lunedì 30 novembre 2020

Vedo la santità e vedo la maestà

I criteri per stabilire se una regione (un'intera regione, senza differenziare tra province e tra città metropolitane e piccole cittadine) è di uno dei tre colori scelti dal governo per indicarne il rischio epidemico sono affidati al cosiddetto Indice RT.

Qui si spiega, a grandi linee, che cosa sia.

La regione dove abito, la Toscana, è considerata, ancora, zona rossa. Ci si può muovere solo all'interno del nostro comune e solo per giustificati motivi. Si può uscire dal territorio comunale solo per comprovati motivi.

Dunque, io vivo in un comune, sede amministrativa di un parco nazionale, il cui territorio è ampiamente forestale con una densità abitativa pari a 40 abitanti per kmq.






Roma, invece, capitale d'Italia e capoluogo della regione Lazio - che si trova in zona gialla - ha una densità abitativa pari a 808 abitanti per kmq.



Premesso che non vorrei per niente trovarmi in via del Corso di domenica pomeriggio sotto le luminarie, io sono molto contento di aver visto tale foto fatta ieri, domenica, e pubblicata da un "amico" facebookiano. Vedo persone tranquille, tutte con la mascherina, distanti per quanto possibile (tranne, credo, i congiunti e gli amici). E dico loro: bravi romani, io vi amo (mica come quello stronzetto di Fortis). Ma, per favore, qualcuno di voi mi farebbe il piacere di andare presso la sede di palazzo Chigi o del ministero della Sanità o dell'ISS per mandarli a fare in culo da parte mia?

Grazie. 

domenica 29 novembre 2020

Vi piglierei a follate

«Il Piemonte passa dalla zona rossa a quella arancione e le strade di Torino si affollano, con veri e propri assembramenti. È bastato che i negozi rialzassero le serrande per vedere le vie del centro cittadino piene di gente e lunghe code sui marciapiedi, senza rispetto del distanziamento.»

Un esempio di come leggere un semplice dispaccio d'agenzia sia paragonabile a pestare una merda.
L'autore del trafiletto, dalla redazione romana dell'Ansa, scrive quello che qualcuno gli ha detto riguardo a Torino.
1. L'uso della foto: un negozio, tre persone, forse una commessa e due clienti, tutte e tre con la mascherina. Quali regole violano? Nessuna.
2. Scrivere in grassetto una frase che non vuol dire niente, come se l'affollamento di per sé costituisse un reato o una calamità biblica tipo le cavallette. Puntualizzare inoltre che si sono verificati «veri e propri assembramenti». Li hai visti o te li hanno raccontati? E chi te li ha raccontati ha chiamato le forze dell'ordine per disperderli oppure è stato lì a guardarli soltanto per poterti dire che c'erano assembramenti? Siete delle merde? Sì.
3. Idem per le vie del centro cittadino piene di gente (e allora?), lunghe code sui marciapiedi (e dunque?), senza rispetto per il distanziamento (che non hai denunciato soltanto per poterlo scrivere nel tuo articoletto e ricevere un clic). Puzzate? Molto

E poi, dopo aver sparso una massiccia dose di panico, con una faccia che se fosse a culo sarebbe simpatica, lasciare spazio alla testimonianza di alcuni commercianti per i quali il ritorno della gente per strada e nei negozi è stato «puro ossigeno» (respirato con la mascherina). 

Si sono dimenticati che, ieri l'altro, nel riportare la notizia dell'andamento annuale del Black Friday, hanno intitolato: «Black Friday 2020: trionfo delle vendite online». Siete delle testadicazzo? Sì.



sabato 28 novembre 2020

Avere il polso non è come avere un dito

Non ho il polso dell'opinione pubblica, bensì un dito, il medio per l'esattezza, che uso sovente per mandarla nel luogo di culto del principale partito di maggioranza dell'attuale governo.
Già, la pubblica opinione merita di essere mandata in quel posto, perché è - sempre - un'opinione che si forma sul sentito dire, sullo stereotipo, sul «mangiate merda [ché] milioni di mosche non possono sbagliare».
Ma ancor più della pubblica opinione, mi offendono i fiancheggiatori della stessa, coloro che vi si conformano amplificandone la voce.
Ciò detto (ho detto «ciò»?), confesso inoltre che, personalmente, non sono poi tanto sicuro che l'opinione pubblica esista, che abbia mani e piedi e vesta panni. Piuttosto, credo che vi siano agenzie informative incaricate di farla nascere e, poi, tenere in vita, finché non muore, in attesa che se ne formi un'altra, di pubblica opinione, su questo o quell'evento o fatto che, altrimenti, scevro da ogni pensiero precostituito, farebbe fatica a imporsi alla sua attenzione.
 [...]

