mercoledì 30 novembre 2016

Il messo

Una storia d'amore. Forse.

Il messo comunale era un giovane trentenne che non sapeva che pesci prendere, per questo non amava pescare. Preferiva leggere, di solito camminando, dieci passi a pagina, in sospensione, ripetendo un giro di frase ben riuscito, un pensiero complesso eracliteo, un verso che riproduceva i variegati colori delle foglie accartocciate in un angolo di strada. Erano momenti particolari, difficilmente condivisibili con altri che con se stesso, ma pazienza. Se per caso qualcuno disturbava tali scorribande solitarie con un colpo di clacson o un vaffanculo stronzo, anvedi dove metti i piedi, non se dava pena, perché faceva parte del gioco costruirsi una personalità sociale, per un giovane che non ne aveva una, bella definita, un giovane che non amava pescare o bestemmiare con gli amici alle carte o al gioco di chi ce l'aveva più grosso o lo aveva usato di più.

Un giorno di probabile primavera ma forse autunno e chi si ricorda più, il giovane decise d'un botto di mandarsi a mente tutti i Mottetti montaliani, chissà per fare che, le seghe forse, ma pazienza. Nel mentre provava e riprovava il primo («Lo sai: debbo riperderti e non posso») ecco che s'imbatté, camminando, proprio in colei che l'aveva lasciato, bella stronza, vestita chiara, sorridente e spingente una carrozzina con un pargolo dentro bello paffutello. Ma tu guarda il caso. Come stai, cosa fai, eccetera. La conversazione e la passeggiata proseguirono benissimo: lungofiume, cipressi, platani, panchina, giovani mamme a far giocare i figli alle giostre. Il pargolo dormiva della grossa e lei sorrideva. Il giovane riandò ai momenti in cui lei gli scrisse lettere che gelosamente conservava in camera e sulle quali spendeva lacrime e altre liquidità. Le disse che, nonostante tutto, l'amava ancora. Lei sospirò. Lui sostenne che se per un attimo fossero stati soli soli, senza nessuno in giro, pargoli nemmeno, beh, si sarebbero baciati. Lei lo guardò e non solo convenne, ma aggiunse: «Di più». Venne sera e si salutarono.

L'indomani il giovane posò i Mottetti e andò al bar a bestemmiare con gli amici a briscola tressette e scopa. Non si sa se perse o vinse. Ma pazienza.

martedì 29 novembre 2016

Comunque

«"Se vuoi uccido anche i bambini". "No, i bambini no". E' la conversazione shock - una delle più inquietanti - intercettata dai carabinieri. A parlare al telefono sono "dottor morte" e l'"infermiera killer" . Perché adesso li chiameremo così. Comunque.» [via]

«Sai cara? Il caporedattore mi ha dato l'incarico di occuparmi del caso Dottor morte e Infermiera killer».
«Ma cosa dici? Ma come parli? Vuoi il divorzio?»
«E che sarà mai: tanto li chiameremo così comunque»
«Comunque un cazzo. Te e una considerevole quota di colleghi beoti, nominando così sui giornali e sulle televisioni dei presunti assassini, contribuirete a incrostare la mente di un pubblico già abbastanza rincoglionito da idiomi e stereotipi idioti».
«Ma perché te la prendi così tanto?  Ma non senti quanto il titolo Dottor Morte e Infermiera Killer spacca
«La testa ti spacca, la testa... e qualcos'altro».

lunedì 28 novembre 2016

Fine del brodo

Epilogo

Sono un fiasco come scrittore (!) perché ogni sviluppo mi rimane imbottigliato. Io tento di stapparlo per mescerlo, ma niente, non esce niente, solo due gocce. Soliti problemi di minzione letteraria. Le storie mi sfuggono. I fantasmi non mi vogliono bene, le creature, non essendo un vero creatore, non si rendono da me indipendenti, come quel babbeo di Adamo o quello scaltro di ciocco di legno. 
E così ti abbandono, caro brodo di giuggiole. A cosa serve allungarti? Tanto prima o poi il poeta pubblicherà – a pagamento - un libro di odi da urlo munchiano, che stenderanno di sbadigli e madonne secche gli sprovveduti membri di un'associazione culturale dell'età libera accorsi alla presentazione dello stesso; conoscerà un membro del Rotary locale che gli sarà mentore presso qualche accademia di provincia, e – dipoi – sarà presentato a qualche politico boss locale, a un banchiere, al maresciallo dei carabinieri, al capitano della forestale, alla professoressa di filosofia del vicino liceo, a un prete che però declinerà l'invito alla soirée perché un'ode è dedicata al pelo, a un paio giornalisti di cronaca locale che pubblicheranno un articoletto su misura che sarà letto dai clienti pensionati del bar sport che, al costo di un caffè, spulciano i giornali tutto il giorno per compiacersi di non essere tra gli annunci mortuari. Da cosa nasce cosa. E il poeta crederà di essere poeta, non avrà bisogno di altre certificazioni. La compagna lo accompagnerà trasformando definitivamente la schiavitù in una missione, e la figlia crescerà, diventerà bella, manderà affanculo padre madre e spirito poetico, e prenderà le vie del mondo, sarà lei a decidere quali, purché siano infinite, meno letterarie, più facete.


E il giovane messo comunale? Lasciamolo a bagnomaria.

domenica 27 novembre 2016

Cuba Libre

«Mentre il liberalismo non ha fatto altro che criticare la gestione esteriore e burocratica della società guidata dallo Stato, chiaramente per favorire il mercato e la sua pretesa libertà d'azione, la critica radicale dello Stato di Marx vede nel mercato il rovescio della stessa medaglia: l'autoritarismo dello Stato non è che il pendant complementare dell'autoritarismo del mercato e il totalitarismo politico non è che una manifestazione del totalitarismo economico. Da ogni lato, gli individui non sono liberi perché alla mercé della burocrazia gli uni ed esposti alle potenze della concorrenza anonima gli altri. Mercato e Stato, politica ed economia non sono che le due facce di una situazione sociale paradossale, irrazionale e schizofrenica in cui gli individui si sdoppiano in “homo oeconomicus” e “homo politicus”, in “borghese” e “cittadino” e si trovano dunque in contraddizione con se stessi. Sono figure umane che hanno lo stesso grave difetto e che non si deve utilizzare l'una contro l'altra, ma annullarle in egual misura – certamente facendo di essi degli “individui sociali concreti” unici, come voleva lo stesso Marx nella sua critica del lavoro astratto».

