate. La curiosità maggiore, a mio avviso, sarà vedere come il professor Tria - un ministro costruito sull'ipotenusa - saprà quadrare i conti. I restanti: stendiamo veti pietosi. Certo: avranno, nell'ordine: collaboratori, consiglieri, tirapiedi, maneggioni, orecchie da mercante in fiera e, soprattutto, consolidate squadre di impiegati al ministero che sono lì per loro pronti a risolvere questioni. E i questori appresso a Salvini a correggergli gerundi. I prefetti, invece, si occuperanno dei participi presenti. Saranno ripristinati potestà e relative sale. Una tassa sul sale sarebbe indubbiamente efficace.
Impressioni: la ripetuta parola governo del cambiamento mi rassicura: li fa molto democristiani. Sapranno sfruttare le concessioni del capitale disposto - in linea di massima e per quanto può - a soddisfare le esigenze bottegaie della classe media? Saranno abbastanza scaltri da affermare «c'è del marcio in Lussemburgo?» 
Io non mi fido. Ma ancor meno mi fido delle opposizioni: una, la più grottesca, in mano a un pregiudicato al quale hanno reso agibilità politica; l'altra, la più futile, la piddina, così autoreferenziale e perciò superficiale opposizione, che ripete a babbomorto le stesse ottuse idee che l'hanno portata al tracollo elettorale e quindi alla sconfitta.

E comunque, per concludere, una sola cosa ci è dato constatare dopo le due giornate parlamentari durante le quali si è votato la fiducia al governo: là, dentro Camera e Senato, stanno tutti bene.

martedì 5 giugno 2018

La differenza strutturale

Tra le dieci misure che il professor Galli Della Loggia suggerisce al nuovo ministro della (pubblica) Istruzione ve n'è una, la prima, assai fantasiosa:
«Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni. Ciò avrebbe il significato di indicare con la limpida chiarezza del simbolo che il rapporto pedagogico — ha scritto Hannah Arendt, non propriamente una filosofa gentiliana, come lei sa — non può essere costruito che su una differenza strutturale e non può implicare alcuna forma di eguaglianza tra docente e allievo. La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche
E io me la ricordo bene, la differenza strutturale, in terza media, durante un intervallo, quando alcuni maschi (io tra questi) cercavano di allungare - a volte con successo - le mani su culo o tette di alcune compagne di classe, quelle che parevano arrabbiarsi meno e stare al gioco, correndo gli uni dietro le altre, le quali fuggivano tra banchi o cercavano di ripararsi spalle alle pareti e mani pronte a mollare ceffoni. La campanella interrompeva quasi sempre il "gioco" perché, appunto, il (o la prof) entrava in classe per iniziare la lezione. E una volta di queste, cinque secondi dopo il suono della campanella, un nostro compagno, quello che in quell'intervallo aveva avuto minor occasione di soddisfare il senso del tatto, in un tentativo goffo e disperato di allungare la mano sulle terga di una compagna che filava dietro la cattedra, inciampò sulla predella e cadde distendendosi bocconi e mano avanti come un portiere che tenta di parare un rigore, dritto sino alla porta che in quell'esatto momento si aprì sulla sua testa, un tonfo secco che soffocò il "buongiorno" del professore.


Va da sé che tutti ci eravamo alzati «in segno di rispetto (e di buona educazione)». 

domenica 3 giugno 2018

Pensare pareti


Pensare alle pareti
ci difende
dai segreti
custoditi dalla mente
e non offende
il quadro della situazione
la quotidiana dispersione
di scorie dell’io
che si staccano come pellicine
grattate via distrattamente.

Girare intorno al proprio precipizio
tra vita vissuta e vita che verrà
ottusi dal presente
come angoli che di più non possono
aprirsi e capire il vuoto
oppure abbracciarlo
in privato autodafé.

Trattenere
la sabbia dei giorni
le mani non riescono
le guance forse
le sole capaci capire
la differenza
tra schiaffi e carezze
ed il niente.

Sospendere
la ricerca del senso
la fatica del nome
la domanda che vuole
risposta o il come
sia potuto accadere
ed è accaduto
perché siano cadute
le pareti da pensare:
«Chiudete quella finestra:
ho paura di volare».

venerdì 1 giugno 2018

Tribuna politica

Le cronache della crisi hanno riacceso l'interesse degli italiani per le trasmissioni televisive che si occupano di politica; quest'ultime, infatti, secondo i dati auditel, hanno segnato un'impennata degli ascolti.
Mentre i vari ospiti - sempre i soliti autorizzati che ruotano, a turno, da una trasmissione all'altra - conteggiano i gettoni di presenza (con l'iva pagata alla fonte) parlando, di volta in volta, delle stesse supercazzole soporifere che ripetono sino allo sfinimento, i telespettatori, rintronati dal corto circuito dei discorsi a vuoto, assimilano una parte delle idee espresse dagli esperti, le riplasmano per come sono capaci e, infine, le risputano alla prima occasione su interlocutori che o sono come loro obnubilati dalle tesi espresse in tv dalle medesime bellefiche - e allora si animano discussioni accese in cui ogni interlocutore cerca di imporre le proprie ragioni sull'altro, anche quando sono identiche -, oppure su ignari conoscenti o passanti che giammai vorrebbero essere trascinati in mezzo a una disputa politica, benché meno in quella che riguarda la formazione del nuovo governo Conte, altarini a padre pio davanti ai quali inginocchiarsi compresi.

Il problema è che anche questa nuova scorpacciata di politichese - sfornata dai guappi prezzolati delle redazioni, sovrastimati enrichi tartaglioni in testa - non porterà lo zoon politikon a una nuova e più appropriata consapevolezza della stessa, bensì lo farà permanere sulla superficie delle cose, lo infognerà sul pettegolezzo, su polemiche inutili o stronzate notevoli che potranno stabilire, al massimo, su quali libri o riviste si facevano le seghe Di Maio e Salvini da giovani.

C'è sperare soltanto che, come sempre accade, all'eccitazione verso la novità subentri ben presto la noia della routine, prevedibili ardimentose iniziative ministeriali comprese.

Vedremo che cosa accadrà ma non sono certo fiducioso della compagine. Hanno tutti troppa voglia di fare, tutti troppo desiderosi di rimboccarsi le maniche, lavorare, dimostrare...  e questo è un pericolo. Per fortuna c'è chi ha voglia di non fare niente, il Pd per esempio, dai pop corn del capo a quell'astuto esponente che ha detto che il partito «vigilerà per vedere se manterranno le promesse». Vigilerà e metterà i bollini, come alle caldaie.