giovedì 26 novembre 2020

Scusi se disturbo





Un film (brutto) come Vento dell'Est oggi sarebbe impensabile, perché è impensabile oggi qualsiasi pensiero sulla lotta di classe.

lunedì 23 novembre 2020

I misurati

Fanno i misurati. Dicono: non ripeteremo ferragosto, come se ferragosto fosse il responsabile di quanto è accaduto da un mese a questa parte. Hanno in mano un dispositivo di controllo inaudito e non lo molleranno così facilmente, soprattutto perché, sfacciatamente, la maggior parte di noi crede che siano misure giuste, tagliate apposta per noi che, altrimenti, saremmo talmente sociali da provocare nuove ondate, soprattutto sulla neve. «E non possiamo permettercelo». Parlano al noi, come Otelma.  Eppure, per mettercelo sono stati tanto tanto bravi. Il problema casomai è un altro: non sono più capaci di levarlo... lo stato d'emergenza.

domenica 22 novembre 2020

Polvere d'amore

Se amore si posasse sulle cose come polvere
passeremmo tutti i giorni lo swiffèr?
Oppure lo lasceremmo stare per
scriverci sopra con il dito medio "love"?

Non so. Fuori tira vento e le foglie del noce
si ammassano contro angoli e pareti
in una danza che, forse, d'amore svela segreti
ch'erano nascosti nella loro voce.

Amore servo della vita finché, giovane, la nutre
elaborandone la linfa presa dal terreno:
tutto del mondo sembra bello, si capisce.

Ma il tempo passa, le voglie si fanno mute:
la polvere, se si posa, si toglie senza meno
come l'amore, ché più non si digerisce.

lunedì 16 novembre 2020

Reality show

«E così voi credete nella realtà... Mi affascinate, davvero»
Balzac

Tenersi lontano dalla realtà, in realtà, è un lasciarsi vicino a essa, e più la si evita e più si presenta, come se fosse ossessionata da noi e noi ce la troviamo sempre tra i piedi, fastidiosa, opprimente, fa di tutto per farsi notare, per farsi accorgere di esistere. È inutile che quel beccafico di padrone dica «raddoppiati in un anno gli abbonamenti digitali», senza dire, al contempo, decuplicato il crollo delle vendite in edicola - ma gli fa una sega, vero, signorino? Mica avrai comprato un altro giornale per gli utili, nevvero?
E poi anch'egli a dire che s'impegna a offrire ai lettori un'esperienza simile a Spotify, Amazon e Netflix, pari pari come quell'altro beccafico, già e ancora - li mortacci sua - ministro del brodo culturale italiano, il quale, un mesetto fa disse, che voleva fare «una Netflixe de la curtura italiana co' li sordi der ricoveri faunde» andasse a pijà 'nder culo al ricovero...

Ma vabbè, ma tant'è.

Ritorniamo a essa. Stamani, pausa caffè, io e una collega ci siamo abbassati la mascherina per berlo, d'altronde non l'hanno ancora fatte come le caramelle alla menta col buco al centro. Si avvicina a noi un'altra collega, mi saluta, ma alla collega presente, che sta posando la tazzina, le si rivolge con un «Buongiorno, ci conosciamo?». «Sì, da due mesi», le risponde questa ridendo. «Ma tu guarda: è la prima volta in due mesi che vedo il tuo viso, non ti avevo riconosciuta», si giustifica l'altra, con un leggero imbarazzo.
È così: con la mascherina sul volto, se parliamo con persone conosciute, conversiamo ricostruendo, più o meno consciamente, i lineamenti e i movimenti facciali di sempre; mentre con le persone che non conosciamo, o conosciamo da poco, la mascherina gioca un ruolo di camuffamento della realtà, o, forse, di nascondimento. Per fortuna, coi bambini, il nascondino con la mascherina funziona sino a un certo punto. Quando, poco convinto, brontolavo alcuni che avevano fatto un simpatico scherzo a un compagno, uno di loro mi ha detto: «Maestro, si vede che ridi con gli occhi». È stato uno dei momenti più alti della mia carriera.

sabato 14 novembre 2020

Ci sarebbe altra strada

 Quando i governanti vi dicono: «Insieme potremo farcela», stanno pensando all'Italia.