Robert Kurz, Marx Lesen, Frankfurt am Main, 2000, versione francese Lire Marx, Éditions de la Balustrade, Paris 2002 (pag. 165, traduzione dal francese mia).

Tra le baruffe di bassa lega che si sono scatenate in occasione della morte di Fidel Castro, la cosa che più m'impressiona è l'anacronismo.
Nessuno che si accorga di colpire a vuoto, di menare fendenti all'aria, ché l'avversario non esiste. Tutto il mondo tutto – anche quando c'era il muro di Berlino (ma quando c'era era indubbiamente più difficile accorgersene) – è informato da una stessa logica costitutiva: il capitalismo. E la natura del capitalismo, sia esso di Stato o di Mercato, è sempre la stessa, ovunque, perché costretta ovunque dalle medesime leggi: produzione, sfruttamento del lavoro, conquista dei mercati, vendita, accumulazione, e così via, a ripetere, ripetere tuttavia cercando di sfuggire all'ineludibile caduta tendenziale del saggio di profitto.
Quel che più abbiamo da temere, come umani, è che prima del profitto cada la specie.

sabato 26 novembre 2016

Brodo di giuggiole (5)

5
Dal cahier de doléances del poeta-biologo.

«Perché scrivo? Perché mi ostino? Perché vedo là davanti delle ombre che non riesco a definire, figuriamoci ad afferrare? Che siano le parole che mi compongono?
Adenina, Timina, Citosina, Guanina, mie care basi azotate, vi prego, datemi una mano a credere che sono qualcosa in più della somma delle parti.
Lasciatemi libero, nel perimetro concesso. Che lo sforzo compositivo di evoluzione, nel suo incommensurabile svolgimento di ripetizione e variazione, riassuma in me uno scopo che non sia quello del pavone, con il suo pur splendido rituale.
Le mie piume sono in terra, adesso, sbiadite dal guano. Una gallina mugellese ci cammina sopra.»

La solitudine lo stava macerando, lentamente, come vinacce in vinificazione, e senza la certezza di essere un giorno imbottigliato. Più che un ravvedimento nei confronti di colei che aveva mollato tutto pur di stargli accanto (e della figlia che era nata dalla loro unione), fu qualcos'altro che lo spinse a richiamarle a casa, all'incirca un anno dopo, a far loro spazio in quell'eremo che iniziava a soffocarlo come l'interno di un tino in cemento vetrificato.

Questo qualcos'altro erano delle voci, insistenti voci, che lo assalivano di notte impedendogli completamente di chiudere occhio. Se almeno avesse avuto il potere di comprendere quello che dicevano, le voci, egli ne avrebbe potuto approfittare, magari per carpire qualche frase da aggiungere al cahier o meglio da trasformare in endecasillabo sciolto. Come il guano.

giovedì 24 novembre 2016

In memoria





Ho conosciuto Dante attraverso la sua mediazione (e la supervisione di Gianfranco Contini). La sua voce mi ha accompagnato per cento volte cento nei percorsi casa lavoro casa lavoro casa lavoro casa lavoro sogno. Ho provato a emularlo, balbettando Dante a un pubblico benevolente che avrebbe fatto bene a tirarmi una scarpa. L'altra me la tirino ora. 
Penna raffinata, istigatore al vizio della lettura, gran signore.

Grazie Vittorio. Riposa in pace.


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P.S.
Dopo aver tentato di registare le puntate direttamente da Radio Tre, (all'epoca il podcast era fantascienza), comprai la raccolta dell'Inferno direttamente dalla Rai, mi sembra intorno all'88 od '89. Ancora non era neanche uscita l'edizione cartacea.Telefonai a via Teulada e, non so più bene attraverso quali fortunati interstizi, trovai l'ufficio giusto. Mi dissero di fare un bonifico, all'incirca di novantanovemila lire. Dopo un mesetto le cassette arrivarono. Ne ho persa una porca puttana. Comunque, se qualcuno fosse interessato a comprarle, le metto all'asta: a novantanovemila euro.

mercoledì 23 novembre 2016

Brodo di giuggiole (4)

4

Fu un parto faticoso. Faticoso più che doloroso, il dolore – anche se tremendo – limitato (!) soprattutto alla fase espulsiva; non riusciva bene a spingere, affatto, tanto che l'ostetrica a un certo punto assunse un tono perentorio, sgridandola, che si desse da fare se non voleva che il nascituro patisse.
Ma lei era sola con degli sconosciuti in quella sala parto di un piccolo ospedale di provincia. Lui non c'era, l'aveva detto, ok, ma fino all'ultimo aveva sperato nella sua presenza. Niente. E che lui ci fosse, per lei, era più importante dell'evento stesso della nascita della sua prima figlia. Non pensava alla bambina, infatti, non provava affatto a immaginarsela, a vederne i lineamenti, a presagire l'effetto di averla in braccio. Anche di come chiamarla non aveva idea, non ci aveva mai pensato.
E adesso che quella creatura era lì addosso a lei, lei non aveva più neanche la forza di un sorriso. Avrebbe voluto soltanto dormire, dormire, morire forse.


L'indomani, quando lui si presentò, non manifestò alcuna sorta di pentimento o rammarico per la situazione. Freddamente, si accertò che lei e la bimba stessero bene, si fece dare i fogli per andare a registrare la neonata e, soltanto dopo dieci passi fatti verso l'uscita, ritornò da lei e chiese: «Come la chiamiamo?»

martedì 22 novembre 2016

Alla ricerca del titano perduto

Invito alla lettura di un post di Fabio Brotto, che si occupa di questioni teologiche alla luce di un'ennesima scoperta astronomica.
Lo faccio, soprattutto, per estrapolare una frase, la seguente:
«Occorrerebbero alla Chiesa dei veri titani del pensiero, adeguati ai tempi. »
Ora, a parte il fatto che stabilire chi sia un titano del pensiero, per chi ne è contemporaneo, non è cosa per niente semplice, a me sembra che anche qualora (miracolosamente?) un titano si presentasse, la Chiesa che cosa se ne farebbe? Lo manderebbe in orbita sulla Stazione Spaziale Internazionale? Si spenderebbe affinché la Nasa o l'Esa o l'Agenzia Spaziale russa (ma forse lassù i teologi li vogliono solo ortodossi) sia accolto nello staff tecnico avanzato? Oppure lo proporrebbe come ambasciatore della Santa Sede al Cern di Ginevra per discutere fitto fitto sul bosone, detto anche, credo impropriamente, particella di Dio?

Mi chiedo questo perché altre possibilità di conciliare la teologia con l'astronomia e la fisica non ne vedo. In fondo, per stare sul classico, bastava (e avanzava) il nostro caro amato Celestino... pardon: Benedetto. Titano titano non sarà stato, nondimeno, teologicamente parlando, rispetto a colui che oggi s'affaccia la domenica, era un gigante. 

lunedì 21 novembre 2016

Brodo di giuggiole (3)

3

«In una sorta d'entusiasmo e di stanchezza tipici della disperazione, comincio questo progetto. Dovrei quindi andare in Danimarca per scrivere qualcosa, dovrei guadagnare un milione. Tre giorni e tre notti di panico e di stitichezza spirituale e corporale. Poi ci ho rinunciato. C'è infatti un punto determinato, in cui l'autodisciplina, che è qualcosa di buono, si trasforma nell'autocostrizione, che è maledettamente dannosa. Ci ho rinunciato, dopo aver scritto due pagine e aver inghiottito una scatola di lassativi...»
Ingmar Bergman, (appunti del 1962), in Immagini, Garzanti, Milano 1992

Se il nostro poeta - già biologo, adesso in pensione - fosse inciampato in questo passo bergmaniano, probabilmente non avrebbe più fatto confusione tra autodisciplina e autocostrizione, e alle perette di camomilla tiepida, avrebbe preferito la dolce euchessina.

Invece niente. Dalla mattina al tramonto, fatto salvo una brevissima pausa per il pranzo, si rintanava nel suo studio, seduto alla scrivania o affacciato alla finestra, e pensava, pensava a quello che doveva scrivere, ombre che gli passavano davanti agli occhi ma che faticosamente riusciva a trasformare in versi.

Per sua fortuna, l'ex assistente, ora compagna, era lontana in quei giorni - l'aveva convinta, abbastanza facilmente, seppur a prezzo di un ulteriore sacrificio economico, a trovare una sistemazione per lei e la bambina, un piccolo monolocale adibito a casa vacanza nei i mesi estivi (adesso libero), giù nel centro del villaggio.

Solo, dunque. La casa intera a disposizione. Silenzio. Un momento ideale per iniziare l'opera.

Un giorno di tardo autunno, dopo aver trascorso ore e ore intento a fissare una moltitudine di vermi spiaggiati sul lastricato di porfido, il Nostro protagonista - al quale ancora dobbiamo dare un nome, ma lasciamola in sospeso la questione per il momento - aveva buttato giù alcuni versi che - immaginava - avrebbero potuto essere il mottetto di apertura della sua prima raccolta. Certo, ancora di molto labor limae abbisognavano; nondimeno, era moderatamente soddisfatto:

Per ammazzare il tempo
un lombrico ammazzo,
l'amico che un giorno
del mio corpo farà scempio.
Una vendetta anticipata
servita su un piatto ancora caldo.

Lo guardo il lombrico sezionato:
una parte spiaccicata sul selciato
da un passo disattento:
non un lamento, non un grido:
che nobile portamento.

Mentre sillabava i versi davanti alla nudità di un salice fradicio di pioggia, sentì un rumore di pneumatici avvicinarsi verso casa. Era un giovane messo notificatore inviato dal comune, che gli portava il certificato elettorale. 

sabato 19 novembre 2016

L'incanto monarchico di Repubblica


Io penso sempre che se lo spermatozoo di mio padre e l'ovulo di mia madre fossero stati nobili, l'avrei pensata diversamente; così come diversamente vissuta l'avrei, la vita. Ma anche se fossi nato semplicemente suddito di una qualsivoglia tipologia monarchica, e a scuola e in chiesa mi avessero inculcato il rispetto per re regina fante settebello o souncazzochialtro, probabilmente allora pure io, al cospetto di un pancione nobile mi sarei incantato come un direttore, o vicedirettore, o caporedattore, o souncazzochialtrocoglione di Repubblica punto it.

Produttività canaglia

Dall'alto della sua «esperienza del mondo del lavoro maturata nell’arco di ormai quasi mezzo secolo» il giuslavorista Pietro Ichino (molto gius e poco lavorista) ha scritto una lettera al direttore del Corsera per «proporre una riflessione» intorno al tema della produttività dei lavoratori e relativa contrattazione sindacale.

Egli rileva che, se negli anni Settanta dello scorso secolo, tra l'operaio e l'impiegato più produttivi e quelli meno produttivi il dislivello di produttività era contenuto...
«fatta 100 la produttività standard di un operaio-tipo, quello che in concreto aveva una produttività inferiore si attestava intorno a quota 90, raramente si arrivava al limite minimo di 80, mentre quello più produttivo poteva arrivare a 130, 140, raramente a 150. In altre parole, il rapporto tra il più e il meno produttivo non arrivava neppure a 2. All’incirca la stessa cosa di poteva dire degli impiegati con funzioni esecutive, che si trattasse di dattilografia, mansioni inerenti alla contabilità aziendale, segreteria d’ufficio, reception o centralino».
...oggi, invece, la situazione è totalmente cambiata e la differenza di produttività espressa dai lavoratori (anche nello stesso settore di produzione), a volte può raggiungere livelli esorbitanti, che vanno da 100 a 10.000.
Ad esempio:
«tra chi sa soltanto confezionare recapitare una pizza e chi sa individuare i suoi potenziali consumatori e gli ingredienti della stessa pizza a loro più graditi, come raccoglierne in modo più efficiente le ordinazioni e i pagamenti e come organizzare le consegne, si è determinata una distanza molto maggiore nel mercato del lavoro rispetto a quella che separava cinquant’anni fa, o anche solo venticinque, il pizzaiolo o il fattorino più produttivo da quello più imbranato.»
Spazio ai meritevoli, dunque. Contratti nazionali collettivi al macero, ordunque. Solidarietà di classe, un cazzo. Soluzione? Formazione continua dei lavoratori: a lezione di giuslavorismo.
Queste, stringi stringi, il sunto delle conclusioni di iChino (non è un refuso).