***
Oggi pomeriggio, dopo il lavoro e dopo la spesa, facendo finta di non vedere bar chiusi e illudendomi che tutto, in fondo, anche se arancione, fosse normale, ho ricevuto, da solerti comari di chat, un dispiaccio d'agenzia:
«Firenze, 13 novembre 2020 - La Toscana diventa zona rossa per il covid. La decisione è ufficiale, dopo la telefonata del ministro della Salute Speranza al presidente della Regione Eugenio Giani con il quale la Toscana è stata informata della scelta.»
Manifesto il mio disappunto con varie sfumature di sfanculismi, ma poi mi placo, sia perché oggi è la giornata mondiale della gentilezza, ma soprattutto perché il presidente Giani, in conferenza stampa serale, precisa:
«Questa sera da Roma le autorità governative mi hanno comunicato la decisione del Comitato Tecnico Scientifico per la zona rossa in Toscana.
Esprimo sorpresa e amarezza perché i dati su cui è fondata sono quelli della settimana 1-8 Novembre.
Oggi 13 Novembre e negli ultimi giorni ho visto in Toscana un cauto ma oggettivo sollievo perché la curva pandemica tende a rallentare e stabilizzarsi.»
Sì, hanno chiamato da Roma. Gente che da Roma chiama e ordina. Che vuoi che sia. Che vuoi? Che sia.
Facciano. Insieme potranno farsela.

***
Da Il nespolo di Luigi Pintor estraggo una citazione:
«Chiunque abbia il potere per un minuto commette un crimine».

***
Il ministro Speranza dice che tali misure restrittive sono necessarie e che
«non c’è altra strada se vogliamo ridurre il numero dei decessi, limitare il contagio ed evitare una pressione insopportabile sulle nostre reti sanitarie.»
Non so, a me pare che, tra le tre cose, non ci sia una stretta corrispondenza e che le prime due (riduzione del numero dei decessi e limitazione dei contagi) siano giustificazioni date per coprire il fallimento (certamente, non del tutto imputabile a questo governo) di una politica sanitaria che non riesce a trovare una soluzione per sgonfiare tale pressione. Infatti, perché la riduzione dei decessi dovrebbe valere soltanto per il virus e non per altri tipi di malattie? Perché, per esempio, come fa notare un commentatore al post di Olympe, in altri casi di malattie, alquanto diffuse e temibili, i morti muoiono un po' per volta e senza provocare pressioni ospedaliere?

E come, tu governo liberale e democratico, per risolvere un problema di pressione l'unica strada percorribile che imponi di seguire è una via di oppressione?


martedì 10 novembre 2020

Siamo nella preistoria

Ci risiamo: ri-serve il foglio di via, detto altrimenti autodichiarazione ai sensi degli articoli eccetera.
Articolo uno: l'Italia è una repubblica fondata sul (lo sfruttamento del) lavoro (altrui) e sulla chiusura di alcune attività produttive (tipo i bar), sulla limitazione alla cazzo di budda arancione dei diritti di movimento nel territorio patrio (perché spostarsi da un comune all'altro alza gli indici, abbassa i medi, rintuzza gli anulari, infila i mignoli negli orecchi e i pollici su per il retto). In breve, per spostarsi occorre avere dei motivi:
- comprovate esigenze lavorative (esigo sapere la comprova di John Elkann);
- motivi di salute (curiosità: motivi salutari vanno bene? Per es. chi abita in zona ad alto tasso di inquinamento, può uscire dal comune per andare qualche ora in un altro con aria più pulita?);
- altri motivi ammessi dalle vigenti normative ovvero dai predetti decreti, ordinanze e altri provvedimenti che definiscono le misure di prevenzione della diffusione del contagio (specificare il motivo che determina lo spostamento): andare a fare in culo.