Istintivamente, uno potrebbe replicare al giuslavorista così come Vincenzo De Luca ha replicato a Rosy Bindi («infame», «da uccidere»). Ma siccome De Luca non siamo, noi luchi, ispirati da altre considerazioni apprezzabili del governatore della Campania, proponiamo a iChino di ragionare intorno alla produttività di quei “lavoratori” che lo stesso De Luca “ingaggia” e sprona per la ricerca della massima produttività clientelare («Fate votare Sì. Renzi manda un fiume di soldi. Che vi piaccia o no, me ne fotto»)
«"Fai quello che cazzo vuoi, ma porta 4mila persone a votare. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco [Alfieri], vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.»
Orbene: fatta 100 la produttività standard di un sindaco tipo, se il sunnominato Franco Alfieri riuscisse veramente a far votare Sì come richiesto, su quale mostruoso livello di produttività egli si attesterebbe? 4000?

giovedì 17 novembre 2016

Brodo di giuggiole (2)

2

I primi mesi furono complicati, faticosi, soprattutto per lui. Innanzitutto la ristrutturazione del casolare fu un'impresa assai ardua, che dette un duro colpo ai suoi risparmi; ma più di questo, ciò di cui aveva maggiormente pena, era perdere tempo dietro a geometri, muratori, elettricisti, idraulici, pavimentisti, falegnami... tutte faccende, seppur indispensabili, che lo tenevano lontano dalla poesia. 
Anche a sera, quando il viavai delle maestranze era terminato, e tentava di riannodare i fili di una composizione che era in procinto di scrivere, la mente non era abbastanza lucida, sì che per misurare la lunghezza di un verso usava i centimetri, mentre al mattino non era infrequente contasse con gli endecasillabi la lunghezza degli stipiti.

Lei, invece, viveva quel disordine e quel trambusto con una strana serenità: in fondo, quello che aveva desiderato a lungo - diventare compagna del professore - si era realizzato. Inoltre, in tale situazione precaria e confusa, percepiva - a ragione - quanto lui facesse su di lei affidamento per non crollare sotto il peso delle incombenze. Questo la inorgogliva, la faceva camminare sicura sopra i calcinacci e la segatura che occupavano, da mesi, la maggior parte dei locali dell'immobile.
La sera, dopo cena, quando aveva finito di lavare e rimettere in ordine le stoviglie, si sedeva accanto a lui sul bracciolo dell'unica poltrona dell'unica stanza agibile della casa (fatto salvo un cucinotto e un bagno veramente piccolo) - e anche se lui le concedeva ben poche attenzioni, lei restava immobile, tranquilla, anche un po' scomoda a contemplare quella barba arruffata e ispida, e quegli occhialetti quadrati da lettura che gli poggiavano sulla grossa punta del naso punteggiata dai crateri dell'acne. 

Dopo circa otto mesi, i lavori di ristrutturazione erano quasi giunti al termine. Restavano soltanto alcuni lavoretti esterni, di poco conto. Il più era fatto. La casa divenne quasi tutta agibile, poteva - finalmente!, esultava lui - avere il suo agognato studio per iniziare a occuparsi di cose serie. 

«Caro, devi scusarmi, ma devo dirti una cosa».
«Che vuoi? Non vedi che sto lavorando?».
«Sì, vedo... è che... beh, aspetto un bambino».
«Incinta? Non mi avevi detto che potevi avere figli.»
«Di solito, si dice quando accade il contrario, quando non si possono avere.»
«E invece io davo per scontato che tu non li potessi avere, anche perché io non li voglio.»
«Cosa vuoi? Che abortisca?»
«Non ho detto questo: ho detto che io non li voglio... tra i piedi. Se tu vuoi portare a termine la gravidanza e avere un figlio, va bene, fai pure, nessuno te lo vieta. Soltanto io non voglio sapere niente di belati, pappette, ruttini, ninne nanne e pannolini.»
«E quindi? Quando nasce tuo figlio dove vuoi che vada?»
«Non qui.»
«Ma io non ho nessun altro che te, qui, in questo posto, in questo paese.»
«Torna a casa dai tuoi.»
«Sono orfana.»
«Zii, fratelli, parenti di secondo grado?»
«Smettila.»
«Quando ti scade il tempo?»
«Domani.»
«Ma non me lo potevi dire prima?»

martedì 15 novembre 2016

Al cor gentil rempaira sempre amore

Per il dirigente di Deutsche "l'Italia rappresenta quindi l'epicentro da cui rischia di giungere ulteriore instabilità in Europa. Senza riforme l'Italia sconterebbe uno stato di crisi continua". Poi il capo economista di Deutsche si prende una lunga pausa di riflessione. "Sarebbe meglio fuori dall'Euro? Senza riforme sì", ha dichiarato. "Con le riforme strutturali, se sarà in grado di attuarle, sarebbe meglio che stesse dentro. Ma senza riforme sarebbe costantemente sull'orlo di una crisi".

"L'Italia ha un debito pari al 130% del Pil e continua ad accumularne altro", aggiunge il capo economista del primo istituto bancario tedesco. "Ha bisogno di riallinearsi dal punto di vista normativo, sull'efficienza del mercato del lavoro". Nella stessa intervista il capo economista di Deutsche però paventa anche un altro rischio per l'economia italiana: un intervento esterno da parte del Fondo Monetario Internazionale. Tra le righe, quindi, per Folkerts-Landau si riaffaccia sull'Italia lo spettro della Troika, come già avvenuto in Grecia. Se l'Italia dovesse scontrarsi con ulteriori difficoltà "avrà bisogno di un programma del Fondo Monetario Internazionale", ha affermato Folkerts-Landau. Le sue parole non sono certo un attestato di fiducia nei confronti dell'Italia: "L'opera di riordino dovrà essere compiuta dall'esterno o in caso contrario rischia di non essere mai intrapresa".

Era un po' che non sentivo parole così affettuose, carezzevoli, soavi, che infondono fiducia e incoraggiamento: parole benevolenti, di stimolo, da buon padre di famiglia, di quelli che uno volentieri spera di alzarsi una mattina e interpretare Edipo, ammazzare il padre, e dipoi fottere la madre; infine accecarsi e andare a Colono -  non a Colonia - almeno la si smettesse di sentirsi colonizzati da una Wille zur Macht che ha imposto il predominio all'Europa; un'Europa in mano a bottegai, produttori di merci e spacciatori di debito in cerca di valore.

P.S.
Nonostante l'imminenza del referendum, lo spudorato banchiere tedesco utilizza il refrain «riforme strutturali», non tanto - anzi, per nulla - pensando alle riforme costituzionali, bensì manifestamente riguardo al fatto che l'Italia «ha bisogno di riallinearsi da un punto di vista normativo, sull'efficienza del mercato del lavoro». Per intendersi: dopo il culo (jobs act) vogliono anche l'intestino crasso.

lunedì 14 novembre 2016

Brodo di giuggiole

1.


Italia, fine anni '70. Al Dipartimento di Biologia di un'università qualsiasi, un professore ordinario, forte di aver maturato sufficienti contributi, decide di congedarsi dal suo ruolo e di andare in pensione piuttosto giovane (45 anni). Finalmente: ne aveva abbastanza di quel lavoro. Finalmente: poteva dedicarsi in modo esclusivo alla sua unica vera passione, la poesia. 

La città, dove viveva e lavorava da più di vent'anni, non faceva più al caso suo. Aveva bisogno di pace, tranquillità. Che nessuno lo disturbasse, era il suo primo obiettivo. Ne parlò con la moglie, di trasferirsi. Gli rise in faccia. «Io venire ad abitare in quel posto isolato dal mondo? Ma neanche morta». Dopo un mese di tentativi inutili, decise... decisero di separarsi. Le figlie, già grandi, sarebbero rimaste con lei: ci andasse da solo in quella casa sperduta tra boschi e cinghiali. 

Era contrariato, ma risoluto. Sarebbe andato da solo in quel casolare lontano dalla città, collegato a un piccolo borgo soltanto da una strada sterrata che non era curata da nessuno. La sera prima della partenza, ricevette una telefonata: erano i suoi ex colleghi di dipartimento che lo invitavano a una cena di saluto. Restio, voleva rifiutare, ma insistettero così tanto che andarono a prelevarlo sotto casa. Al tavolo, tra gli invitati, c'era anche la sua assistente, che aveva un debole nei suoi confronti; ma lui era sempre rimasto indifferente davanti ai suoi occhi dolci. Quella sera no.

Le parlò del suo progetto imminente. Lei lo ascoltava rapita, persuasa nel suo animo che se gli avesse fatto anche una vaga proposta lei avrebbe accettato. La proposta non fu affatto vaga: «Vorrebbe... vorresti venire a... vivere con me?». «Sì», l'assistente rispose. E andarono.

2 (?)


domenica 13 novembre 2016

Ese sufrimiento que te hace llorar

Potrei risentirmi, se avessi orecchio per ascoltare le cose che ho detto nel corso degli anni. Purtroppo l'ho perso per strada, l'ho lasciato perdere per darmi una giustificazione sul fatto che certe cose le ho dimenticate. Se altre, invece, le avrò ricordate, mi darò la postura di orecchio assoluto. Ne sono certo, al netto delle varie incertezze, titubanze, insicurezze, menate al can per l'aia che mi caratterizzano. Ho un carattere, sai cara? Non ti piace? È perché non sai coglierne le sfumature, le dissolvenze. È un carattere fatto apposta per vivere solitudini controllate, fatte di debite distanze, di distacchi, di vicinanze, di percezioni, di diagrammi di flusso dove c'è un inizio, uno sviluppo, alcune variabili, una fine. E daccapo. Il tutto riassumibile in una frase: sii te sesso. Pur sapendo che la pratica dell'imperativo è in disuso. Qui è monouso, appunto, come un profilattico. Poco fa ho visto una puntata di una serie americana nella quale due personaggi, distesi su un letto a una piazza di una casa di mare, mentre fuori l'uragano imperversa (che perversi), si accingono a praticarlo, il sesso, quando l'eterosessuale maschile, accorgendosi di aver dimenticato i preservativi, impreca con un tipico «fuck» (il vantaggio di ascoltare in versione originale è pagabile), al che l'eterosessuale femmina gli risponde dolcemente di non preoccuparsi, di andare tranquillo, a diritto, diagramma di flusso, avanti e indietro e fine. Dopodiché, alle dolcezze post coitali, tipo fiatate calde su collo e clavicola, sussegue un dialogo di taglio drammatico nel quale la deuteragonista confessa, tra le lacrime, di non poter avere figli, ché sterile a seguito di una mal eseguita asportazione di un fibroma uterino. Il protagonista, dopo lo sfogo di varie paturnie, che si concludono con l'incendio della casa sotto la pioggia battente dell'uragano, sapremo che la sposerà lo stesso. E te credo: mai lasciarsi scappare una messicana che è riuscita ad attraversare il confine.


sabato 12 novembre 2016

Ripetere la scena

Vorrebbe tornare indietro, ripetere la scena, riprovare, non tanto per modificare la storia, ma per modulare diversamente l’intensità della recitazione.
Dalla regia dicono che non è possibile. Quanto andato in onda non può essere cambiato. Buona la prima, anche se a lui sembra cattiva, ché a rivedersi gli pare di non aver dato il meglio di sé.
Gli risposero che non era il meglio che di lui cercavano, bensì la fragilità, l’errore, il desiderio manifesto di essere abbracciato da qualcuno. Cosa che è risultata tale.
Si era immedesimato profondamente nella parte che un giorno credettero non potesse essere altro che così: appassionato, coinvolto, benevolente. E invece, sotto la tenera scorza, era indifferente, distaccato, malevolo. A tratti spietato.
Non per questo voleva fare del male a qualcuno, neppure per finta.

Gli risposero che non doveva fare male per finta, ma per davvero.
Quando accadde, lui ebbe la prontezza di giustificarsi, dicendo che era eterodiretto.
Non so fino a che punto gli abbiano creduto.

giovedì 10 novembre 2016

Piuttosto una farsa


Io le capisco le tante madonne addolorate dell'opinione pubblica e privata americane - e persino le nostre ciccine nostrane.

Le capisco, perché quello che provano loro adesso, l'ho provato anch'io nel 1994, nel 2001, nel 2008. Poi - meglio tardi che mai - nel 2013 mi sono liberato, anzi: col senno di poi dico anche che sarebbe stato preferibile avesse vinto Berlusconi anziché Bersani - e forse il corollario renziano ce lo saremmo risparmiato con qualcosa di più divertente.

Erano tempi in cui pensavo che la politica, i partiti, le elezioni, avessero un qualche potere di cambiare la realtà circostante, correggerne le storture, rendere la società più giusta ed equa. Poi basta. Ho iniziato a pensare diversamente (qui c'è un assaggio relativo ai recenti accadimenti 'mericani).