Inoltre: perché va dichiarato "sotto" la propria responsabilità e non "sopra"? A me, la responsabilità, piace di più alla missionaria (zona kamasutra).
Sto diventando arancione - ma questa volta niente calmanti all'acqua di rose, grappini e cognacchini forse, e parecchi vaffanculo a ripetizione ai decisori, ai tecnici, ai controllori. Hanno rotto i coglioni, ça va sans dire, ma piace ricordarlo, di tanto in tanto.
Vorrei essere mansueto come K. per poter, ogni tanto, dare qualche legnata fatta bene ai malfidi servitori che promettono di servirti e poi il contrario. Dove cazzo sei Klamm? Dal buco della serratura vedo il tuo flaccidume: fai schifo, tu, come tutti quelli lassù, al Castello.

domenica 8 novembre 2020

J'avoue j'en ai bavé

Bisogna che trovi uno strizzacervelli, oppure che metta direttamente il cervello nell'asciugatrice, tanto l'ho annacquato dalle salivazioni e dalle incontinenze degli illuminati progressisti che inneggiano alla vittoria d'un presidente americano dal quale si aspettano "liberazioni". Sono innaffiato da tanti squirting postati dagli intrattenitori sociali e presidenti di partito, regione, sindaci repressi perché guidano una misera città che non può far debito coi dollari ma incassare qualche spicciolo con le multe de li vigili. 
Ahimè, on riesco più a sintonizzarmi su alcun canale politico decente, ogni frequenza è saltata, onde medie e corte, frigge tutto, non sento più nulla, solo un gracchio, un fruscio unico e, il peggio, per non ascoltarlo, per non impazzire, non posso neanche dire sento la voce dell'opposizione - opposizione di che, di chi? Aiuto!

Meno male sul Tubo ho scoperto lei:




Era tanto che non mi capitava d'innamorarmi davanti a un video.

venerdì 6 novembre 2020

giovedì 5 novembre 2020

Schiaffi

Non ho più fiato letterario, connessione scolastica, ho perso il polso e le dita (con il palmo) cadono di conseguenza. Non esigo, quindi sbrigo relativamente con poco la prassi, senza impelagarmi in pelaghi dove il pelagianesimo impera. Lascio agli sfacciati il tempo di metterci la faccia, tanto non sarà mai colpita dai muti schiaffi della consapevolezza. A proposito di schiaffi: ci sarebbe fortemente da richiedere il ripristino dei finestrini apribili sui treni e sugli autobus; dacché pregressi protocolli di sicurezza imposero di chiuderli, adesso, le nuove disposizioni dovrebbero prevedere di aprirli, sia per dare aria ai sigillati mezzi di trasporto locale e non, ma, soprattutto, per dare schiaffi agli affacciati.

- Ma che parti sempre te? Sempre ni mezzo me lo trovo.




martedì 3 novembre 2020

Aspettami ogni sera


Negli anni che sono andati via perduti come sperma nella pioggia (le lacrime sono troppo fantascientifiche), dalla maturità alla fine dell'università, novembre è stato per me il più bello dei mesi. Il mese in cui l'autunno diventa maturo e i colori del paesaggio rendono luminoso anche il fitto della nebbia - d'accordo, ma all'epoca ci facevo meno caso alle foglie degli alberi e di più, invece, godevo del grigio sotto i portici del perimetro nord di una piazza che conducevano, lenti e maestosi, alle scale consumate di pietra serena della biblioteca comunale.
E stavo quasi in disparte, ma non troppo, a leggere e occhiare, a pensare molto, a concludere poco, a non preoccuparmi di cosa fare da mangiare o di ascoltare le ragioni dell'intestino. Non rimpiango quei giorni in cui finiva qualcosa (la prima repubblica) e non iniziava niente (Berlusconi, Prodi), quei giorni in cui eravamo tutti orfani di storia perché era morta, dicevano, e si pensava che gli Adelphi fossero il non plus ultra della cultura italiana e morta lì l'editoria, il pensiero facente e il desiderio di rivoluzione.