Nello specifico, mi sono già espresso: credo che sarebbe stata più tragica l'elezione della Clinton; è una supposizione, tutto qui; fossi stato americano non sarei certo andato a votare tra il cancro e la rabbia. In buona sostanza: spero che tra quattro anni Internazionale titoli “Una commedia americana”.

Ritornando alle madonne addolorate (Joan Walsh, The Nation, da Internazionale)


Mi sbaglierò, ma io ho profondi dubbi che le donne e i neri si siano maggiormente affermati nella società grazie a Hillary Clinton e a Barack Obama.

Anche la filosofa Judith Butler ritiene che
«Trump ha catalizzato la rabbia più profonda contro il femminismo ed è visto come un tutore dell’ordine e della sicurezza, contrario al multiculturalismo – inteso come minaccia ai privilegi bianchi – e all’immigrazione. »
Domanderei volentieri alla Butler due cose: a) anche se non si fida dei sondaggi, potrebbe ella stessa fare una stima di quanti elettori di Trump lo abbiano votato per esprimere la propria rabbia contro il femminismo? b) durante gli ultimi otto anni, l'Amministrazione Obama quanto si è impegnata per impedire l'estensione della Barriera di separazione tra USA e Messico, detta anche Muro della Vergogna?

martedì 8 novembre 2016

10 in Difesa

« Il Ministero della Difesa italiano ha scelto il nuovo sistema operativo dei propri pc: sarà Windows 10 di Microsoft e avrà la responsabilità di aggiornare i computer del ministero cercando di mantenere e garantire produttività e (soprattutto, visto il settore) la massima sicurezza possibile.»

Produttività. 

Da un punto di vista informatico, per mantenere e garantire produttività, occorre che il Sistema Operativo non s'impalli, si accenda veloce, sia fluido, non rallenti cioè l'utilizzo delle varie applicazioni che “girano” (o frullano?) dentro il sistema. Non so al Ministero della Difesa di che tipo di produttività abbiano bisogno, dipende poi dai vari uffici, dai vari distretti, dai vari comparti dell'Esercito. Escludendo tuttavia i comparti specializzati, controllo radar, reparto balistico, eccetera, limitiamoci alla produttività richiesta da un semplice sottufficiale, o ufficiale che si siedono alla scrivania, accendono il Pc e, cosa altro possono fare con il pc a quei livelli se non utilizzare un browser (navigatore), un programma di posta (pleonastico, almeno per me), un programma di scrittura (documenti, calcolo, presentazione, disegno), qualche giochino per passare il tempo?
Per fare questo, il Ministero quanti euro spende per comprare le licenze commerciali Microsoft? Quante ne risparmierebbe se, invece, si affidasse ad aziende nostrane (ma non è necessario: potrebbero anche essere aziende straniere, persino russe) o assumesse dei tecnici informatici in grado di (scusate il termine) customizzare una distribuzione Linux e renderla produttiva specificatamente per il Minestero della Difesa.

La massima sicurezza possibile.

Qui viene il bello. Pur concedendo che nessun sistema operativo è a rischio zero riguardo alla sicurezza, è indubitabile che Windows OS è il sistema operativo più esposto ad attacchi informatici. Non è un caso, infatti, che Windows sia l'unico OS che richiede caldamente l'installazione di un antivirus già dal primo utilizzo. 
Windows è predominante riguardo al mercato del PC-Desktop (personal computer di casa e ufficio): infatti, è il Sistema Operativo di quasi il 90% dei pc del mondo (89,79% per l'esattezza, è anche per questo che il 90% del malware gli si rivolge contro; Windows stesso, in realtà, è un malware). Per contro il 90% (il 94,2% per essere precisi) dei Supercomputer presenti nel mondo...

via

non utilizza Windows: usa Linux.
I cervelloni del Ministero della Difesa, Pinotti in testa, non credo le sappiano queste cose. Non sanno forse nemmeno che i Supercomputer sono
«utilizzati per realizzare processi di calcolo intensivi come le previsioni meteorologiche (incluse le analisi sull'incidenza dell'inquinamento sull'ambiente), le analisi molecolari (calcolo della struttura tridimensionale e del loro ripiegamento, delle proprietà chimiche, ecc) simulazioni fisiche (simulazioni di fluidodinamica, simulazioni di detonazioni nucleari, di astrofisica, di fisica nucleare ecc), crittoanalisi e altro. I militari e le agenzie governative di tutte le nazioni ne fanno un uso molto intenso. Anche le aziende industriali ne stanno sperimentando l'utilità per i calcoli di previsione e di gestione di grandi volumi di dati che devono essere processati dall'APS (Advanced Planning System) del loro sistema gestionale (ERP).» (Wikipedia).
I militari ne fanno un uso molto intenso! Ma forse non quelli italiani, che usano Windows 10.

A pagamento, sia chiaro.

Ma leggiamo perché

«"In uno scenario di Spending Review in cui recuperare efficienza è sempre più un imperativo per gli enti pubblici - spiega la Difesa - il ministero intende ottimizzare i processi grazie all’adozione del nuovo sistema operativo di Microsoft, che consentirà al personale preposto all'amministrazione civile e militare della difesa e delle forze armate italiane di beneficiare di un’esperienza più intuitiva e di interagire in modo più efficace su qualsiasi device. Un rinnovamento strategico anche nel segno della cybersecurity, in un Paese in cui si assiste alla crescente proliferazione di minacce informatiche che vedono l’Italia contraddistinguersi per percentuali di infezioni IT superiori alla media mondiale, secondo le rilevazioni del Microsoft Security Intelligence Report 2015. Windows 10 offre infatti al Ministero importanti garanzie in termini di protezione delle identità digitali, dei sistemi e dei dati". “All’interno del ministero della Difesa abbiamo storicamente puntato sull’innovazione tecnologica, sulla sicurezza delle infrastrutture informatiche e sulla formazione del personale, in linea con la nostra necessità di avere un altissimo livello di protezione, non solo dei nostri sistemi ma anche delle informazioni che gestiamo. Abbiamo scelto di adottare Windows 10 come elemento strategico per la nostra organizzazione, perché è il sistema operativo che ci permette di ottenere non solo un alto standard di protezione ma, anche un’esperienza d’uso semplice e personalizzata" ha commentato il Capitano di Vascello Maurizio La Puca del Comando Interforze Operazioni Cibernetiche presso lo Stato Maggiore del Ministero della Difesa. »

Ha commentato il Capitano di Vascello Maurizio La Puca del Comando Interforze Operazioni Cibernetiche presso lo Stato Maggiore della Difesa.

Ha commentato il Capitano di Vascello Maurizio La Puca del Comando Interforze Operazioni Cibernetiche presso lo Stato Maggiore della Difesa.

Ha commentato il Capitano di Vascello Maurizio La Puca del Comando Interforze Operazioni Cibernetiche presso lo Stato Maggiore della Difesa.

L'ho ripetuto tre volte, a mo’ di malware.

Egregio Capitano di Vascello,
in uno scenario di Spending Review non si vanno a pagare, e salate, le licenze alla Microsoft, perché - forse non ne è al corrente - Windows è un software proprietario che va pagato per utilizzarlo e del quale soltanto i programmatori dell'azienda possono avere accesso al codice per individuare gli eventuali bachi o falle di sicurezza. Queste cose le sanno anche i mozzi del vascello, capitano o mio capitano.
La Cibersecurity della Difesa italiana è così completamente affidata nelle mani di un'azienda straniera, nella fattispecie americana. Che sia una nazione alleata è davvero consolatorio? Non credo.
Infine: ho il timore che utilizzare Windows 10 per «beneficiare di un’esperienza più intuitiva e di interagire in modo più efficace su qualsiasi device» stia a significare, semplicemente, che Microsoft, oltre a vendervi le licenze di Windows 10, vi abbia rifilato tutti i Windows Phone che aveva in magazzino perché non sapeva a chi altro cazzo venderli. 

È davvero così intuitivo ed efficace pigiare il ditino sulle mattonelline?

Junkerenzi

Lana caprina. Occupiamocene, date anche le temperature più rigide. Mi ci farò un maglione, al limite. Insomma, per Junker, l'Italia

«non può più dire, e se lo si vuole dire lo può fare, ma me ne frego, che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza».

Anche se non sono riuscito a trovare l'originale, non mi torna la traduzione: infatti, nella frase «e se lo si vuole dire lo può fare» la particella pronominale «si» non c'entra un cazzo, perché Junker si riferisce al potere del governo italiano di contraddire le dichiarazioni della Commissione europea, non certo anche a se stesso, come se anche lui (col “si” riflessivo) lo volesse dire che «le politiche di austerità» sono tal quali a quelle della precedente Commissione guidata dall'attuale consulente di Goldman Sachs, Barroso (il... rima a piacere); quindi la frase corretta dovrebbe essere: «e se [Renzi] lo vuole dire lo può fare».
Ecco che allora prende più senso il je m'en fous junkeriano (do per scontato che abbia usato il francese nella sopracitata dichiarazione), che, nonostante la levata di scudi della renziana Repubblica, non corrisponde affatto nei toni al fascistissimo me ne frego di mussoliniana memoria, in quanto il je m'en fous ha una valenza più ironica, sfumata, altezzosa, assolutamente non irrigidita e grottesca. Je m'en fous è uno sbuffo, appunto, una lieve pernacchia, antipatica quanto si vuole ma che non si pone come una sfida nei confronti dell'interlocutore che lo riceve, piuttosto come un'alzata di spalle, sconsolata. Il me ne frego, invece è un guanto lanciato in faccia all'interlocutore, non è un'alzata di spalle, ma una spallata, una spinta, un'aggressione verbale, quasi una minaccia. Non credo che Junker volesse minacciare chicche e renzi.

Ovvia, invece di un golf mi sono fatto una coperta. Di lana caprina, sai come sto caldo.

lunedì 7 novembre 2016

Il congruista

«Esseri senza finestre», nel senso di Leibniz, naturalmente non sono mai esistiti. Ma noi, esseri «privi di pareti» non solo non siamo «monadi», ma addirittura i loro antipodi. E incomparabilmente più acuto del problema leibniziano – per quale miracolo gli esseri singoli, separati l’uno dall’altro, potrebbero tuttavia «armonizzare» l’uno con l’altro – è oggi il suo rovesciamento: cioè l’interrogativo, su quale base noi «congruisti» potremmo persuadere noi stessi che siamo ancora esseri singoli e ancora noi stessi.» Günther Anders, “L’individuo”, 1963, in L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 1992

Sarà banale, ma quando voglio convincermi di essere me stesso e non un altro, vado in bagno, mi spoglio, mi metto davanti allo specchio e riprendo coscienza di quello che sono. Talvolta mi tocco e mi conforto. Ho di nuovo contezza della mia estensione, del mio limite, dell'impossibilità di essere qualcun altro. Solo alcuni momenti circoscritti mi hanno consentito di varcare la soglia dell'io e non li citerò qui in giudizio perché sono già abbastanza senza pareti, in questa stanza fatta solo di finestre, il blog. 
La maggior parte della vita l'ho vissuta con me stesso, anche troppo. È che quelle poche volte che ho tentato di lasciarmi, ho provato quasi subito nostalgia di me e mi sono tornato in braccio. Non che non abbia mai litigato di brutto con me, dicendomi che non mi volevo più vedere: ma è durato poco, qualche ora e mi sono fatto la pace. Chi ama perdona, va da sé.

domenica 6 novembre 2016

E adesso il fu

Sono stato alla Leopolda. Non è vero, ma facciamo finta. Bella gente, gente scelta, raffinata. Belle donne. Ce n'era una, sulla trentina, di Roma, bel seno, volto largo, naso piccolo, fianchi sopra la media, superiori, un tailleur con lo spacco e uno scialle che penzolava casualmente. Volevo dirle qualcosa ma era troppo impegnata a parlare con Richetti. Ho provato comunque a farmi avanti. Ma è arrivato il servizio d'ordine. Un agente della Digos mi ha preso per un braccio. Io gli ho fatto vedere il pass, ma c'era scritto vaffanculo, così si è insospettito. Mi ha chiesto i documenti. Siccome nella foto sulla carta d'identità non avevo la barba, mi ha chiesto se ero sicuro che io fossi io. «Diciamo di sì», gli ho risposto. «Che ci fa lei alla Leopolda?». «Me l'ha proposto Tinder». «Chi sarebbe?» «Un'app». «Allora apposto». Quelli della Digos hanno ricevuto degli ordini precisi: tutto ciò che si scarica e si carica va bene. Fortunatamente Richetti è salito sul palco. Ne ho approfittato e, senza tanti preamboli, ho domandato alla donna di Roma che cosa l'avesse spinta a prendere il Frecciarossa per essere qui. «La Politica, what else», ha risposto, «e tu?». «Else».