E poi, a poco a poco, il corpo e la storia ritornano sugli scudi. Ma noi, cioè io, siamo più deboli e più adatti a fare i terzini maldestri di una difesa che fa acqua da tutte le parti. Novembre non mi piace più, o meglio: mi piace se passa in fretta e non si attarda ad annebbiare pensieri e regala qualche sprazzo di sole per togliere umidità all'anima che, presto, prenderà la muffa e, soprattutto, alle castagne (marroni) che avevo messo ammollo per una decina di giorni per cercare di conservarli qualche settimana in più.

domenica 1 novembre 2020

Rospi e cornacchie

Stare appostati come cornacchie in attesa che un rospo sia schiacciato sull'asfalto per andare a beccarne la carne frollata dagli pneumatici, finché l'asfalto ritorni più bello e pulito che pria: questo è il passatempo preferito di chi non ha niente da dire ma sta sui social media a vedere che cosa dicono gli altri, stronzate comprese.
Oggi, il rospo schiacciato è stato il presidente della regione Liguria, il quale ha scritto un tweet idiota (o gliel'hanno scritto i social media manager dalla regione Liguria pagati: peggio per lui) e, in due secondi, è stato becchettato centinaia di migliaia di volte dalle cornacchie, maschie e femmini. Eppure - al mio avviso garrulo di beccofrusone - se quel tweet si fosse concluso a metà


il rospo avrebbe continuato a saltellare dall'altra parte della strada senza essere schiacciato, con somma trestizia de le cornacchie appostate, le quali non avrebbero avuto di che sfamarsi in questa grigia domenica di Ognissanti.
Invece, forse abbagliato dai fari (spenti) della recessione e depressione economica, il Toti è andato a rimpozzare in un discorso da stronzi, sullo sforzo produttivo del Paese (cosa che, onestamente, fa pensare all'Italia seduta sulla tazza cesso a ponzare dpcm a ripetizione).


Ecco: non so se ancora si senta beccare sull'asfalto gli ultimi rigagnoli di sangue rimasti dello sventurato che è andato a toccare un nervo sensibile dell'indignazione general. Per carità: parlare di non indispensabili è sempre, non solo politicamente scorretto, ma umanamente assai deprecabile. Quindi, non dico che non sia giusto scalpitare, indignarsi e beccare di brutto, soltanto, a tal riguardo, in relazione agli scartati dalla produzione, sarebbe auspicabile non una sensibilità estemporanea, come una eiaculazione che dura cinque secondi sulla timeline e poi basta, bensì un'attenzione costante al problema dello sfruttamento capitalistico dimostrato, in maniera irrefutabile, da Marx nella sua teoria dell'accumulazione e del lavoro salariato, giacché lo sforzo produttivo, checché ne dicano le anime belle intellettuali del pensiero egemone, è prodotto solo dalla forza lavoro sfruttata, malpagata, frustrata, repressa, derisa, picchiata e derubata...  (e ti amo Mario) che voi volete far stare a casa per proteggere gli anziani, accontentandosi dei ristori governativi (elemosine) e senza nemmeno pensare alla rivoluzion. Ah, no! Non si deve protestare! Non si devono spaccare le vetrine! La rivoluzione si fa in casa, con le ciabatte di Tony Pons.

Oh oh, cavallo

Ho letto che Conte vorrebbe l'appoggio delle opposizioni perché le opposizioni glielo appoggino, il prossimo imminente decreto. Essendo appoggiatori seriali, le opposizioni non appoggeranno, perché occorre mantenere una certa quota di distanziamento e differenziazione pur nella lapalissiana omogeneità, abbai e ringhi a parte. «Chiudere, chiudere, chiudere ancora» sarà il refrain e la soluzione unica perché ci vuole responsabilità, ci vuole senso civico, ma io dico: ci vorrebbe un cavallo figlio del lampo, degno di un re, per levarsi dalle palle da questo assurdo gravame di burocrazia impositiva e costringente concepita e poi partorita dentro uffici ministeriali, istituti superiori e comitati di sanità pubblica. 
E il rancore e il risentimento che covano, senza esplodere, promettendo vendette rimandate (ti sputerò in un occhio, ti ghigliottinerò) non sono altro che indignazioni a orologeria. Gli schiaffi insegnano solo se dati nel momento esatto in cui il misfatto è compiuto. Poi non servono a niente, se non a renderci cisposi e a farci, così, vedere la realtà con occhi semichiusi.