sabato 5 novembre 2016

Stati inquieti

[1]

«Venerdì sera il premier ha mandato un chiaro segnale ai mercati e ai creditori internazionali sulla volontà del suo governo di rispettare l’agenda concordata con la troika [...] Per placare i creditori internazionali che recentemente hanno accusato Atene di non fare abbastanza sul fronte delle privatizzazioni dei beni dello Stato, Tsipras ha spostato il ministro dell'Energia, Panos Skourletis, che aveva apertamente contrastato l’attuazione di alcune importanti privatizzazioni come il gigante dell’energia elettrica Dei, agli Interni, sostituendolo con George Stathakis, l’attuale ministro dell'economia, che ha partecipato all’ultimo Forum Ambrosetti di settembre sulle sponde del lago di Como».

[2]
«L’Arabia Saudita avrebbe minacciato di inondare il mercato di greggio se l’Iran non si fosse allineata coi piani per tagliare la produzione [...] La stessa Reuters in seguito ha attenuato le tinte forti del quadro, diffondendo un’ulteriore testimonianza anonima dei recenti incontri. Nessuna minaccia, ha assicurato una fonte Opec di area Golfo Persico: "L’Arabia Saudita non ha detto che l’output salirà, ma solo che potrebbe salire. In mancanza di un accordo tutti i produttori potrebbero aumentare l’output, questo è un fatto"».
________________________________________

I vari comitati d'affari sparsi per il mondo, dalla Grecia all'Arabia (ma si potrebbe spaziare in tutte le latitudini e longitudini) lottano per mantenersi in vita, chi per un verso, chi per un altro, chi per svendere, chi per vendere, modalità diverse accomunate da un medesimo obiettivo: fare cassa, valorizzare il valorizzabile, finché dura.

Dallo strazio per un uomo che pensava di ripercorrere le orme di Pericle, alla disputa per il mercato del petrolio che rinnova l'antica lotta da due teocrazie, una di stampo monarchico e l'altra repubblicano (sparissero entrambe, ma andiamo in ordine alfabetico).

venerdì 4 novembre 2016

131

Ne era convinto: lei avrebbe potuto dargli di più, lui avrebbe potuto darle di meno: non c'è mai stato uno scambio alla pari (sebbene non l'avesse mai preteso, né sperato); piuttosto: avrebbe gradito continuare a darle quello che voleva, anche a rimessa perpetua, e invece lei non più voleva ricevere il suo più, voleva troncare lo scambio, forse per non sentirsi più obbligata a dargli quel meno che ogni tanto le occorreva concedere (con malcelato piacere).

E adesso? Non potendo più investirlo su di lei, il suo capitale d'amore si è inaridito, è diventato sterile come una linea produttiva a Mirafiori.

Si mormora che abbia scritto una poesia che non ha mai fatto leggere a nessuno. Una sola, per fortuna. Nondimeno, l'ha imparata a mente per illudersi di essere uno scrittore, un paio di volte l'anno, durante ferie fuori stagione, a Cartagena.

giovedì 3 novembre 2016

Fossero ladri

Stamani sono stato a pagare un bollettino postale in un ufficio postale e per versare 20€ sul conto corrente postale di una "cosa" pubblica[*] ho pagato 1,50€, cifra che corrisponde al 7,5% del denaro versato. 

Qualcuno mi sa dire, per favore, se anche in altre nazioni europee si paga per pagare e si paga così caro?

Ora, io evito per quanto possibile di andare negli uffici postali perché mi stanno sul cazzo gli uffici postali, in particolare da quando si sono riammodernati per scimmiottare le banche, ma soprattutto da quando, dal primo gennaio 2002, sono stati primi ad approfittare dell'entrata in vigore dell'euro "arrotondando" le 1.200 lire a 1€ per fare versamenti postali.
____________________
[*]
Alcune istituzioni pubbliche (comuni, scuole, eccetera) rifiutano denaro in contante o tramite altre modalità (pagobancomat, ecc.) e ammettono solo il bollettino postale.

RispostaRamp

?


«Questa volta non c'entrano né Vladimir Putin né il suo braccio armato WikiLeaks di Julian Assange.»

Rampini pronuncia questa frase proprio a inizio discorso (e poi spiega perché il capo dell'effebiai si accanisce così tanto contro Hillary Clinton).

Dubito che Wikileaks sia davvero il braccio armato di Putin. Se così fosse, a quest'ora Assange si troverebbe in Siria.

mercoledì 2 novembre 2016

Un etto di politica

Uno degli effetti (non la causa) più sorprendenti dovuti a Renzi, da quando è diventato segretario del PD prima e presidente del consiglio poi, è stata una perdita repentina di quei pochi grammi di passione politica che tenevo di conserva da qualche parte ben nascosta nelle mie zone ossute. Ho constatato: non c'è più niente, neanche mi avessero fatto una liposuzione. Da quando c'è egli (dire lui è improprio), il discorso politico si è trasformato in un completo flatus vocis, quello che viene detto è insignificante, pur avendo dalla sua (dalla loro) la logica del potere che impone e dispone. È un parlare del cazzo di un cazzo di niente. Slogan, frasi fatte, frasi marce, pensierini da svilimento testicolare e ovarico, senza neanche avere la dignità o il merito dell'evasività, della circonlocuzione anodina che impone alla discussione politica un divertissement ermenutico.
Renzi si capisce, si capisce subito quello che dice e quello che dice è così irritante che si vorrebbe far finta di non aver capito. Fosse un amico, gli si direbbe: «Ma non t'accorgi quanto ti atteggi a stronzo, quanto la fai facile, quanto riduci la complessità a suppostina di malva e glicerolo? Smetti con quella finta faccia seria stringendo le labbra a culo di gallina, non fare il brillante a tutti i costi, ché la situazione è assai opaca, dismetti quel tono di sfida a chi ce l'ha più lunga, la lingua. Renditi conto. Fatti una doccia, mettiti il pigiama Urge, dormi e sogna di essere quello che non sei mai stato».
Consigli inutili che è valso la pena esprimere per ingrassare un po'.